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venerdì 31 luglio 2020

Il compleanno di Tiziano Ricci



Compie gli anni oggi, 31 luglio, Tiziano Ricci, bassista, violoncellista, dal 1988 al 2014 motore ritmico del Banco Del Mutuo Soccorso.

Diplomato al conservatorio di Perugia, inizia giovanissimo in vari gruppi locali; nel 1977 con la sua band i "Bingo", apre il concerto dei Gentle Giant all'Altro Mondo di Rimini.

Il "professore", oltre che con il Banco, ha collaborato anche con Umberto Bindi, Ornella Vanoni, Fabio Concato.
Dal 1997 è violoncellista dell'orchestra sinfonica della Repubblica di San Marino.

Happy Birthday Tiziano!

Wazza

Mexico city 2000


San Salvo Marina, 5/08/1993, Francesco Di Giacomo, Vittorio Nocenzi, Tiziano Ricci




mercoledì 29 luglio 2020

Racconti sottoBanco: il Banco e il Teatro



Racconti sottoBanco

Il Banco del Mutuo Soccorso, o semplicemente "Banco", tra le tante iniziative culturali intraprese, é stato tra i primi a portare sul palco una compagnia teatrale, con tanto di attori, mimi e saltimbanchi.
Accadeva negli anni '80 e la compagnia teatrale si chiamava "Assemblea Teatro".
Erano dei concerti incredibili, un connubio tra musica e teatro di altissimo livello.

Per chi non ha mai avuto la fortuna di vederli, ci sono 2 DVD che immortalano queste performance: "Banco Live 1980" e "Live Avigliana 1989".

In allegato articolo preso dal sito di “Assemblea Teatro” e alcune foto di Quirino Zangrilli, sempre prese in rete.

Wazza




Il Banco del Mutuo Soccorso e Assemblea Teatro

Chi all’inizio degli anni ’80 ha visto le performance di Assemblea Teatro col  Banco del Mutuo Soccorso ricorderà un’immagine straordinaria che prendeva forma nei palasport d’Italia alla fine del concerto. Partivano le note di pianoforte di Traccia II e Paolino, issato su altissimi trampoli, completamente vestito di bianco, giungeva in platea con una bacchetta da direttore d’orchestra dirigendo il crescendo della musica. Stessa cosa, di spalle al pubblico, faceva Francesco sul palco nel turbinio generale dell’emozione che quel brano riusciva a scatenare in tutti i presenti.
Questa immagine rimane indelebile nella memoria perché quel raddoppio visualizzava l’identità di intenzioni e la totale fiducia che da subito scattarono tra di noi. Un modo di concepire il lavoro che ben esplicitava Francesco Di Giacomo:

Nella musica del Banco la componente ritmica è basilare. Nell’interpretazione dei testi spesso ho spostato gli accenti per dare alle parole un’espressività e un’enfasi maggiore. Purtroppo, si diffonde un ascolto della musica sempre più distratto e quindi certe sfumature le colgono in pochi. Ma non mi importa: io continuerò a cantare cercando melodie, armonie, timbro e soprattutto coesione tra voce e musica.
L’ho sempre detto e continuerò a sostenerlo: non sono un cantante accademico, credo nella spontaneità e nei sentimenti. Forse se avessi studiato di più avrei faticato meno sul palco ma ho preferito imparare a catturare l’ispirazione e a lavorare sui segni che, come cantante e come autore, colgo nell’aria e porto nelle canzoni”.






martedì 28 luglio 2020

“SolDoFa Fest 2020” - Labyrinth, Ashen Fields e Tornado (19 luglio 2020)


Live Report della terza giornata del “SolDoFa Fest” organizzato dal Circolo Qualude: Foto e video dei concerti di Labyrinth, Ashen Fields e Tornado

Un (altro) festival musicale all’aperto a Genova nell’estate del COVID? Yes, we can! Sicuramente una stupenda sorpresa, se poi si aggiunge il fatto che gli headliner della giornata di chiusura sono i Labyrinth, band che mi riporta ai primi anni in cui scoprivo l’heavy metal, in piena esplosione power, e che avrebbero già dovuto suonare a Genova a inizio marzo ma si sa com’è andata… Un evento, ancora una volta, da non perdere.

