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lunedì 29 agosto 2016

Un americano a Roma, di Wazza

 Jimi Hendrix a Roma - 1968

Maggio 1968

Non si chiamava Nando Mericoni, e non veniva da Kansas City. Ma a maggio del 1968 "un americano a Roma", tale Jimi Hendix da Seattle, imitava il nostro Nando, con un bel piatto di (mi piace pensare) "spaghetti all'amatriciana"... certo a giudicare dalla foto usava meglio la chitarra che la forchetta!
Just for fun…
Wazza


Nando Mericoni "Un americano a Roma" 1954


sabato 27 agosto 2016

Per essere grandi bisogna partire da basso... di Wazza

Nick Mason, nel 1965  si carica la batteria nel Bedford-van usato per il trasporto strumenti e amplificazioni; sulla sinistra della foto il resto della band osserva divertito dalla finestra della casa di Roger Waters...  diventarono i Pink Floyd!

WK


"Stai lontano da chi tenta di frenare le tue ambizioni, le persone da poco lo fanno sempre, ma solo chi è veramente grande ti fa sentire che anche tu puoi diventare come lui."
(Mark Twain)




giovedì 25 agosto 2016

”Chiacchiere veronesi “, parlando di musica con Stefano Raimondi e Gian Paolo Ferrari, di Max Pacini



Articolo già apparso sul numero di agosto 2016 di MAT 2020

Chiacchiere veronesi “, parlando di musica e dei due fantastici concerti di David Gilmour
di Max Pacini

La musica è una fedele compagna della nostra vita, scandisce il tempo dei nostri ricordi, e ci fa rivivere ogni volta grandi emozioni nel riascoltare magari quella canzone che ci ha regalato momenti indimenticabili. Ma la musica è soprattutto condivisione, contatti, amicizia, e la storia che vogliamo raccontarvi in questo articolo parla proprio di questo. Due nostri grandi amici che insieme condividono le stesse passioni, gli stessi gusti musicali. I loro nomi a voi potranno sembrare sconosciuti, ma noi li conosciamo molto bene, visto che durante i loro concerti con i BIG ONE (all’interno del loro spettacolo The European Pink Floyd Show), sfoggiano abitualmente con grande orgoglio la loro divisa ufficiale, cioè la nostra t-shirt di MusicArTeam, donata a loro nel luglio 2014, in occasione di un grande concerto tenutosi alla fortezza del Priamàr di Savona. Il gruppo di cui  fanno parte i nostri protagonisti si chiama BIG ONE, tribute veronese ritenuta dalla stampa nazionale (e dalla nostra redazione), come la migliore nel riproporre le magiche atmosfere dell’universo musicale Pink Floyd. Senza ombra di dubbio èl’unica tribute italiana richiesta costantemente da diversi anni oltre confine. Sono tornati recentemente da un grande concerto in Belgio, un tutto esaurito datato 30 aprile 2016 presso l’EUROPA HALL di Tielt, dove gli organizzatori (fans e cultori dei Pink Floyd) i PIGS ON THE MOON, li hanno scelti tra una vasta selezione di tribute band sparse in tutta Europa. Sono di Verona, splendida città degli innamorati e dei famosi balconi che ci riportano alla storia diRomeo e Giulietta, ma soprattutto al più grande Anfiteatro all’aperto quale è l’Arena. In questo caldo e afoso mese di Luglio, precisamente domenica 10 e in replica lunedì 11, Verona è stata la capitale Floydiana per eccellenza, vista la chiusura nella già citata Arena, del tour italiano di David Gilmour. Quale occasione migliore per fare due chiacchiere, con chi ha vissuto questi giorni da “veronesi doc”in prima fila sotto tutti i punti di vista? Come già vi abbiamo anticipato, sono due nostri grandi amici, eccoli a voi: Stefano Raimondi (batteria e percussioni), e Gian Paolo Ferrari, da tutti conosciuto come Giampy (responsabile produzione e tecnico video) dei BIG ONE.


Giampy e Stefano Raimondi

MAT- Benvenuti ragazzi, è un piacere enorme avere la possibilità di poter scambiare quattro chiacchiere con amici veri e di lunga data come voi. Chi vuole rompere il ghiaccio così per cominciare in scioltezza, parlandoci di David Gilmour in Arena? Da quello che abbiamo potuto riscontrare dai social e dalla stampa … è stato un grande successo. Raccontateci come è andata a Verona.

STEFANO-Hai perfettamente ragione, rispetto all’anno scorso abbiamo trovato un Gilmour in forma smagliante, uno spettacolo davvero incredibile, ma il Giampy certamente è molto più bravo del sottoscritto nel saper descrivere certe emozioni, anche perché con lo zio ha un contatto personale molto stretto … (ride). Pensa che si è goduto tutte e due le serate in prima fila il raccomandato!

MAT- Ci vuoi spiegare meglio questa interessante storia Gian Paolo? Hai davvero avuto la possibilità  di stare a stretto contatto e di conoscere lo zio David?

GIAMPY-Stefano è sempre molto spiritoso nei miei riguardi, comunque è vero, sia lo scorso settembre sia quest’anno… ho avuto il piacere di trovarmi a tu per tu (casualmente), con l’amato zio. Devi considerare che la mia professione di tassista, mi porta spesso a gironzolare per le vie del centro e a conoscere in anticipo certe informazioni preziose, visti i miei contatti lavorativi. Sapevo in anticipo il giorno del suo arrivo, 9 Luglio ore 15 all’aeroporto di Montichiari (BS). Sei van lo stavano aspettando per portare lui e tutta la band con relativi amici e famigliari in via Adua 8, all’hotel Palazzo Victoria.

MAT- Altro che servizi segreti! Con queste informazioni avevi già un vantaggio acquisito rispetto a tutti gli altri fan, ecco svelato il mistero… allora ci vuoi raccontare come è andata veramente?

