L’album “The Tree of time” del gruppo “Hirpus
Trio” (dalla parola hirpos, lupo nella lingua osca degli irpini, da cui
deriva Irpinia, la terra di origine della formazione) uscito qualche mese fa
merita assolutamente di essere ricordato e riacceso in questo particolare
periodo di “risveglio” che stiamo tutti vivendo, come le lancette del suo
titolo “TIC TAC”.
Disco di grande equilibrio trasversale, dove il jazz esiste e
domina pienamente tutte le tracce insieme a molteplici linguaggi di differente
natura, tutti perfettamente amalgamati. Elemento comune è la ricerca del suono
e la sincerità che traspare dal lavoro che scivola via con grande naturalezza.
L’ho ascoltato diverse volte di seguito, sempre coinvolto dal suono, dalle
dinamiche e anche dalla pregevole tecnica dei musicisti.
Disco
consigliatissimo a tutti, senza distinzioni di gusti musicali.
Edmondo Romano
Luca Roseto– alto & soprano sax,
Eric Capone – tastiere, piano & voce,
Antonio Fusco – batteria &
percussioni
Tic Tac (Tick Tock) - Come i rintocchi del tempo in una lingua antica. Un tempo
passato ad ascoltare un suono ripetuto all’infinito, come un incantesimo in
preparazione al sogno. Ogni storia ha creato il terreno su cui questo progetto
avrebbe poi trovato radici, facendo germogliare l'albero del tempo. Non
ripercorre la memoria, ma si appropria dell'esperienza di ciascuno dei
musicisti e la intreccia come rami che si stagliano nel cielo di una fitta
foresta - che è il nostro presente.
HIRPUS TRIO è un progetto di A. Fusco e L. Roseto con la partecipazione
del pianista e compositore E. Capone. L’unione dei tre musicisti ha dato forma
a un repertorio dal suono autentico, riconoscibile sia nelle composizioni
originali che nei brani rivisitati e nelle libere improvvisazioni. Il progetto
rappresenta un mix di flussi sonori che guida l’ascoltatore in un suggestivo
viaggio uditivo.
Pubblicazione
– Dicembre 2020
PRESS LINK
The Tree Of time:
Hirpus Trio –
Tic Tac
The Tree Of
Time
Da Vinci Jazz Publishing (EAN Code:
7.46160911779)
Sassofono contralto e soprano, compositore. Dopo gli studi
classici si appassiona sempre di più al jazz e durante gli anni universitari,
entra a far parte di orchestre e gruppi musicali dell’ateneo salernitano. Nel
2003 discute la sua tesi di Laurea in Sociologia intitolata “IL JAZZ:Analisi
Storica, Sociale, Stilistica” e frequenta “The Berklee Summer School At Umbria
Jazz Clinics” a Perugia. Partecipa a corsi di perfezionamento e seminari tenuti
da musicisti di fama mondiale (Elvin Jones, Bobby McFerrin, Stefano di
Battista, Giovanni Tommaso, Stefano Bollani, Dario Deidda ecc.). Si esibisce in
festival di livello internazionale (European Jazz Expo, Umbria Jazz 2002/2003,
Festival dei Due Mondi di Spoleto, Les Man Jazz Festival, Val Bonne Jazz
Festival, Copenhagen Jazz Festival) e collabora con numerosi artisti di
rilievo. Partecipa come sideman alla realizzazione di diversi CDs (es. Take the
“U” Train, Next Station, B.B. Orkestra-Swing Pop ecc.). Nel 2017 la
pubblicazione del primo album a suo nome dal titolo “Irpinia” accompagnato dal
talentuoso fisarmonicista Carmine Ioanna.
