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domenica 6 ottobre 2024

PFM e Arti & Mestieri: accadeva nell'ottobre del 1974-Il ricordo di Beppe Crovella

PFM on stage 1974

Ottobre 1974, parte il Tour della Premiata Forneria Marconi con gli Arti & Mestieri, gruppo "supporter".
La PFM era agli "albori", e per il gruppo torinese di Beppe Crovella & Co. fu l'occasione per farsi conoscere dal grande pubblico.
Di tutto un Pop…
Wazza

 Arti & Mestieri  1974

«La nostra casa discografica era la Cramps, la guidava Franco Mamone, che era anche il manager della Premiata Forneria Marconi. Fu lui a scegliere gli Arti & Mestieri come gruppo spalla da far scoprire allItalia». 

Nel racconto del primo viaggio cè tutto lo spirito di quel periodo: «La tournée iniziava da Palermo, così partimmo in furgone, un Transit, verso la Sicilia. Viaggiamo dalle 22 del sabato sera alle 10 del lunedì mattina; alle 17 siamo sul palco del teatro per il primo dei due concerti del giorno. Nelle sale si faceva la doppia, mentre nei palazzetti dello sport la serata era unica».
Era il 1974, e sulla mappa di un tour del genere non poteva mancare il Palasport del Parco Ruffini, dove il gruppo di Crovella fece gli onori di casa e il pubblico straripava: «La capienza era intorno ai seimila spettatori, ma quella sera erano novemila. Il rock cosiddetto progressive andava forte in Italia, più che in altri paesi». 



Lo confermarono alcuni incontri ravvicinati che gli Arti & Mestieri ebbero in quel periodo: «I Gentle Giant a Torino restarono a bocca aperta, in Inghilterra erano abituati a esibirsi in club da 300 persone, qui si trovarono di fronte una marea di migliaia e migliaia di fan».
Gli stranieri si passavano la parola, a volte le loro tournée italiane partivano da spazi periferici, per poi dilagare al secondo giro. «I Genesis, per esempio, li vidi la prima volta alla Rotonda di Cuorgnè; i concerti successivi avrebbero riempito allinverosimile il solito Palazzetto».
Con le prime contestazioni: «Gli autoriduttori iniziarono a farsi sentire a metà decennio, eppure per le band anglosassoni lItalia restava una meta privilegiata grazie ai numeri da capogiro degli spettatori che accorrevano ad ascoltarli». 
Tra Arti & Mestieri e PFM i rapporti erano ottimi: «Lappuntamento sicuro era per mangiare tutti insieme nel dopo concerto, ma prima di ogni show Franz Di Cioccio veniva nel nostro camerino a chiacchierare. Per noi inoltre era molto istruttivo lavorare con i loro tecnici, gli inglesi della Manticore, letichetta di Emerson, Lake & Palmer. Andammo vicini a firmare un contratto del genere anche noi, ma i management non si accordarono».  

Oltre che di tecnici, era una questione di strumenti: «Una volta il loro tastierista Flavio Premoli mi fece adoperare il suo organo, unaltra capitò che lasciarono uno strumento prezioso, il Mellotron, al Teatro Valdocco. Anni dopo, quando dopo un periodo di silenzio riformammo gli Arti & Mestieri, andammo a cercarlo, ma non cera più». Resta in rete una puntata di Speciale per voi, di Renzo Arbore, in cui il popolare showman mostra lo strumento della PFM e ne illustra il funzionamento. 
La simbiosi tra le due formazioni avrebbe fruttato anche allestero: «Debuttammo con la Pfm laggiù, piacemmo e da quella serata scaturirono altri tre tour degli Arti & Mestieri».

Beppe Crovella




sabato 5 ottobre 2024

October 5, 1979: Dave Pegg's debut


Debuting on October 5, 1979 at the Maple Leaf Garden in Toronto (Canada), Dave Pegg - bass, mandolin, backing vocals -, coming from Fairport Convention, one of the most important groups of the English folk-rock movement.

He remained there until 1995.

Of all a Pop...