GIAMPY- Nessun vantaggio credimi, nell’ambito della mia attività mi capita spesso di incontrare qualche personaggio famoso, devo confessarti che non ho mai avuto episodi sgradevoli, anzi! Ho sempre trovato persone gentili e molto disponibili, e ti posso garantire che sul mio taxi ne sono salite tante. Vuoi qualche nome? Bollani è di una simpatia unica, con Max Gazzè ho interrotto per circa trenta minuti il mio servizio per parlare dei Pink Floyd, Michele Placido ha voluto stringermi la mano augurando tanta fortuna alla mia passione musicale floydiana, con Pau dei Negrita abbiamo fatto l’alba in un locale del centro, parlando di architettura sonora dei teatri all’aperto e di ferie in camper, un ragazzo veramente splendido dal punto di vista umano (rientrando in albergo mi ha addirittura invitato al concerto di Brescia in Piazza della Loggia, dove ho potuto accedere al back-stage per i saluti finali, con tanto di presentazione con gli altri componenti del gruppo)… con Gilmour invece devo stendere un velo pietoso. Ho sempre saputo (da quello che veniva riportato dalla stampa), che avesse un brutto carattere, ma non pensavo fosse così… burbero e antipatico. Lo dico con molta tranquillità perché senza volerlo, ogni volta che capita a Verona me lo ritrovo davanti. Anche questa volta mentre transitavo in centro con la mia auto ho riconosciuto subito la sua sagoma inconfondibile, accompagnata da quell’orribile cappello di paglia! Al mio passaggio ha dovuto scostarsi (essendo la via molto stretta), ci siamo incrociati con lo sguardo, e ho ritenuto per educazione e gentilezza, accennare ad un timido saluto di benvenuto. Il suo sguardo seccato e indispettito ha messo letteralmente a disagio anche la cliente che in quel momento stavo trasportando, mandando in frantumi la figura di un mito. Ma nonostante questo… gli voglio bene lo stesso, perché alla tenera età di 70 anni, ha saputo regalare a tutti noi due serate indimenticabili. Sul palcoscenico dell’Arena si è presentato un Gilmour eccelso, accompagnato da una band affiatata e impeccabile, coadiuvata dai fedelissimi onnipresenti Guy Pratt al basso e Steve DiStanislao alla batteria. Verona ha vissuto per tre giorni una magica atmosfera floydiana, che ho potuto assaporare fino all’ultimo respiro, non mi sono fatto mancare niente (vista l’occasione irrepetibile). Ho assistito al primo concerto in prima fila, con quasi tutta la band dei BIG ONE, per la seconda serata invece, vista la nostra tradizione romantica, io e Leonardo De Muzio (chitarra solista del gruppo), abbiamo pensato bene di farci accompagnare dalle nostre rispettive “Giuliette”… Non vorrei dilungarmi troppo su questa breve recensione dei concerti, visto che sui social si è scritto già tutto, posso solo aggiungere che lo zio sull’assolo finale di Sorrow, ha fatto tremare tutti gli spettatori presenti (la vibrazione era così forte che ti entrava in tutto il corpo e non era una sensazione quella che avvertivi… stavi tremando davvero!).


MAT – Immagino siano state delle grandi emozioni, e voi le avrete vissute certamente con una prospettiva diversa, essendo entrambi componenti e collaboratori di una grande tribute floydiana, nata molto tempo fa proprio a Verona.In particolare modo tu Stefano, che se non vado errato sei il batterista storico del gruppo. Vuoi raccontarcicome è nato il progetto Big One, e quale è stata la sua evoluzione, visto che nel corso degli anni ha coinvolto diversi musicisti, se non sbaglio sei rientrato nella formazione attuale da un po' di tempo, dopo un breve riposo? Che differenze(se lo hai potuto notare) hai trovato nel gruppo?

STEFANO- Nel lontano 2005, ricevetti una telefonata da un amico, un chitarrista che, come me, adorava i Pink Floyd: Leonardo De Muzio. Ci eravamo conosciuti precedentemente attraverso un annuncio su internet e volevamo entrambi formare una tribute band dei nostri idoli. E grazie a quella telefonata, nella quale mi offrì di entrare a far parte dei nuovi Big One, il sogno ha iniziato a materializzarsi. Il progetto Big One ha sempre avuto come obiettivo quello di riproporre il più fedelmente possibile l'esperienza live di un concerto dei Pink Floyd, e questo nel tempo si è tradotto in un grande lavoro maniacale in sala prove. Anche l'ambito della produzione e organizzazione dei tour ha comportato l'investimento di notevoli energie. Negli anni si sono avvicendati più musicisti, anch'io ho dovuto lasciare, per fortuna solo temporaneamente, il mio ruolo di batterista. Quando sono poi rientrato, ho trovato un gruppo che era cresciuto sotto tutti i punti di vista. L'impegno di tutti è stato fondamentale per raggiungere il livello a cui siamo arrivati, credo sia doveroso ringraziare per questo, tutti i musicisti che nel corso dagli anni hanno avuto la possibilità di condividere questa avventura, è anche merito loro se siamo riusciti in questo arco temporale a raggiungere queste gratificazioni … e poi mi sono ritrovato a confrontarmi con un grande tecnico della regia audio-visiva come il Giampy! Una vera garanzia (si ride alla grande) …

MAT- Invece tu Gian Paolo, quando hai conosciuto i Big One?  Lavori come tassista a Verona e ci sembra perlomeno strana questa tua collaborazione, vista la tua professione molto impegnativa e stressante.

GIAMPY- Hai detto bene, è stato un caso, sai come si dice in questi casi… il destino! Dei colleghi mi invitano ad un concerto al Teatro Romano qui a Verona, conoscendo la mia passione musicale, mi vogliono portare a vedere una tribute dei Pink Floyd, rispondo “NO GRAZIE! Le tribute non mi interessano, preferisco gli originali”. Sarò breve: per la compagnia … vado, osservo, vedo Leonardo alla chitarra e non credo a quello che sto sentendo, era Gilmour, semplicemente uguale a Gilmour! Voglio conoscere questo gruppo per scrivere un articolo (collaboravo già con l’amico Athos Enrile), ci conosciamo, comincio a seguirli in tour e una sera Leonardo mi prende in disparte e mi dice: ”Senti Giampy, inizia a guardarti attorno, studia luci, effetti, video, insomma comincia a pensare a qualcosa di diverso che non sia una semplice foto. Sono convinto che a breve sarai in grado di diventare un nostro collaboratore. Io non voglio professionisti, ma gente che ama i Pink Floyd come me, e soprattutto preferisco avere degli amici sinceri al mio fianco”. Detto fatto, sono qui! Aveva ragione! Nel corso di questi ultimi anni siamo diventati grandi amici, sono uno dei responsabili della produzione e delle proiezioni video, oltre che dovere sopportare continuamente quel batterista spiritoso che tu conosci molto bene … Vedi un po’ di intervistare lui (ride), i tecnici devono rimanere sempre nell’ombra … anche se sono indispensabili …

MAT- Immagino che anche i lettori abbiano capito che con voi due è molto difficile annoiarsi, perciò Stefano raccontaci quando hai iniziato ad appassionarti al tuo strumento e come è stato il tuo percorso musicale.

