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lunedì 18 marzo 2024

Black Sabbath: accadeva il 18 marzo del 1973


Si concludeva il 18 marzo 1973, a Newcastle, il "British Tour' 73" dei Black Sabbath, registrando il "sold out" in tutte le date!
Di tutto un Pop…
Wazza




16 Steeleye Span: nel marzo 1974 usciva l’album “Now we are six”-Nell'articolo è possibile l'ascolto integrale

Nel marzo 1974 usciva l’album “Now we are six”, sesto album del gruppo folk-rock “Steeleye Span”.

Il titolo venne dato per l’ingresso nella band di un sesto elemento, il batterista Nigel Pegrum

Il disco viene registrato nei Morgan Studios di Londra; non essendo ancora esperti di studio di registrazione chiesero “una mano” a Ian Anderson dei Jethro Tull, il quale si portò dietro il fido Robin Black come ingegnere del suono.

Anderson compare come produttore dell’album: a suo dire si limitò a consigliare, lavorando soprattutto sul brano “Thomas the Rhymer”, che divenne un cavallo di battaglia degli Steeleye Span.

Ian Anderson conosceva molto bene la band, avendoli avuti in due tour (1971 e 1973) come “spalla” della sua band.


Cliccando il link a seguire sono fruibili altre info sulle loro

collaborazioni e foto varie


Il disco fu accolto moto bene dalla critica; altra curiosità la presenza in n brano di David Bowie al sax.

Un disco da avere ed ascoltare!

Di tutto un Pop…

Wazza

Ian Anderson & Steeleye Span nel dicembre del 1973

http://itullians.blogspot.com/2020/12/ian-anderson-steeleye-span-nel-dicembre.html





domenica 17 marzo 2024

I Colosseum nel marzo del 1971

Nel marzo 1971 i Colosseum registrarono i due concerti realizzati a Brighton e Manchester City University.

Queste registrazioni vennero pubblicate nel mastodontico doppio lp “Colosseun Live” (prodotto da Jon Hiseman), uno di quei dischi che non poteva mancare nella discografia casalinga.

Un disco avanti per l’epoca, composto da lunghe improvvisazioni, un micidiale mix di jazz-rock-blues molto innovativo.

Nonostante questo e relativo tour, la band nell’autunno del 1971 si sciolse!

Di tutto un Pop

Wazza







sabato 16 marzo 2024

Antonio Clemente: “Casavacanze”: commento di Alberto Sgarlato

 


Antonio Clemente: “Casavacanze” 

di Alberto Sgarlato

 

“Antonio Clemente è un pittore. (...) Quando posa il pennello e imbraccia la chitarra dipinge sensazioni, emozioni, ricordi”, scrivevo nel 2012 recensendo “Infinito”, opera di debutto del cantautore Antonio Clemente.

“(…) Un album per il quale non è eccessivo l’aggettivo “memorabile”. Una delle perle più preziose nel ricco panorama dell’attuale cantautorato italiano”, erano invece le parole che usavo, qui su MAT2020, per concludere la mia recensione del suo terzo album “Canzoni nel cassetto”, del 2016.

Insomma: questa premessa è già sufficiente per far capire quanto io stimi e apprezzi questo artista, che seguo con attenzione dai suoi esordi.

Sarebbe interessante iniziare con una esegesi dei titoli: se “Infinito” (primo album), “Davvero” (secondo album) e “I confini del giorno” (quarto album) esprimevano, in modi diversi, un concetto di assoluta vastità legata allo spazio, alla verità, al tempo, questo nuovo “Casavacanze”, capovolge nettamente la situazione e sembra presentarci un artista maturo, saggio, che in qualche modo ha fatto pace con se stesso e ha saputo racchiudere quella vastità di cui sopra nelle stanze della propria quotidianità.

“Sembra”, appunto. Perché in realtà Clemente è artista inquieto, privo di pace interiore. Lui stesso, nel presentare questo suo quinto album, dice che: “Rappresenta quel ‘senso di inadeguatezza’ che spesso mi ha fatto sentire accolto ‘come a casa’ in luoghi a me estranei e turista o, peggio, straniero in luoghi che invece da sempre sono ‘casa mia’”.