Wazza



Jethro Tull lineup (October 1979 - April 1980): Ian Anderson, Dave Pegg, Martin Barre, Barriemore Barlow, John Evan and David Palmer





Usciva il 5 ottobre del 1970 "Led Zeppelin III"

LED ZEPPELIN - CIAO 2001 - OTTOBRE 1970


Usciva il 5 ottobre 1970 l’album “Led Zeppelin III”, pietra miliare del rock, perfetto connubio tra hard-rock-blues e folk.

E pensare che all’uscita fu stroncato dai critici, che storcevano il naso per i tanti pezzi “acustici”, considerati una debolezza da parte della band.

Di tutto un Pop

Wazza

Led Zeppelin, 1970

di Pier Paolo Farina

Il cuore caldo di questo splendido album trae la sua genesi da una pausa di relax vissuta insieme da cantante e chitarrista della formazione, rifugiatisi nella campagna del Galles per una quindicina di giorni a ritemprarsi dopo il primo, pazzesco anno e mezzo di vita del gruppo durante il quale il Dirigibile aveva prodotto due album (uno in poche e febbrili notti a Londra, l’altro a spizzichi e bocconi in giro per gli studi di mezzo mondo nelle pause fra un concerto e l’altro), cinque tournée in America, una enorme e irripetibile sensazione in giro.

Niente corrente elettrica nel rifugio scelto dai due musicisti e allora è il momento buono per Jimmy Page di imbracciare l’acustica portata con sé e dar copioso frutto agli insegnamenti appresi dalla scuola folk inglese a lui tanto cara, sperimentando le sue accordature strane e inusuali, nonché per Plant di adeguarvisi felicemente canticchiando sopra gli insoliti accordi del partner e dando fondo al suo lato hippy e sognante. Ne viene fuori un bel mazzo di temi che andranno a costituire non solo l’ossatura di questo lavoro, ma pure parte di quelli a venire fino al “Physical Graffiti” di quattro anni dopo. Il tema più bello scaturito da quei giorni ispirati viene in ogni caso momentaneamente accantonato, andrà a costituire l’incipit della celebre “Stairway To Heaven”, pronta solo per l’album successivo.


Quando però, una volta rientrati a Londra dal Galles, tutto quel certame acustico e quieto viene posto sotto le grinfie degli altri due compari, soprattutto del bombastico batterista che si ritrovano in formazione, si ha la mutazione zeppeliniana del placido folk rurale in un suono autenticamente mai sentito prima, un “heavy folk” drammatico e teso in cui gli strumenti acustici, tirati per la giacchetta da tale cattiveria ritmica e dall’esuberante ugola del giovane Plant, sferragliano tosti e circondano la sua strepitosa voce in una intensa gazzarra che non ha nulla di placido.

Sotto questo aspetto la seconda traccia “Friends” e la sesta “Gallows Pole” sono due luminosissimi archetipi di un modo di pompare tensione e pesantezza pur giostrando con banjo e roba simile che non ha/avrà uguali. La centralità ed indispensabilità di John Bonham nel suono Zeppelin trova qui la sua dimostrazione più evidente, è lui a spingere più di tutti il gruppo verso vette di intensità e cuore mai più raggiunte da altri. Parlare di cuore per uno strumento che fa “boom” con la cassa e “stra” col rullante eccetera potrebbe sembrare strano ma è proprio così: l’ascolto di John Bonham mentre accompagna i suoi pards nelle grandi canzoni di quest’album e in generale di tutta la produzione Zeppelin è un’esperienza prima di tutto di cuore, del grande cuore che aveva quest’uomo semplice, ingenuo, ubriacone, capace di pestare fortissimo e al contempo con una dannata umanità (e creatività). Nel suo genere, il migliore di sempre, senza alcuno scampo per possibili alternative.


In “Friends” ci mette poi molto del suo anche il “quarto uomo” John Paul Jones, sovrapponendo all’incedere ritmico un grosso, drammatico bordone di sintetizzatore dal sapore vagamente mediorientale, uno spunto musical/culturale che ritornerà volentieri in altri capolavori del gruppo (“Kashmir” soprattutto, proprio su “Physical Graffiti”).

“Gallows Pole” invece è costruita maggiormente in crescendo e ci pensa l’interpretazione di Plant, sempre più pressante e parossistica, a gonfiare via via di urgenza e tragedia al brano, nel quale viene raccontata la supplica di un condannato al suo boia che lo sta per immolare sul patibolo.

