21 maggio
Ci sarai sempre
Buon viaggio
Wazza
La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
The Diogenes - Qui Pourrait Craindre Le Bien? (Luminol
Records, 2024)
Di Luca Paoli
Mi succede, ultimamente, di ricevere richieste
d’ascolto di dischi che non rientrano nel mio orticello confortante e, devo
dire che, dopo aver vinto una certa pigrizia e dopo averlo “assorbiti” mi hanno
colpito favorevolmente.
A volte basta poco… bisogna liberarsi da certi preconcetti
e buttarsi nelle nuove (per me) avventure soniche.
Questo è successo con “Qui Pourrait Craindre
Le Bien?”, album punk, grunge della band francese The Diogenes
uscito da pochi giorni per la sempre attenta etichetta Luminol Records.
La rock band è formata da Mathieu Torres
alle chitarre, alla voce ed autore dei testi, da Lionel Hazan al basso, Heiva
Arnal alla batteria, Clément Chevalier alla chitarra, Stéphanie
Artaud alla voce e alla direzione artistica ed infine citiamo anche Hugo
Lemercier che si è occupato della registrazione, del mixing e del
mastering.
Si può leggere dal comunicato stampa che non
sono solo una rock band; nonostante gli abiti bianchi che evocano un'immagine di
borghesia soddisfatta del proprio status, è un veicolo per l'attivismo
anticapitalista. Il gruppo cerca spazi per esprimere una critica militante e
diffondere un messaggio anticapitalista anche in contesti più convenzionali,
talvolta 'hackando' grandi festival. Le tracce dell'album " Qui Pourrait
Craindre Le Bien?” promuovono la decrescita, mettendo
in evidenza alternative sociali e solidali, e cercano di irrompere in ambienti
di ascolto solitamente conformi e 'sterilizzati' dagli standard industriali. Il
loro approccio etico e rigoroso richiama alla mente quello del compianto Steve
Albini. "Se sconvolgiamo troppo la borghesia, non capirà mai nulla",
dichiarano i Diogenes, quindi giocano sull'umorismo e sulla derisione.
Dal punto di vista musicale la proposta vede non solo il rock
muscolare ma anche momenti di indubbia raffinatezza musicale e stilista
evidenziando il valore compositivo e strumentale dei Nostri.
Gli undici brani (scritti negli ultimi due decenni) che
compongono la scaletta del disco sono, sì, un pugno nello stomaco, ma fanno
riflettere l’ascoltatore e, come scritto sopra, sanno anche suonare raffinati.
Il punk storico che viene attraversato da umori grunge degli
anni ‘90s e da una certa psichedelia è certo una proposta molto interessante,
resa attuale dai suoni di oggi, anche per i palati più fini che magari, come
me, non sono proprio dei cultori del genere.
Se devo scegliere dei brani dalla scaletta da proporvi
partirei proprio dalla traccia iniziale, “The Pillow”, che
evidenzia un gran lavoro di basso ed i grandi riff delle chitarre che portano
il punk verso territori più rock nel senso classico del termine e che racconta
dell’isolamento dell’ uomo e dei suoi disturbi mentali.
"Religion Cathodique" è un brano punk puro,
eseguito con maestria tecnica, che esplora e critica il discorso prevalente
veicolato dai mass media. Questi ultimi sono visti come artefici della
propaganda e dei dogmi di pensiero delle nostre società moderne.
Poi non posso non citare “Pink Song”, brano
dall’andamento più complesso per i suoi cambi di tempo ed umori ed ottimamente
interpretata dalla voce di Mathieu Torres … anche in questo brano si può apprezzare
l’ottimo lavoro della sezione ritmica e delle chitarre sempre protagoniste sia
quando graffiano che quando accarezzano.
“The Hole” è un altro grande brano che
racconta dei veleni della quotidianità e che mostra anche il lato pop della
band nonostante non rinuncia a mo0strare i muscoli quando serve.
Infine, vorrei citare “Beyond Myself”,
brano dal ritmo contagioso che parla del dominio dei mass media e che,
musicalmente, presenta un momento di pura raffinatezza con uno stupendo solo di
chitarra.
