La raccolta, che
consta di 4 CD con più di 4 ore di musica progressive, è stato
prodotto da Marco Bernard e Ed Unitsky, con la collaborazione di Colossus Magazine, e contiene anche The Bridge of Geese,
brano strumentale dei Phoenix Again, che sarà incluso anche
nel prossimo album studio della band.
Nel video si può
ascoltare in anteprima il brano integrale.
Un campo sportivo immerso
tra i castagneti di Boccheggiano, nell'alta Maremma, era la location di
questo concerto tenuto dal Banco il 27 luglio 2013, durante il
tour del Quarantennale...
Per leggere la recensione e
vedere le foto del concerto, cliccare sul seguente link
Hello, ho sempre sostenuto che i fan del Banco e del
mondo che vi ruota intorno sono tutte persone speciali (a parte qualche caso...).
Persone che entrano in sintonia con gli artisti, con il loro modo di
pensare, che ricevono emozioni attraverso la loro musica, ma le
restituiscono con parole dettate dal cuore e anima.
Emilio e Carlo, sono due ammiratori da sempre dei
fratelli Nocenzi, che hanno voluto condividere, con me, con noi, le loro
sensazioni. Emilio "recensisce" Miniature, l'ultimo lavoro di Gianni Nocenzi. Carlo ci racconta del suo personale incontro con Vittorio Nocenzi, tra l'olmata e il suo studio a Genzano.
Ho voluto unire i due racconti perchè sono pieni
di grande passione, di stima, e meritano di essere letti. Emilio e
Carlo sono due fan "vaccinati", di lungo corso, di quelli che
magari non si conoscono le loro facce, ma ci sono da anni e ci
saranno sempre, a testimoniare ancora una volta che il Banco non è solo un
gruppo musicale, ma uno stile di vita, di pensiero etico.
Grazie ragazzi
Wazza
Emilio Maestri ci "racconta" Miniature
Miniature
di Gianni Nocenzi
Da dove viene la scelta del titolo di un album?
Che cosa lega un
titolo ad un brano musicale senza liriche, dove le sensazioni, le emozioni sono
legate alla sola musica ed alla sua interpretazione?
L'ascolto di Miniature
risponde senza segreti a queste due domande che chi ascolta musica si sarà
posto tante volte. Citando le tracce di quest'opera meravigliosa non si corre
il rischio di dire "la prima", "la terza" perché il titolo
di ogni brano è la chiave per l'ascolto, lo scenario emotivo dove le note
trovano una proiezione tridimensionale. E, ad aumentare questo coinvolgimento,
questa sintesi emotiva con l'autore la registrazione in presa diretta resa come
si sente dalla parte di chi suona, per una empatia totale.
Le miniature sono opere grafiche dove l'artista concentra in poco spazio fisico
una ricchezza di particolari proporzionata alla propria bravura tecnica ed
espressiva.
Nelle sue miniature Gianni Nocenzi concentra sentimenti e sensazioni, immagini
e scenari di rara efficacia in un capolavoro assoluto.
Nei pochi minuti di ogni traccia scorre una
moltitudine di espressioni scaturite dalla sorgente del dolore, un dolore
differente a seconda dello scenario, un dolore da esorcizzare o da elaborare ma
pur sempre da vivere nella vita reale o nel sogno.
Lungo il Cammino di Pietra non ci si
può fermare, non si torna indietro. Non si può percorrere che a piedi, con la
fatica della disperazione, lungo un sentiero dove il dolore è sasso bruciato
dal sole o reso scivoloso dal ghiaccio. E si sente la fatica di questo
camminare che toglie il respiro, dove non vedi il cielo perché devi stare
attento a non cadere, dove non sai se la direzione è quella giusta o
addirittura non sai nemmeno perché o dove stai andando.
Forse, ogni tanto, là
in fondo si intravede una luce: le note del pianoforte di Gianni accompagnano
in questo cammino che prima o poi tutti dobbiamo compiere. Terra Nova è un viaggio di speranza,
di fuga dal dolore, di attese ma anche di incertezze perché chi viene dal
dolore è obbligato a cercare una nuova terra dove seminare il futuro che - si
spera - sia diverso da quello che ci si lascia alle spalle. Un brano dai due
diversi spiriti ma luminoso, che trasmette come dal dolore si possa passare
alla speranza.