Antonio Fusco
Sempre attento e disponibile alle nuove tendenze del jazz e
della musica in generale, il suo stile ha origini nel rock, blues e jazz, fino
ad arrivare alla musica sperimentale d'avanguardia. Attualmente è impegnato in
diverse formazioni del panorama jazzistico internazionale tra cui: Sejin Bae
Quartet, Antonio Fusco 5et (Giappone), Zhang Jing Trio (Cina), Massimiliano
Rolff Trio Gershwin On Air (Italia). È stato intervistato su diverse testate e
radio tra cui: Musikateneo, Batteria e Percussioni, Senza Barcode, JAZZIT, Jazz
espresso, Radio Rai 3 (in qualità di leader e con diverse formazioni tra cui
Giovanni falzone Contemporary Orchestra e Tino Tracanna Acrobat), Jazz Inside,
Radio popolare. Nel 2014 viene inserito biograficamente nella nuova edizione
del "Dizionario del Jazz Italiano " a cura di Flavio Caprera per
Feltrinelli Edizioni. Ha suonato e con Tim Berne, Nick Hampton, Yuhan Su, Paolo
Fresu, Tino Tracanna, Paolino Dalla Porta, Francesco Bearzatti Tinissima 4et,
Reem Kelani, Giovanni Falzone 5et, Giovanni Falzone Contemporary Orchestra, Li
Gao Yang. Dal 2017 insegna al dipartimento jazz dell’Accademia Di Musica
Contemporanea di Pechino.
Eric Capone
Compositore e arrangiatore, polistrumentista (pianoforte,
chitarra, fisarmonica, percussioni, balafon, oud, canto, ecc). Ha fondato il
gruppo pop rock LA STRADA nel 1988, per il quale ha scritto e registrato tre
album firmati da BMG e Warner, dando più di 100 concerti all'anno. Dal 2000 al
2008 è stato nominato direttore artistico del programma OSNI per il
Grenoble-Jazz-Festival, (uno dei 5 piu importanti in francia).Tra il 2003 e il
2007, ha diretto un corso settimanale di songwriting al conservatorio di
Chambéry, poi dal 2004 al 2014 a quello di Grenoble.Insegna pianoforte al
Conservatorio di Grenoble (2004-2015), e ha istituito un insegnamento
trasversale Europa / Africa con un orchestra di 20 bambini e adolescenti.
(2013-2017). Ha partecipato a numerosi scambi artistici in Africa: Marocco,
Congo, Burkina Faso e Asia (Hong Kong, Taiwan). Dal 2017 suona in trio con
Carmine Ioanna, fisarmonicista italiano e Wendlavim Zabsonré, batterista
burkinabe.
La primavera
del 2019 fu un punto di svolta per il Banco del Mutuo Soccorso…dopo 25
anni usciva un nuovo travolgente album in studio con brani inediti, “Transiberiana”.
La
“prima” in assoluto, venne fatta per pochi fedelissimi al Teatro delle Ore a
Marino il 10 marzo del 2019, con una “guida all’ascolto”, dibattito, e
“riflessioni” al ristorante.
A
maggio prima per la stampa alla Sony di Milano, a cui seguirono altre in tutta
Italia. L’uscita del album con la “storica” recensione di Prog UK, dove “Tutto
suona meglio in Italiano”, insomma un’ammissione della grandezza del Banco. Il
seguente tour ne sancirà il successo. Solo la pandemia poteva bloccare le
“rotaie”, ma state all’erta, tra poco la Transiberiana… riparte.
Allegate
alcune recensioni di quella “bella” primavera del 2019.