Ho citato solo quei brani che più mi hanno
colpito ma vi assicuro che tutto il lavoro è estremamente interessante ed
ottimamente interpretato e presenta inserti strumentali di sicuro pregio.
I testi poi sono sarcastici, ironici e
evidenziano e denunciano il periodo negativo che l’umanità sta vivendo e lo
fanno con un sound si granito ma anche con un certo gusto raffinato che nel
punk e nel grunge non spesso capita di ascoltare.
TRACK LIST
01- Pillow
02 - Gluttony
03 - Religion Cathodique
04 - Tiny Lighted Window
05 - The Lord
06 - Néo-libéralise moi
07 - The Hole
08 - Beyond myself
09 - Pink Song
10 - Touche ma bite
11 - Sacrifice à Dieu
Un ricordo del grande Franco Battiato relativo ai suoi inizi, quando spesso veniva contestato per la sua musica “d’avanguardia”.
RIP
Wazza
Nel novembre del 1973 Franco Battiato
intraprese un tour in Europa, esibendosi all'Olympia di Parigi, a Bordeaux, a
Barcellona, a Madrid e a Bilbao.
L'anno successivo, dopo la
pubblicazione il giorno venerdì 14 febbraio 1975 in tutta Europa dell'album
Clic! dedicato a Karlheinz Stockhausen, edito dalla Island Records, Battiato
doveva partire per una nuova mini tournèe europea insieme a Stomu Yamashta ed
al gruppo francese Magma.
Fonti non accertate narrano che
questo tour non fu mai effettuato (o venne fatto solo in una minima parte) a
causa di un grave incidente stradale dove anche Battiato venne coinvolto:
Franco Battiato ed i Magma suonarono realmente insieme dal 13 al 23 febbraio ma
poi a causa di questo incidente non furono fatte altre date.
Questa fotografia scattata a Milano
risale proprio a quel periodo e vede insieme Franco Battiato, Stomu Yamashta e
l'ex discografico Luigi Mantovani.
Compie gli anni oggi, 17 maggio, Bill Bruford, batterista, colonna portante della scena progressive, amante del jazz.
Ha suonato praticamente con tutti, esempio e modello per generazioni di batteristi.
Da tempo ha deciso di ritirarsi dalla scena (mentre tanti mediocri ancora insistono!)
Happy Birthday William!
Wazza
Brutta avventura per i Pink Floyd dopo le date del 15 e 16 maggio 1970,
al Warehouse di New Orleans.
Fu rubato il camion con tutte le costose attrezzature, ma grazie ad una ragazza, figlia di un dipendente dell’FBI, in poco tempo il tutto fu recuperato e terminò lo sconforto per i quattro musicisti inglesi.
Di tutto un Pop!
Wazza
Maggio 1970: i Floyd stanno finendo
il tour in Nord America, ma non avrebbero mai immaginato cosa sarebbe successo
dopo le date del 15 e 16 maggio al “Warehouse” di New Orleans in Luisiana.
Dopo il concerto - in cui suonarono
anche la Allman Brothers Band e i Country Funk -, mentre i Pink Floyd dormivano
in albergo, dal loro camion furono rubate tutte le attrezzature per un totale
di 40.000 dollari!
Fu portato via tutto: 4 chitarre
elettriche (compresa la Black Strat che David aveva comprato poche settimane
prima), un organo, un impianto acustico da 4000w con dodici altoparlanti, 5
unità echo Binson, microfoni, 2 batterie e chilometri di cavi. Di conseguenza i
restanti concerti del tour, a Huston e a Dallas, furono annullati.
In un’intervista rilasciata a “Melody
Maker” Nick Mason disse: “Fu una catastrofe, ci ritrovammo seduti in hotel a
pensare: -ecco, è tutto finito-. Raccontando i nostri guai a una ragazza che
lavorava lì venimmo a sapere che suo padre lavorava per l’FBI. La polizia non
ci aveva aiutati molto. L’FBI invece si mise ad indagare e quattro ore dopo
ritrovò le nostre cose”.
YES
– THE CLASSIC TALES OF YES TOUR 2024
PADOVA
– GRAN TEATRO GEOX – 8 MAGGIO 2024
Di Evandro Piantelli
Dopo diversi rinvii dovuti
alla pandemia e, sembra, ad altri problemi organizzativi, finalmente questo
concerto, inizialmente previsto per il 2020, si è potuto tenere regolarmente.
