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sabato 30 novembre 2013

JAMBURROCK: DAGLI ANNI ’50 AD OGGI


JAMBURROCK: DAGLI ANNI ’50 AD OGGI

FESTIVAL ROCK DALLE ORE 17,00 ALLE ORE 01,00
" 8 ORE DI MUSICA... E NON DI LAVORO" 


L’Associazione Culturale Jamburrasca presenta un nuovo incredibile evento, la Jamburrock che si terrà il 15 Dicembre al " Factory” di via Correlli,  a Milano:


A partire dalle ore 17.00, e sino alle 24.00, si alterneranno molte band,  con la partecipazione di un’ottantina di musicisti che suoneranno con il “sistema” JamBurrasca, caratterizzato da una lunga non stop sonora.
Il tema naturalmente sarà il Rock, a partire dagli anni '50 sino ai giorni nostri, attraversando tutte le sue espressioni hard, prog, rock'n roll, metal, rockbilly, etc. 
A seguire il dettaglio dei protagonisti.
L’incasso sarà devoluto, come sempre, in beneficenza, in favore delle fasce più deboli.

Il prezzo di ingresso sarà di 10,00 euro .



FORMAZIONI JAMBURROCK 

1)PINO SCOTTO   ( Franco Malgioglio-Jacopo Santini-Gianluca Tagliavini-Pino Montalbano-Roberto Cairo) 
2)OSVALDO DI DIO (Guido Block-Roberto Fabiani) 
3)DANIELE SARI(Giuseppe Cassarà-Renato Ruzza-Luca Paganoni-Francesco bellinzoni) 
4)FABRIZIO MALGIOGLIO- GIORGIO BELLIA -FRANCO MALGIOGLIO-GIORGIO DARMANIN-PINO MONTALBANO 
5)SIMON LUCA-VANNI COMOTTI-PINO MONTALBANO-GIGI COLOMBO -GILBERTO ZIGLIOLI-FRANCO MALGIOGLIO-GIORGIO DARMANIN 
6)STH(Joshua Tancredi-Tiziano Favata-Danilo Carnevali-Alessandro Cecconi-Ivan Padul) 
7)VANNI -COMOTTI-VALERIO VERONESE-GIANNI MINUTI-MIMMO SECCIA 
8)GARIBALDY 
9)OSAGE (Cucciolo-Bob Callero-Mattia Tedesco) 
10)ROBERTO TIRANTI-ALEX DEL VECCHIO-MATT FILIPPINI-GIORGIO BELLIA 
11)PURPLE SNACKE(Angelo Bari- Peppe Megna- Fabrizio Malgioglio- Mario Belluscio) 
12)GIORGIO FICO PIAZZA-BERNARDO LANZETTI-GIUSEPPE PERNA-SAVERIO CACCOPARDI -ANDREA BRAMBINI-PINO FAVALORO 
13)FRANCESCO PATELLA- 
14)ANN HARPER-GIGI COLOMBO-VANNI COMOTTI-GIORGIO FICO PIAZZA-GIUSEPPE PERNA 
16)RICKY PORTERA EXTRA BAND-VANNI COMOTTI-ANDREA ANZALDI 
17)ARENA 
18)ODESSA 
19)GIANNI DALL'AGLIO-PINO MONTALBANO-DAVE CICLOPE-GILBERTO ZIGLIOLI-TONINO CRIPEZZI 
20)NICCOLO' DE SANTIS-ANDREA DE SANTIS 
21)VALENTINA DONINI-MARTA MARASCO-ALICE PIOMBINO 
22)PEPPE MEGNA-FRANCO MALGIOGLIO-FABRIZIO MALGIOGLIO 
23) FABRIZIO MALGIOGLIO-EMILIO BIANCHI  -GIGI RAGUSEO -FRANCO MALGIOGLIO 
24)LEANDRO BARTORELLI-(Denis Chimenti-Luca Fuligni-Daniele Catalucci) 
25) I CAMALEONTI 
26) DELIRIUM 


MUSICISTI

BATTERISTI
GIORGIO BELLIA 
LEANDRO BARTORELLI 
SERGIO PESCARA 
CUCCIOLO 
VANNI COMOTTI 
GIANNI DALL'AGLIO 
PEPPE MEGNA 
JACOPO SANTINI 
GIUSEPPE CASSARA'(SARI) 
MAURIZIO CASSINELLI (Garybaldi) 
JOSHUA TANCREDI -STH 
ROBERTO FABIANI 
SAVERIO CACCOPARDI 
ALFREDO VANDRESI (DELIRIUM) 
TOTALE 14

