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lunedì 30 settembre 2013

Glad Tree, il nuovo progetto di Marcello Capra


Marcello Capra presenta un suo nuovo impegno, basato su sue composizioni che si possono identificare come un ponte tra Oriente e Occidente.
Il progetto prende il nome di Glad Tree, un trio che ha già raggiunto un significativo affiatamento - non solo musicale - per effetto di interessi comuni all’insegna del dialogo tra differenti culture, con applicazione di estremo rigore nelle parti definite e largo spazio alla creatività nel corso delle improvvisazioni; importante la ricerca dell’effetto scenico che si miscela al suono delle tabla di Kamod Raj Palampuri, incrociato con i fraseggi armonico/melodici di  Marcello Capra e i temi ariosi creati dal flauto traverso di Lanfranco Costanza


Marcello, da dove  spunta il tuo amore per la cultura orientale?

Il mio interesse verso la vasta e articolata cultura indiana parte da tempi lontanissimi, da quando a 17 anni  frequentavo abbastanza assiduamente il centro italo-indiano a Torino; qualche anno dopo mia sorella fece un lungo viaggio nell’India del nord e al ritorno mi feci raccontare tutta la sua esperienza, ascoltando con grande interesse; più recentemente ho “assorbito” i libri di Tiziano Terzani che ha vissuto molti anni in Oriente e le sue descrizioni reali mi hanno fatto molto riflettere; ma mi hanno segnato anche l’ascolto molto concentrato di ragas e improvvisations del grandissimo Ravi Shankar e la lettura appassionata della sua biografia in “Raga Mala”, con introduzione di George Harrison e di Yehudi Menuhin, illuminante per comprendere da grandi musicisti dell’Occidente cosa c’e’ dietro  una civiltà che sopravvive da migliaia di anni, diventando sempre più raffinata ed evoluta, e nel caso della musica l’importanza cruciale dell’ordine e della tradizione. Sono diversi anni che con la mia chitarra acustica mi dedico a realizzare brani dove e’ forte l’influenza  dell’Oriente, in particolare l’India mi attrae per la sua spiritualità naturale, senza dogmi, senza rituale, anche se ogni gesto ed ogni sguardo ha un preciso significato. John Mc Laughlin con “ SHAKTI” del 77, e’ stato un precursore di questa “fusion”, un disco meraviglioso per me, che ogni tanto riascolto.

Come nasce GLAD TREE?

La storia dei “GLAD TREE” inizia in una sera di febbraio scorso, in un piccolissimo locale torinese, dove decido di andare ad ascoltare un concerto di musica classica indiana, suonata da un Sitar e dalle tabla; Kamod mi colpisce subito, per la maestria e la sua concentrazione sugli strumenti, poi lo ascolto cantare e rimango affascinato dalle sue modulazioni, vuole il caso che prima di uscire dal locale incontro Lanfranco, vecchia conoscenza dai tempi che suonavo con Tito Shipa Jr., diplomato al conservatorio di flauto traverso, con insegnate Claudio Montafia, che incise nel mio primo album “Aria Mediterranea”; anche lui quella sera presente per ascoltare quella musica. Poi all’inizio della primavera ci siamo sentiti al telefono per parlare del progetto “trio”, MA impegni vari hanno fatto iniziare le prime prove solo in maggio. Ora, dopo aver fatto una registrazione live a luglio presso gli Electromantic Studios con Beppe Crovella alla consolle, siamo intenzionati a continuare per aggiungere altri brani, approfondire meglio alcuni temi,  intensificare l’affiatamento, che devo dire fin dalla prima prova mi e’ parso molto naturale e cordiale.  Le musiche per ora sono di mia composizione, in seguito vedremo di includere altri pezzi nostri; in ogni brano lasciamo spazio all’intuizione e all’improvvisazione e i pezzi possono allungarsi se troviamo una speciale “atmosfera”; quello  che voglio sottolineare, oltre alla musica ovviamente, e’ la nostra presenza scenica , “colorata” come la nostra musica… per noi e’ importante ottenere un vero coinvolgimento del pubblico,  senza trucchi, ma con il solo “vibrare” dei nostri strumenti.