Ed io, per una serie di motivi che vi spiegherò più avanti, mi sono lasciato
tentare ed ho preso il biglietto. Naturalmente vi racconterò nei dettagli
quello che ho visto e ho sentito. Ma prima, bisogna fare un salto indietro nel
tempo. Anzi, due.
NICE,
Palais des expositions – 20.07.1984
Il mio primo concerto degli Yes ha coinciso col tour promozionale del disco
“90125”, un lavoro rivoluzionario, che ha sorpreso i vecchi fan e ne ha regalati
al gruppo molti nuovi. Nel corso della serata la band (Jon Anderson – voce,
Trevor Rabin – chitarre, Tony Kaye – tastiere, Chris Squire – basso e Alan
White - batteria) aveva eseguito quasi interamente il nuovo disco (con l’hit Owner
of a lonely heart), oltre ad alcuni classici quali Yours is no disgrace,
Long distance runaround, And you and I, I’ve seen all good people,
Roundabout ed una versione “interstellare” di Starship trooper, con le luci ed i
laser che trasformavano il palco in una nave spaziale che decollava verso
l’infinito (ed oltre). Un concerto indimenticabile, che per anni è stato il mio
preferito fra le centinaia a cui ho assistito.
VADO
LIGURE, Stadio Chittolina – 12.07.2003
Con mia grande sorpresa, in
una calda serata di luglio di oltre 20 anni fa, gli Yes hanno tenuto un
concerto allo stadio comunale di Vado Ligure che, per chi non lo conoscesse, è
un piccolo comune vicino a Savona, a pochi chilometri da dove vivo. La band
aveva da poco pubblicato “Magnification”, un disco di prog sinfonico, ma la
cosa più interessante era che si presentava sul palco con una delle lineup più
amate della sua lunga storia, cioè quella di “Tales from topographic oceans” e
“Going for the one”, con Steve Hove – chitarre, Rick Wakeman – tastiere, Chris
Squire – basso, Alan White – batteria e Jon Anderson alla (sempre splendida)
voce. Concerto che ha visto la band proporre grandi classici quali, tra gli
altri, South side of the sky, Wonderous stories e uno dei miei
brani preferiti di sempre, Awaken, con un paio di pezzi tratti dal
lavoro più recente, cioè Magnification e In the presence of. Inutile
dire che, anche questo concerto, rimane tra quelli che ricordo con maggiore
affetto.
E veniamo quindi al concerto
di Padova ed ai motivi che mi hanno spinto ad andarci.
1.
La formazione. Dopo la scomparsa di Squire (2015)
e di White (2022) gli Yes si presentano con una formazione che vede Steve Howe
alle chitarre e voce, Geoff Downes alle tastiere (tornato negli Yes dopo averne
fatto parte nel 1980 ai tempi di “Drama”), Billy Sherwood al basso (che collabora
con la band da molti anni ed ha avuto il difficile compito di sostituire
l’immenso Squire), Jon Davison alla voce e chitarra acustica e Jay Schellen
alla batteria (che già da qualche anno affiancava ai tamburi Alan White).
Vorrei far notare che nessuno degli attuali componenti della band era presente
al concerto del 1984 ed il solo Howe era sul palco a Vado Ligure.
2.
Il nuovo disco. Nel 2023 gli Yes hanno
pubblicato con l’attuale formazione “Mirror to the sky” un lavoro piacevole e
onesto, che si ascolta volentieri e contiene al suo interno alcuni brani di
ottima fattura, tra i quali Cut from the stars e All connected.
Personalmente il disco mi è piaciuto e lo ritengo uno dei migliori pubblicati
da un po’ di tempo a questa parte, almeno dai tempi di “Fly from here” (2011).
3.
La scaletta. Ero molto curioso di scoprire
quali pezzi, nello sterminato repertorio della band, sarebbero stati proposti
nel corso della serata. Pezzi solo classici o anche pezzi dal nuovo album? E
tra i pezzi storici avremmo ascoltato i “soliti noti” oppure ci sarebbe stata
qualche sorpresa? Lo scoprirete presto perché adesso (qualcuno dirà:
“finalmente!”) inizia il vero racconto della serata. Mettetevi comodi, lo
spettacolo va a cominciare.