BASSISTI
FRANCO MALGIOGLIO 
BOB CALLERO 
RENATO RUZZA(SARI) 
LIVIO MACCHIA 
ANGELO TRAVERSO (Garybaldi) 
ALESSANDRO PAOLINI(Garybaldi) 
DANILO CARNEVALI -STH 
IVAN PADUL-STH 
DANIELE CATALUCCI 
GUIDO BLOCK 
GIORGIO FICO PIAZZA 
ANDREA ANZALDI 
FABIO CHIGHINI(DELIRIUM) 
MARIO BELLUSCIO 
TOTALE 14 

CHITARRISTI
PINO MONTALBANO 
ROBERTO CAIRO 
GIGI COLOMBO 
GILBERTO ZIGLIOLI 
LUCA COLOMBO 
VALERIO VERONESE 
RICKY PORTERA 
OSVALDO DI DIO 
MATTIA TEDESCO (OSAGE) 
LUCA PAGANONI (SARI) 
DAVIDE FACCIOLI (Garybaldi) 
ALESSANDRO CECCONI-STH 
IVAN PADUL -STH 
DENIS CHIMENTI 
ROBERTO CAIRO 
ROBERTO SOLINAS(DELIRIUM) 
TOTALE 16 

TASTIERISTI
GIORGIO DARMANIN 
FRANCESCO BELLINZONI(SARI) 
GIUSEPPE PERNA 
TONINO CRIPEZZI 
GIANNI MINUTI 
EMILIO BIANCHI 
MARCO JOHN MORRA(Garybaldi) 
TONINO CRIPEZZI 
GIANLUCA TAGLIAVINI 
ETTORE VIGO(TASTIERISTA) 
TOTALE 10 

CANTANTI
TIZIANO FAVATA 
ANN HARPER 
PINO SCOTTO 
ROBERTO TIRANTI 
DANIELE SARI 
SIMON LUCA 
FABRIZIO MALGIOGLIO 
VALENTINA DONINI 
MARTA MARASCO 
ALICE PIOMBINO 
NICCOLO' DE SANTIS 
ANDREA DE SANTIS 
DAVE CICLOPE 
MIMMO SECCIA 
BERNARDO LANZETTI 
PINO FAVALORO 
LUCA PERONI 
FRANCESCO PATELLA 
LUCA FULIGNI 
TOTALE 19 

PERCUSSIONI 
GIORGIO PALOMBINO 
LUCIANO PIGA 
TOTALE 2 

FLAUTO-SAX 
MARTIN GRICE 

TOTALI 77
 

mercoledì 27 novembre 2013

Meglio soli che mal accompagnati? E’ vero anche nella musica? Il pensiero di Paolo Siani


Meglio soli che mal accompagnati? E’ vero anche nella musica?


Oggi coloro i quali sentono la necessità di scrivere musica propria o anche solo registrare un brano appena imparato cercano una Library di suoni preconfezionati e registrati perfettamente da qualcuno in qualche parte del mondo. Addirittura uno studio californiano offre la possibilità per pochi dollari di far cantare un tuo brano da un ventaglio di cantanti scelti da un menu e accompagnato da una base suonata da professionisti. Certo per chi inizia è una bella soddisfazione sentire riprodotto un proprio brano da professionisti al prezzo che qui non sarebbe sufficiente neanche per pagare uno studio! Dicevo delle librerie o delle tastiere con almeno 1.000 splendidi suoni ‘inside’- cori, orchestre, tastiere vintage, suoni vintage, folk, jazz e chi più ne ha più ne metta…vuoi una chitarra Fender del ’72 amplificato da un Vox AC 30? No problem…un paio di click e ce l’hai bello e pronto. Inutile negare le enormi possibilità che si sono aperte in questi ultimi anni a livello creativo e di arrangiamento..oggi un musicista ha a disposizione un mondo sonoro totale e facilmente utilizzabile. La mia convinzione però è diversa; forse sono un inguaribile romantico ma credo che la collaborazione fra musicisti sia ancora fondamentale per la creazione di buona musica; la personalità ed il gusto di ogni musicista non si può racchiudere in una Library per quanto professionalmente compilata. Lo scambio di idee, anche totalmente spiazzanti  rispetto al disegno che avevamo in mente originariamente su un nostro brano, non può che arricchire il risultato finale oltre all’accrescimento della propria esperienza personale. Si può dire che oggi la musica è completamente individualista e priva di quegli elementi di invenzione che solo la musica ‘di gruppo’ può offrire. La scelta dei suoni, il tipo di esecuzione la spontaneità rimangono valori inespressi se a livello creativo e di arrangiamento la musica nasce da una testa sola. Si può obiettare naturalmente che è vero il contrario e cioè che finalmente un musicista può esprimersi completamente e senza i condizionamenti quasi sempre inevitabili quando si ha a che fare con ‘altri’ ma non credo che, facendo un esempio blasfemo, Giuseppe Verdi avrebbe potuto esprimere tutta la sua grandezza senza l’aiuto di un maestro orchestratore che sviluppasse i suoi meravigliosi temi o che, per fare un esempio più facile, parleremmo ancora oggi dei Fab Four se la loro musica non fosse stata frutto della somma delle genialità di ognuno di loro anche se profondamente contrastanti. Forse queste righe possono apparire banali ma vedo che ultimamente i musicisti hanno la tendenza a fare tutto da soli nella convinzione imbarazzante e inconfessabile che questa sia la cosa migliore per scrivere un brano, evitando il confronto con altri musicisti che potrebbe invece essere la panacea per far spiccare il volo alle nostre idee. Insomma voglio affermare e ribadire la differenza tra una bella partita a carte con gli amici e un solitario! Chi ha buone orecchie…..