I tuoi progetti sono trasversali e risulta impossibile inserirti in una casella di definizione. Ma un artista completo -  e non mi riferisco alla tecnica - non si limita ad un solo genere, ad un’arte precisa, ad una via sempre uguale: da cosa sono legati i vari episodi della tua vita musicale, quella che va dal prog al classico, dal blues alla situazione etnica?

E’ vero, credo per me siano più forti  i legami tra i generi che non le separazioni stilistiche; e’ stato molto naturale iniziare col beat italiano da giovanissimo, passando attraverso cover di Cream, Hendrix, Led Zeppelin, Jethro Tull, Free, Atomic Rooster, sino all’esperienza “pop” dei Procession - poi inclusi nel genere prog italiano dagli addetti ai lavori - per poi iniziare a coltivare brani con l’acoustic guitar, con influenze iniziali  “classiche”, blues, sempre con corde di metallo e plettro, creando uno stile misto con ispirazioni dal Mediterraneo e dall’Europa dell’est, mantenendo uno stile composito, ritornando al rock con Maolucci, passando alla canzone d’autore con Tito Schipa Jr, maturando pezzi per guitar solo, scegliendo collaboratori come  la bravissima Silvana Aliotta, iniziando un progetto con influenze world con tabla, canto, flauti che si inseriscono nelle mie composizioni arricchendole di chiaroscuri, giochi ritmici e sentieri spirituali.

 La tua ricerca spirituale nasce già nel periodo della giovinezza: come si è evoluta questa tua esigenza di far convivere aspetti materiali e … impalpabili?

Ho “sentito” presto un bisogno di spiritualità, e credo che questo sentimento abbia influito sul mio modo di suonare; più passa il tempo e più avverto questa esigenza, ma per me la musica e’ anche passione, quella che fin da bambino mi spingeva a seguire i musicisti più grandi, quella che mi ha fatto perdere molte lezioni a scuola, quella che mi ha fatto immaginare di essere nato per suonare on the road. Il problema money si e’ posto molto presto, perché già prima di terminare il conservatorio volevo la mia indipendenza dalla famiglia; ho fatto diverse esperienze,  come suonare nei nights, dando lezioni anche a domicilio, facendo il commesso in negozi di strumenti musicali All’inizio degli anni ‘80 ho sentito il bisogno di prendermi una pausa dai palchi, cambiando aria, ho casualmente iniziato un’attività che tuttora mi consente di coltivare la mia Imagination.

 Scopro ogni giorni strumenti dai nomi esotici di cui non conoscevo l’esistenza: quanto ti appassiona la ricerca di nuove fonti di espressione?

Ogni strumento ha una storia, ed e’ giusto conoscerla per accostarsi nel modo più consono alla sua struttura; poi e’ bello cominciare a utilizzarlo nelle proprie “corde”… ci sono strumenti per ogni luogo, costruiti in modo artigianale con tecniche antiche tramandate nei secoli; penso che si debba comunque scegliere il proprio strumento se con esso si vuole comunicare il meglio delle nostre emozioni, ma apprezzo anche i polistrumentisti se sono eclettici di natura, le fonti di espressione sono molteplici, ognuno dovrebbe  trovare quella che lo fa crescere. Mi piacciono gli sperimentatori che seguono un percorso che non scelgono solo con la razionalità.
   
 Che cosa ti aspetti da questo nuovo progetto?

Vorrei intanto avere tempo per perfezionarlo, come si studia da soli il proprio spartito; e’ necessario suonare, suonare, suonare insieme, perchè questo non può che far migliorare la qualità del progetto. Spero di poter realizzare nuove alchimie con i miei compagni di viaggio, spero di trovare sbocchi fuori dai nostri confini nazionali, incisioni e concerti, aspirazione comune a tutti i musicisti.