STEFANO- Ho sempre avuto il desiderio di suonare la batteria, e infatti investii il mio primo stipendio proprio per acquistarne una. Avevo 18 anni, fu veramente una grande emozione, porto ancora quel ricordo nel mio cuore, mi sentivo l’uomo più felice del pianeta (restando in tema lunare - floydiano). Musicalmente adoro il rock degli anni '70. Ricordo con piacere che ho fatto parte di un gruppo dove facevamo cover dei Deep Purple, Led Zeppelin, Pink Floyd e altri gruppi anni '70. Ci chiamavamo Mistery Train. E ci divertivamo un sacco!

MAT- Siete considerati trai migliori nel vostro genere, questo titolo vi imbarazza o ne siete consapevoli, visto il vostro curriculum -live, dove avete toccato le location più importanti: vedi Geox di Padova, Teatro Romano di VR, Habihall di Firenze, Palacreber di Bergamo (per citarne qualcuna), senza contare che probabilmente siete l'unica tribute italiana, che da diversi anni si esibisce anche in Europa. Avete trovato qualche differenza rispetto alle nostre realtà Nazionali e come riuscite a gestire emotivamente queste sensazioni all’interno del gruppo?

STEFANO - Personalmente sono onorato di aver suonato in location così prestigiose, se poi ci definiscono i migliori, significa che abbiamo lavorato bene e ciò ci sprona a continuare a lavorare per crescere ancora. Esibirsi fuori dall'Italia ci ha permesso di entrare in contatto con realtà molto diverse. Non cambiano solo le prese di corrente ed il cibo, cambia tutto: abitudini, mentalità, organizzazione. Però la passione ed il calore del pubblico per la musica dei Pink Floyd è sempre la stessa, ovunque. E ci ha sempre fatto sentire a casa! Per quanto riguarda la gestione di determinate sensazioni, siamo tutti consapevoli che finito il concerto, il giorno successivo ti trasporta alla vera realtà delle cose: il lavoro, la famiglia, insomma… il vivere quotidiano di una persona semplicemente normale …

GIAMPY – Concordo con Stefano, ma vorrei precisare un dettaglio importante:i Big One possono essere considerati  (forse), i migliori, in conformità dei mezzi, e alle possibilità che abbiamo a nostra disposizione. I Brit Floyd o gli Australian Pink Floyd, possono offrire certamente degli spettacoli scenografici accattivanti e altamente professionali dal punto di vista tecnologico, ma questi sono giustificati dagli enormi budget milionari, a cui questi gruppi possono attingere. Quindi, tutte le tribute hanno un loro valore importante, piccole o grandi che siano. Ecco spiegato il motivo del nostro modo di vivere determinate situazioni, siamo orgogliosi di questo, ma ci rendiamo perfettamente conto che a tutti gli effetti … restiamo e siamo … persone semplici e normali, che hanno la fortuna di potere condividere INSIEME, questa grande passione musicale. Però c’è un particolare importante e molto significativo che voglio ribadire e sottolineare: Leonardo De Muzio suona con noi! Mi permetto di raccontarvi brevemente questo aneddoto, avvenuto all’uscita dall’Arena, dopo il concerto di David Gilmour. Casualmente incontriamo Steve DiStanislao, il batterista dello zio Gilmour, e tranquillamente io e Leonardo lo accompagniamo in hotel, sembravamo come dei vecchi amici intenti a raccontarsi le ultime impressioni della serata appena trascorsa. Ad un certo punto dico a Steve di guardare un video dei Big One, e gli faccio sentire l’assolo di Comfortably eseguita proprio a Tielt in Belgio, mi guarda e rivolgendosi con stupore verso Leonardo dice: “Incredibile! Ma tu suoni come David, Pazzesco! Complimenti!”, come sempre Leo cercava di minimizzare la cosa, perché fa parte del suo carattere, però ha voluto approfondire l’argomento chiedendo espressamente i riferimenti inerenti al gruppo … non voglio aggiungere altro … Leo sei grande!

MAT -A proposito di Europa, come avete già ricordato siete reduci da un grande evento che vi ha visto protagonisti a Tielt in Belgio, vuoi raccontarci com'è andata Stefano?

STEFANO - E' stata veramente una bellissima esperienza. Per l'occasione, su Anotherbrick in The Wallpt 2, ci siamo ritrovati sul palco, un coro di 25 adolescenti che si sono esibiti con noi dal vivo. Molto emozionante, ma queste domande vanno rivolte al nostro addetto stampa: Giampy Press., su questi argomenti è sempre molto prolisso, e poi  lui stesso aveva preparato qualche sorpresa per il pubblico presente.

GIAMPY – Cercherò di entrare nel ruolo caro amico, visto che le tue risposte sono sempre strettamente minimali … Siamo stati invitati da una associazione culturale denominata Pigs On The Moon, e come ha sottolineato Stefano,è stata una esperienza molto coinvolgente. Sold out e entusiasmo alle stelle, un pubblico davvero caloroso (ci vogliono anche l’anno prossimo, siamo già stati prenotati). Per quanto riguarda la mia sorpresa, in verità è stato un assolo che Leonardo  mi ha voluto regalare, dopo le mie continue  e pressanti insistenze iniziate dopo il concerto di Bologna. Proprio lì è nata la mia idea: poco prima del soundchek, qualcuno era partito con il riff di PurpleRain (Prince ci aveva lasciati qualche giorno prima), subito ho pensato che sarebbe stato bello inserirlo nell’assolo finale di Comfortably Numb come tributo, ma non si poteva realizzare certamente quella sera. Ci ha pensato invece David Gilmour la sera dopo,durante un suo concerto, (beccato casualmente in un video su FB), e subito mi sono sentito … artisticamente … derubato. Chiamai immediatamente Leo per metterlo al corrente del fatto, e dopo tante pressioni, sono riuscito a convincerlo “Se lo faccio è solo per te rompiballe!” questa è stata la sua risposta finale, il risultato invece lo potrete tranquillamente giudicare in questo video che ho pubblicato su youtube ...


MAT – Una domanda a entrambi: trovate il tempo per seguire altre tribute band, oppure preferite studiare e perfezionarvi sugli originali.