Nei Ritorni c'è un caleidoscopio di
emozioni che ruotano con luci e colori diversi. Ogni ritorno contiene un
allontanamento ed un tempo che lo separa dal passato. E in più nello scenario
sonoro ci sono i personaggi che tornano ma anche quelli che attendono il
ritorno coi loro sentimenti e le loro attese. Che cosa troverà il profugo al
suo ritorno? Sará mutato il dolore che lo aveva fatto fuggire? Sarà migliore
dopo tanta lontananza? E come sarà lui cambiato rispetto a quando era partito?
Il pianoforte ricama tutte queste complessità con l'intarsio delle linee
melodiche a tracciare un quadro di rara bellezza ed efficacia.
Le Farfalle sono il simbolo insieme
del cambiamento - prima uovo poi bruco poi bozzolo e finalmente farfalla - ma
anche immagine di una bellezza fragile effimera che vive nel movimento. Il
dolore della impossibilità di prolungare la bellezza viene mitigato dal ciclo
della vita che continua sotto le diverse forme resistendo ai rigori
dell'inverno.
Il brano celebra la bellezza è il movimento con grande efficacia. Engelhart, un brano di sensazioni che
esprimono i tanti significati del tedesco hart: austero, difficile, duro,
rigido complicato, ma anche solido, affidabile. Una meraviglia sospesa tra
commozione e forza trascinante. Quasi una dedica esclusiva e nascosta a Einrich
Engelhart Steinwag fondatore della famosissima fabbrica di pianoforti Stainway
& sons.
La Ninnananna di Cosmo è uno stupendo
canto augurale è dedicato a un figlio bambino ma abbraccia una generazione
intera.
Ti cullo con la voce del pianoforte, ti scaccio i
demoni dell'incubo, ti accompagno in un mondo di sogno, senza dolore, abbi
fiducia, Cosmo, dammi la mano: insieme a me assieme coi tuo amici viviamo
almeno il sogno di un mondo migliore.
La ninnananna chiude in bellezza un disco profondo, suonato in modo toccante e
meraviglioso.
E non spaventi l'ispirazione , nonostante frutto del dolore, il disco è
bellissimo; dischiude orizzonti luminosi e alimenta pensieri di futuro,
collocandosi tra le migliori uscite di sempre .
Grazie Gianni : un capolavoro.
Vittorio e Gianni Nocenzi
Carlo Meli ci racconta il suo incontro con Vittorio
Grazie ancora per la
indimenticabile mattinata nello Studio di Vittorio che mi hai regalato!
Mi è sembrato di vivere un
sogno... Piovevano fiori, quel giorno, piovevano fiori dagli alberi mentre
Vittorio autografava i miei vecchi LP del Banco.Evidentemente anche il vento aveva
deciso di rendere "speciale" questo incontro.
Mi sono sentito emozionato
e felice come un ragazzino, come se, improvvisamente, avessi tolto dalla mia
vita più di quarant'anni per tornare col pensiero alla prima volta che vidi il
Banco dal vivo nel 1974 a Piazza Navona, alla festa per la vittoria del no al
referendum sul divorzio.
Quella musica che all'epoca
ascoltavo attraverso lo "stereo di Selezione", ora potevo ascoltarla
e "vederla"... la voce e la presenza di Francesco, l'eccellenza di
Vittorio,la bravura di Gianni e di
Rodolfo, Renato, Pierluigi... lì vivi e veri che suonavano (anche) per me! Ecco,dopo quarant'anni Vittorio ha davvero suonato (solo) per
me! Con dolcezza e con maestria, facendomi vivere la costruzione del volo
dell'ippogrifo: ... ho percepito il movimento delle ali dellacavalcatura nell'aria
rarefatta e ho visto il livido colore della Luna avvicinarsi e la Terra
allontanarsi e ho avvertito che la curiosità di scoprire questo nuovo ignoto
mondo, era più forte della paura che mi pervadeva mentre abbandonavo il vecchio
e il noto...
Vittorio non parla con le
parole, parla con la musica che compone e,si esprime attraverso le sue note,creando atmosfere e sensazioni
impossibili da coglierese non ascoltando la sua musica.
Che mattinata meravigliosa
il 23 maggio 2016. Grazie Vittorio!
Tanti chiacchierano, si
autocelebrano, si vantano di essere amici fraterni di questo o quell'altro
artista, di averci cenato insieme, di avere l'autografo personalizzato,
come se avessero bisogno di convincere loro stessi più che gli altri...