martedì 26 novembre 2013

Franco Battiato al Carlo Felice-Progetto DIWAN




"DIWAN è un progetto nato dalla collaborazione con il Parco della Musica di Roma, curato da Oscar Pizzo, che riunisce alcuni musicisti del Mediterraneo. Il repertorio è l’espressione dell’incontro tra due culture, apparentemente differenti".
(Tratto dal booklet di presentazione della serata)


Sabato 23 novembre Franco Battiato si ripresenta a Genova, a distanza di nove mesi, ma ciò che va in scena al Teatro Carlo Felice in questa occasione è un progetto diverso dal precedente: DIWAN - L’essenza del reale - nasce dalla collaborazione con il Parco della Musica di Roma, in occasione dell’anniversario dei 150 anni dell’unità ed è curato da Oscar Pizzo.
DIWAN è un termine arabo che ha il significato di “registro”, ovvero una raccolta di componimenti che sono sopravvissuti all’autore. L’obiettivo è quello di ricordare una cultura dimenticata, fiorita per tre secoli attorno all’anno mille in Sicilia attraverso una scuola poetica araba, ancora viva  e tramandata attraverso importanti manoscritti.
Per l’occasione Battiato raccoglie musicisti di eccezione dalla differente etnia, e presenta uno spettacolo che supera il concetto di concerto, un contenitore fatto di canzoni scritte appositamente per l’occasione, brani tradizionali e rivisitazioni di vecchie canzoni.
Il pubblico accorso numeroso ha accolto con calore la performance, anche se la dimensione culturale ha indotto una certa compostezza e rispetto del copione. Ma si fa fatica a trattenere l’indole ed è sufficiente vedere Battiato intraprendere un nuovo brano in pedi, lontano dallo scomodo - per sua stessa ammissione - sedile, per capire che qualcosa cambia, che ci si avvicina al repertorio conosciuto, e quando il momento arriva sparisce la compostezza di chi è rimasto ancorato alla poltrona, e si balla a ridosso del palco, ai piedi di Battiato.
Nel filmato a seguire si evidenziano questi momenti finali, mentre per avere un’idea del “nuovo”, è necessario ricorrere a un video di repertorio a fine post.


In un periodo in cui si fa estrema fatica a riempire i luoghi dedicati alla musica dal vivo, il colpo d’occhio del Carlo Felice solleva il morale, soprattutto al pensiero della tipologia di proposta, sulla carta molto elitaria, perché sconosciuta ai più, ma se in tempi di estrema crisi si aprono possibilità per evidenziare - e accettare -  il nuovo, un briciolo di speranza rimane viva… certo è che il brand “Battiato” attira e non delude mai.

I compagni id viaggio di Franco Battiato sono stati:
Etta Scollo (voce), Nabil Salameh (voce), Sakina Al Azami (voce), Carlo Guaitoli (piano e tastiere), Gianluca Ruggeri (percussioni), Jamal Ouassini (violino) Ramzi Aburedwan (bouzuq e viola) e Alfred Hajjar (nay).

Prossime date

l’8 dicembre ad Ancona, Teatro delle Muse
 il 9 dicembre a Milano, Barclays Teatro Nazionale
 il 10 dicembre a Torino, Teatro Regio




Riprese di una vecchia registrazione

lunedì 25 novembre 2013

The Waterboys a Roma, immagini e racconto di Stefano Pietrucci


Stefano Pietrucci ci racconta, con parole e immagini, il “suo” concerto dei Waterboys, tenutosi a Roma, all’Auditorium Conciliazione, giovedì 21 novembreE’ una visione parziale, come vedremo, ma il “mestiere” di fotografo toglie e da, ma alla fine, tra tante peripezie, l’immagine dei Waterboys sul palco emerge molto nitida.