STEFANO - Se ho l'occasione,  quando il tempo me lo permette, seguo volentieri le tribute band dei grandi gruppi rock anni '70, in circolazione ce ne sono di veramente interessanti. Per quanto riguarda lo studio dei brani, lavoriamo già tanto in sala prove, che sinceramente non riesco a trovare spazi a cui dedicare il mio tempo per seguire altri tributi floydiani.

GIAMPY – Personalmente amo leggere qualsiasi cosa che riguarda i Pink Floyd, una fonte a cui molto spesso faccio riferimento per lo sviluppo delle mie idee, sono senza dubbio i due fantastici libri pubblicati dai The Lunatics, per quanto riguarda le tribute, seguo con molto affetto gli Italian Dire Straits del mio caro amico Max Lisa. Ci siamo conosciuti  qualche anno fanell’ambito di un evento benefico che ci vedeva entrambi protagonisti in un memorabile concerto al Teatro Filarmonico di Verona (ovvio che loro si esibivano sul palco, io facevo parte dell’organizzazione). Per essere precisi li avevo contattati personalmente e ho fatto il possibile per offrirli al pubblico veronese. Anche quello fu un grande successo che con soddisfazione porto nel cuore, come il primo concerto organizzato per i Big One al Teatro Romano di Verona, ma soprattutto il più importante, cioè quello di Savona con MusicArTeam, non è forse vero Stefano?

STEFANOE’ stato nel 2014 se non erro, suonammo in quella cornice fantastica quale è La Fortezza del Prìamar, fu in quell'occasione che ebbi  il privilegio di conoscere Max Pacini , Athos Enrile ed il loro MusicArtTeam. Persone stupende e grandi conoscitori di musica. A tutti noi venne regalata la t-shirt ufficiale,  che da allora indosso spesso e con orgoglio durante i nostri spettacoli live, e non solo… (il Giampy, ha voluto che entrambi, fossimo presenti in prima fila al concerto di Gilmour con la nostra immancabile divisa), non si potevano scattare molte foto, perché del personale addetto cercava di impedirtelo. Il Giampy rideva, perché a lui nulla era vietato, e se qualcuno provava a farlo… mostrava la t-shirt con la scritta, aggiungendo che stava lavorando… uno spasso ve lo posso garantire …

MAT –Qual è il concerto che ricordi con maggiore soddisfazione Stefano, vista la tua lunga militanza nel gruppo, c’è qualche ricordo che può aiutare la tua scelta?

STEFANO -  E' una scelta difficile.. Direi il Live at Valle dei Templi del 2006, all’interno del quale è stato registrato il nostro secondo DVD. Mi ricordo che suonare Echoes in quel contesto è stato davvero emozionante.

MAT – La vostra canzone e l’album che preferite dei Pink Floyd, stilate una vostra ipotetica classifica da 1 a 3.

STEFANOSe parliamo di album, per me il capolavoro assoluto è senza ombra di dubbio The Dark Side, seconda posizione per WishYouWere Here seguito da Animals. Per quanto riguarda le canzoni 1-Comfortably Numb, un capolavoro assoluto, 2-Careful With ThatAxe Eugene, space-rock by Pink Floyd all’ennesima potenza, 3-Wish YouWere Here, emozione allo stato puro.

GIAMPYSicuramente The Dark Side, perché ancora oggi rappresenta l’essenza del fascino del sound floydiano, guardi le stelle, osservi la luna … e subito pensi a questo disco. Per la seconda posizione Animals! Ero adolescente in quel periodo, e mi sentivo incazzato con tutti, eravamo in piena era Punk, arrivò questo disco che parlava di un’umanità popolata da cani, porci e pecore, diciamo che fu una risposta alle mie incazzature, e che in parte le poteva giustificare … la tristezza forse è che sono passati quasi 40anni, ma siamo peggiorati … purtroppo, e siamo circondati sempre dalle stesse figure. Per quanto riguarda le canzoni, sono tutte fantastiche, ti posso citare quelle che preferisco eseguite dai Big One: AnyColourYou Like, AstronomyDominè, Us And Them, ne aggiungo un’altra che spero entri nel repertorio live, e cioè Obscured By Clouds, un pezzo incredibile che ha anticipato con i suoi tre minuti, il sound dei Kraftwerk di Trans Europe Express, ecco spiegato il motivo della grandezza di questo gruppo, tutti bene o male hanno dovuto attingere da loro ...

MAT – In questo ultimo periodo sono avvenuti diversi cambiamenti all’interno delgruppo,  praticamenteavete una nuova line-up. Questa situazione ha creato qualche problema (visto che stiamo parlando sempre di una tribute) , oppure è stato un ulteriore passo in avanti verso progetti ancora più ambiziosi, quali sono appunto in ottica futura, i vostri nuovi traguardi da raggiungere.

STEFANO I cambiamenti in generale, sono sempre portatori di nuova energia propositiva,  nella realtà di una tribute credo sia assolutamente normale vivere certe situazioni. Qui non stiamo parlando di musicisti professionisti legati da vincoli contrattuali, siamo persone normali, che molto spesso si devono confrontare con i problemi reali, cioè: lavoro, famiglia ecc., e non è scontato che queste dinamiche possano sempre incontrarsi. Per quanto riguarda il futuro,personalmente mi piacerebbe riproporre live l’intero album di Animals, come ricordava giustamente il nostro tecnico-tassista … siamo prossimi al 40° anniversario ormai.