Parliamo della tre giorni di SolDoFa Festival, organizzato dal Quaalude Club, CIV Sarzano Sant’Agostino, con il patrocinio di M.I.G. (Musicisti Indipendenti Genova) e da LocaLive. Il fest si svolge in una Piazza Sarzano praticamente trasformata dall’ultima volta che l’avevo vista, senza macchine e col palco davanti alla chiesa.
Il fest, riporto dalla pagina FB dell’evento, “si chiama SolDoFa perché sosterrà la campagna di raccolta fondi omonima che il Circolo (Quaalude) ha promosso lo scorso maggio per sostenere i musicisti e i circoli dove si fa musica, per evitare che tra le tante vittime del virus ci siano anche la nostra amata musica, i professionisti che la suonano e i locali che la ospitano”. Chapeau! Speriamo la rassegna sia servita anche in questo nobile intento.
Chioschetto con birrette e panuozzi, gelati e persino arrosticini, buona musica, bellaggente, e si parte. Uniche pecche della serata: assenza di bagni e un suono non sempre eccellente.

La terza e ultima serata del SolDoFa è all’insegna del metallo rovente, infatti quando arrivo in cima alla collina (Run to the Hills?) di Sarzano i Tornado stanno ancora facendo il soundcheck e il tutto mi ricorda le rassegne studentesche e i vari concerti a cui ho partecipato, sia sul palco che sotto, e le atroci ore in cui il sole è ancora bello alto nel cielo, e le band di apertura si preparano per il loro set tra un “alza la chitarra in spia” e il rischio accecamento + ustione… massima solidarietà, ragazzi!

Tornado

I “Tornado - Tribute to the best metal bands” sono ormai abituè dei palchi dei (pochi) locali genovesi, sono in attività da ben 10 anni e la band è composta da: Luca D’Angelo (chitarra e voce, mi ha ricordato a più riprese il mitico John Gallagher dei Raven, che però è bassista, ma sono entrambi fan del microfono stile “pilota dell’elicottero” e degli strumenti a corde dalla forma spigolosi), Davide Curreli (chitarra), Dennis Madden (basso) e Luca Barone (batteria). I nostri hanno la giusta carica e si vede che sono dei veri metalheads. Sia la scelta delle canzoni che la riproposizione sono sempre convincenti.
Il loro repertorio è composto sia da canzoni che conoscono anche le pietre (fatto che rimarcano con ironia, sempre apprezzatissima, loro stessi dal palco) che da alcune chicche per veri nerd del metallo, come la fotonica “Metal Thrashing Mad” degli Anthrax o, andando a scavare ancora più a fondo, “Stonewall” degli Annihilator e “Snakebite” dei Racer-X, band del mostruoso chitarrista Paul Gilbert.
Il resto è un susseguirsi di “Aces High”, “Symphony of Destruction”, “A touch of Evil”, “Enter Sandman”, “Tornado of Souls” e altre canzoni da “Best of” dell’heavy metal, proprio come recita il nome della band.
Di solito trovo le cover band “generiche” insopportabili (niente di personale, ne ho fatto parte per molti anni) ma qui mi permetto di fare alcuni distinguo: la fame di musica dal vivo era TANTA, e alcune delle corde toccate con alcune canzoni suonate sono state quelle che ti accendono la fiamma quando sei davvero piccolo, cose che non si dimenticano. I Tornado sono simpatici e non spocchiosi, si divertono sul palco e si vede, e questa “presa bene” è effettivamente contagiosa. Bello vedere anche tante persone di tutte le età scatenarsi sotto il palco.
In ultima analisi apprezzo l’intento di voler scavare un po’ più a fondo da parte dei Tornado e farci ascoltare alcuni brani che, effettivamente, neanche le band “originali” suonano più da tanto. Volendo andare a spaccare il capello, anche le canzoni “famose” che vengono riproposte stasera, in alcuni casi, non sono un po’ più da “fan incalliti”, e meno da “best of”. To the next one!



