Il Blog di MAT2020 (estensione del web magazine)
La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
lunedì 18 marzo 2024
16 Steeleye Span: nel marzo 1974 usciva l’album “Now we are six”-Nell'articolo è possibile l'ascolto integrale
Nel marzo
1974 usciva l’album “Now we are six”,
sesto album del gruppo folk-rock “Steeleye Span”.
Il titolo venne
dato per l’ingresso nella band di un sesto elemento, il batterista Nigel
Pegrum.
Il disco viene
registrato nei Morgan Studios di Londra; non essendo ancora esperti di studio
di registrazione chiesero “una mano” a Ian Anderson dei Jethro Tull, il quale
si portò dietro il fido Robin Black come ingegnere del suono.
Anderson
compare come produttore dell’album: a suo dire si limitò a consigliare, lavorando
soprattutto sul brano “Thomas the Rhymer”, che divenne un cavallo di
battaglia degli Steeleye Span.
Ian Anderson
conosceva molto bene la band, avendoli avuti in due tour (1971 e 1973) come
“spalla” della sua band.
Cliccando
il link a seguire sono fruibili altre info sulle loro
collaborazioni e foto varie
Il disco fu accolto moto bene dalla critica; altra curiosità la presenza in n brano di David Bowie al sax.
Un disco da avere ed ascoltare!
Di tutto un Pop…
Wazza
Ian
Anderson & Steeleye Span nel dicembre del 1973
http://itullians.blogspot.com/2020/12/ian-anderson-steeleye-span-nel-dicembre.html
domenica 17 marzo 2024
I Colosseum nel marzo del 1971
Nel marzo 1971 i Colosseum registrarono i due concerti realizzati a Brighton e Manchester City University.
Queste registrazioni vennero
pubblicate nel mastodontico doppio lp “Colosseun Live” (prodotto
da Jon Hiseman), uno di quei dischi che non poteva mancare nella discografia
casalinga.
Un disco avanti per l’epoca, composto
da lunghe improvvisazioni, un micidiale mix di jazz-rock-blues molto
innovativo.
Nonostante questo e relativo tour, la band nell’autunno del 1971 si sciolse!
Di tutto un Pop
Wazza
sabato 16 marzo 2024
Antonio Clemente: “Casavacanze”: commento di Alberto Sgarlato
Antonio
Clemente: “Casavacanze”
di
Alberto Sgarlato
“Antonio Clemente è un pittore.
(...) Quando posa il pennello e imbraccia la chitarra dipinge sensazioni,
emozioni, ricordi”, scrivevo nel 2012 recensendo “Infinito”, opera di debutto del
cantautore Antonio Clemente.
“(…) Un album per il quale non è
eccessivo l’aggettivo “memorabile”. Una delle perle più preziose nel ricco
panorama dell’attuale cantautorato italiano”, erano
invece le parole che usavo, qui su MAT2020, per concludere la mia recensione
del suo terzo album “Canzoni nel cassetto”, del 2016.
Insomma: questa premessa è già
sufficiente per far capire quanto io stimi e apprezzi questo artista, che seguo
con attenzione dai suoi esordi.
Sarebbe interessante iniziare con
una esegesi dei titoli: se “Infinito” (primo album), “Davvero” (secondo album)
e “I confini del giorno” (quarto album) esprimevano, in modi diversi, un
concetto di assoluta vastità legata allo spazio, alla verità, al tempo, questo
nuovo “Casavacanze”, capovolge nettamente la situazione e
sembra presentarci un artista maturo, saggio, che in qualche modo ha fatto pace
con se stesso e ha saputo racchiudere quella vastità di cui sopra nelle stanze
della propria quotidianità.
“Sembra”, appunto. Perché in
realtà Clemente è artista inquieto, privo di pace interiore. Lui stesso, nel
presentare questo suo quinto album, dice che: “Rappresenta quel ‘senso di
inadeguatezza’ che spesso mi ha fatto sentire accolto ‘come a casa’ in luoghi a
me estranei e turista o, peggio, straniero in luoghi che invece da sempre sono
‘casa mia’”.