Un’opera curata in ogni dettaglio, a cominciare dallo schieramento di ben 16 strumentisti ospiti tra chitarre, tastiere, archi, fiati, strumenti etnici e percussioni.

Una introduzione di meno di 50 secondi offre la sensazione di entrare “fisicamente” nella “Casavacanze”. E si capisce subito, dal breve testo, di quanto questa “Casavacanze” sia in realtà un luogo dell’anima, fatto di malinconia, ricordi, suggestioni, colori e profumi.

“Ode al sole” ti culla come una danza attorno al fuoco sulla riva del mare, con il suo incedere sensuale. “La mia casa”, secondo singolo del disco, con il suo delizioso arrangiamento per pianoforte ed archi, è uno degli episodi più struggenti dell’opera e ci pone al cospetto di quello stile che ormai è diventato la cifra autoriale, immediatamente riconoscibile, di Clemente.

“Come il vento” profuma di Spaghetti-western, ovviamente declinato sempre secondo l’inconfondibile stile-Clemente. “Corro e me ne infischio di un sistema subdolo”, sono versi che rivelano l’indole ribelle di questo cantautore da sempre libero e indipendente, capace di mescolare, come lui stesso canta, “l’umiltà e l’orgoglio”.

C’è invece qualcosa di “gucciniano” nel sax suadente di “Parlami di te”, brano tra i più romantici del disco, tra Nino Buonocore e Fabio Concato (volendo proprio trovare delle coordinate di massima, in quanto Clemente, come già detto, ha una sua cifra unica).

Paolo Conte, invece, è il paragone che potremmo cercare nel pianoforte “saltellante” di “Aprile”. La primavera rende la gente “più sincera”, l’inverno sembra sempre troppo lungo; ma anche quando le giornate si illuminano e si allungano, con la voglia di uscire e di aspettare l’estate, c’è sempre in fondo in fondo quella vena profondamente malinconica che attraversa tutte le canzoni di questo artista.

“Ciau Mà”, struggente ricordo di una madre che non c’è più, ma ritrovata nelle strade, nel mare, nei luoghi e nei paesaggi della sua Sicilia, è uno degli episodi più commoventi dell’intero album, persino quando, dopo una delicata introduzione affidata a pianoforte e fisarmonica, fanno il loro ingresso le percussioni. La cadenza si fa più ritmata ma, anche in questo caso, l’amarezza di fondo è tangibile.

Il tema dell’avvicendarsi delle stagioni, della vita che cambia intorno a noi, è ricorrente nelle canzoni di Clemente. E “Notte di giugno”, da questo punto di vista è emblematica. Ricordiamo che Clemente, oltre che cantautore, è pittore e poeta. Ed è proprio in canzoni come questa che il Clemente pittore descrive al meglio i paesaggi estivi ed incontra il Clemente poeta, quello che invece racconta i “paesaggi dell’anima”. Come nella precedente “Aprile”, la vita rifiorisce, la passione arde, ma è sempre una diffusa amarezza di fondo a farla da padrona.

“Estasi” gioca con le parole, con le allitterazioni tra estasi ed estate, tema ricorrente in questa “Casavacanze”, album un po’ concept e un po’ no. Sublime, anche stavolta, l’uso di un sax che infonde ulteriore sensualità a un brano che di fascino ne trasuda tanto. Ma la passione che fa ardere quei corpi in riva al mare sembra sempre un qualcosa di difficile da afferrare, un “amore crudo” (come recita il testo) per un autore che, preda delle sue inquietudini, non si sazia mai.

“Pdm” è zingaresca, spumeggiante, sfacciata. Una dedica senza mezzi termini e senza sottili metafore a qualcuno che non solo ha palesemente tradito Clemente, ma deve avergli fatto molto male. E in questo brano l’autore urla la sua vendetta senza tenersi nulla sullo stomaco!