GIAMPYHa ragione Stefano, i cambiamenti portano sempre nuova energia e colgo l’occasione in merito a questo, per rispondere a tutte quelle persone che mi hanno contattato in questo ultimo periodo, manifestando preoccupazioni sulla sorte di questa band. Ebbene, a tutti quanti vorrei dire che … restiamo con i piedi per terra! Forse  qualcuno ha un pochino esagerato nell’attribuire così tanta importanza  a fatti assolutamente normali. Qualche tempo fa Paolo Iemmi ha lasciato il gruppo per seguire (giustamente), la sua avventura artistica nell’ambito della musica prog, è arrivato (alla grande) Luigi Tabarini, un nuovo bassista che ha già fatto intravedere le sue qualità. Con Elio Verga (vista la carta d’identità), sapevamo tutti che entro la fine di quest’anno avrebbe lasciato il gruppo, ha solamente anticipato la sua scelta, mettendo davanti a sé il bene più prezioso: la salute. In merito a questo vorrei riportare lo stralcio di una recente intervista rilasciata da Ian Anderson (Jethro Tull): ”La salute è una cosa seria, specialmente mano a mano che passano gli anni. La maggior parte di noi maschietti non pensa a cosa possa succederci. Ma bisogna pensare anche a chi ci vuole bene e ci sta attorno,per cui è anche una questione di sano egoismo.” Elio ha fatto la scelta giusta, era già da molto tempo che cercavo di convincerlo in questo, posso dire questo senza ombre, visto che sono stato a stretto contatto con lui fino a poco tempo fa. Purtroppo sui social certe persone possono manipolare e fuorviare certe notizie, indirizzandole su linee incomprensibili, creando equivoci e sospetti infondati… Resto dell’idea, che la sorte dei Big One possa interessare a qualche amico-fan-simpatizzante, ma certamente non siamo i Pink Floyd, e per questo non meritiamo sotto certi aspetti tutto questo interesse, perdonatemi se mi viene da ridere… Per quanto riguarda il futuro, ho creato un nuovo logo per la band, viste le continue indicazioni che ci pervenivano da varie direzioni. Il vecchio logo era considerato da molti, brutto, inadeguato e cupo. A tutto il gruppo è piaciuto il mio progetto, e quindi per i prossimi concerti saremo già pronti! Perciò, un saluto a tutti e cerchiamo di guardare al futuro con un sano ottimismo, nella speranza che Leonardo non venga mai colpito dal più piccolo dei raffreddori… resta sempre lui, il nostro diamante insostituibile …

MAT –  Visto il vostro simpatico spirito e per l’amicizia che ci lega, abbiamo pensato di chiudere queste nostre “chiacchiere veronesi” con questa ultima richiesta, naturalmente se siete d’accordo… Stefano parlaci del tuo amico, e tu Gian Paolo, fai altrettanto!

STEFANO- Quando sono rientrato nel gruppo dopo una breve assenza, il Giampy (così viene chiamato da tutti noi), era già operativo. Avevo capito immediatamente che pur non essendo un musicista era diventato una figura fondamentale. Ancora adesso non riesco a capire come faccia a gestire tante cose contemporaneamente. Durante lo spettacolo ha il delicato compito di “lanciare” i video, durante l’esecuzione dei nostri brani, e il giorno dopo ti ritrovi sui social il reportage con le sue foto e video del concerto … incredibile! E’ un grande amico, sincero, onesto che non ha peli sulla lingua e perciò non te le manda a dire. Siamo entrati subito in sintonia, anche perché la batteria è lo strumento che adora e che vorrebbe suonare (per il momento si accontenta di darmi una mano nello smontaggio alla fine di ogni concerto). E’ a tutti gli effetti il componente dei Big One alla regia dello spettacolo, è lui che realizza e produce i video per i nostri concerti. Ha la responsabilità di controllare ogni benché minimo dettaglio, e noi che siamo sul palco ci sentiamo in buone mani nel vederlo attento nella sua postazione, logico che se poi qualcosa non funziona … la colpa è sempre sua (ride). E’ una persona molto meticolosa con una testa sempre in continua evoluzione, mi piace la sua calma e la sua umiltà, sa farsi voler bene perché sempre disponibile a risolvere qualsiasi problema, ha uno spiccato senso della comunicazione e in questi anni è riuscito ad organizzare diversi concerti per il gruppo e già questo non è poco, se non ricordo male dovrebbe esserci il suo zampino anche in quello straordinario concerto ligure di due anni fa o sbaglio?  A parte questo posso dire che è l’amico che tutti vorrebbero avere, grande Giampy! Visto che questa è l’ultima domanda, vorrei cogliere l’occasione per abbracciare tutti i lettori e gli amici di MAT, ringraziando voi della redazione in modo particolare, per la vostra grande sensibilità, un grande ciao da Stefano Raimondi.

GIAMPY – Quando Stefano è rientrato ho capito subito la differenza. Un batterista è come le fondamenta di un gruppo, come il portiere di una squadra di calcio: se il portiere è scarso, la difesa si sentirà meno sicura. Se Leonardo De Muzio (chitarra solista e voce n.d.r.) è il diamante, Stefano è il portiere che da sicurezza e serenità a tutta la band. Ragazzo straordinario, sempre positivo con il quale mi lega una grande amicizia. Se in tour devo scegliere il compagno ideale per dividere la stanza d’albergo, scelgo sempre lui. Mi piace la sua calma serafica, mai una parola fuori dalle righe o una polemica. Ad entrambi, interessa solo la passione e la voglia di fare musica coinvolgendo il pubblico che viene ai nostri concerti, e poi… ci divertiamo veramente alla grande. Molto spesso mi sento chiedere se Stefano è il migliore batterista in circolazione nel suo genere. Personalmente non amo le classifiche e rispetto tutte le tribute sparse nel nostro paese, perché chi ha la fortuna di saper suonare, ha il sacrosanto diritto di farlo, sarà il pubblico eventualmente a fare una scelta. Recentemente ho letto una dichiarazione di Cristina Scabia dei Lacuna Coil, dove in un’intervista, parlando in merito alla nuova line-up del gruppo, a proposito del batterista dice: “Ryan Folden è con noi da otto anni, ha iniziato come tecnico della batteria di Criz e oggi ha finalmente guadagnato il suo posto nella band. Ha dato un bel contributo stilistico. Qualcuno su FB mi ha chiesto se non ci fosse un batterista italiano all’altezza. Probabilmente ce ne sono anche più bravi, ma Ryan è la persona giusta. Quando un gruppo deve passare tanto tempo on the road come facciamo noi, esistono fattori umani e caratteriali che contano molto”. Ecco, perché  secondo me, Stefano Raimondi è la persona giusta, oltre che ad essere un bravo batterista, porta con se dei valori umani che non hanno prezzo, e questo nel corso del tempo fa sempre la differenza. Mi associo ai saluti di Stefano e vi abbraccio tutti con affetto,  (se indossiamo  sempre con orgoglio la t-shirt di MAT è perché ci sentiamo portatori di questa filosofia di vita, MAT è una famiglia composta da persone che amano la musica e si dedicano a questo con grande umanità), un abbraccio sincero, da Gian Paolo, SHINE ON!

