Baroprog - “Aionverse (Prog-jet IV)” (2025)
di Alberto Sgarlato
La storia musicale di Alberto Molesini,
detto “Baro”, è qualcosa di davvero lungo
e importante nella scena progressiva italiana. Tutto, infatti, ha inizio sul
finire degli anni ‘70 quando, nonostante un’epoca di grandi trasformazioni
culturali stesse attraversando tutto il mondo, in Italia era ancora fortissimo
l’amore per i “giganti” del prog-rock inglese (dai Genesis agli Yes, dai King
Crimson agli ELP, e non solo) e questo contesto musicale nella nostra Nazione
era ancora vivo e pulsante, seppur più di nicchia rispetto alla clamorosa
deflagrazione avvenuta nella prima metà del decennio.
In questo vivace movimento musicale, “Baro”
fonda il suo primo gruppo, La Sintesi, che si rivelerà un’esperienza quantomai
longeva, grazie anche ad alcune “gemmazioni” e progetti paralleli che andranno
avanti fino a metà anni ‘90. Nel frattempo, questo polistrumentista e cantante
non si fa mancare molteplici collaborazioni con altre band, restando ben
presente come nome di riferimento nel quadro prog-rock internazionale.
E che Alberto Molesini sia sinonimo di
autorevolezza e credibilità nel mondo musicale, lo dimostra la schiera di
artisti che hanno collaborato a questo album intitolato Aionverse,
quarto capitolo del progetto Baroprog. Oltre allo stesso Baro, infatti,
incontriamo le voci di Heather Findlay dei Mostly Autumn, di Iacopo
Meille dei Tygers of Pan Tang, di Meghi Moschino dei Quanah Parker,
di Andrea Vilardo dei Blind Golem e dei Moto Armonico, di Andrea
Damato, di Titta Donato… Insomma, vi domanderete voi lettori: come
mai tutti questi cantanti? Perché “Aionverse” è una vera e propria opera rock,
dalla trama complessa e articolata, all’interno della quale questi artisti
interpretano (così come Baro stesso) dei personaggi ben precisi. Nella migliore
tradizione progressiva, ci troviamo di fronte a una sceneggiatura nella quale
scienza e religione, misticismo ed esoterismo convivono facendo prendere forma
a una vicenda avvincente ed emozionante.
E veniamo ai musicisti: Baro riserva per sé
le parti di chitarra, tastiere e basso, ma si fa affiancare da Gigi Murari
(batteria, percussioni), Elena Cipriani (cori), più gli ospiti Paolo
Zanella (piano), Jack Molesini (jambé), Gabriel Vellorti
(violino), mentre alle sei corde sono ben tre validi chitarristi ad
avvicendarsi: Nicola Rotta, Baxnug e Massimo Basaglia.
“Aionverse” reca come sottotitolo “Prog-jet IV”: infatti, nella sua lunga e prolifica vita artistica, Baro ha composto prima di questa altre tre opere rock, inizialmente date alle stampe con pochi mezzi ma successivamente, come lo stesso autore afferma, “ripulite, in modo che il sound rendesse loro finalmente giustizia”. E quindi, dopo “Lucillo & Giada”, dopo “Topic Wurlenio” e dopo “Utopie”, eccoci giunti a questo “Aionverse”, prodotto da Andromeda Relix e Distribuito da Ma.Ra.Cash.
Musicalmente siamo di fronte a un maestoso,
solenne, sontuoso progressive rock di stampo sinfonico, nel quale non mancano
certo, tra alcune dissonanze e sperimentalismi, richiami alla miglior
tradizione italiana (l’opener “Creator’s farewell” fa inevitabilmente
pensare ai primi tre album del Banco), ma con un respiro di gusto tutto
internazionale che vede negli Yes i maggiori numi tutelari, soprattutto nei
ritornelli affidati a pastose armonie vocali e ad acute voci angeliche.
Va altresì sottolineato che, nonostante Baro
sia un polistrumentista di alta caratura tecnica, lui stesso si definisce
principalmente bassista, in virtù delle sue esperienze passate come
collaboratore in varie band. Ciò lo porta a un tipo di scrittura nel quale il
basso, mixato molto alto e capace di sorreggere in modo “roccioso” le
composizioni, emerge in un ruolo di protagonista. E anche questo aspetto
contribuisce non da poco a creare un fil rouge con il compianto Chris Squire.
Echi di sapore Yes li ritroviamo anche nella
fulminea ma affascinante introduzione di pianoforte di “Flow of life”,
brano che dopo una partenza “barocca”, verso la metà dei suoi 12 minuti
complessivi si indurisce a tratti, mentre al settimo minuto c’è persino
qualcosa di “emersoniano” nel Moog che spadroneggia nelle trame strumentali
della traccia. Un inciso acustico affidato a una sola chitarra di gusto
“spagnoleggiante” a sorreggere la voce, fa pensare sì a Howe, ma anche ai
Renaissance, altra band di gusto orchestrale e barocco che ogni tanto fa
capolino tra le influenze di questo disco.
Ancora chitarre acustiche, stavolta vegliate
dallo sguardo sornione di un Hackett o di un Anthony Phillips,
nell’introduzione di “Biz-R World”, dove però, man mano che la traccia
prende forma, i tempi spezzati, l’uso massiccio di percussioni intonate e il
sapiente lavoro vocale fanno pensare anche ai Gentle Giant.
“Crossing Pathways Pt. A” è una breve
introduzione di gusto orchestrale (meno di un minuto), che annuncia due dei
momenti-chiave dell’intera trama: i 9 minuti di “Mom and D(e)ad” e la
suite conclusiva, “Crossing Pathways”, appunto, articolata nelle sezioni
dalla Pt. B alla Pt. H. E in questi momenti troviamo probabilmente il
massimo afflato sinfonico e i più alti picchi di ispirazione dell’intera opera,
tra grandissime prestazioni dei vari cantanti in gioco e ricami di
arrangiamento capaci di spaziare tra Mellotron sognanti, arpeggi chitarristici
acustici, riff più hard, cambi di tempo repentini e, soprattutto, come già
detto, il basso a svolgere un irrinunciabile ruolo di collante e di “direttore
d’orchestra”.
Concludendo: se da una parte è vero che si possono citare Yes, Gentle Giant, ELP e Renaissance come numi tutelari, d’altro canto non si pensi affatto di trovarsi di fronte a un’opera banalmente derivativa. Niente suona mai stantio, banale o scontato. La penna di Baro è affilata nella scrittura ed è sempre capace di sorprendere e coinvolgere l’ascoltatore, consegnando così alle stampe un quarto “Prog-jet” davvero godibile ed emozionante.
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