Il vecchio ma ancor bello Auditorium Conciliazione, il cui palco è stato calpestato da mostri sacri della cultura musicale 'rock - The Who, James Taylor e molti altri - ha  ospitato i ''ragazzi acquatici” in una serata perfetta per il loro nome, viste le condizioni meteorologiche.
Atmosfera immediatamente calda, anche senza un pubblico estremamente  numeroso - il 50% dei posti risulterà libero. Eco di musiche in sottofondo, e nell'attesa mi sono sforzato di capire quale giro armonico si stesse creando, cosa fosse quella “nenia” stile anni ‘70... intonava un RE, un DO, un LA e un altro RE, il tutto maggiore: non era sicuramente musica d'ambiente, ma era un ritornello ossessivo e ripetitivo, alla DOORS  nel brano “THE END”. Alcune luci fisse aumentavano ancor di più il “già troppo rosso” Auditorium, ed io  speravo che l’illuminazione cambiasse rapidamente e cosi' è successo: un attimo di buio e Mike Scott fa il suo ingresso armato di chitarra acustica Taylor, 12 corde, un suono d'altri tempi, ancora piacevolissimo... non ricordo il nome del brano;  mano a  mano che la musica procedeva si è affiancato il violinista, un tipo alla Jan Luc Ponti, e ne è nata una sorta di ballata, ma ho subito pensato che mancasse un contrappunto di contrabbasso, e fatalità è arrivato in quel momento! Molti e scroscianti gli applausi, veramente una bella esecuzione! Per il secondo pezzo erano presenti tutti i componenti. Nel corso del terzo brano scatto l’ultima foto e poi, stranamente, decido di sentirmeli perché volevo godermi il suono in toto; purtroppo, altrettanto stranamente, i gestori hanno indicato la via d'uscita a noi fotografi, e quindi mestamente e un po’ incavolato me ne sono dovuto andare!
Nota doverosa… ho rivisto finalmente sul palco lo storico HAMMOND con tanto di mobilone e valvole (Leslie), non lo vedevo da troppo tempo e… sono rimasto soddisfatto.
Ttutto qui… un abbraccio ai lettori di MAT2020.




THE WATERBOYS
present
"Fisherman's Blues Rivisited"

I Waterboys si formano su iniziativa del loro leader (e spesso one-man-band) Mike Scott. Nato in Scozia, ma trasferitosi a Londra, Scott fonda il gruppo nel 1981, dopo trascorsi punk. Il nome è preso a prestito da una canzone di Lou Reed. Con l’apporto del multistrumentista Anthony Thistlethwaite, il gruppo pubblica il disco d’esordio omonimo nel 1983.Il picco della prima fase viene raggiunto con i il terzo disco THIS IS THE SEA, trainato dal singolo "The whole of the moon". Dopo l’uscita dal gruppo di Karl Wallinger, che andrà a formare i World Party, i Waterboys si trasferiscono in Irlanda, dove attuano una svolta verso il folk-rock celtico. FISHERMAN’S BLUES (1988) è il capolavoro del genere, seguito dal pregevole ROOM TO ROAM. L’irrequieto Scott cambia ancora, e nel 1991 si trasferisce a New York, dove concepisce DREAM HARDER, poi pubblicato nel 1993. Sembra l’ultima prova dei Waterboys. Invece, dopo le prove soliste di Mike Scott, l’autore nel 2000 si riappropria del vecchio nome e pubblica A ROCK IN THE WEARY LAND. Nel 2001 mette mano ai nastri delle sessioni infinite di FISHERMAN’S BLUES, ripescando le canzoni scartate o incomplete, che vengono terminate. Viene così pubblicato TOO CLOSE TO HEAVEN, che spiega la genesi di FISHERMAN’S BLUES. Segue un nuovo disco di studio,l'acustico,UNIVERSAL HALL, e un progetto di ripubblicazione dei primi dischi, con molti inediti. Nel 2007, dopo un disco dal vivo, arriva BOOK OF LIGHTNING, che vede il gruppo destreggiarsi tra il rock epico degli esordi, e il folk rock che li ha resi un gruppo di culto. Negli anni a venire, Scott continua a pubblicare soprattutto ristampe che pescano nel vasto repertorio di outtakes e inediti della prima parte della storia del gruppo: tra questi, nel 2001 arriva IN A SPECIAL PLACE, disco di provini per piano e voce per quello che sarebbe diventato THIS IS THE SEA.




venerdì 22 novembre 2013

Il Live oggi – cosa abbiamo guadagnato e cosa abbiamo perso rispetto agli anni settanta.


Paolo Siani ci regala un altra puntata e un suo pensiero che sicuramente alimenterà qualche sana discussione...