Ci sono persone sempre al fianco
di questi musicisti, specialmente fuori dalle luci della ribalta, che sono
invisibili come gli angeli, e se non sono su facebook, nessuno li
vede. A volte si "materializzano", e puoi anche sentire il
battito del loro cuore.
Dedicato a tutti quelli che
ci sono sempre… ma non appaiono mai.
sembra che RTL 102.05 abbia
messo nel suo palinsesto "Bomba Intelligente", e la
trasmetta regolarmente.
A proposito di bombe. Francesco Di Giacomo si ricordava di tutti, sempre in prima fila per
la solidarietà, per la libertà, per l'ingiustizie, per il lavoro, con la
sua testimonianza e presenza.
Era presente anche il 19 luglio 2013, con la sua arte e la
sua voce, a ricordare i 70 anni del bombardamento del quartiere San
Lorenzo a Roma (19 luglio 1943) ad opera degli "alleati"!
Chissà se anche quelle
erano "bombe intelligenti", visto che il quartiere quando fu
bombardato era abitato, in maggioranza da proletari, operai e comunisti.
…per non dimenticare, per
non dimenticarti. Ciao Francesco.
Wazza
Bomba Intelligente ( parole di Francesco di
Giacomo)
Sostenendo, con la forza della ragione,
che una bomba possa essere molto intelligente,
le potresti domandare poco prima dell’esplosione
la descrizione di un tramonto
o se ha fatto già l’amore oppure no.
a quel punto questa bomba molto intelligente
parlerebbe, lo direbbe con il cuore in mano,
racconterebbe del suo amore che era un mitico aeroplano
che diceva il mondo è strano
forse è meglio stargli lontano mon amour.
ah quel rubacuori mi portava controvento,
ah chi avrebbe detto che poi mi sganciava qui.
seducendo il congegno di puntamento,
dimostrandosi un bomba moltissimo intelligente,
con un gesto eccezionale strinse al cuore il suo potenziale
e tuffandosi nel mare abbracciò tutta le gente e salutò
quel peccator che la portava controvento
ah ma quale amor non era amor quello lì.
e intanto cambiano le stagioni e le opposte fazioni
stilano accordi e conclusioni che non tengono conto e non prevedono
eventuali
amori eventuali.
ah ci mise amore a stare zitta li sul fondo .
ah che grande giorno quando un pesce diventò.
Sostenendo, con la forza della ragione,
che una bomba possa essere molto intelligente,
le potresti domandare poco prima dell’esplosione
la descrizione di un tramonto
o se ha fatto già l’amore oppure no
Erano presenti anche il gruppo romano "Muro
del Canto", una delle band più reattive del panorama musicale italiano… Francesco
sempre attento alle nuove realtà musicali, posa con loro in questa foto
"Non si appartiene a ciò che si ha, ma a ciò di cui si
sente la mancanza"
(Efraim Medina Reyes)
Ci sarai sempre... Buon viaggio Capitano !
Wazza
Ricordo di Renzo Sicco (Assemblea Teatro)
Sono sempre stato un fan
anomalo del Banco del Mutuo Soccorso. Infatti chi li ama mette inevitabilmente
al primo posto nelle personali preferenze Il salvadanaio o Darwin, due dischi stupenti. Ebbene, anche io amo quegli
album (così si chiamavano all’epoca della loro uscita), ma per me il Banco è Io sono nato libero e su tutto troneggia Canto nomade di un prigioniero politico. Uscito nel 1984
conteneva, oltre la musica, meravigliosa e potente, tutto il dolore di una
generazione sensibile alla politica che percepiva il pericolo che il Golpe in
Cile eliminasse dalla scena non solo la libertà di un popolo ma quel desiderio
di utopia di una generazione di cui Francesco e compagni erano intensi
interpreti. La vita mi ha poi portato molte volte in Cile dove ho conosciuto e
lavorato con molti di quei prigionieri politici che Di Giacomo e il Banco
volevano cantori liberi.
Luis Sepúlveda e molti altri sono diventati miei amici, compagni di lavoro e di
vita come unespansione di quel grido io sono nato libero. A Buenos Aires lo sono diventate invece le Madres. Perché all’11 settembre del 1973 ha fatto seguito il 24 marzo 1976
con il Golpe in Argentina. Francesco l’ho amato e seguito per molti anni come fan del Banco e solo
nella primavera dell’80 l’ho conosciuto personalmente insieme agli altri.