Ripensando all’incontro, non posso che affermare: “Attenti a quei due!”
Anche da parte mia Shine On!
Con affetto
Max Pacini


Big One
                     Leonardo De Muzio – chitarra solista/voce                       
Stefano Raimondi – batteria       
Luigi Tabarini – Basso
Claudio Pigarelli – piano
Stefano Righetti - sinth
Marco Scotti – sax
Debora Farina - cori
Elisa Cipriani - cori



Gianni Nocenzi- "Miniature", di Antonello Giovannelli

Articolo già apparso su MAT2020 di agosto 2016

Gianni Nocenzi - Miniature
di Antonello Giovannelli


Il primo pensiero che mi è venuto in mente riascoltando Farfalle in anteprima, brano anticipatore dell'album Miniature (che ho avuto l’onore di ascoltare “dal vivo”, mentre il suono del magnifico pianoforte Steinway gran coda veniva catturato, risucchiato dall’avveniristico sistema di microfoni utilizzato per l’occasione), è quello che ho scambiato al telefono con Gianni Nocenzi mentre in macchina, di notte, rientravo a casa da Roma a Ferrara: “In quale reparto credi potrebbe essere collocato il tuo nuovo lavoro? Dove lo dovrò andare a cercare? Tra il Progressive? Nella Classica?”.
La domanda era fatta per riderci sopra, naturalmente, conoscendo bene l’avversione di Gianni per le etichette e, una volta di più, la difficile collocazione, anche in senso strettamente artistico, di questo grande lavoro pianistico.
Tranquillo Anto, una copia te la do io”, mi sento rispondere con tono rassicurante e un pò burlone. Un modo geniale per glissare la domanda…Ma è una domanda meno banale di quanto possa sembrare, perché le etichette, si sa,vengono utilizzate per comodità, per pigrizia, per evitare di approfondire, di ascoltare, di capire; per cercare nel solo scaffale che interessa, e ignorare gli altri. Ma stavolta è possibile utilizzare una sola etichetta:“Gianni Nocenzi”. Punto. Chi già sa, chi già conosce, non ha bisogno di indicazioni per trovare la strada, sa bene dove sta andando; chi vuole capire meglio, o chi è solo curioso, non perda tempo a cercarle, perché stavolta saranno tutte sbagliate. O meglio, saranno inadeguate a condurre l’ascoltatore verso il racconto che Gianni ci narra attraverso il suo canale preferenziale di comunicazione, fatto di pianoforte e di tecnologia. Tre elementi sono alla base di questa storia, che poi è la storia di Gianni Nocenzi: il suo racconto, il pianoforte, la tecnologia. Sembrano cose imparentate solo alla lontana, eppure coesistono e danno vita a un’esperienza (termine oggi purtroppo abusato, utilizzato per le minuzie: esperienza di navigazione, esperienza d’uso… ogni reazione a un qualunque stimolo che ci arriva da questo mondo di apparenze vacue sembra ormai dover essere misurata in termini di “esperienza”) unica, del tutto naturale. Gianni ci vuole raccontare sé stesso, il suo mondo, con uno strumento che potenzia, ampliandole, le possibilità di espressione. 




Ma una parte inscindibile di questo suo mondo è la tecnologia, la supertecnologia, cui ha dedicato grande parte della sua vita professionale e artistica. Per cui, il messaggio arriva carico di connotati anche sonori, spaziali, di profondità, di focalizzazione, ciascuno dei quali ha una ragione comunicativa e una valenza semantica ben precisa, e che rendono ancora più coerente il messaggio con le caratteristiche umane dell’artista: precisione, appropriatezza, misura, passione, cura per i dettagli. Sperimentare, sempre. Mentre suona, in realtà Gianni sta comunicando, e lo si capisce bene: lo Steinway non sta solo suonando, sta parlando. Sta raccontando un insieme di visioni, di sensazioni, di ricordi e di aspirazioni, sta srotolando e riavvolgendo nastri, si sta facendo beffe del tempo e dello spazio, sta dicendo tutto quello che sa. Ora si preoccupa per quello che in un qualche tempo, vicino o lontano, ha portato nubi scure; ora si apre nel sorriso per le giornate serene, ora parla sottovoce di speranze e di sogni, poi si imbizzarrisce all’improvviso per qualche accidente che proprio non ci voleva… Subito dopo i martelletti tornano a colpire lievemente le corde, fino a farle muovere appena, per un sussurro all’orecchio, per piangere in silenzio il ricordo di un amico.Il volto di Gianni non cambia espressione, non serve. Ci pensa il pianoforte, che sembra collegato via MIDI direttamente alla sua testa, tanto la tecnica esecutiva è impeccabile. Dai pianissimi ai fortissimi, con dei “crescendo” che sembrano arrestarsi solo un attimo prima dell’esplosione delle corde, facendo suonare tutta la tastiera (cifra caratteristica del pianismo di Gianni), dal primo all’ultimo tasto, ché nessuno si senta trascurato! Alla fine dell’ascolto si rimane per un po’ senza fiato, come se la ricezione del messaggio avesse impegnato tutte le nostre risorse (lasciatemi attingere al lessico computeristico, che non mi piace ma rende bene l’idea), e fossimo ancora lì con la clessidra che gira e rigira nella testa in attesa che i sensi ritornino a posto e i pensieri possano tornare a scorrere… Se mai avverrà. Di certo, rimarrà un segno indelebile. Mi ci è voluto qualche giorno per riprendermi del tutto. Oppure, al contrario: qualche giorno è durato l’effetto catartico di questa esperienza, prima che la vita quotidiana con le sue scocciature e inutilità riconquistasse il sopravvento. Gianni ha suonato tutti i pezzi in neanche due sessioni di registrazione, praticamente alla “buona la prima”. Questo rende ancora più autentico e sincero il suo lavoro, eseguito in un contesto al massimo livello della tecnologia, con il contorno affettuoso della sua famiglia, di Vittorio, dei suoi colleghi di lavoro storici, dei fonici di fiducia e di pochi amici. In certi momenti sembra baluginare dal passato l’immagine e l’atmosfera del salotto di Schubert, con gli amici seduti intorno ad ascoltarlo ed ammirarlo; ma subito l’immagine svanisce per far posto alle barre di led dei Vu meters, alle pareti di vetro fonoimpedenti, al “ragno” di microfoni per la ripresa 5.1 appollaiato giusto sopra la testa dell’esecutore. Impossibile e improprio raccontare o commentare i contenuti delle sei tracce di Miniature: lontanodall’idea della “musica a programma”, ovvero della sinergia tra diverse forme di espressioni in cui la musica, per essere meglio compresa, debba essere “spiegata” o comunque supportata da un commento che descrive l’ispirazione del compositore, Gianni Nocenzi ci lascia completamente liberi di far risuonare il nostro spirito con le sue note, con la certezza che nulla meglio delle note stesse potranno riportare in modo autentico il suo messaggio.Gli stessi titoli, cui a volte un artista affida il suo manifesto programmatico, non hanno il compito di prepararci o di guidarci all’ascolto. Semmai, se proprio vogliamo approfondire, ci sottopongono a una sorta di piccolo indovinello, non facilissimo da risolvere…Dal punto di vista tecnico, per quanto sia stata presa in considerazione la possibilità di ascolto attraverso i diversi mezzi di comunicazione e riproduzione ad oggi disponibili, sono dell’avviso che ci si debba mettere all’ascolto di Miniature con il migliore impianto di cui si dispone o, al limite, con una cuffia di alta qualità per poter apprezzare tutti i dettagli che, più sono minuti, più sono importanti. La sensazione, grazie anche all’attrezzatura e alla tecnica di ripresa accuratamente impostata da Gianni, è quella di sentire il pianoforte in modo nuovo, molto vicino a come lo percepisce il musicista che lo suona. Gianni Nocenzi è tornato. In realtà non è mai stato troppo lontano, ha solo avuto un po’ da fare per poterci stupire meglio. Buona Esperienza