Mi capita spesso, come a tutti voi, di andare a concerti di vario genere; pop, rock, prog, jazz ecc. Forse è una questione di età (la mia), ma ogni volta, alla fine di ogni concerto, mi chiedo, al di là della performance cui ho appena assistito, cosa mi è mancato. Negli anni pioneristici in cui nacquero i primi ‘’concerti’’ dei gruppi, sdoganati finalmente dalle sale da ballo impersonali, nelle quali i musicisti erano poco più di tappezzeria, la cosa che allora era fondamentale era la personalità dei personaggi che si agitavano sul palco; a parte gli estremismi fiammeggianti Hendrixiani e le distruzioni globali di Pete Townshend e soci, ogni band, anche agli esordi, esprimeva un grandissima energia, non solo attraverso la propria musica, ma anche con idee sceniche e movimenti sincronizzati che ne esaltavano la personalità. Abiti o meglio look ‘improbabili’ (come si direbbe oggi) completavano il quadro in una sorta di happening ogni volta rinnovato. Il suono il più delle volte era straziante nel senso che i mezzi tecnici non erano sicuramente al passo con i tempi e la distorsione degli ampli e di quelli che allora si chiamavano ‘’impianti voce’’, gestiti dal palco direttamente dai musicisti, erano nell’ordine del 40/50% del boato prodotto globalmente; i colori degli abiti e i movimenti scenici di cui sopra non permettevano al pubblico di distrarsi che era quindi coinvolto dalla musica in maniera totale; non c’erano quasi mai fari o effetti luminosi che implementassero la performance, ma nessuno ne sentiva la mancanza. I chitarristi avevano al massimo a disposizione un paio di pedali gracchianti (distorsore e wha), amplificati da mobili pesantissimi ad 8 ohm, con potenze sul palco dichiarate dai costruttori dai 100 ai 200w musicali (!); le chitarre acustiche non si riuscivano in nessun modo ad amplificare con un microfono, perché immancabilmente innescavano un larsen insostenibile e le ovation  e simili non esistevano - i bassisti facevano i conti con altoparlanti enormi probabilmente di piombo (visto il peso) che ogni due per tre si rompevano, gli ‘organisti’ viaggiavano con i suonini sibilanti dei Farfisa o dei Vox Continental con un ‘’leslie’’ di marca sconosciuta, i batteristi avevano un hardware traballante senza amplificazione, ma soprattutto non esistevano i monitors sul palco per cui il più delle volte non si riusciva a sentire cosa usciva dalla propria bocca perché  si era coperti dal volume di fuoco sul palco.
Oggi la situazione si è ribaltata, la tecnologia è formidabile, la fedeltà dei suoni simile, se non migliore, di quella che si ascolta dal proprio impianto casalingo, le luci le hanno anche i debuttanti, visto che si avvalgono di services che offrono per poco tutto quello che serve e anche di più. Basi registrate, sincronizzate dal vivo da batteristi trasformati ormai in metronomi umani, si mischiano al suono della band  con un risultato sonoro straordinario, tastiere che riproducono suoni solidi e puliti, ampli combo piccoli leggeri ma efficacissimi, per i chitarristi pedaliere infinite, drummers con tamburi perfettamente intonati e con un suono profondo, monitors mixer da palco, FOH, arrays e chi più ne ha più ne metta. Manca tutto il resto però… dai 45/60 minuti di un concerto degli anni ’70 siamo arrivati alle due/tre ore di durata, l’impianto scenico è affidato interamente al light designer attraverso fari a testa rotante (led) con fasci coloratissimi e precisi come una lama di rasoio, proiettori, laser, maxischermi e quant’altro che illuminano i musicisti; nel 98% dei casi però  questi sono statuine di cera; esecutori perfetti e intonati del repertorio, ma (secondo la mia opinione) senza verve, senza invenzione… un brano dopo l’altro fino ad arrivare a quello  in cui si incita il pubblico ad alzare le mani, oppure ‘’say yeah’’ ‘’, say oh oh oh’’, o ancora far cantare il pubblico nei ritornelli più conosciuti: c’è un appiattimento, un conformismo imbarazzante. Certo le orecchie escono meno sanguinanti rispetto ai tempi passati, ma forse anche il cuore, l’anima rimangono privi di emozioni forti, indimenticabili. Spero davvero che le nuove generazioni si accorgano che la perfezione del suono e dell’esecuzione sono solo una piccola parte di ciò che serve per costruire un ‘’live’’, Auguri! 

giovedì 21 novembre 2013

Marcello Capra racconta: Bob Bonastre


MAT 2020 ha chiesto a Marcello Capra di parlare del suo strumento, la chitarra, raccontando aspetti che hanno a che fare -  anche -  con la tecnica pura, e quindi non accessibili a tutti. Tra virtuosismo, talento e”scuola” c’è sempre di mezzo l’anima, ed è proprio questa che Marcello cercherà di evidenziare, tra un’accordatura aperta e un fingerpcking. E speriamo che sia questa la prima di numerose puntate.