Cantava unaltra bella utopia Canto di primavera. Era un pomeriggio di sole fuori dal Palasport del Parco
Ruffini a Torino quando ci siamo incontrati per la prima volta e la sera
eravamo già insieme sulla scena. Loro sul palco circondati da oltre 6000
spettatori e noi in mezzo a quei 6000 a inventarci immagini per le loro canzoni
dallalto dei nostri trampoli.
La fantasia al potere si gridava nelle strade in quegli anni e noi fummo la
fantasia dentro la musica. Fu il delirio e per due anni avanzò quel progetto
come un work-in-progress nei palasport e nelle piazze d’Italia.
Divenni amico di
Francesco e la nostra amicizia durò ben oltre le tournée di Capolinea (80/81) e Urgentissimo (81/82).
Quando andavo a Roma lui mi
attendeva sui gradini del Bar Capolea e poi salivamo a casa sua nei Palazzi
Federici di viale 21 Aprile dove ci attendeva Elvezia. Era una piccola donna ed
una grande cuoca. Ho sempre amato cucinare ed allora un patto stretto tra me e
lei era che ad ogni incontro mi insegnasse un segreto. Francesco arrivava in
cucina mentre io stavo attento ad imparare. Rimaneva silenzioso, rispettoso del
gran sapere di Elvezia, poi mi guardava sornione e sorridente, felice come non
mai di quella madre.
Proprio delle Madres e dell’Argentina abbiamo parlato
nel nostro ultimo incontro ad Asti una notte nell’estate 2013 prima del bellissimo concerto del Banco dove
Big ha cantato con una voce più bella che mai. Ero tornato da poco dal Sud
America e Francesco che stimava con passione il mio lavoro nel sud del mondo,
ne era curioso.
Per questo ho accolto volentieri linvito dei Têtes de Bois di partecipare all’idea di Stradarolo-Big, la no-stop di 48 ore dedicata a
Francesco Di Giacomo. Sono tornato nel borgo, che aveva scelto per vivere
lontano dal caos di Roma, a raccontargli la storia di Taty Almeida, una madres,
come tutte, orfana di figlio.
Penso gli abbia fatto
piacere. Quello di cui sono certo è che io mi sono sentito un pò meno orfano di amico e della sua grande sete
di utopia.
Tornato a casa ho riascoltato con piacere Canto nomade di un prigioniero politico e come sempre la sua voce mi ha fatto davvero sentire libero.
Qualcuno ha scritto dopo il
concerto di Elton John a Pompei:
"Adesso a Pompei ci fanno cantare
cani e porci!".
Beh, un cane ha già avuto
questo l’onore di cantare a Pompei nel 1971 con i Pink Floyd, quando erano
giovani, belli, capelloni, magri... con qualche idea in più, e qualche
sterlina in meno.
Questa è la storia di due
cani .
Seamusera il cane lupo di
Steve Marriot, indimenticato chitarrista degli "Humble Pie",
grande amico di Syd Barrett e dei Pink Floyd, che hanno registrato i suoi
"ululati" su una base di accordi blues.
Il breve brano viene
pubblicato su "Meddle" nel
1971, e praticamente racconta cosa fa Seamus in cucina, mentre si fa
sera...
Nobs era una femmina di levriero russo che apparteneva a Roger
Waters. Quando il regista Adrian Maben chiese al gruppo di suonare "Seamus" durante il concerto all'anfiteatro
di Pompei, Nobs fu distesa sul palco con Rick Wright che gli teneva un
microfono davanti al muso. David Gilmour suonava l'armonica e Roger Water una
Straocaster elettrica e la levriera accompagnò questa melodia con ululati
intonatissimi;, il testo è una cantilena, la suggestione viene dagli ululati
del cane, che in realtà si scopre che sta "piangendo", forse pensando
a Syd.
Il brano per l'occasione fu
ribattezzato "Madamoiselle Nobs",
in onore della bravissima cantante a quattro zampe.
Riflessioni sul ritorno live
di Vittorio Nocenzi e del suo Banco
Riflessioni del tutto personali sul primo concerto di Vittorio Nocenzi e di un gruppo chiamato Banco del Mutuo Sccorso,
quello che ne rimane dopo le tante disgrazie successe negli ultimi anni. Luogo
del delitto? Ponticelli, frazione di Città della Pieve, 16 luglio 2016.