martedì 23 agosto 2016

Gianni Nocenzi- "Miniature", di Antonello Giovannelli

Articolo già apparso su MAT2020 di agosto 2016

Gianni Nocenzi - Miniature
di Antonello Giovannelli


Il primo pensiero che mi è venuto in mente riascoltando Farfalle in anteprima, brano anticipatore dell'album Miniature (che ho avuto l’onore di ascoltare “dal vivo”, mentre il suono del magnifico pianoforte Steinway gran coda veniva catturato, risucchiato dall’avveniristico sistema di microfoni utilizzato per l’occasione), è quello che ho scambiato al telefono con Gianni Nocenzi mentre in macchina, di notte, rientravo a casa da Roma a Ferrara: “In quale reparto credi potrebbe essere collocato il tuo nuovo lavoro? Dove lo dovrò andare a cercare? Tra il Progressive? Nella Classica?”.
La domanda era fatta per riderci sopra, naturalmente, conoscendo bene l’avversione di Gianni per le etichette e, una volta di più, la difficile collocazione, anche in senso strettamente artistico, di questo grande lavoro pianistico.
Tranquillo Anto, una copia te la do io”, mi sento rispondere con tono rassicurante e un pò burlone. Un modo geniale per glissare la domanda…Ma è una domanda meno banale di quanto possa sembrare, perché le etichette, si sa,vengono utilizzate per comodità, per pigrizia, per evitare di approfondire, di ascoltare, di capire; per cercare nel solo scaffale che interessa, e ignorare gli altri. Ma stavolta è possibile utilizzare una sola etichetta:“Gianni Nocenzi”. Punto. Chi già sa, chi già conosce, non ha bisogno di indicazioni per trovare la strada, sa bene dove sta andando; chi vuole capire meglio, o chi è solo curioso, non perda tempo a cercarle, perché stavolta saranno tutte sbagliate. O meglio, saranno inadeguate a condurre l’ascoltatore verso il racconto che Gianni ci narra attraverso il suo canale preferenziale di comunicazione, fatto di pianoforte e di tecnologia. Tre elementi sono alla base di questa storia, che poi è la storia di Gianni Nocenzi: il suo racconto, il pianoforte, la tecnologia. Sembrano cose imparentate solo alla lontana, eppure coesistono e danno vita a un’esperienza (termine oggi purtroppo abusato, utilizzato per le minuzie: esperienza di navigazione, esperienza d’uso… ogni reazione a un qualunque stimolo che ci arriva da questo mondo di apparenze vacue sembra ormai dover essere misurata in termini di “esperienza”) unica, del tutto naturale. Gianni ci vuole raccontare sé stesso, il suo mondo, con uno strumento che potenzia, ampliandole, le possibilità di espressione. 




Ma una parte inscindibile di questo suo mondo è la tecnologia, la supertecnologia, cui ha dedicato grande parte della sua vita professionale e artistica. Per cui, il messaggio arriva carico di connotati anche sonori, spaziali, di profondità, di focalizzazione, ciascuno dei quali ha una ragione comunicativa e una valenza semantica ben precisa, e che rendono ancora più coerente il messaggio con le caratteristiche umane dell’artista: precisione, appropriatezza, misura, passione, cura per i dettagli. Sperimentare, sempre. Mentre suona, in realtà Gianni sta comunicando, e lo si capisce bene: lo Steinway non sta solo suonando, sta parlando. Sta raccontando un insieme di visioni, di sensazioni, di ricordi e di aspirazioni, sta srotolando e riavvolgendo nastri, si sta facendo beffe del tempo e dello spazio, sta dicendo tutto quello che sa. Ora si preoccupa per quello che in un qualche tempo, vicino o lontano, ha portato nubi scure; ora si apre nel sorriso per le giornate serene, ora parla sottovoce di speranze e di sogni, poi si imbizzarrisce all’improvviso per qualche accidente che proprio non ci voleva… Subito dopo i martelletti tornano a colpire lievemente le corde, fino a farle muovere appena, per un sussurro all’orecchio, per piangere in silenzio il ricordo di un amico.Il volto di Gianni non cambia espressione, non serve. Ci pensa il pianoforte, che sembra collegato via MIDI direttamente alla sua testa, tanto la tecnica esecutiva è impeccabile. Dai pianissimi ai fortissimi, con dei “crescendo” che sembrano arrestarsi solo un attimo prima dell’esplosione delle corde, facendo suonare tutta la tastiera (cifra caratteristica del pianismo di Gianni), dal primo all’ultimo tasto, ché nessuno si senta trascurato! Alla fine dell’ascolto si rimane per un po’ senza fiato, come se la ricezione del messaggio avesse impegnato tutte le nostre risorse (lasciatemi attingere al lessico computeristico, che non mi piace ma rende bene l’idea), e fossimo ancora lì con la clessidra che gira e rigira nella testa in attesa che i sensi ritornino a posto e i pensieri possano tornare a scorrere… Se mai avverrà. Di certo, rimarrà un segno indelebile. Mi ci è voluto qualche giorno per riprendermi del tutto. Oppure, al contrario: qualche giorno è durato l’effetto catartico di questa esperienza, prima che la vita quotidiana con le sue scocciature e inutilità riconquistasse il sopravvento. Gianni ha suonato tutti i pezzi in neanche due sessioni di registrazione, praticamente alla “buona la prima”. Questo rende ancora più autentico e sincero il suo lavoro, eseguito in un contesto al massimo livello della tecnologia, con il contorno affettuoso della sua famiglia, di Vittorio, dei suoi colleghi di lavoro storici, dei fonici di fiducia e di pochi amici. In certi momenti sembra baluginare dal passato l’immagine e l’atmosfera del salotto di Schubert, con gli amici seduti intorno ad ascoltarlo ed ammirarlo; ma subito l’immagine svanisce per far posto alle barre di led dei Vu meters, alle pareti di vetro fonoimpedenti, al “ragno” di microfoni per la ripresa 5.1 appollaiato giusto sopra la testa dell’esecutore. Impossibile e improprio raccontare o commentare i contenuti delle sei tracce di Miniature: lontanodall’idea della “musica a programma”, ovvero della sinergia tra diverse forme di espressioni in cui la musica, per essere meglio compresa, debba essere “spiegata” o comunque supportata da un commento che descrive l’ispirazione del compositore, Gianni Nocenzi ci lascia completamente liberi di far risuonare il nostro spirito con le sue note, con la certezza che nulla meglio delle note stesse potranno riportare in modo autentico il suo messaggio.Gli stessi titoli, cui a volte un artista affida il suo manifesto programmatico, non hanno il compito di prepararci o di guidarci all’ascolto. Semmai, se proprio vogliamo approfondire, ci sottopongono a una sorta di piccolo indovinello, non facilissimo da risolvere…Dal punto di vista tecnico, per quanto sia stata presa in considerazione la possibilità di ascolto attraverso i diversi mezzi di comunicazione e riproduzione ad oggi disponibili, sono dell’avviso che ci si debba mettere all’ascolto di Miniature con il migliore impianto di cui si dispone o, al limite, con una cuffia di alta qualità per poter apprezzare tutti i dettagli che, più sono minuti, più sono importanti. La sensazione, grazie anche all’attrezzatura e alla tecnica di ripresa accuratamente impostata da Gianni, è quella di sentire il pianoforte in modo nuovo, molto vicino a come lo percepisce il musicista che lo suona. Gianni Nocenzi è tornato. In realtà non è mai stato troppo lontano, ha solo avuto un po’ da fare per poterci stupire meglio. Buona Esperienza