Cambio palco, il sole ormai è quasi calato e l’atmosfera si fa più “dark” per un’altra formazione genovese, gli Ashen Fields. Nell’evento FB della serata vengono descritti come “originali” per cui c’è una certa curiosità. Non li ho cercati prima di andare al concerto per cui la sensazione è un po’ quella, ormai sempre più rara dato che tutto è a portata di click, di essere a un passo dallo scoprire qualcosa di nuovo.
Un look à la “Cradle of Filth/band metal estremo ma con piglio melodico” anni ‘90 (ma senza face painting, che comunque avrebbe avuto vita brevissima viste le temperature!) non lascia troppo spazio all’immaginazione, e infatti la proposta musicale è in linea con le coordinate stilistiche, ma forse è più corretto parlare di un certo “sentire”, che band quali Dark Tranquillity, In Flames, Cradle of Filth e Paradise Lost (ci metto anche gli Opeth degli esordi, toh) hanno descritto meravigliosamente ormai più di 20 anni fa.
Il metal degli Ashen Fields, appropriatamente definito da loro stessi “Symphonic Death Metal”, è complesso e ricco di cambi di atmosfera. I richiami alle band e alle sonorità descritte sopra sono evidenti per chiunque conosca il genere: come detto, i rimandi non sono tanto a questa o quella band “nello specifico”, ma la loro musica mi ha continuamente ricordato quelle sonorità.
La band, composta da Julio Rossanigo (voce), Davide Manzi e Jacopo Ruggero (chitarra), Fabio Mereta (basso) e il turnista Alessio Fanelli aka Attila (batteria), si dimostra convincente e compatta sul palco. Le tastiere e orchestrazioni varie, di cui in studio si occupa Davide Manzi, sono qui riproposte sotto forma di basi musicali, senza nulla togliere all’impatto e alla carica, anche emotiva, dei brani.


Furiosi passaggi con blast beats, schitarrate a volte veloci a volte lentissime, si alternano ad aperture melodiche davvero malinconiche e assoli al limite del neoclassico, il tutto sempre accompagnato da un cantato a metà strada tra screaming e growl, con occasionali cantati puliti. Una musica che vi farà sentire come quando avete ascoltato “The Gallery” dei Dark Tranquillity per la prima volta e vi siete chiesti “come è possibile unire potenza e tristezza in modo così efficace”?
Gli Ashen Fields, per come li ho intesi io, pescano a piene mani da quella affascinante tradizione metal, prettamente europea, che si è sviluppata negli anni ‘90, con un pizzico di personalità. Una proposta non immediata né di facile assimilazione ma che farà sicuramente breccia nel cuore di chi ama certe sonorità.
Purtroppo la resa sonora non è delle migliori e questo sicuramente penalizza i ragazzi. Avendo poi avuto modo di approfondire, posso comunque confermare le mie ottime impressioni appena descritte.
Fa davvero molto piacere vedere una band di ragazzi così giovani prendere la musica in modo così professionale (hanno già un EP alle spalle e sembrano belli lanciati) e cercare di creare musica propria.

Ashen Fields

Dopo questo salto carpiato all’indietro nella Svezia del 1995, è ora del cambio palco “più atteso della giornata” e infatti, dopo due piacevolissime sorprese (i Tornado e gli Ashen Fields), è ora di addentrarsi in quel labirinto di paradiso perduto e figli dei fulmini senza limiti. Che vaneggio è questo? Ma sto ovviamente parlando dei Labyrinth.

Per capire cosa hanno significato i Labyrinth nel panorama metal italiano e, oso, mondiale, bisogna anche qui fare un bel passo indietro e ricordarsi di come, nell’Italia di fine anni ‘90, TUTTE le riviste specializzate (il compianto Metal Shock gestione Borchi, Metal Hammer con Signorelli, per citare le più famose e rinomate), non facessero altro che parlare della rinascita del power metal e, di conseguenza, dell’emergere, anche in Italia, di alcune band clamorose che negli anni successivi avrebbero letteralmente conquistato tutto il mondo.
I primi erano i Rhapsody (non i Rhapsody of Fire, i CiccioPasticcio’s Rhapsody o una delle infinite diramazioni, di cui è difficilissimo seguire le vicende, tutt’oggi esistenti), nella versione “sbarbatelli” e molto prima che la band implodesse in mille direzioni diverse. I Rhapsody avrebbero cambiato il modo di intendere il power metal sinfonico di lì a poco con due capolavori: “Legendary Tales” (1997) e “Symphony of Enchanted Lands” (1998).
Gli ottimi comprimari dei Rhapsody, e la band che veniva citata sempre insieme a loro, erano proprio i Labyrinth, che nel 1998 hanno pubblicato per la storica etichetta ameregana Metal Blade un capolavoro del power metal italiano chiamato “Return to Heaven Denied”.