Altri sipari acustici presenti nel disco sono comunque assai meno acri, ad esempio “Bron-Y-Our Stomp” celebrazione del rifugio campagnolo trovato da Plant e Page, una marcetta debitamente appesantita dalla rimbombante cassa di Bonham, nella quale il suo chitarrista si diverte a correre agile e geniale sullo strumento accordato in Mi Maggiore ed il cantante a miagolarvi sopra il suo potentissimo falsetto. E ancora “Tangerine”, non un prodotto di quelle giornate a Bron-Y-Our bensì un “avanzo” degli ultimi tempi degli Yardbirds, il gruppo rock/beat di provenienza di Page, in effetti una ballata con tutt’altra atmosfera, dolciastra (sin dal titolo “Mandarino”) e manierosa, un poco fuori contesto in un album così obliquo e misterioso. Meglio sarebbe stato, a mio giudizio, inserire al suo posto l’ottima “Hey Hey What Can I Do”, ennesima “heavy folk ballad” magari ripetitiva rispetto ad altri episodi dell’album ma assai più asciutta e in riga col resto, rimasta invece inopinatamente fuori e relegata a lato B di un singolo.

Dal punto di vista della dolcezza, assai più riuscita la ballata “That’s The Way” dal profilo ondeggiante grazie ad una deliziosa risacca di chitarra acustica (per gli strimpellatori: accordata abbassando di un tono la prima, seconda e sesta corda) rafforzata da mandolino e steel guitar, una festa del Page più californiano e campagnolo.

Se la seconda parte dell’opera è veramente il festival dell’acustico (ma quasi sempre con nerbo e tensione, come si è detto) la prima parte dispone di alcune bellissime cose elettriche. L’apertura di “Immigrant Song” è di nuovo grande archetipo: una cavalcata giocata su di un semplice irresistibile riff, economicissimo dato che adopera un’unica nota di FA# giocata ritmicamente su due ottave diverse. Robert Plant entra fantasticamente come una specie di sirena pericolosa e poi sciorina il primo testo della storia alle prese con dei, paradisi nordici, martelli di Thor e compagnia cantante. Siamo né più né meno che al cospetto del capostipite di un intero, fiorentissimo genere che verrà, l’heavy metal di ispirazione gotica e pagana; non sto a far presenti i fiumi di parole, le migliaia di canzoni, le decine di gruppi, le centinaia di copertine di dischi alle prese con l’al di là nordico ed i suoi miti, con corollario di nerboruti cavalieri brandenti grosse asce sanguinanti, spadoni ed elmi e poi le battaglie e l’onore e la gloria… tutto un mondo musicale (per molti assai burino ed esagerato senz’altro) del quale questa canzone può essere indicata a vero prototipo. Il brano è assai breve, meno di tre minuti giacché Page non ritiene opportuno, a ragione, inserirvi un assolo di chitarra. Lo farà nelle esibizioni dal vivo, senza risultati particolarmente rimarchevoli.

L’hard rock in posizione n° 3 “Celebration Day” è meno celebre ma sempre notevole grazie soprattutto alla performance ritmica di Page, stavolta non inchiodata ad un riff ma fluida e creativa nel tracciare con settime e none gli spunti armonici per il cantato genialmente asincrono e libero di Plant che rende estremamente dinamico il tutto: una perla semi-nascosta del repertorio, forse oscurata dal fatidico blues che la segue a ruota.

Fra i capolavori assoluti di questa band riconosciuta di tanti capolavori, “What Is And What Should Never Be” è IL blues, che piace anche a chi non sopporta il genere, tale è l’intensità, la drammaticità, la voglia, la perizia e la coesione del gruppo colto qui in assoluto momento di grazia. Page imperversa con una performance piena di anima e fuoco, piazza il suo assolo più devastante del repertorio, letteralmente portato in spalla dal suo batterista che a suon di sberle inaudite a piatti e tamburi riempie e sottolinea impagabilmente tutte le pieghe sonore di un brano che ne è ricchissimo. L’organo Hammond ed il basso di Jones fanno il loro dovere alla grande, Plant geme e urla posseduto dal sacro fuoco della sua giovane energia: uno spettacolo, sette minuti grandiosi.