Un’opera curata in ogni dettaglio, a
cominciare dallo schieramento di ben 16 strumentisti ospiti tra chitarre,
tastiere, archi, fiati, strumenti etnici e percussioni.
Una introduzione di meno di 50 secondi offre
la sensazione di entrare “fisicamente” nella “Casavacanze”. E si capisce
subito, dal breve testo, di quanto questa “Casavacanze” sia in realtà un luogo
dell’anima, fatto di malinconia, ricordi, suggestioni, colori e profumi.
“Ode al sole” ti culla come una danza attorno
al fuoco sulla riva del mare, con il suo incedere sensuale. “La mia casa”,
secondo singolo del disco, con il suo delizioso arrangiamento per pianoforte ed
archi, è uno degli episodi più struggenti dell’opera e ci pone al cospetto di
quello stile che ormai è diventato la cifra autoriale, immediatamente
riconoscibile, di Clemente.
“Come il vento” profuma di Spaghetti-western,
ovviamente declinato sempre secondo l’inconfondibile stile-Clemente. “Corro e
me ne infischio di un sistema subdolo”, sono versi che rivelano l’indole
ribelle di questo cantautore da sempre libero e indipendente, capace di
mescolare, come lui stesso canta, “l’umiltà e l’orgoglio”.
C’è invece qualcosa di “gucciniano” nel sax
suadente di “Parlami di te”, brano tra i più romantici del disco, tra Nino
Buonocore e Fabio Concato (volendo proprio trovare delle coordinate di massima,
in quanto Clemente, come già detto, ha una sua cifra unica).
Paolo Conte, invece, è il paragone che
potremmo cercare nel pianoforte “saltellante” di “Aprile”. La primavera rende
la gente “più sincera”, l’inverno sembra sempre troppo lungo; ma anche quando
le giornate si illuminano e si allungano, con la voglia di uscire e di
aspettare l’estate, c’è sempre in fondo in fondo quella vena profondamente
malinconica che attraversa tutte le canzoni di questo artista.
“Ciau Mà”, struggente ricordo di una madre
che non c’è più, ma ritrovata nelle strade, nel mare, nei luoghi e nei paesaggi
della sua Sicilia, è uno degli episodi più commoventi dell’intero album,
persino quando, dopo una delicata introduzione affidata a pianoforte e
fisarmonica, fanno il loro ingresso le percussioni. La cadenza si fa più
ritmata ma, anche in questo caso, l’amarezza di fondo è tangibile.
Il tema dell’avvicendarsi delle stagioni,
della vita che cambia intorno a noi, è ricorrente nelle canzoni di Clemente. E
“Notte di giugno”, da questo punto di vista è emblematica. Ricordiamo che
Clemente, oltre che cantautore, è pittore e poeta. Ed è proprio in canzoni come
questa che il Clemente pittore descrive al meglio i paesaggi estivi ed incontra
il Clemente poeta, quello che invece racconta i “paesaggi dell’anima”. Come
nella precedente “Aprile”, la vita rifiorisce, la passione arde, ma è sempre una
diffusa amarezza di fondo a farla da padrona.
“Estasi” gioca con le parole, con le
allitterazioni tra estasi ed estate, tema ricorrente in questa “Casavacanze”,
album un po’ concept e un po’ no. Sublime, anche stavolta, l’uso di un sax che
infonde ulteriore sensualità a un brano che di fascino ne trasuda tanto. Ma la
passione che fa ardere quei corpi in riva al mare sembra sempre un qualcosa di
difficile da afferrare, un “amore crudo” (come recita il testo) per un autore
che, preda delle sue inquietudini, non si sazia mai.
“Pdm” è zingaresca, spumeggiante, sfacciata.
Una dedica senza mezzi termini e senza sottili metafore a qualcuno che non solo
ha palesemente tradito Clemente, ma deve avergli fatto molto male. E in questo
brano l’autore urla la sua vendetta senza tenersi nulla sullo stomaco!