UN CONCERTO PERFETTO NELLA SUA IMPERFEZIONE. Un gruppo operaio, vero, con le
palle "gonfie" al punto giusto per l'emozione e per l'urgenza
espressiva, per quella voglia di spaccare tutto che può portare a strafare. So'
ragazzi e si faranno ☺
La sezione ritmica macina (Marco Capozzi ha “strusciato” le nevrosi del prog
dispari e amelodico suonando col Balletto di Bronzo qualche anno fa), le
chitarre menano, il cantante non fa finta di fare Francesco (anche perché Big è
talmente unico che se provi a imitarlo... fai ridere) e, probabilmente, se la
sarà pure fatta sotto ;-)
Cantare RIP, Canto Nomade per un prigioniero politico e compagnia bella per la
prima volta davanti al pubblico, che potrebbe essere affettuoso ma potrebbe,
anche più facilmente, farsi rodere il "chiccherone, non è facile per
nessuno. Pero ci ha messo tutta l’anima che aveva a disposizione e, forse, anche
qualcosa in più. Anche visivamente è molto diverso da Francesco, si muove in
modo “heavy oriented” e l’immobilità, quasi sacrale, di Big in questo modo non
lo sotterra come avverrebbe sicuramente se scegliesse di avvicinarsi
all’estetica di Francesco. Toni D’Alessio, nome di chi si è cimentato in questa
opera titanica, era il cantante degli Scenario, band prog metal in cui militava
alla fine degli anni 90/inizio 2000 anche Filippo Marcheggiani (ormai
chitarrista del Banco da tanti anni) e ha una voce espressiva, potente, che fa
intendere come la musica del Banco sia, anche mentalmente, la sua musica; sono
sicuro che metabolizzando e interpretando sempre di più questo “sacro”
repertorio ci riserverà belle soddisfazioni. D'altronde proprio Francesco mi
raccontò che all'inizio cantare quei testi complicati su musiche ancora più
complicate non fu una passeggiata di salute neanche per lui: ogni giorno che le
cantava vi trovava nuove sfumature e dimensioni.
"Il vecchio leone, invece, c'è sempre. 11 mesi fa
abbiamo rischiato di giocarcelo Vittorio… invece questo sta a tornà più forte
di prima… e, anche se per qualcuno non sarà così, è sempre più “forte” della
maggior parte dei tastieristi, non solo italiani, che conosco… pure con una
mano, scegliete voi quale, legata dietro la schiena, anzi oggi trasmette la
vitalità di chi sta riscoprendo il gusto della musica, come quando sei
adolescente. Ha ancora tanta forza, pure se la sua emozione in alcuni momenti
mi ha fatto venir voglia di attraversare il palco e accarezzarlo su quella
barba ora fieramente bianca e non più nero corvina. Si, perché questo concerto
l’ho seguito dall’inizio alla fine sul palco, seduto sul flight case di qualche
strumentazione: per annusare il profumo della vita di questa prima nuova volta
sul palcoscenico… volevo sentire le parole che ti scambi mentre suoni, scrutare
i sorrisi e i momenti di nervoso, l’attimo in cui il musicista ha lo sguardo
perso nel vuoto e mentre suona magari sta riflettendo su qualcosa lontana mille
miglia! Insomma volevo toccare con mano se ci può essere ancora un gruppo
chiamato BMS e la risposta è positiva proprio per questa imperfezione
operaia…
Rodolfo e Francesco saranno per sempre nel mio cuore.
Le diatribe sui gruppi che perdono elementi storici e vanno avanti sono all’orine
del giorno. Nel caso del Banco, però, dimentichiamo che un “certo” Vittorio
Nocenzi ha composto la quasi totalità delle musiche del Banco e anche qualche
testo con Big… oltre ad averlo anche fondato: ha il diritto di ricominciare
mille volte.
Soprattutto se va in questa direzione, lontano
dall’agglomerato scenico delle tante ospitate, alla riscoperta dell’essenza di
un gruppo vero, più credibile proprio per la natura stessa di un nome che deve
spingerti a dare sempre il meglio delle tue emozioni: Banco del Mutuo
Soccorso!