Dopo tanta possanza, il rock blues che segue, “Out On The Tiles”, fa la figura del riempitivo, col suo riff un poco contorto e forzato, condito di sincopi e sonori stacchi che però non riescono a far decollare del tutto la musica, malgrado anche il gran daffare di Bonham ai tamburi. Altro riempitivo è l’episodio conclusivo del disco, “Hats Off To Roy Harper”, un esperimento blues trattato con un’esasperata distorsione, voce e chitarra in un tunnel sonoro aspro e melmoso, assai sperimentale ma in definitiva sfocato, uno dei pochissimi episodi zeppeliniani passati completamente nel dimenticatoio.

Grande, grandissima musica.






venerdì 4 ottobre 2024

Debut on October 4, 1980 for Eddie Jobson and Mark Craney

Eddie Jobson and Mark Craney, keyboardist and drummer, made their live debut  on October 4, 1980, at the start of the "A" tour, at the "State College" in Salisbury Md. USA, in the "revolutionized" formation of Jethro Tull, wanted by Ian Anderson.

They did not last long: Mark Craney left in June 1981 for health reasons (!!), Jobson left after the world tour that followed the album.

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Wazza









Atom Heart Mother: era l'ottobre del 1970

Nell’ottobre 1970 usciva Atom Heart Mother, il disco dei Pink Floyd con la “mucca” in copertina. Uno dei tanti capolavori sfornati negli anni ’70.

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Wazza


Pink Floyd 1970

Dopo alcuni discreti album che mescolano il rock psichedelico barrettiano al prog più consono al nuovo chitarrista Gilmour, i Pink Floyd escono nel 1970 con il loro primo grande capolavoro. “Atom Heart Mother” rappresenta il definitivo distacco da quella musica da LSD tipica dell’ormai perso Syd Barrett a favore di nuove melodie più limpide e gradevoli e apre una nuova epoca nel gruppo e nel rock in generale.

Una curiosa copertina, nella quale è raffigurata una serena immagine rurale con uno stupendo esemplare bovino in primo piano, ci introduce immediatamente al pezzo forte dell’album. La title track, una suite strumentale che occupa l’intera facciata del vinile, costituisce uno dei più splendidi esempi di come il rock possa elevarsi ad arte maggiore: il progressive si mescola a melodie classicheggianti, strumenti come chitarre e batteria alle trombe.

La suite, alla quale collaborano tutti i membri del gruppo con l’aiuto dell’esterno Ron Geesin che si occupa dell’orchestrazione, è divisa in sei parti, nelle quali si narra musicalmente la storia dell’uomo stroncata al centro da un’esplosione, che non è altro che la terribile bomba atomica. Alla fine, però, la vita trionfa e il pezzo si conclude con il leitmotiv musicale in un crescendo che esplode definitivamente nel coro finale.

Dopo essersi immersi in un capolavoro senza tempo, si torna alla realtà; i Pink Floyd, escluso il batterista Mason, decidono di spartirsi i tre pezzi successivi. Il lato B si apre con “If”, composta, suonata e cantata da Roger Waters, una ballata che non si discosta molto dal genere folk, nella quale il bassista si diletta eseguendo un semplice arpeggio di chitarra acustica ripetuto più volte. Rick Wright compone invece “Summer ‘68”, nella quale è ovviamente il suo piano a farla da padrone, oltre alla sua voce che comparirà sempre più raramente nelle opere della band, il tutto in un dolce brano dai toni nostalgici.

 

La successiva “Fat Old Sun” è invece opera di David Gilmour, che comporrà da solo per i Pink Floyd soltanto “Childhood’s End” in “Obscured by Clouds” (1972) prima del tardo album “A Momentary Lapse of Reason” (1987). La dolce e malinconica voce solista del chitarrista si sovrappone agli accordi, che saranno successivamente ripresi dai Litfiba nella loro “Sexy Dream”, prima di lasciare spazio allo splendido assolo di chitarra che chiude il brano.