Ma in una splendida “Casavacanze” tra la campagna e il mare, che cosa si può osservare dalla finestra? Ce lo racconta proprio il brano “La finestra”, una storia d’amore vissuta osservando una donna misteriosa tra cortili, finestre e paesaggi siculi fatti di fichi e gelsi. Il tutto, ça va sans dire, in un’atmosfera che trasuda sensualità. E, a quanto pare, sensualità e malinconia sono proprio i binari paralleli che, accompagnandoci tra le varie canzoni, ci guidano in queste vicende di estati inquiete.

“Summertime” cita solo per brevi tratti, per pochi secondi, una strofa qui, una melodia là, quella che forse è la “canzone estiva” per eccellenza, di Gershwin (ma non manca una ammiccante citazione, anche qui effimera, alla “Summer on a solitary beach” di Battiato). Traccia elegante, raffinata, patinata, che con il suo “mood” jazzistico mostra una volta di più quante frecce ha Clemente al suo arco, ma che contribuisce a portare avanti il tema portante della “Casavacanze”, fatto di sogni, ricordi, amore e malinconia.

“Lu terremotu”, anch’essa in siciliano, come la già citata “Ciau Mà”, è stata il singolo di lancio di questo album. Ed è un brano profondamente diverso dal resto del disco. Qui l’estate sparisce, la voglia di amore sulla spiaggia è dimenticata, qui ci spostiamo nel gelo dell’inverno, di quel gennaio 1968 che vedeva la valle del Belice in ginocchio per il sisma.

“Via della Pace” è un valzer, come si conviene è in tempo di ¾, ma è soprattutto, come recita il testo, un grandissimo girotondo pacifista. E tutti noi sappiamo quanto c’è bisogno, in questo cupo periodo storico, di canzoni come questa.

“Abbracciami (e sogna)” è una rock ballad impreziosita da un suggestivo lavoro di archi dal sapore quasi beatlesiano, ennesima testimonianza del talento di un autore eclettico e mai uguale a sé stesso.

Clemente si congeda con “Resto un po’ qui”, traccia che rappresenta un po’ la summa di questo “viaggio” fatto di sole, mare, cielo, nuotate ma anche quel senso di struggimento, malinconia che ci ha accompagnati fin dall’inizio. E alla fine, con il trucchetto della “ghost track”, un pianoforte che sembra suonare remoto, pieno di eco, a tratti forse finanche un po’ scordato, si allontana da noi.

Antonio Clemente ha fatto nuovamente centro, consegnando alla storia un altro disco intenso, commovente, maturo e profondo.




giovedì 14 marzo 2024

Compie gli anni Billy Sherwood... non solo YES!


Compie gli anni Billy Sherwood, nato a Las Vegas il 14 marzo 1965, bassista e chitarrista statunitense noto per essere membro dello storico gruppo progressive Yes.

Sherwood crebbe in una famiglia di musicisti: suo padre Bobby era un direttore di orchestra jazz, sua madre Phyllis una cantante e batterista, e suo fratello Michael pianista, tastierista e cantante.

La sua carriera musicale iniziò con la band chiamata Lodgic, fondata col fratello Michael a Las Vegas. Billy era bassista e cantante, Michael tastierista e cantante. Con loro suonavano anche Guy Allison (tastiere), Jimmy Haun (chitarra) e Gary Starns (batteria). Nel 1980 si trasferirono a Los Angeles, e nel 1986 riuscirono a pubblicare il loro album di debutto, “Nomadic Sands”.

Quando i Lodgic si sciolsero, Sherwood fondò un nuovo gruppo con Guy Allison, i World Trade, per il quale reclutarono anche il chitarrista Bruce Gowdy e il batterista Mark T. Williams. L'album di debutto omonimo fu pubblicato nel 1989, e di nuovo Sherwood ne fu anche tecnico del suono e del mixaggio e produttore, oltre che bassista e cantante.

In quel periodo, piuttosto casualmente, Sherwood e Gowdy furono invitati a suonare con Chris Squire, Alan White e Tony Kaye degli Yes. Il cantante Jon Anderson e il chitarrista Trevor Rabin erano in procinto di lasciare il gruppo, e per Sherwood e Gowdy si profilò l'opportunità di sostituirli. Sempre in quel periodo, Sherwood collaborò come produttore discografico nell'album “March or Die” dei Motörhead. Nel 1993-1994, durante il tour dell'album Talk, Sherwood tornò a suonare con gli Yes, questa volta come musicista aggiuntivo (alle chitarre e alle tastiere) per le esibizioni dal vivo.