Marcello Capra condivide il progetto con …

Kamod Raj Palampuri, nato a Manali, Himachal Pradesh, India, diplomato presso l’Università di Musica Classica indiana antica Pracheen Kala Kendra in tabla e canto classico indiano. Ha studiato canto classico, tabla e harmonium presso il maestro Sufi Ayub Khan, e svariati corsi di perfezionamento a Varanasi. Virtuoso anche dell’ harmonium.

Lanfranco Costanza, diplomato in didattica e flauto traverso, e’ nato nel rock progressive (Re di nulla Mother Goose). Ha suonato etno-jazz (Shamal)  e in varie formazioni di musica classica in Italia e all’estero.
 Collaboratore teatrale, e’ sperimentatore in progetti solista.

venerdì 27 settembre 2013

Arti & Mestieri - The Live, di Gianni Sapia


Tocca oggi a Gianni Sapia "raccontare" un album/DVD particolare...

Arti & Mestieri
The Live

Il respiro. L’odore. Il suono del cuore che batte. I contorni delle cose più definiti, come se fossero stati ripassati con un pennarello. La luce è più luce, il buio più buio. L’odore dei colori più vivo e presente che mai. Il petalo di una gerbera si stacca e inizia il suo volo irregolare verso il suolo. Sento il rumore dell’aria che si muove. Sento chiaro il TUMP che l’accompagna quando tocca terra. Tutto è esasperato, amplificato dai naturali acidi lisergici, che il nostro cervello secerne nei momenti diversi, diversi dal normale, anormali, eccezionali. Quasi tutto. Meno le parole. Sono ovattate, come se venissero da lontano, da sott’acqua. Parole sommerse, parole che non servono, perché quando sei sul palco e cuore e cervello si scambiano scosse elettriche, quasi che uno fosse il defibrillatore dell’altro, quando ogni tuo pelo si tende come un’antenna che invia e riceve onde emozionali, quando l’intorno è sfigurato di bellezza, quando la musica è l’unica vittoria, le parole sono superflue, sommerse. Live, dicono gli inglesi, dal vivo, diciamo noi. Non saprei scegliere, mi piacciono tutti e due in questo caso, il sintetismo anglosassone, la peculiarità latina. Gli Arti & Mestieri scelgono The Live come titolo del loro ultimo disco, semplicemente, quasi come se dare un titolo fosse irrilevante, ininfluente. Parole sommerse. E ascoltando il disco si capisce perché. La musica è l’unica vittoria. Biografare degli A&M mi sembra superfluo. Ricordare l’imbuto di Tilt, i loro rapporti con gente del calibro di PFM, The Trip, Area, la loro straordinaria tecnica messa al servizio della fantasia, la loro capacità di saper mantenere vivi i sapori di tutti gli ingredienti della loro musica, sono cose note, così come sono noti i loro nomi, seppur cambiati col tempo, che è sempre un piacere però ricordare e presentare, come in ogni buon live che si rispetti: alle tastiere, ovvero Hammond, Piano, Mellotron, Moog Synthesizer l’imprescindibile Beppe Crovella! Alla batteria l’ineguagliabile Furio Chirico! Alla chitarra l’inossidabile Gigi Venegoni! Chitarra elettrica e chitarra acustica Marco Roagna! Al basso Roberto Puggioni e alla voce Iano Nicolo! E loro sono gli Arti & Mestieri! Applausi e urla di approvazione. Nella versione in DVD di The Live si gode anche della presenza di Mel Collins e David Cross, già protagonisti coi King Crimson; insomma ragazzi, i King Crimson! Mica pizza e fichi! L’album comprende vari pezzi della vasta produzione degli A&M. Si va dai primi due capolavori della band, Tilt del 1974 e Giro di Valzer del ’75, fino al più recente Trema, passando per Il Grande Belzoni. Gravità 9.81, Strips, Positivo Negativo, Alba Mediterranea, Il Figlio Del Barbiere, Marylin, tanto per citare alcuni dei titoli presenti nel live. Ma è sempre la musica l’unica vittoria. Negli anni ’70 l’evoluzione del rock, la continua evoluzione del rock… il rock è un universo in espansione… ha portato molti musicisti a sperimentare , ad innovare, a vivere sul confine tra un genere e l’altro, in bilico tra “com’è” e “come vorrei che fosse”, creando… creando… creando e basta! Che è già abbastanza! Certo tutto questo fermento non poteva essere definito meglio che con il termine progressive, perché ne coglie il senso dello spingersi oltre, saltare l’ostacolo dell’abitudine, sfondare il muro del già sentito, mettere a fuoco con un potente telescopio l’avvenire, in una parola, progredire. Nel mondo c’erano Genesis e King Crimson, che aprirono la strada ad altri visionari, ad altri futuristi, tra questi gli Arti & Mestieri, che riuscirono a capire quanta bellezza ci fosse nell’assemblare, nel far combaciare sonorità, nel rendere armoniose le distanze. Non è una cosa che si impara, è una cosa che si ha, che si vede con gli occhi della genialità. Psicoterapeuti del Sig. Rock e del Sig. Jazz, riuscirono a plasmarne le menti e le strabordanti personalità, rendendo possibile una convivenza che poteva sembrare difficile, un po’ come i Walter Matthau e Jack Lemmon de La Strana Coppia. Batteria irrefrenabile, che passa con noncuranza da schemi jazzistici ad impennate rockettare coadiuvata da una linea di basso fedele come Kit Carson per Tex Willer, chitarre che evidenziano ogni passaggio meglio di qualsiasi colore di qualsiasi Stabilo Boss e la tastiera che stringe tutti in un abbraccio più caldo di un cappotto di Astrakan. Sono proprio belli gli Arti & Mestieri! Sono gente che ha cuore e cervello, fantasia e tecnica, gente da palco. Gente che dal vivo dà il meglio di se, proprio come succede in questo disco. The Live non è solo l’ennesima raccolta o antologia di un gruppo storico. The Live è la dimostrazione che gli Arti & Mestieri hanno ancora stelle da incendiare, universi da esplorare, orecchie da trastullare, menti da solleticare e cuori da far vibrare. Perché The Live, prima ancora di essere un disco dal vivo e innanzitutto un disco vivo.