Labyrinth

Di acqua sotto ai ponti ne è passata tanta ma in una prima analisi si può già dire che ciò che non è cambiato minimamente è l’incredibile voce di Roberto Tiranti, oggi eccezionalmente anche in veste di bassista a sostituire Nik Mazzucconi (a parte per l’iniziale “Moonlight”, dove al basso ritroviamo Dennis Madden dei Tornado) e alla guida di una band che, tra alti e bassi, è ancora qui, testimonianza di una passione mai scalfita per una musica potente, orecchiabile, ricca di spunti e variazioni.
Ad accompagnare Roberto - fu Rob Tyrant -, che gioca in casa, troviamo alcuni altri componenti della formazione di fine anni ‘90, ossia Olaf Thorsen e Andrea Cantarelli (quest’ultimo sotto il nome, all’epoca, di Anders Rain). A questi si sono aggiunti negli anni, e quindi anche stasera sul palco, Oleg Smirnoff alle tastiere e il dinamitardo Matt Peruzzi alla batteria, quest’ultimo una delizia per gli amanti della doppia cassa.
Avevo già visto i Labyrinth al compianto Evolution Fest 2006 e già allora ne rimasi colpito. Questa sera assistiamo a una carrellata di brani vecchi e nuovi, molti dei quali tratti dal già citato “Return to Heaven Denied” (inclusa la tamarrissima e techno “Feel”, che scopro solo oggi essere una cover, in chiave power metal, di una canzone di Cenit X nel suo remix by Legend B… viva gli anni ‘90). Oltre a sciabolate power/speed quali “Lady Lost in Time” e “Thunder”, la scaletta pesca a piene mani un po’ da tutti gli album di Labyrinth, regalandoci un concerto sicuramente vario e sempre interessante.


Roberto è un vero intrattenitore dalla battuta sempre pronta e risulta effettivamente divertente ascoltarlo mentre ci porta tra un brano e l’altro della scaletta. Aneddoti, storielle dell’epoca, botta e risposta dal pubblico (spesso incentrati sulle frequenti invocazioni al divino che provengono dalle prime file, il tutto in chiave assolutamente goliardica e “di cazzeggio”), siparietti: non solo musica sotto il cielo di Genova, insomma.
Per chi non lo sapesse, il power metal, con la sua doppia cassa “a elicottero” a farla da padrone, è una musica dal ritmo molto incalzante e regolare, e le grandi aperture melodiche, gli assoli alla velocità della luce e il tipo di cantato, melodico e con voce pulita, la portano a volte ad essere assimilabile, per intenzioni e, appunto, ritmicità, al tipo di musica che potrebbe accompagnare un allenamento in palestra. Questa è una delle battute “classiche” che si possono sentire negli ambienti metal di tanto in tanto. Provate voi stessi a mettere “Moonlight” in cuffia a tutto volume e fare spinning. Risultati garantiti!
Non potevo quindi credere ai miei occhi quando ho visto un gruppo di ragazzi e ragazze lasciarsi trascinare dalle canzoni dei Labyrinth e mimare movimenti da allenamento a corpo libero, o come fossero dentro una vasca per l’acquagym… ovviamente è stato il momento più delirante e indimenticabile della serata… su le mani! Uno, due, tre, quattro! 

                                                                  Labyrinth-ginnastica

Sicuramente la band più attesa della serata, i Labyrinth non deludono e ci anticipano che i lavori per il prossimo album sono appena cominciati. Questo concerto e questa notizia rappresentano per me un’occasione per riscoprire una band a cui ero molto affezionato “da piccolo” e che per un motivo o per l’altro ho un po’ perso di vista.
Poco prima delle 11 cala il sipario in una bellissima serata di musica cazzuta e interessante per gli amanti delle sonorità più ruvide.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno messo su questa manifestazione di cui c’era davvero tanto bisogno dopo questi mesi di “stecchetto” e spero vivamente che la raccolta fondi sia andata bene.





sabato 25 luglio 2020

Ci ha lasciato Peter Green


È stato uno dei chitarristi più influenti e amati del rock anni ‘60 e ‘70. Peter Green, co-fondatore dei Fleetwood Mac e poi leggendario solista, è morto a 73 anni: la notizia è stata data dalla sua famiglia, che ha fatto sapere che il musicista si è spento "pacificamente nel sonno".