lunedì 22 agosto 2016

Ritratti e ricordi di Francesco Di Giacomo, di Wazza

Ritratto e ricordo di Leonardo Duranti

Feci questo ritratto di te nel 2008, dopo averti conosciuto di persona. Un incontro con te era stato il mio regalo del diciottesimo compleanno, e l'abbiamo passato insieme, chiacchierando per ore di ciò che importa davvero, in uno dei più bei pomeriggi della mia vita. Non ho mai avuto il coraggio di spedirtelo e adesso non potrò più farlo perché te ne sei andato a tradimento, contraddicendoti, come ti piaceva fare.
È proprio vero, Francesco, gli Dei se ne vanno e gli arrabbiati restano.
Già mi manchi tantissimo.
Leonardo Duranti


"Sono io la bestia un sogno di libertà
un pensiero nero che fai e non dici mai
sono i mille amori pronti quando li vuoi
sono un pugno in faccia
che pensi ma non dai.."

C’è ancora tanta rabbia, per la tua assenza... fisica
Ci sarai sempre. Buon viaggio Capitano!... E buon compleanno in anticipo.
Wazza

Il ricordo di Tony Pagliuca

"L'ho conosciuto bene dopo gli anni del successo", ha ricordato l'ex tastierista de Le Orme Tony Pagliuca, "perché ai nostri tempi c'era poco dialogo tra noi musicisti rock, purtroppo, a causa di una rivalità smisurata amplificata dalle polemiche causate da certi giornalisti, che quando ti intervistavano piazzavano sempre una domanda del tipo 'Hanno detto che non sapete suonare’, e finivano per spostare sempre le interviste dal piano musicale e dei contenuti a quello personale. Mi rammarica molto che fra noi musicisti in quellepoca non ci sia stata una bella amicizia. Ma per fortuna lho recuperata dopo, negli anni ‘90, quando abbiamo anche suonato assieme, Francesco ed io, allAuditorium di Roma, dove lui cantò 'Sguardo verso il cielo'. Poi ci siamo sentiti molte altre volte per telefono. Era un amico sincero, un musicista che ha fatto la storia, uno tutto di un pezzo, un grande che sul palco portava anche il suo pensiero di uomo e che aveva anche un impegno sociale che, associato a quello musicale, lo rendeva veramente completo. Il fatto che sia morto relativamente giovane, in un incidente stradale, ci sottrae nel pieno della sua attività una persona che ha dato tanto alla musica e allarte di questo paese, un esempio di coerenza e di umiltà".







sabato 20 agosto 2016

L'inizio del campionato per Wazza




"Mio fratello è figlio unico, perchè è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone"
(Rino Gaetano) 

Con l'augurio che il Frosinone torni in A (popolo a me molto simpatico), torna oggi il campionato di calcio.
Con la speranza che non diventi sfogo per decerebrati, che dimenticano i veri problemi e si incazzano per un gioco!
Sono stato un grande ammiratore, e discreto giocatore, di questo bellissimo sport, quando i valori erano la partecipazione, "fare squadra" e l'altruismo.
Ormai è solo "business", fare cassa, non ci sono più le "bandiere", i giocatori simbolo, uno su tutti Gigi Riva.
In allegato, per fantasticare, alcuni team che a noi rockettari, piacerebbe vedere in campo.
Buon divertimento

Wazza


In questa foto, da sin. in alto:  Mita Medici, Vasso Ovale, Franco Califano (capitano), Erminio Salvaderi (Pepe dei Dik Dik), Don Backy, Jimmy Fontana, Nada. Sotto da sx: Paolo Mengoli, Massimo Ranieri, Sergio Di Martino (I Giganti) mancato a soli 49 anni nel 1996, Armando Savini, Giancarlo Sbriziolo (Lallo dei Dik Dik), Tonino Cripezzi (I Camaleonti) e Sergio Leonardi.

Nella foto: in piedi da sinistra: Mauro Pagani (il secondo) Giorgio Piazza (il quarto) Flavio Premolii (il settimo). Franz di Cioccio allenatore (lo riconosciamo dalla maglietta bianca). In basso a sinistra: Francone Mussida.