A Vitto’ registra un brano con questo Banco e regalacelo in download sul web,
questa formazione “spacca”…
Da sin. Marco Capozzi (basso)-Nicola Di Già (chitarre)-Augusto Zanonzini (batteria)-Vittorio Nocenzi (tastiere)-Filippo Marcheggiani (chitarre) Tony D'Alessio (voce)
UT
NEW TROLLS -- Al VILLA SAUND - di Nogara (VR) - Sabato 16 luglio2016
di Daniele Raimondi
Nella
notte “nogarese”, di mezza estate, che regala a grandi e piccini la
tradizionale “sagra paesana” di giochi e divertimento, nell’oasi verde di Villa
Raimondi, arriva il segnale di un’onda gravitazionale, il fenomeno è stato
registrato, da una moltitudine di persone, accorse ai piedi del palco. A
generare le increspature dello spazio emozionale, sul palco del “Villa Sound”
di Nogara (VR), gli UT New Trolls, capitanati dall’inossidabile e
storico batterista, Gianni Belleno,
batteria e voce, e dalle soavi tastiere del Concerto
Grosso, Maurizio Salvi, hammond
e tutte le tastiere possibili, accompagnati da musicisti di grande spessore: Claudio Cinquegrana, chitarra elettrica
e cori, Alessio Trapella, basso e
voce, Stefano Genti, tastiere e
voce, Umberto Dadà, frontman.
Dalla teoria “del tutto è possibile”, la magia
del parco, nella “fresca” serata d’estate, mentre i colori del tramonto si
attenuano e si illuminano le luci della sera, la freccia del tempo, scorre in
direzione del rock, con numerose copie di note elaborate in armonia, su un
tappeto sonoro di un rock melodico, con sconfinamenti dall’hard rock, alle
ammalianti melodie, di nuove o stagionate partiture, rimaste intatte allo
scorrere del tempo. In scaletta si inseguono sequenze, gli spezzoni di un film
di una vita musicale, dal primo cinguettio di fine “anni ’60”, all’ultimo canto
di
<< è >>, creazioni
sferiche che prendono vita e si sviluppano in spazi aperti. La bellezza delle
partiture, nella storia e nel tempo, un linguaggio che affina una “cifra”
stilistica, che mette appunto la mirabile armonia di imponenti forme musicali,
che vanno in scena con una certa frequenza. La musica arriva dove il silenzio è
sovrano, in apertura dal Concerto Grosso
“Allegro”, ora spazio al nuovo album “è” “Trullo
lungo”, “Dies irae”, “Oggi non sono spento”, “Cambiamenti”, “Cherubino”, “Io”. Si
torna al C.G. con “Adagio” e a
seguire “Una Miniera”, “Nella sala vuota” con “Nessun dorma e Il sole nascerà” e gran finale, con il pubblico compatto a cantare
“La carezza della sera”.
Chiamati a gran voce concedono il bis con due
richieste pervenute dal pubblico “Signore
sono Irish” e “C’è troppa guerra”.
Il pubblico trasportato da sinfonie maestose, attribuisce calorosi e prolungati
applausi, per molti, autografi su dischi e CD. Un plauso all’organizzazione,
che da anni, presenta un calendario musicale di primo ordine.
Un violino
intenso, drammatico, dalle sonorità più attinenti alla ruvidezza del folk che
all’ostentata perfezione formale della classica, ci introduce alle prime note
di “L’essenziale”, brano che apre “Canzoni nel cassetto” e che diventa quasi un
manifesto del Clemente-pensiero: l’autore ci spiega chi non vale la pena
ascoltare, di chi non è opportuno circondarsi, per ritrovare l’amore delle
piccole cose, il profumo del mare, l’essenziale per vivere. Una canzone
dolcissima, che arriva subito al cuore. Dopo quell’intro di chitarra e violino
entrano tutti gli strumenti, creando un “pieno” bellissimo che prende
immediatamente l’ascoltatore.
Antonio Clemente (che ormai si firma semplicemente Clemente), pittore/cantautore/poeta
di Castelvetrano che – in vari periodi della sua vita – spesso diventa ligure
d’adozione, giunge così al suo terzo album. Il disco completa perfettamente una
trilogia, legata da un fil rouge fatto di emozioni, colori, profumi e sapori
nel cuore dell’artista ma, senza nulla togliere ai due lavori precedenti,
entrambi bellissimi (che si intitolavano “Infinito”
e “Davvero”), questo è probabilmente
il lavoro più completo, più maturo, più intenso dei tre.