Tracklist

(CD: Live In Clubcitta' Kawasaki Japan November 5th 2011):
01.Gravita 9.81
02.Strips
03.Positivo/Negativo
04.Comin' Here To Get You/Si Fa Luna
05.Giro di Valzer Per Domani
06.Alba Mediterranea
07.Il Figlio Del Barbiere
08.A Loro Due
09.Marylin
10.2000
11.Trema
12.The Live Backstage mini-video (enhanced track)

(DVD: Live In Veruno Italy September 2nd 2011) :
01.Gravita 9.81
02.Strips
03.Positivo/Negativo
04.In Cammino
05.Il Figlio Del Barbiere
06.Mirafiori
07.Veruno
08.Comin' Here To Get You/Si Fa Luna
09.A Loro Due
10.Marylin
11.Alba Mediterranea
12.2000
13.Exiles
14.Valzer Per Domani



giovedì 26 settembre 2013

Camelias Garden


Il primo post del Blog di MAT2020 è assegnato ad un nuovo giovane collaboratore romano, Alessandro Leone.
Articolo interessante che ci consente di conoscere una band di grande valore, i Camelias Garden, e siamo certi che il brano inserito non potrà lasciare indifferenti e indurrà a… saperne di più!

Roma, 20 Settembre 2013
Intervista ai Camelias Garden

In un'intervista suggestiva, seduti su un marciapiede tra i rumori che costellano tipicamente Roma, Valerio Smordoni, Manolo D'Antonio e Marco Avallone ci offrono interessanti spunti e cusiosità sul primo album dei Camelias Garden, You Have a Chance, e non solo.