Ma in una splendida “Casavacanze” tra la
campagna e il mare, che cosa si può osservare dalla finestra? Ce lo racconta
proprio il brano “La finestra”, una storia d’amore vissuta osservando una donna
misteriosa tra cortili, finestre e paesaggi siculi fatti di fichi e gelsi. Il
tutto, ça va sans dire, in un’atmosfera che trasuda sensualità. E, a quanto
pare, sensualità e malinconia sono proprio i binari paralleli che,
accompagnandoci tra le varie canzoni, ci guidano in queste vicende di estati
inquiete.
“Summertime” cita solo per brevi tratti, per
pochi secondi, una strofa qui, una melodia là, quella che forse è la “canzone
estiva” per eccellenza, di Gershwin (ma non manca una ammiccante citazione,
anche qui effimera, alla “Summer on a solitary beach” di Battiato). Traccia
elegante, raffinata, patinata, che con il suo “mood” jazzistico mostra una
volta di più quante frecce ha Clemente al suo arco, ma che contribuisce a
portare avanti il tema portante della “Casavacanze”, fatto di sogni, ricordi,
amore e malinconia.
“Lu terremotu”, anch’essa in siciliano, come
la già citata “Ciau Mà”, è stata il singolo di lancio di questo album. Ed è un
brano profondamente diverso dal resto del disco. Qui l’estate sparisce, la
voglia di amore sulla spiaggia è dimenticata, qui ci spostiamo nel gelo
dell’inverno, di quel gennaio 1968 che vedeva la valle del Belice in ginocchio
per il sisma.
“Via della Pace” è un valzer, come si
conviene è in tempo di ¾, ma è soprattutto, come recita il testo, un
grandissimo girotondo pacifista. E tutti noi sappiamo quanto c’è bisogno, in
questo cupo periodo storico, di canzoni come questa.
“Abbracciami (e sogna)” è una rock ballad
impreziosita da un suggestivo lavoro di archi dal sapore quasi beatlesiano,
ennesima testimonianza del talento di un autore eclettico e mai uguale a sé
stesso.
Clemente si congeda con “Resto un po’ qui”,
traccia che rappresenta un po’ la summa di questo “viaggio” fatto di sole,
mare, cielo, nuotate ma anche quel senso di struggimento, malinconia che ci ha
accompagnati fin dall’inizio. E alla fine, con il trucchetto della “ghost
track”, un pianoforte che sembra suonare remoto, pieno di eco, a tratti forse
finanche un po’ scordato, si allontana da noi.
Antonio Clemente ha fatto nuovamente centro,
consegnando alla storia un altro disco intenso, commovente, maturo e profondo.
venerdì 15 marzo 2024
giovedì 14 marzo 2024
Compie gli anni Billy Sherwood... non solo YES!
Compie gli anni Billy Sherwood, nato a Las Vegas il 14 marzo 1965, bassista e chitarrista statunitense noto per essere membro dello storico gruppo progressive Yes.
Sherwood crebbe in una famiglia di musicisti: suo padre Bobby era un direttore di orchestra jazz, sua madre Phyllis una cantante e batterista, e suo fratello Michael pianista, tastierista e cantante.
La sua carriera musicale iniziò con la band chiamata Lodgic, fondata col fratello Michael a Las Vegas. Billy era bassista e cantante, Michael tastierista e cantante. Con loro suonavano anche Guy Allison (tastiere), Jimmy Haun (chitarra) e Gary Starns (batteria). Nel 1980 si trasferirono a Los Angeles, e nel 1986 riuscirono a pubblicare il loro album di debutto, “Nomadic Sands”.
Quando i Lodgic si sciolsero, Sherwood fondò un nuovo gruppo con Guy Allison, i World Trade, per il quale reclutarono anche il chitarrista Bruce Gowdy e il batterista Mark T. Williams. L'album di debutto omonimo fu pubblicato nel 1989, e di nuovo Sherwood ne fu anche tecnico del suono e del mixaggio e produttore, oltre che bassista e cantante.
In quel periodo, piuttosto casualmente, Sherwood e Gowdy furono invitati a suonare con Chris Squire, Alan White e Tony Kaye degli Yes. Il cantante Jon Anderson e il chitarrista Trevor Rabin erano in procinto di lasciare il gruppo, e per Sherwood e Gowdy si profilò l'opportunità di sostituirli. Sempre in quel periodo, Sherwood collaborò come produttore discografico nell'album “March or Die” dei Motörhead. Nel 1993-1994, durante il tour dell'album Talk, Sherwood tornò a suonare con gli Yes, questa volta come musicista aggiuntivo (alle chitarre e alle tastiere) per le esibizioni dal vivo.