Dopo “Keys to Ascension” e “Keys to Ascension 2”, nell'estate del 1996 Rick Wakeman abbandonò (per l'ennesima volta nella sua carriera) gli Yes. Questo evento portò Sherwood a diventare per la prima volta membro ufficiale del gruppo per la realizzazione dell'album “Open Your Eyes” (1997), che conteneva molti brani scritti da Sherwood e Squire negli anni precedenti per il "Chris Squire Experiment". In “Open Your Eyes” Sherwood era tastierista e secondo chitarrista (il ruolo di chitarra solista era in quel momento coperto da Steve Howe, che era tornato al suo posto dopo la parentesi degli Yes con Trevor Rabin). Nella primavera del 1997 per concludere le session dell'album e per il loro successivo tour promozionale, gli Yes acquisirono un nuovo tastierista, Igor Khoroshev, lasciando il posto a Sherwood alla chitarra e alle seconde voci.

Fu registrata qualche demo, ma il progetto, in questi termini, non fu mai realizzato; Anderson e Rabin, tra l'altro, non abbandonarono. Come Trevor Horn prima di lui, Sherwood non era molto attratto dalla prospettiva di sostituire Anderson come front-man del gruppo; tuttavia, Sherwood divenne buon amico di Squire, con cui diede vita a un progetto inizialmente chiamato Chris Squire Experiment, da cui sarebbe derivato, qualche anno dopo, il gruppo Conspiracy.

Durante il tour di “The Ladder” fu registrato e filmato un concerto, da cui furono tratti un doppio CD dal vivo e un DVD, entrambi col titolo “House of Yes”. Una settimana dopo al termine del tour del 2003 fu annunciato che Sherwood non era più negli Yes.

Già dai primi anni Novanta, Sherwood collaborò in maniera costante con John Wetton, nel 2011 prese parte come autore all'album “Raised in Captivity”, dopodiché il rapporto si interruppe.

Nell'estate del 2015 tornò di nuovo con gli Yes, stavolta come bassista, rimpiazzando il fondatore del gruppo Chris Squire che era appena deceduto, diventando anche autore di alcuni brani della band.

A partire dal 2017 entra negli Asia come membro ufficiale, dove sostituisce il suo amico John Wetton.

Nel 2020 Sherwood decide di porre fine al gruppo Conspiracy, del quale era diventato leader; alcuni mesi dopo annuncia la nascita di un nuovo supergruppo, gli Arc of Life.







mercoledì 13 marzo 2024

New Trolls nel marzo 1971

I primi mesi del 1971 furono un momento di grande svolta per i New Trolls.

Dopo la partecipazione al festival di Sanremo in coppia con Sergio Endrigo con la canzone “Una storia”, la band a marzo entra in studio di registrazione per incidere quello che sarà il loro capolavoro, “Concerto Grosso”, con le musiche di Luis Bacalov utilizzate per la colonna sonora del film “La vittima designata”.

L’album fu un successone, vendette circa un milione di copie e catapultò la band tra i nomi più grandi del progressive rock.

Tra i protagonisti del Festival Pop di Viareggio e premiati al Cantagiro nello stesso anno. Ma non mancarono brutti episodi, come il furto degli strumenti musicali (molto di moda all’epoca!).

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Wazza

I NEW TROLLS - Festival di Sanremo - febbraio 1971




La Vittima Designata” del 1971, Tomas Milian e Pierre Clementi in un film di Maurizio Lucidi, colonna sonora “Concerto Grosso” per i New Trolls, composta da Louis Enriquez Bacalov e ideata concettualmente da Sergio Bardotti.

La band compare a Venezia, un breve secondo, dei giovani Hippy che suonano per terra accanto a delle ragazze. Il brano Shadow è però cantato da Tomas Milian e la OST è solo la base orchestrale, priva degli interventi della band genovese. Successivamente uscirà il famoso LP ma sarà altra cosa rispetto al film.