Il Gran Teatro Geox di
Padova ha tutte le caratteristiche che dovrebbe avere uno spazio per concerti:
è facilmente raggiungibile, ha un ampio parcheggio, l’acustica è eccellente e
le poltrone sono disposte in modo da assicurare un’ottima visibilità anche
dalle file posteriori. All’ingresso del teatro ci accoglie una mostra/mercato
di disegni numerati ed autografati da Roger Dean, lo straordinario artista che
ha realizzato buona parte delle copertine degli Yes (e di molti altri gruppi storici
del prog e non solo). Si tratta di lavori bellissimi ma, per il sottoscritto,
un po’ cari, perché i prezzi vanno dai 125 euro per un set di quattro disegni
poco più grandi di una cartolina ai 1.500 euro per i disegni delle copertine
dei dischi più famosi. Comunque, un bel benvenuto per i tanti appassionati
accorsi da tutta Italia e dall’estero.
Alle 21.15, puntualmente, si
spengono le luci e sale sul palco la band accolta dagli applausi di tutti i
presenti. L’inizio del concerto è a dir poco micidiale con una Machine
messiah da brividi, dove la chitarra di Howe ed il basso di Sherwood
dominano la scena con un botta e risposta che non lascia indifferenti. Segue It
will be a good day (da “The ladder” del 1999), un bel pezzo che mette in
evidenza le doti vocali di Davison, a cui seguono due super classici: Going
for the one e I’ve seen all good people. La band è affiatata e anche
Downes e l’ultimo arrivato Schellen paiono ben integrati nel combo. Il gruppo
propone poi una versione esclusivamente strumentale di America, un pezzo
di Paul Simon che il gruppo aveva pubblicato all’epoca solo in 45 giri.
Personalmente la scelta di tagliare la parte cantata non mi ha entusiasmato, ma
comunque il pezzo è bello. Seguono la dolce Time and a word e Don’t
kill the whale un pezzo che, ricorda Steve Howe, già negli anni ’70
anticipava temi ambientalisti. La prima parte del concerto (a cui seguirà una
pausa di una ventina di minuti) si chiude con il capolavoro Turn of the
century, un lungo brano tratto da “Going for the one” che, secondo molti
tra i presenti, da solo valeva il prezzo del biglietto. Dopo la pausa il
concerto è ripreso con South side of the sky (tratto da “Fragile” del
1972), seguita da Cut from the stars, unico trai pezzi eseguiti proveniente
da “Mirror to the sky”. Per concludere la seconda parte del concerto gli Yes
hanno scelto di proporre un Medley dei quattro brani che compongono “Tales from
topographic oceans” e cioè The revealing science of God/The remembering/The
ancient/Ritual (nous sommes du soleil). Questa proposta, a mio avviso, ha
rappresentato l’unico punto debole della serata, non tanto per l’esecuzione
(sempre perfetta) quanto per il modo in cui i pezzi sono stati cuciti insieme,
una specie di puzzle sonoro che mi ha lasciato un po’ perplesso. Dopo una breve
uscita la band è tornata sul palco per gli immancabili encore, eseguendo
una coinvolgente versione di Roundabout e salutando il pubblico con una
sempre bellissima Starship trooper (questa volta senza astronave).
Cosa possiamo dire di questo concerto? Bella scelta di brani, esecuzione con pochissime sbavature, band affiatata, performance nel complesso godibile. Certo, qualcuno si chiederà se è giusto che si chiamino Yes o se non sarebbe più corretto The Steve Howe band. È difficile rispondere a questa domanda, ma se ci guardiamo intorno sono molte le band dove è rimasto solo uno dei componenti storici, ma che continuano a fare dischi e concerti con la denominazione originaria (tra quelli che ho visto mi vengono in mente PFM, Uriah Heep e Hawkwind, ma ce ne sono molti altri), per non parlare dei gruppi dove non c’è più nessuno dei membri storici. Ma qui ci sarebbe da aprire un capitolo che va oltre la recensione del concerto.