Formazione:
Valerio Smordoni: Vocals, Keyboards, Guitar.
Manolo D'Antonio: Acoustic and Electric guitars, Vocals.
Marco Avallone: Bass, Bass Pedal
Walter Palombi: Drums and Percussions

IIo lo so, ma i nostri ascoltatori no. Quale significato nasconde la copertina e soprattutto “You have a chance”… a quale opportunità si riferisce?
La copertina nasce dopo l’idea del mini concept che è racchiuso nel titolo. E’ un messaggio che si riallaccia alla malinconia del disco: qualunque cosa succeda abbiamo la possibilità di risalire. Sembra banale ma non lo è.

Il tema dell’anfora che si apre o si rompe nel momento della crescita non è prettamente felice. L’adolescenza è uno dei periodi più ardui per l’uomo ma voi, nonostante i testi siano malinconici, l’affrontate con una limpidezza ed una sonorità allegra. Io noto un invito a godersi questo periodo di vita senza tralasciare il filo nostalgico che ci lega all’infanzia. Potete confermarlo?
Si riallaccia al precedente discorso. Le piccole storie narrate sono malinconiche, nostalgiche ma le raccontiamo felicemente. Il tema delle anfore è una metafora: rappresentano la protezione che viene meno nel momento della crescita in cui l’individuo deve scegliere se nascondersi o affrontare la vita.

Soffermandoci su questo tema, “We all stand in our broken jars”, siamo tutti nelle nostre “anfore rotte” e poi “A safe haven”, un rifugio sicuro. Mi pare che il filo conduttore dell’album sia questo. Il nido familiare, tanto per citare Pascoli, è un ambiente lontano dai pericoli e per questo si è restii ad affrontare la vita da soli ma poi proseguendo è come se invitiate a venire in contro ad ogni esperienza per trarne insegnamento. Vivere e non sopravvivere.
Esatto. “We all stand in our broken jars” è un titolo ironico. E’ quasi una denuncia con cui “accusiamo” chi resta all’interno di queste giare, varrebbe la pena affrontare la vita.

I brani, le atmosfere ed i testi risalgono ad esperienze personali o tendono ad essere “universali”?
Entrambi i casi. Sono esperienze personali che assumono carattere universale.

Ho notato delle forti influenze folk ma soprattutto una chiara presenza di arpeggi alla Genesis. In particolare in Mellow Days la sezione strumentale mi ricorda molto The Cinema Show. Le influenze quanto hanno inciso sull’album e dove maggiormente risalta la vostra impronta personale?
Le influenze sono nette all’interno dell’album, per ogni membro. Quelle folk sono meno Prog di quanto possano sembrare. In realtà l’influenza Folk deriva dalla sua manifestazione moderna in gruppi come i Fleet Foxes. Per il passato il punto di riferimento è la scena Prog sinfonica: Genesis o Camel per esempio. La parte strumentale di Mellow Days sinceramente è il punto che vedo più devoto ai Genesis, mentre il tema principale magari è ispirato a loro quasi senza volerlo.

Il problema Prog/Non Prog è diffuso tra gli amanti del genere. Ed anche per questo voi avete avuto un leggero “richiamo”. Non ritenete che il Prog non sia un genere che debba seguire delle regole quanto piuttosto un’attitudine?
Parlando per noi, ammiriamo il Prog, lo ascoltiamo, si sente nel disco ma non ci siamo mai imposti di “fare Prog”. Abbiamo arrangiato i pezzi ed a mio avviso sono apprezzabili perché affrontano più livelli e quindi sono ascoltabili da tutti. Proprio per questo ci hanno accusato. Siamo anche un gruppo Prog, utilizziamo quelle sonorità (Moog, Mellotron e così via) ma nell’approccio compositivo ci interessano altri aspetti. Siamo un ibrido che alcuni ascoltatori del genere non capiscono.