Green, il cui vero nome era Peter Allen Greenbaum, era nato a Londra nel 1946. Salì alla ribalta nel 1966, quando fu chiamato a sostituire (prima temporaneamente, poi a titolo definitivo) Eric Clapton nei Bluesbreakers di John Mayall, la blues band inglese più celebre degli anni 60. Insieme a Mick Fleetwood e John McVie, anche loro nella band di Mayall, e al chitarrista Jeremy Spencer decise di formare un nuovo gruppo destinato a fare la storia. I Fleetwood Mac entrarono in scena imponendo uno stile fortemente legato al blues, firmando brani celeberrimi come Black magic woman, poi ripresa da Carlos Santana, e Albatross, ma nel giro di un paio d'anni Green decise di abbandonare la band per divergenze personali e artistiche: il 20 maggio del 1970 tenne il suo ultimo concerto con la band.

Il chitarrista, alle prese con problemi di instabilità mentale (gli fu diagnosticata una forma di schizofrenia) decise di intraprendere una carriera solista e di abbandonare la strada del blues per dedicarsi a una forma musicale inedita e totalmente d'avanguardia: il suo esordio solista, The end of the game, resta uno dei dischi più coraggiosi e sperimentali dell'intera storia del rock. Una sorta di free rock lisergico, oscuro e inquietante ma estremamente moderno.

In quella riuscita miscela sonora, Green aveva probabilmente proiettato i suoi fantasmi. Dopo quell'album, i suoi problemi mentali lo trascinarono in un vortice che lo portò a sparire dalle scene per tutto il decennio: anni in cui si liberò di tutti i suoi averi, perfino della sua chitarra (acquistata da Gary Moore, altro gigante del rock blues).

Dopo ricoveri e degenze, che spinsero la stampa britannica a definirlo "il Syd Barrett del blues inglese", Green tornò sulle scene nel 1979 con l'album In the skies: un disco rilassato, godibile, ma lontano parente del frenetico e visionario suono di dieci anni prima.

Dal suo rientro, arrivato dopo una sorta di eremitaggio misterioso, Green pubblicò una serie di dischi di morbido blues privi di grande ispirazione. Dopo una nuova pausa, durata più di dieci anni, Green si ripresentò sulle scene nel 1997 con una nuova band, The Splinter Group, che riuniva vecchie glorie della scena inglese come Nigel Watson e Cozy Powell.
Dopo l'album omonimo, con gli Splinter pubblicò altri sette dischi, restando nel solco di un blues gradevole ma privo di grinta, in cui però il Robert Johnson Songbook restituì dignità a una stella che si è spenta troppo presto.


Nel 1988 entrò a far parte della Rock And Roll Hall Of Fame insieme ai Fleetwood Mac. Di lui B.B.King aveva detto: "E' l'unico chitarrista che mi fa sudare freddo".


giovedì 23 luglio 2020

JOHN GREAVES – “PASSAGE DU NORD OUEST”, di Andrea Pintelli



JOHN GREAVES – “PASSAGE DU NORD OUEST”
Di Andrea Pintelli

In quest’infausto anno dominato dalla paura e dal coraggio, c’è chi non si è mai fermato. È il caso della Dark Companion Records, i cui lavori prodotti sono da sempre sinonimo di altissima qualità. Il 10 luglio, infatti, è stato pubblicato “Passage Du Nord Ouest” di John Greaves, concerto registrato a Parigi il 22 novembre 1993 e riportato ad antico splendore dall’ottimo lavoro di Alberto Callegari, dell’Elfo Studios di Tavernago (PC).
Max Marchini, deus ex-machina dell’etichetta, aggiunge così un nuovo importante tassello al proprio catalogo di gioielli musicali, qui per la collana Ephemerals, che a ben vedere ha ben pochi rivali a livello europeo.

Credo, e spero, che mr. John Greaves non abbia bisogno di presentazioni (in ogni caso ne avevo tracciato un piccolo profilo riassuntivo all’interno della mia recensione del suo “Life Size” del 2018, per chi volesse rinfrescarsi la memoria), per cui andiamo dritti ad immergerci nelle atmosfere parigine, stando comodamente seduti con cuffie e hi-fi ben sintonizzati su questo “Passage Du Nord Ouest”.
Il nostro, come sempre al basso e voce ma anche al piano, è qui coadiuvato da una band formata da Paul Rogers al contrabbasso, François Ovide alla chitarra acustica, David Cunningham alla chitarra elettrica, kalimba e effetti sonori, Sophia Domancich al piano, e Peter Kimberley alla seconda voce.