Raccolgo il tuo invito a descrivere con le mie parole musicisti che apprezzo, in special modo quelli che suonano il mio strumento, nel presente o nel passato, quando si parla di arte musicale, il tempo non esiste…
Parlero’ questa sera di Bob Bonastre: grandi  le emozioni che ho provato nell’ascoltarlo in una convention ADGPA  a Conegliano Veneto nel 2011.
Già nel corso del sondcheck mi sono accorto che era un artista fuori dagli schemi convenzionali, una chitarra classica a spalla mancante, un plettro infilato nel pollice destro, capotasto mobile molto utilizzato, tocco morbido con colpi di plettro intensi a sottolineare cambi ritmici, sinistra con uso frequente di barre’ piccoli e grandi,  volto
ispirato dal suo mondo interiore, una voce strumento con una estensione notevole, fino al falsetto incisivo e potente. Nel finale della serata abbiamo suonato, insieme a lui e ad altri partecipanti, Creuza de Ma, abbozzata nel pomeriggio; nel suo set serale, Bob ha suonato anche insieme ad Alberto Grollo, amabile “padrone di casa” essendo residente a Conegliano,  direttore artistico insieme a Marino Vignali della Convention, dove sono ospite ogni tanto dal 1999. Non ricordo i pezzi, ma ricordo benissimo che Bonastre ha cantato un brano dei Led Zeppelin,  trasformandolo con vocalizzi eccezionali, creando un’atmosfera struggente, che ha commosso tanti, oltre il sottoscritto.
La sua musica e’ una alchimia di contaminazioni world, si sente una radice africana specie nell’uso della voce, ma anche tanto Mediterraneo, malinconia, calore, rapimento e dolcezza… penso che quando un musicista riesce a creare una SUA rappresentazione, riesce a toccare corde profonde dell’Anima, riesce a creare un silenzio partecipativo, senz ammiccamenti, solo con l’energia dei suoi strumenti,  CHAPEAU!

mercoledì 20 novembre 2013

Albedo-Lezioni di anatomia, di Loretta Ramognino


Loretta Ramognino ci racconta come ha vissuto e interpretato l’ascolto di un nuovo album…

Con " Lezioni di anatomia"gli Albedo intraprendono una sorta di viaggio allegorico del sentimento all'interno di noi stessi. Una specie di intervista alle parti vitali di noi e alla loro capacità di comprendere e di sostenere il grande insieme dell'Io nella sua completezza e totalità. L'amore, il sogno, la passione, la crudezza della vita analizzati non dalla nostra ragione, ma dal nostro corpo, dalle nostre cellule che formano organi differenti che differentemente " sentono e percepiscono". Punti di vista diversi e diversa modalità di esperire. La vita nella sua totalità non come ragione, ma spostamento della prospettiva, indagine dell'intera nostra fisicità che palpita oltre il cerebrale. I nostri organi che di fronte alle esperienze rivendicano la loro importanza e sottolineano la loro vita nella vita. Il grido del cuore che provoca sussulto ed emozione al di là di noi e della nostra volontà. Il cuore che ammette i suoi errori, le sue debolezze , il suo non -ricordo che lo porta a sbagliare ancora , ma che ci sostiene e ci libera dalla tirannia della ragione e ci porta a volare. E' lui che invita a percorrere una strada d'amore, ad elevarsi, a seguire il suo ritmo che è musica. Note e parole che narrano e descrivono le nostre viscere più interne che ingoiano veleno quando invece sognavano poesia, che rivendicano il diritto alla loro fetta d'amore che l'unico, autentico nutrimento. Il nostro respiro e il nostro bisogno di riprendere fiato per poter rinascere e poter rivivere vite diverse. L'ossigeno che ci attraversa e che finalmente ci riempie di spirito ed energia. Il fegato visto come coraggio e capacità di sopportare il sacrificio per cio' che ci opprime , per cio' che ci addolora , per cio' che comporta fatica. La nostra resistenza agli urti della vita, alla frustrazione di una società non sempre consona al nostro spirito.
E la schiena e le gambe con il peso, a volte insopportabile , di una società che schiaccia, comprime, uccide.
Ma è grazie a loro che rimaniamo in piedi, eretti, fieri. E corriamo avanti.