A suggello finale dell’album una seconda gradevole suite strumentale intitolata “Alan’s Psychedelic Breakfast”, alla quale ancora una volta le forze dei quattro membri si uniscono, nella quale questo fantomatico Alan si prepara la colazione. I suoi monologhi e i suoi rumori introducono dolci pezzi strumentali, che sono ripartiti a tre riprese, i quali conferiscono una connotazione romantica al quadretto domestico. Un rubinetto che gocciola è l’ultimo suono dell’album.

Nonostante Gilmour l’abbia definito “una vera porcheria”, “Atom Heart Mother” apre quella che sarà la fase di maturità compositiva dei Pink Floyd, e se è vero che il lato B è leggermente carente sul piano musicale, vale la pena per gli appassionati di rock possedere questo album se non altro per la splendida title track. Un album nel complesso dolce, simile nella struttura ma diverso nella forma dal successivo “Meddle”, ma sicuramente una pietra miliare nell’evoluzione di una delle migliori band di sempre.

di Federico Principi




giovedì 3 ottobre 2024

BANCO: accadeva il 3 ottobre 1998


3 ottobre 1998, il BANCO suona al "Centro Sociale La Torre"

In una tre giorni che ospitava anche il Balletto di Bronzo e i Garybaldi di Bambi Fossati

(By kind permission of Wazza)




Rodolfo Maltese, il Banco, Marino...

..."Mille carezze contro il cielo,

 un bicchiere di vino non basterà."


Ci lasciava (fisicamente) il 3 ottobre del 2015 Rodolfo Maltese...”, e mi viene da ri-pensare a quello che provai all’uscita della chiesa di Marino.

Uscito dalla chiesa di San Barnaba a Marino, dopo avere salutato Rodolfo, vengo "rapito", dalle note di "E mi viene da pensare", che gli altoparlanti diffondevano nella piazza, ancora addobbata a festa per la "Sagra dell'uva"; nell'aria c'è odore di vino e ciambelle al mosto.

E mi viene da pensare... a quante volte in quella piazza l'ho sentita suonare dal vivo da Rodolfo con il Banco... 


Marino città natale di Vittorio e Gianni Nocenzi, di Filippo Marcheggiani, di Ines, moglie di Rodolfo, praticamente la "culla" del Banco Del Mutuo Soccorso.

La città della "mitica stalla", dove le idee di cinque "ragazzi ventenni" diventavano i capolavori che tutti conosciamo e continuiamo ad amare; se non sbaglio proprio in un locale sotto la chiesa di San Barnaba, nel 1975, il Banco fece le prove del tour inglese, alla presenza di Greg Lake.

A Marino nell'1987 potevi incontrare Rodolfo passeggiare con Riccardo Cocciante...

E poi la "Sagra dell'uva": quante volte il Banco è stato protagonista di questa storica festa, con concerti "memorabili", sia nella piazza citata che nello stadio comunale.

E lì, su quella scalinata, me ne sono venuti in mente due...

Banco, Osanna & James Senese 

Ottobre 1999 - Banco & Friends, gli "amici" erano James Senese e gli Osanna con Lino Vairetti e Danilo Rustici. Nel pomeriggio, prova al "volo" con Senese nello studio di Vittorio, per ripassare alcuni brani. La serata è aperta dagli Osanna, con James a dare man forte ed arricchire il loro sound; poi entra il Banco, mi ricordo che all'epoca iniziavano con il brano "Brivido"… e un lungo brivido fu l'interpretazione di "750.000 anni fa l'amore", con un solo di sax di Jam Senese (spero che qualcun, pubblichi queste gemme!), finale tutti sul palco per cantare "Non mi rompete", grande serata, grande calore del pubblico, grande feeling tra Banco & Osanna, poi tutti insieme a cena per chiudere una serata epica.


L'altro ricordo, tra le nebbie celebrali dei miei "60 trattabili...", è quello dell'ottobre 2004.

In quella straordinaria serata uscì fuori tutto l'estro "teatrale" di Francesco Di Giacomo e Vittorio Nocenzi, che tra un brano e l'altro te li ritrovi tra il pubblico, o affacciati ad una finestra che dava sulla piazza, a recitare poesie… che spettacolo! Vittorio che "giganteggiava" sulle tastiere come un capitano sul ponte della nave, e la band - Rodolfo, Tiziano, Filippo, Maurizio, Alessandro - abili "marinai" a condurre la nave in porto!