“One Summer”, posta in apertura, delinea il crescendo dall’intento free, un buon biglietto da visita in divenire che non fa altro che incuriosire, attuato poi con “The Price We Pay” in una soluzione di continuità sonora, resa ancor più introspettiva dalla voce inconfondibile di John. Si prosegue con “The Mirage”, ipnotica e sognante, trascinata da un grande contrabbasso, poche parole declamate per poi passare a “The Magical Building”, ricamata e sottolineata da un fiero pianoforte, che apre alla forma canzone per poi tornare all’immaginifico; una perla di bellezza e cupa luccicanza, brividi in continuità. “Almost Perfect Lovers”, difficile, complicata, ma eterea e ricca di intrecci, fa intendere come ci si trovi di fronte a un genio musicale coadiuvato da un gruppo di talentuosi comprimari, che acquisiscono via via la centralità del suono. Il pianoforte sembra (farci) volare. “Solitary” è una marcia RIO di sopraffina meraviglia, con accenti chitarristici sempre corretti e incisivi. “Dedans (Rose c’est la vie)” condensa in poco più di tre minuti il messaggio che la vera Musica può e dovrebbe sempre avere nei confronti degli ascoltatori: portare altrove, spingere oltre, far sognare ad occhi aperti. Dolcissima, mai stucchevole, giocata in un equilibrio reso perfetto dalla magia vocale di Greaves. “Deck Of The Moon”, ritmo e gioco, sorridente e positiva, ci dice che i dettagli sono per pochi; un melting pot sonoro coinvolgente e innovativo. Si passa a “For Bearings / Silence” dove piano e voci trovano il punto d’incontro nei toni minori del (quasi) sussurro, in un vortice di contrappunti. “Kew Rhone” alza l’asticella della circolarità del suono, scandendo i ritmi imposti dai musicisti, qui impegnati in un complicato esercizio di qualità sempre maggiore, in cui i riferimenti al jazz la fanno da padrone. “The World Tonight”, chitarra perfetta nel dosare accenti e armonia e forza, è qui la protagonista, insieme alle voci dei nostri. Squarci di luce. “Lullaby” (no, non quella dei Cure…) è una straniante ninna-nanna (traduzione del titolo, ovviamente) che non vorremmo sentirci cantare, ma che, tuttavia, riempie la stanza, tant’è densa. “Swelling Valley”, soffusa e nebbiosa, nel tipico stile di Greaves, traccia la linea di un universo sonoro mai domo, ma pronto a donare soluzioni mai banali. Qualcuno c’è che non si è mai lasciato stereotipare, fortunatamente. “How Beautiful You Are”: quanta meraviglia ci può essere in una sola canzone? Ascoltatela in solitudine e avrete la facile risposta. Genialità e sensibilità ai massimi livelli. Ma la versione cantata e suonata insieme ad Annie Barbazza (proprio su “Life Size”) non ha eguali (thanks Annie). “Karen”, paragonabile a un quadro del miglior Surrealismo, ha nella propria libertà sonora e interpretativa i suoi picchi. Certo l’artista John lavora sulla sua interiorità, rendendo visibile e reale ciò che noi non abbiamo fin qui conosciuto. “The Green Fuse”, in chiusura di concerto, è corale e unisce per la sua fantasiosa musicalità, dove sembra che un’alba non possa mai finire. Poetica, dominante, rara.

Dedicato da John Greaves alla memoria di François Ovide e Michel Pintenet.
Gran concerto, signore e signori. Gran disco, da avere.
Abbracci diffusi.




martedì 21 luglio 2020

Il giorno 21 di Big Francesco


21 luglio
"Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola."
(Paolo Borsellino)