Come giudicate l’esistenza della musica alternativa in Italia, quanto è difficile per voi inserirvi nello scenario musicale e ricevere spazio sufficiente?
Valerio: Io, Marco e Manolo suoniamo insieme da due anni. Il gruppo esiste effettivamente da Maggio, quando si è aggiunto alla formazione un batterista fisso. Da allora non abbiamo più smesso di suonare e di questo siamo soddisfatti, nonostante sia dura per via della nostra etichettatura. L’ambiente del Prog è saturo ed abbiamo suonato in posti con cui gli artisti di questo genere non hanno mai avuto esperienza. Per esempio, il Circolo degli artisti o questa sera Locanda Atlantide con band totalmente diverse per genere. Noi portiamo il Prog in locali dove il genere non è mai entrato perché definito di nicchia. Vorrei che gli appassionati si rendessero conto che il Prog deve abbracciare l’amore per la musica in generale. Il gruppo Prog di oggi per definizione esce molto a livello discografico ma non a livello di live.
Manolo: Il Prog esce per un pubblico dedicato, c’è anche da dire che l’ambiente romano non è facilissimo per chi si vuole approcciare al nostro progetto. Ti dà tante opportunità ma devi venire a compromessi. Bisogna stare attenti.

Gran parte del merito per avervi lanciato, oltre alla qualità della musica, è dovuto all’apporto di Massimo Dolce dei GTV. Un piccolo esempio di unione tra due band Prog, secondo voi quest’unione nel genere esiste o no?
Ringrazio ancora Massimo per l’apporto che ha dato al disco, senza di lui non sarebbe così bello. E’ stato un vero produttore, ci ha dato consigli su arrangiamenti e registrazioni.
Non so se esista la collaborazione nel mondo Prog. E’ già raro che le band si aiutino, spesso fanno a gara a chi suona di più. Il cameratismo tra gruppi è presente raramente ed è per questo che apprezziamo doppiamente Massimo che ci ha aiutato fin dall’inizio, quando ci esibivamo senza batteria e/o base, nella versione più scarna possibile. Lui e Marcello Marinone, dell’AltrOck, hanno avuto la lungimiranza di capire l’importanza del progetto.

Quali progetti avete in cantiere?
Intanto uscirà un brano incluso nella seconda parte del concept album sul Decameron per la Musea. Inoltre abbiamo dei nuovi brani a cui stiamo lavorando. I concerti ci precludono la possibilità di lavorarci bene per ora, ma stiamo provando ad infilarli nelle varie tappe live. Di conseguenza speriamo di avere l'opportunità di inserirli in una nuova release discografica più vantaggiosa, che ci dia più visibilità.
Tengo a sottolineare che siamo un gruppo Prog che suona dappertutto. Il Prog esiste solo a livello discografico ma non live. Siamo fieri di suonare all’interno di realtà che band Prog non hanno mai abbracciato. Per l’appassionato di questo genere è importante seguire i suoi gruppi live. Serve per ricreare la scena.


Alessandro Leone
Progressive World


sabato 21 settembre 2013

Nasce il blog di MAT2020... le motivazioni



A tutti gli amici di MAT2020 (e a chi lo vuole diventare!)
Come più volte evidenziato nel corso dell'anno, il lavoro che si nasconde dietro alla costruzione di MAT2020 è enorme, e le 140 pagine mensili che mediamente MusicArTeam è riuscita a fornire mal si accordano con l'attività di persone professionali, ma non professioniste: impossibile dedicare tutto il tempo libero ad una passione, anche se fortissima.
Il mese di sosta è servito per riflettere e trovare contromisure che possano in ogni caso fornire con continuità una buona informazione musicale; abbiamo così deciso di  non avere un obiettivo preciso sull’uscita del web magazine, e nemmeno sul numero di pagine, realizzando e mettendo online MAT2020 - nei tempi e nella quantità dei contenuti -  ogni volta che sarà materialmente possibile.
Ma in ogni caso non vi abbandoneremo, perchè... nasce oggi "Il Blog di MAT2020", un contenitore che raccoglierà il lavoro dei soliti collaboratori (e speriamo di molti altri), e che avrà il compito di colmare gli eventuali spazi tra numero e numero.
L'aspetto negativo del blog è rappresentato dalla minor qualità della grafica e dalla perdita del "senso del giornale", quello positivo dalla tempestività di informazione.
Iniziamo questa nuova avventura nel nome della buona musica.
Grazie per l'aiuto e la diffusione.

Lo Staff.