Dopo “Keys to Ascension” e “Keys to Ascension 2”, nell'estate del 1996 Rick Wakeman abbandonò (per l'ennesima volta nella sua carriera) gli Yes. Questo evento portò Sherwood a diventare per la prima volta membro ufficiale del gruppo per la realizzazione dell'album “Open Your Eyes” (1997), che conteneva molti brani scritti da Sherwood e Squire negli anni precedenti per il "Chris Squire Experiment". In “Open Your Eyes” Sherwood era tastierista e secondo chitarrista (il ruolo di chitarra solista era in quel momento coperto da Steve Howe, che era tornato al suo posto dopo la parentesi degli Yes con Trevor Rabin). Nella primavera del 1997 per concludere le session dell'album e per il loro successivo tour promozionale, gli Yes acquisirono un nuovo tastierista, Igor Khoroshev, lasciando il posto a Sherwood alla chitarra e alle seconde voci.
Fu registrata qualche demo, ma il progetto, in questi termini, non fu mai realizzato; Anderson e Rabin, tra l'altro, non abbandonarono. Come Trevor Horn prima di lui, Sherwood non era molto attratto dalla prospettiva di sostituire Anderson come front-man del gruppo; tuttavia, Sherwood divenne buon amico di Squire, con cui diede vita a un progetto inizialmente chiamato Chris Squire Experiment, da cui sarebbe derivato, qualche anno dopo, il gruppo Conspiracy.
Durante il tour di “The Ladder” fu registrato e filmato un concerto, da cui furono tratti un doppio CD dal vivo e un DVD, entrambi col titolo “House of Yes”. Una settimana dopo al termine del tour del 2003 fu annunciato che Sherwood non era più negli Yes.
Già dai primi anni Novanta, Sherwood collaborò in maniera costante con John Wetton, nel 2011 prese parte come autore all'album “Raised in Captivity”, dopodiché il rapporto si interruppe.
Nell'estate del 2015 tornò di nuovo con gli Yes, stavolta come bassista, rimpiazzando il fondatore del gruppo Chris Squire che era appena deceduto, diventando anche autore di alcuni brani della band.
A partire dal 2017 entra negli Asia come membro ufficiale, dove sostituisce il suo amico John Wetton.
Nel 2020 Sherwood decide di porre fine al gruppo Conspiracy, del quale era diventato leader; alcuni mesi dopo annuncia la nascita di un nuovo supergruppo, gli Arc of Life.
mercoledì 13 marzo 2024
New Trolls nel marzo 1971
I primi mesi del 1971 furono un
momento di grande svolta per i New Trolls.
Dopo la partecipazione al festival di
Sanremo in coppia con Sergio Endrigo con la canzone “Una storia”,
la band a marzo entra in studio di registrazione per incidere quello che sarà
il loro capolavoro, “Concerto Grosso”, con le musiche di Luis
Bacalov utilizzate per la colonna sonora del film “La vittima designata”.
L’album fu un successone, vendette
circa un milione di copie e catapultò la band tra i nomi più grandi del
progressive rock.
Tra i protagonisti del Festival Pop di Viareggio e premiati al Cantagiro nello stesso anno. Ma non mancarono brutti episodi, come il furto degli strumenti musicali (molto di moda all’epoca!).
Di tutto un Pop…
Wazza
“La Vittima Designata” del
1971, Tomas Milian e Pierre Clementi in un film di Maurizio Lucidi, colonna
sonora “Concerto Grosso” per i New Trolls, composta da Louis Enriquez
Bacalov e ideata concettualmente da Sergio Bardotti.
La band compare a Venezia, un breve
secondo, dei giovani Hippy che suonano per terra accanto a delle ragazze. Il
brano Shadow è però cantato da Tomas Milian e la OST è solo la base
orchestrale, priva degli interventi della band genovese. Successivamente uscirà
il famoso LP ma sarà altra cosa rispetto al film.