Ci sarai sempre. Buon viaggio Capitano
Wazza


Di Andrea Pedrinelli

Non fatevi trarre in inganno dal titolo della canzone. Il titolo è provocazione, certo, ma il testo somiglia più a poesia: poesia forse necessaria, specie oggi che troppo spesso ci dimentichiamo di prenderci una pausa dal mondo, dalle sue meschinità, dal suo assordante frastuono di nulla. E senza prendersi tempo per noi stessi, per il sogno, per il bambino che ancora si nasconde in noi, si muore dentro. Perciò allora è giusto pure arrabbiarsi, persino gridare «Non mi rompete», per poi però cantare: «Non mi svegliate, ve ne prego. Lasciate che io dorma questo sonno: sia tranquillo da bambino, sia che puzzi del russare da ubriaco. Perché volete disturbarmi, se forse sto sognando un viaggio alato? Sopra un carro senza ruote, trascinato dai cavalli del maestrale… …Nel maestrale, in volo! Non mi svegliate, ve ne prego: lasciate che io dorma questo sonno… C'è ancora tempo per il giorno, quando gli occhi s'imbevono di pianto… I miei occhi… Di pianto…».

Sì, forse dovremmo gridarlo tutti il titolo di questa canzone, poi cantare in coro il testo di questo brano: scritto dall'indimenticato Francesco Di Giacomo e messo su disco, magnificamente, dal Banco del Mutuo Soccorso.




giovedì 16 luglio 2020

I Gentle Giant e i fan suonano "Proclamation...


Questo è uno dei momenti in cui "amo i social", che danno la possibilità a dei fans di suonare "virtualmente" insieme ai loro beniamini i Gentle Giant, questa versione di "Proclamation" è commovente.

God save the Gentle Giant!
 Wazza


Gentle Giant 1973

I fan di tutto il mondo celebrano il loro amore per la musica e Gentle Giant con le loro interpretazioni di "Proclamation" dall'album "The Power & The Glory". Questo video segna anche la prima volta in 40 anni che tutti i membri di Gentle Giant compaiono sullo schermo e suonano insieme in una 'riunione virtuale'. Alcuni importanti collaboratori fanno anche un'apparizione come Jakko Jakszyk dei King Crimson, Billy Sherwood degli Yes, il bassista ELO Lee Pomeroy, Dan Reed dei Dan Reed Network, Richard Hilton di Chic e Mikey Heppner of Priestess. La musica è un linguaggio universale che unisce le persone. Grazie a tutti i fan di tutto il mondo per aver contribuito a far sì che ciò accada - The Boys in the Band - Diretto e curato da Noah Shulman Sound Mixing di Ray Shulman www.gentlegiantband.com

Kerry Minnear Darek e Ray Shulman 2018




L'involuzione della musica

 Ciao 2001 classifica del 1972

A vedere certe classifiche viene da chiedersi: "Dove abbiamo sbagliato?".
Nell'estate del 1972 in classifica c'era il "trionfo" del Prog Italiano... Le Orme in prima posizione con "Uomo di Pezza", a seguire il Banco del Mutuo Soccorso, New Trolls, Osanna, Premiata Forneria Marconi, The Trip... (cosa impensabile oggi), e per la gioia dei Itullians ben 2 long playng dei Jethro Tull in classifica.

Dando un'occhiata alle classifiche del 2109 (sempre con il rispetto dei gusti altrui), viene da chiedersi cosa sia successo per essere arrivati a questa trasformazione, arretramento, decadenza, decadimento, declino, involuzione, regresso... basta!

Ai posteri l'ardua sentenza!
Wazza

A Jeffry…non ce bisogno della lente...

se vede bene c'avemo dù dischi in classifica in Italia!



mercoledì 15 luglio 2020

Utveggi -Canzoni d’umore



Utveggi -Canzoni d’umore
(Almendra Music)
9 tracce | 31.21 minuti
di Athos Enrile

I palermitani Utveggi arrivano al loro terzo album in cinque anni, “Canzoni d’umore”. Abbandoniamo per un attimo i termini più attuali e proviamo a pensare ad un antico… rimirarsi davanti ad uno specchio, con un po' di autoironia e voglia di libertà espressiva.
Attivi dal 2012, gli Utveggi possono contare su di un curriculum rilevante, fatto di concerti italiani ed esteri, di apparizioni televisive e riconoscimenti di peso.

Ma i risultati positivi non allontanano la band dalla realtà, e così entra in gioco l’autocritica, messa in campo attraverso un percorso apparentemente contorto, basato sulla ricerca presso terzi (famosi) del lato canzonatorio, indagine che andrà poi rovesciata su sé stessi; potrebbe essere questa un’operazione nata cammin facendo, prendendo coscienza che l’osservazione acuta e critica della musica altrui conduce ad una sorta di autoanalisi che va riversata sulle creazioni personali.