Abbiamo parlato
delle emozioni che legano le varie tracce dell’opera clementiana e, appunto, “Piccole emozioni” si intitola il secondo
brano, un delizioso e delicato acquarello in fingerpicking che può a tratti
ricordare la penna di Fabio Concato. Anche qui il tema è quello di “L’essenziale”: tutto il tempo che
perdiamo nella vita dietro a cose, persone, situazioni di cui faremmo
volentieri a meno, dimenticandoci così dei nostri sogni e, appunto, delle
nostre piccole emozioni quotidiane.
“Canzone del poeta bambino” ha questo
bizzarro titolo che sembra un po’ evocare Guccini; il brano, invece, è quello
che procede con l’incedere più duro, più asciutto, rispetto alla dolce magia
delle due tracce precedenti. La storia di questo bambino che sogna correndo nei
prati e guardando la luna, si evolve nella vita triste di un uomo costretto al
precariato e a situazioni di fortuna, finché l’amore di una donna non gli fa
ritrovare almeno un po’ la gioia e la purezza dell’infanzia. I ricami del
flauto, che ben volteggia attorno ai pochi ma giusti accenti del piano, danno
al tutto un tocco quasi progressive rock.
In “Veni l’estati” (viene l’estate, per chi
non è avvezzo al dialetto siciliano), Clemente riscopre le sue origini, canta
in dialetto e ne nasce un brano stupendo, uno dei veri “highlights” del disco,
fantastiche sonorità tra folk e prog che ci riportano a gruppi leggendari come
il Canzoniere del Lazio e la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Il testo, per
chi è stato in Sicilia almeno una volta nella vita, fa venire i brividi: un
quadro perfetto, con i sassi caldi per il sole, i fiori bruciati e lo scirocco
che soffia.
“Alla difesa dei sogni” ci riporta un po’
alle due precedenti opere di Clemente, quelle un po’ influenzate dal De Gregori
più dylaniano, con l’armonica a bocca in primo piano e una bella ritmica un po’
country.
“Canzone di Natale” è di nuovo un brano
che va a esplorare le sonorità folk delle due tracce precedenti. Il testo è una
forte denuncia nei confronti di che cos’è diventato il Natale oggi: ipocrisia,
opportunismo, consumismo, cura dell’immagine in primo piano. Stiamo vivendo un
periodo storico difficile, questo è inutile negarlo; eppure sembra che dietro
un augurio di “Buon Natale” si possa buttare alle spalle, come la polvere sotto
il tappeto, la crisi, la disoccupazione, la fame, la guerra.
“Non è un gioco” è forse il capitolo più
amaro dell’intera opera, ben supportato da tappeti oscuri e sonorità tenebrose:
come sta cambiando la società attuale? Arrivismo, arroganza, rabbia, avidità.
“La libertà” ci riporta, dopo due brani
molto drammatici, alla dolcezza delle prime due canzoni. Ritroviamo chitarre
arpeggiate e violini a supporto di una storia che ci racconta quanto sia
importante viaggiare, esplorare, guardarsi attorno, capire, conoscere e,
soprattutto, sentirsi liberi.
“Cuori al vento”: qui Dylan emerge
prepotente nelle note dell’armonica a bocca iniziale, a “condire” un bellissimo
testo che ci dice quanto è importante lottare, cercare emozioni e non lasciarsi
andare mai allo sconforto. E la citazione, a un certo punto, arriva: “Blowin’ in the wind”.
Anche “Tango delle circostanze avverse” ha di
nuovo un titolo dal sapore gucciniano e, in effetti, stavolta, qualcosa del
Maestro di Pàvana, nelle atmosfere, c’è… Storie di bar frequentati da gente
noiosa e che parla a vanvera, finché a un certo punto arriva lei: un amore
bellissimo, seppur fallimentare; una storia problematica, ma emozionante.
“E non ne parliamo più” è, di tutto il
disco, il brano che avrebbe le migliori potenzialità di “hit single”: le
sonorità son quelle del resto dell’opera, giocate su chitarra arpeggiata e
pianoforte, ma melodie e atmosfere virano verso un pop elegante, raffinato,
intelligente e di grande qualità. Un pezzo che meriterebbe tantissimo spazio
nella programmazione radiofonica e televisiva italiana.
“Vivere” ha un arrangiamento complesso,
con intrecci di più archi, ricami pianistici molto variopinti e un bel riff di
chitarra acustica, che riporta Clemente nei territori del cantautorato più
vicino al prog. Un brano interessante che costituisce un’ennesima sterzata in
un album brillante e variegato, ricco di atmosfere.