Arte, musica teatro, impegno, partecipazione… in una parola sola Banco!

Piazza strapiena, concerto manco a dirlo eccezionale, pubblico sorpreso e nello stesso tempo entusiasta di questo "concerto diverso", concluso da Francesco che salutava il pubblico dicendo: "Finché c’è vino c’è speranza!"… un genio!

Qualcuno di voi c'era? Vi ricordate altri particolari?

Per non dimenticare…

Wazza




mercoledì 2 ottobre 2024

Compie gli anni Mike Rutherford


Compie gli anni oggi, 2 ottobre, Mike Rutherford, membro fondatore dei Genesis.

Inizialmente bassista, poi dopo la dipartita di Steve Hackett, si trasformò in chitarrista.

Oltre alla lunga carriera con i Genesis ha registrato due album solisti, e nel 1985 fonda il gruppo “Mike+ The Mechanics” con il cantante Paul Carrack.

Happy Birthday “Pluto”!

Wazza  






martedì 1 ottobre 2024

The Jethro Tull... shoot, in October 2013

I’m Your Gun…

Perhaps the rumor had also spread in America that Ian Anderson liked to shoot rabbits and seals on his estate that ate salmon at the time of the farm.

It just so happens that during the 2013 US tour he was invited to fire a machine gun after a concert, in October 2013...

Of all a Pop...

Wazza

 

Ian Anderson shoots an M4 at the F6 Labs shooting range. Whether it's a pistol or a rifle, Mr. Anderson has phenomenal shooting and is extremely skilled in firearms. His favorites are the M1911, Walther PPK, and (of course) the Browning Hi-Power

From left to right, F6 Labs princes, Ian Anderson (vest), Stephen Norman, Gene DeSantis, David Goodier (bass), Scott Hammond (drums), Florian Opahle (lead guitar), Ryan O'Donnel (vocals), F6 staff





Genesis, 1° ottobre 1972

Hello,
correva l'anno (quanti ne sò passati !!!) 1972, precisamente il 1° ottobre, a Newcastle City Hall. I Genesis erano nel pieno del "Foxtrot Tour", quello in cui Gabriel sorprese i suoi amici, presentandosi sul palco, con la "testa di volpe" e costumi vari (la prima volta fu a Dublino), e ciò cambiò radicalmente il modo di fare concerti dei Genesis. Gli altri non erano inizialmente d'accordo, come si legge nella varie interviste dell’epoca, ma poi tutto si appianò, visto che l'abilità di Gabriel diede una nuova potenzialità ai concerti e, soprattutto, fece aumentare di uno zero le tariffe d'ingaggio!


 Phil Collins nella sua autobiografia "No, non sono ancora morto":

"Prima di questo non cerano stati indizi del fatto che Peter volesse cominciare a travestirsi. Come, più avanti, non ci avvertirà della maschera da fiore che indosserà per la parte di Willow Farm in Suppers Ready, e nemmeno per la scatola triangolare che si mette in testa per la parte successiva, Apocalypse in 9/8. Le vediamo anche noi nello stesso momento in cui le vede il pubblico. Lui non vuole saperne di decidere in gruppo, in questi casi. (...) Queste sono le cose molto fuori dagli schemi che fa ora Peter Gabriel sul palco con i Genesis. Dopo Dublino, la signora Volpe ricompare in ogni concerto, sempre nello stesso punto. Ci abituiamo presto, ed è meglio per noi: una foto di Peter con il nuovo costume finisce dritta sulla copertina del Melody Maker, e fa aggiungere uno zero alla tariffa di ingaggio dei Genesis. Passiamo da trentacinque sterline a trecentocinquanta sterline a serata."
Iniziava l'era Gabriel!

...di tutto un Pop
Wazza




Il compleanno di Tony Pagliuca

Compie gli anni Tony Pagliuca, tastierista, compositore, autore (insieme ad Aldo Tagliapietra) di tutti i successi delle Orme.

Dopo aver “regalato” il suo organo Hammond alla... parrocchia, Pagliuca da qualche anno ha ripreso a suonare e fare concerti.

Buon compleanno Tony!

Wazza



Telegatto 1977