BIOGRAFIA

Cemento e gelosia.
Albedo significa indipendenza stilistica. Creare se stessi in piena autonomia. Il loro primo disco “Il Male” è un concept album che sfascia l'imperante intellettualismo dell'indie rock nella forma e nella sostanza. Accolto come un piccolo miracolo dalla stampa, i quattro ragazzi di  Milano sono segnalati da Rumore, Shiver, Il Mucchio, Jam, Indiezone, Ghigliottina, Ondarock e tantissimi altre fanzines, blog ecc. Considerati una promessa per la loro attitudine sincera attaccata ad un rock tradizionale ma mai banale per le liriche sempre più che ispirate e cantate in italiano, la band pubblica agli inizi del 2012 “A Casa”. L’unico video estratto dal disco “A Casa”, “L’amore è un livido”, filmato da tre studenti dello Ied di Milano, viene caricato su Rolling Stone. Hanno girato mezza Italia e condiviso il palco con Giorgio Canali, Moltheni, Zen Circus, Brunori, Gionata Mirai, Sick Tamburo e tanti altri artisti. Nel 2012 partecipano alla prestigiosa edizione estiva del Miami Festival, insieme ai nomi più importanti della scena indipendente italiana. I dischi sono per scelta del gruppo scaricabili gratuitamente dal sito della loro etichetta livornese www.inconsapevolerecords.com.


CREDITS

Registrato in presa diretta e mixato da:
Adel Al Kassem al Massive Arts Studios di Milano e masterizzato da Alberto Cutolo
al Massive Arts Studios anche grazie a Fabrizio Grenghi.
Scritto, suonato ed arrangiato da:
Raniero Federico Neri – voce, chitarra, piano, sinth.
Gabriele Sainaghi – basso, voce, percussioni.
Luca Padalino – chitarra, lapsteel.
Ruggiero Murray – batteria, percussioni, programming.
Il brano “Stomaco” deve fare i conti con “A Day in the Life”.
Prodotto da:
V4V e Albedo in collaborazione con Inconsapevole Records
Illustrazioni a cura di
Erbalupina.
Stampa e serigrafia
Legno



lunedì 18 novembre 2013

Assolo di Gianni Leone



Una chicca.
Assolo di "INTRODUZIONE" (tratto da YS del Balletto di Bronzo).
Registrato dal vivo da Gianni Leone all'organo Hammond C3 al Centrale del Tennis.
Roma, luglio 2003.



venerdì 15 novembre 2013

Cumino-Just Melt, di Gianni Sapia


È un po’ come tornare a scuola. Mi ricordo la mia prima lezione di latino. Latino! A cosa serve, pensavo, non lo parlano nemmeno più in chiesa! Ma col tempo ho capito. Ho capito che quella lingua morta, morta non lo è affatto. Non l’ho mai imparato, lo ammetto, odio le versioni di latino, ma mi ha insegnato a costruire il senso di una frase, mi ha insegnato a ragionare sulle parole, sul loro significato, sulla loro natura. Mi ha insegnato a capire che ogni cosa può avere un senso, dipende solo dalla prospettiva con cui la si guarda. Mi ha insegnato che le sfumature sono importanti, che una semplice desinenza può cambiare l’intero significato di un pensiero. Mi ha insegnato a ragionare, per quanto possa il mio cervello. La sua vitalità non sta nel parlarlo, ma negli spazi che può aprire nella mente, nel correlare letteratura e formule matematiche, nell’interazione tra sentimento e tecnica. Come tornare a scuola quindi e più in particolare al liceo, dove tutto il nuovo che mi si presentava veniva da me etichettato come inutile, perché allora pensavo di saperne già più degli altri, pensavo di avere già capito tutto. Naturalmente non era così, la realtà era che non capivo e se non capivo allora era inutile e spalleggiato in questo da un indomabile pigrizia, non facevo il minimo sforzo per crescere, accontentandomi di leccare solo la parte esterna della vita, senza mai addentarne il ripieno. Come a scuola, così mi comportavo con la musica. Pop di nascita e rockettaro per innata evoluzione, consideravo il rimanente mondo musicale inutile, per il solito perché, perché non capivo. Solo il tempo, con la sua pazienza e a volte coi suoi schiaffi, è riuscito a farmi capire che non esiste un solo uno, ma tanti uno, che non esiste giusto o sbagliato, ma entrambi, né bello o brutto, ma diverso, in un mondo dove il mio cervello fugge sempre più velocemente dal moderno normale. Ed è così che arrivo ad ascoltare il nuovo EP dei Cumino, Just Melt, con la nuova curiosità che il tempo mi ha insegnato, spogliato dai pregiudizi della mia adolescenziale superbia. È qualcosa di diverso per me, quindi sarà bello. Play allora e stai pronto ad imparare. If This Turns Green apre il disco e inizia il percorso tra i sentieri di un bosco autunnale, dove l’unico rumore è quello della natura e delle foglie secche che scricchiolano sotto i piedi, dove i mille colori a cui l’estate lascia spazio mitragliano gli occhi di meraviglia e la musica avvolge tutto questo in un atmosfera inevitabilmente introspettiva. Ogni suono ha la dolcezza di un bel ricordo. Evocativa. Come un tuffo in quiete acque lacustri, ci si immerge quindi in Your Local Ocean. Il mondo ovattato della vita sotto il livello dell’acqua, il rallentamento delle funzioni vitali e la dolcezza dell’ossessività della chitarra hanno un effetto lisergico sulle sensazioni catturate dal cervello e magnifiche visioni diventano padrone del gioco. Atlantidea. Riflessioni sull’interiorità dell’uomo sembrano muovere le mani sul manico della chitarra in Everest, accompagnate da sapienti spruzzi d’elettronica, che ne fanno un brano aperto, pieno di possibilità. Immaginifico. We Just Melt chiude il disco e, come vuole il titolo, fonde inesorabilmente l’ascoltatore con la natura che lo circonda, fino a farlo diventare parte di essa. Conglobante. Il disco è finito, e il silenzio che ne consegue non fa altro che amplificarne la bellezza. Un disco pieno d’atmosfera, ambient music si potrebbe dire, o sperimentale, per quanto le definizioni tendano ad essere riduttive in musica. Certamente Just Melt è un disco pieno di natura, ricco di immagini evocative, colonna sonora del documentario, non a caso naturalistico, Fontanili di Rozzoni e Leoni. Un disco che Luca Vicenzi e Hellzapop, ovvero i Cumino, hanno realizzato mettendo in campo tutta la loro sensibilità artistica, che ne fa senza dubbio dei grandi evocatori d’immagini, di atmosfere. Just Melt è un esaltatore di emozioni e stati d’animo diversi, spezia dell’anima, dove, per citare Vicenzi in un’intervista rilasciata per il loro lavoro precedente Tomorrow in the battle think of me, ma che trovo calzante anche per questo, ci sono “meno note”, ma “più spazio tra gli strumenti, più spazio tra le armonie”. Un disco riflessivo che amalgama nuovamente l’uomo con la natura. Un disco insieme spirituale e mondano, a tratti epico. Un disco che, in latino, avrebbe potuto intitolarsi De Rerum Natura.