E si finisce
con una “Stupida canzone” che,
ovviamente, a dispetto del titolo, stupida non è affatto. Siamo di nuovo al
cospetto del Clemente più intimista, che ci parla di sentimenti ingabbiati
nelle regole, spesso troppo severe, della quotidianità. E qui, a sorpresa, fa
capolino anche una marimba ad arricchire l’arrangiamento.
Il brano
finisce, tra gli ultimi tintinnii delle percussioni intonate e l’arpeggio
conclusivo della chitarra, verso i 2 minuti e 40” ma… Dopo un minuto abbondante
di silenzio spunta una Ghost track senza titolo. Clemente sceglie di concludere
il disco così, con un brano semplice, per sola voce e chitarra, nel quale ci
racconta una storia d’amore “bruciata in fretta come una Marlboro”. Il resto è
“rabbia e solitudine”. Un finale pieno di amarezza, che però suona come
un’ottima chiosa in un album per il quale non è eccessivo l’aggettivo
“memorabile”. Una delle perle più preziose nel ricco panorama dell’attuale
cantautorato italiano.
ecco le recensioni di Nicola
Sisto, pubblicata sul quotidiano "L'Unità",
e di Massimiliano Leva, per condividere
quanto scritto. Ma anche per ricordare agli "indecisi" o
"titubanti" che stanno perdendo l'occasione di ascoltare un grande
album. Ovviamente sto parlando di Miniature,
il nuovo album di Gianni Nocenzi!
Dopo 8 anni di assenza i Deus Ex
Machina pubblicano il loro ottavo album, dal titolo Devoto.
Indiscutibile stile Rock Progressivo
Italiano improntato ai più famosi gruppi italiani e non dell’epoca d’oro, Devoto
è un gradito ritorno della formazione DEM (nata nel 1985 con Mauro Collina alle chitarre, Alessandro Bonetti al violino, Alessandro Porreca al basso, Luigi Ricciardiello - organo, piani e
sinth -, Claudio Trotta alla batteria,
Alberto Piras alla voce e la
partecipazione di Luigi Savino - sinth e contrabbasso -, Alessandro Meroli al sax baritono, Marco Matteuzzi al sax contralto e Massimo Greco alla tromba), sorprendente per le riscoperte
sonorità tipiche del prog, con svariate e controtempi, dissonanze e fraseggi
che richiamano le atmosfere di quel periodo fantastico.
Luigi Ricciardiello - che ritorna dopo un intervallo di due decenni per
sostituire Puglisi - e la chitarra di Mauro
Collina, aggiungono un tocco di jazz sperimentale
e nuovi orientamenti che fanno di questo
album un nuovo must della musica prog contemporanea.
I brani…
Autore
del Futuro e Multiverso: un incrocio funky-soul-jazz
e rock. Quattro
Piccole Mani: blues acustico con scorrevoli approccio elettrici, slide
e classic guitars.
Devoto: un riff mid-tempo con
il violino di Bonetti assolutamente eccezionale.
Distratto Da Me: inizia in un
tempo in 3/4 e con una sezione fiati in primo piano per poi dilagare in un
fraseggio voce sintetizzatore di accattivante fattura. Figli
e Più uguale: mostrano la voce di Alberto Piras, appassionata, lirica e
talvolta con richiami del grande Demetrio Stratos. Un’estensione canora
incredibile e poi il violino di Bonetti
a richiamare un Jean-Luk Ponty in equilibrio tra prog e jazz. Sotterfugio:
un passaggio strumentale, un’ improvvisazione sperimentale alle tastiere e
archi. Eterno
ritorno e Transizione: altri due
brani che mettono in luce le qualità eccezionali della voce di Alberto Piras, oltre
alle capacità strumentali dei vari musicisti, veramente notevoli.
Raramente può capitare di ascoltare un
lavoro così completo, una specie di enciclopedia del Prog/Rock dove ogni nota
ricalca atmosfere dei più svariati gruppi nel corso degli anni di piena
visibilità, un compendio di tutti gli effetti acustici e sintetici che hanno
caratterizzato questo tipo di musica e l’hanno resa immensa .
Grande merito ai DEM che con uno stile
personale e indiscutibile hanno saputo declinare un album eccezionale per gli
amanti del genere, impedibile e carico di energia.
Il nome Deus Ex Machina pare
davvero azzeccato e l’album, se fruito… “devotamente”,
Sprigionerà il piacere derivante dall’ascolto della buona musica.