Non riesco a definire compiutamente in quale casella inserire la loro musica, preferendo utilizzare sempre i macro-generi musicali, e in questa facile e comprensibile scelta pongo gli Utveggi nel settore pop-rock, convinto che la forte natura cantautorale permetterebbe ai brani contenuti in “Canzoni d’umore” di essere performati, anche, con il semplice binomio voce/strumento, ma è fuori dubbio che il vestito confezionato per le nove tracce è molto trasversale e fruibile per un pubblico vario, per tendenze musicale ed età.

La mera lettura dei titoli potrebbe dare indizi importanti, e l’impressione iniziale è quella che conduce ad una presa in giro della sacralità di certo pop storico, ma la ricercatezza dei suoni - con l’apertura alle contaminazioni - unita all’importanze di certe liriche, fanno pensare allo scolaro eccellente che fa di tutto per confondersi nel gruppo, senza riuscire a mascherare qualità eccelse.

L’album è stato anticipato dal video di "Stupido Otello" (non è difficile immaginare a chi sia rivolto il titolo!), ma preferisco inserire utilizzare il brano che apre l’album, “Nommene”.

Sarcastici, intelligenti, acuti e dotati di spirito di autocritica… sono questi gli Utveggi, tutti da sentire!


I BRANI:

Nommene
Stupido Otello
Via dai ciclamini!!!
Tempo di Moriori
Confessioni di settembre
Un palato di cuore
Mercante di liquami
Le bionde trash
...aspettando Mogol...

Utveggi: 






martedì 14 luglio 2020

Un ricordo di Judy Dyble...



Anche Judy Dyble ci ha lasciato, a 71 anni, dopo una lunga malattia.
Cantante inglese, famosa per aver fatto parte del primo nucleo dei Fairport Convention e di aver cantato alcuni brani con "Giles Giles & Fripp", che si evolveranno nei King Crimson.
Ha inciso molti album da solista e collaborato con molti artisti della scena folk britannica.

Farewell Judy!
Wazza


Judy Dyble, nata a Londra il 13 febbraio 1949, si unì ai Fairport Convention prima della realizzazione dell'eponimo album di debutto della band britannica.

Il disco "Fairport Convention" del 1968 include, tra le altre, la canzone "Portfolio", scritta dalla cantante - successivamente sostituita da Sandy Denny.


Nel 1968 Judy Dyble ha collaborato con il gruppo Giles, Giles & Fripp - il trio che precedette i King Crimson - con cui ha inciso alcune canzoni come "Make it today" e le versioni demo di "Under the sky" e "I Talk to the wind”. Due versioni diverse di quest’ultimo pezzo - una delle quali realizzata dal trio formato da Peter e Michael Giles e Robert Fripp in collaborazione con Judy Dyble - sono contenute nella raccolta “The Brondesbury Tapes”, uscita nel 2001. Un’altra versione di "I Talk to the wind” è inclusa nell’album di debutto dei King Crimson, “In the Court of the Crimson King”, pubblicato nel 1969.





sabato 11 luglio 2020

Su "Muzak" nel 1974


La rivista musicale "Muzak", nel lontano 1974 pubblicava un articolo/inchiesta sui problemi dell'organizzazione di concerti per i gruppi musicali italiani nell'aera progressiva.

Mancanza di locali, manager all'altezza, totale disinteresse (all'epoca) di radio e TV...
Pensate che nel 2020 sia cambiato qualcosa?

Di tutto un Pop…
Wazza



lunedì 6 luglio 2020

L'arte di Ennio Morricone

Silenzio...

Un doveroso saluto da parte del Banco Fan Club al "maestro" Ennio Moricone.
Impegnato su moltissimi fronti musicali, si è sempre dimostrato disponibile e sensibile con i giovani.
Aveva partecipato come membro della "commissione artistica" alle iniziative didattiche di Vittorio Nocenzi: "Le chiavi segrete" del 2004, "Musica Orienta" del 2005 , "Ponti e Torri " del 2012.
Inoltre, si era trasformato in "recensore" del Libro/CD "Sguardi dell'Estremo Occidente", nel 2011.

Grazie di tutto maestro l'immortalità ti appartiene!
Wazza