Wazza
Un
album inedito che arriva dopo 25 anni è di per sè un evento, ma se poi parliamo
del nuovo disco del Banco del Mutuo Soccorso (BMS)la notizia ha
dell’incredibile. Dopo le anticipazioni delle scorse settimane, la conferma
ufficiale è arrivata sottoforma di una data: il 26 aprile arriva
"Transiberiana". L’album di studio, in uscita per l’etichetta tedesca
Inside Out Music/Sony Music Group, è il primo per il gruppo, dopo la scomparsa
di Francesco Di Giacomo, avvenuta nel 2014, e di Rodolfo Maltese nel 2015, avvenimenti
che hanno costretto la band ad effettuare dei cambi nella line up, anche
perché, come molti ricordano, il primo a lasciare il gruppo fu Gianni Nocenzi,
fratello di Vittorio, nel 1984. E così, dopo la pubblicazione dell'album
"13", del 1994, la band giunge a questo nuovo traguardo. Lo sorso 19
marzo, noi de “La Cicala”, abbiamo seguito in anteprima mondiale, presso la
Proloco di Marino, la presentazione alla stampa e ai fun, rigorosamente a porte
chiuse, del nuovo e inedito Album Transiberiana. A fare gli onori di casa è
stato il presidente della Proloco Massimo Lauri che ha consegnato alla band la
tessera onoraria della Proloco. Poi sono state scattate delle foto, firmate dal
gruppo e consegnate al Banco e all'archivio storico della proloco. Gli scatti,
eseguiti da Lauri, sono stati ovviamente numerati per poter essere mostrati al
pubblico in futuro. Poi la band ha voluto uscire per una passeggiata per i
vicoli di Marino, luoghi cari a Vittorio Nocenzi, perché è da qui che
incomincia la loro storia. Una sosta a via Posta Vecchia per raccontare gli
aneddoti di una vita e salutare amici e parenti. La passeggiata è continuata
poi con una visita al Museo del Bottaio e del Carretto a Vino dove Massimo
Lauri ha potuto dare sfogo alle sue qualità di oratore e divertente
intrattenitore.Vittorio Nocenzi è un fiume in piena. Racconta, spiega e a volte
si infervora: «la Transiberiana è probabilmente la traversata più lunga che si
possa fare in treno sul nostro pianeta. Quasi 9.500 chilometri tra steppe,
deserti e ambienti inospitali. In un certo senso potrebbe rappresentare una
bella metafora della nostra esistenza: ci sono una partenza, un arrivo. C'è la
paura e poi ci sono le aspettative ma anche gli imprevisti. Insomma, tutte
quelle problematiche che la vita puntualmente ci presenta». Non sta più nella
pelle: dopo ben 25 anni di silenzi discografici, il nuovo album del Banco del
Mutuo Soccorso conterrà una bonus track (circa 20 minuti) con alcuni brani del
concerto tenutosi a settembre a Veruno. Alla nuova fatica del gruppo hanno dato
il loro contributo lo stesso Vittorio Nocenzi (pianoforte, tastiere e voce),
Filippo Marcheggiani (chitarra elettrica), Nicola Di Già (chitarra ritmica),
Marco Capozi (basso), Fabio Moresco (batteria) e Tony D’Alessio (lead vocal).
All'uscita del disco seguirà anche un tour, preceduto da un all'Auditorium
Parco della Musica di Roma. Le novità non finiscono qui, il Banco è tornato e
sta già lavorando ad un nuovo progetto: «Si prospetta un nuovo lavoro a cui sto
dietro da circa 5 anni. L'ho realizzato a quattro mani con mio figlio
Michelangelo. Si intitola Orlando (ispirato all'Orlando furioso di Ariosto,
ndr), un'opera contemporanea a cui tengo molto. E proprio grazie alla musica
che sono tornato a vivere. Sono stati anni orribili. Prima la morte di
Francesco (il cantante Francesco Di Giacomo, ndr), poi quella di Rodolfo (il
chitarrista Rodolfo Maltese avvenuta nel 2015, ndr) e giusto per non farmi
mancare nulla anche il mio dramma. Ripeto, la musica mi ha fatto rinascere».
Quindi
il Banco torna a casa, alle sue origini artistiche marinesi, e di qui riparte
per una nuova vita, all'insegna della creatività, ricominciando da dove aveva
lasciato, e nel ricordo degli indimenticabili Francesco e Rodolfo.
Gianni Alfonsi e Giuseppina Brandonisio
Traduzione
della recenzione inglese su “Prog UK”:
BANCO
DEL MUTUO SOCCORSO Transiberiana
I
maestri italiani fanno un ritorno trionfale.