Tracks:

01. If This turns Green
02. Your Local Ocean
03. Everest

04. We Just Melt

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giovedì 14 novembre 2013

Tolo Marton al Club Il Giardino, di Daniele Raimondi


Daniele Raimondi racconta ai lettori di MAT2020 un concerto importante, quello che Tolo Marton ha tenuto al Club Il Giardino di Lugagnano.
Le fotografie sono di Renzo De Grandi.



Sul palco del “Giardino”

Sabato 9 novembre 2013, al Club il Giardino, di Lugagnano (VR), uno dei locali che con sacrificio ed entusiasmo portano ancora avanti la musica live, in apertura di serata la rock band veronese “BULLFROG", un ciclone sonoro e a seguire, dopo un’assenza di qualche anno, Tolo Marton e la sua Band.
Tolo si è costruito in un quarantennio un’immagine di artista di personalità e temperamento, un’anima rock con venature blues, capace di entrare in sala d’incisione anche in un’epoca in cui di “album” se ne vendono sempre meno.
Il chitarrista trevigiano dalla tecnica sopraffina, che ha collaborato con i grandi musicisti della scena rock, con il suo gruppo ha proposto alcune novità  e classici del suo repertorio, ha deliziato, il pubblico delle grandi occasioni, con alcune perle di monumentali artisti. Lo accompagnavano sul palco Walter Dal Farra al basso, Andrea De Marchi alla batteria e Simone Bistaffa alle tastiere, che lascia una decina di minuti per l’elettrizzante duetto di chitarre elettriche con Tolo.
Un acrobata della chitarra, dall’infinita fantasia sperimentale, sfida la legge della gravità musicale e riesce a far uscire, suoni e sonorità, dalla grammatica quasi al limite dell’impensabile, che gli permetteranno, nel 1998, di aggiudicarsi il prestigioso Jimi Hendrix Electric Guitar Festival consegnatogli dal padre dell’indimenticabile Jimi. L’ambito premio a conferma del talento, arricchisce la bacheca, e, come un’esplosione, gli permette di toccare le altre sfere musicali, illuminando di nuova luce la già rosea carriera.
Tolo ha fatto cantare, parlare, recitare e suonare la sua chitarra,  in un percorso di una ventina di brani dalle forti emozioni; la scaletta proposta attinge dall’intero repertorio, brani che vanno da Euih a I Don’t Wanna Be Alone, da Rock & Roll Hoochiee con uno strepitoso assolo basso-batteria a Easter Sunday, da  Moon Child al Morricone Medley, e non va dimenticato lo straordinario Hey Joe a ricordo di Jimi e gran finale di Sunshine.  
Due ore e trenta di musica come la intende lui, davanti ad un caldo pubblico che ha attribuito a Tolo e all’intera band, lunghi e convinti applausi.