Tutto
suona meglio in italiano. Anche un'attraente frase inglese come 'beautiful
daughter of love' sale di un gradino quando viene presentata come 'bella figlia
dell'amore’. Quanto di più, Banco Del Mutuo Soccorso. Non è certo facile da
pronunciare, ma la sua traduzione in inglese, “Mutual Aid Bank”, non suona bene
allo stesso modo. Questo nuovo album che il Banco ci offre dopo più di 25 anni
è un'aggiunta molto gradita al “Rock Progressivo Italiano" (N.d.r. tutto
ciò che è messo tra virgolette sarà lasciato in italiano dall’autore). Infatti,
essendo entrati per la prima volta in scena nel 1969, è come se Vittorio Nocenzi
e la sua compagnia non se ne fossero mai andati via.
Un
album che trascende il linguaggio.
Per i
vecchi fan del Banco e per i nuovi arrivati, Transiberiana - che usa il viaggio
in treno intercontinentale come metafora della vita - contiene una varietà di
tesori. Tracce come “La Discesa Dal Treno” e “L’assalto Dei Lupi” riportano
alle vette e alle qualità tecniche dei loro originali, contemporanei inglesi
come Yes e Gentle Giant. Gli anni successivi, - grazie anche agli sviluppi
stratosferici delle tecnologie delle tastiere - fanno sì che canzoni come “I
Ruderi Del Gulag” e la dark rock “Lo Sciamano” abbiano un suono più cupo,
industriale e contemporaneo. Si tratta di sviluppi affascinanti, ma c'è molto
da amare anche negli elementi più morbidi, più latini e jazzy. “Campi di
Fragole” è quasi incredibilmente romantica, un “bel canto” prog, che non
sarebbe fuori posto in una calda serata in Piazza San Marco a Venezia.
In
definitiva, è difficile non resistere al modo in cui il Banco riesce a tenere
alta la loro sofisticata comprensione del prog classico, - l'introduzione a
“Eterna Transiberiana” potrebbe abbellire un album dei Tull dei primi anni Settanta
- con un'audace volontà latina di provare le emozioni. Dopo le misure tecniche
in apertura, “Eterna Transiberiana” diventa una ballata dolce e coinvolgente.
“Il Grande Bianco” si distingue per l'uso di chitarra in loop e tastiera
danzante per un effetto ipnotizzante e crea un soddisfacente senso di spazio e
meraviglia. Merita di diventare il fulcro del loro live set.
Forse
la migliore testimonianza della qualità di “Transiberiana” risiede nel fatto
che l'ascoltatore non ha bisogno di capire l'italiano per apprezzarlo. È un
album che trascende la lingua. Dopo aver perso due membri fondatori negli anni Novanta,
sembrava che il Banco Del Mutuo Soccorso si fosse preso una pausa dalla sua
fase creativa (anche se non per i live). Transiberiana suggerisce il contrario.
L'inclusione di due tracce live registrate nel 2018, tra le quali il classico
“Metamorfosi”, testimonia la loro continua forza nei live, è giusto dire che
questo album ha rinvigorito la band. Sulla prova di quanto offerto, sarebbe
allettante chiedere al Banco Del Mutuo Soccorso di andare avanti “per sempre”
Gianni
e Vittorio davanti alla loro casa natale a Marino
È
stato presentato lo scorso 10 marzo il nuovo album del Banco, “Transiberiana”
al Teatro delle Ore presso la Proloco di Marino. Un evento, per ordine della
casa discografica Inside Out Music, rigorosamente a porte chiuse. Presenti la
stampa e i presidenti nazionali dei fan club. Marino non è solo il paese che ha
dato i natali a Vittorio Nocenzi, ma è anche il paese dove tutto ebbe inizio.
In occasione della presentazione dell’album Transiberiana, il presidente della
Proloco, Massimo Lauri, ha organizzato una giornata dedicata a ripercorrere la
storia e i luoghi cari a Nocenzi, tra aneddoti, racconti e passeggiate gli
ospiti hanno potuto assaggiare un pezzo di storia del Banco del Mutuo Soccorso.
Un album dopo 25 anni è già di per se una notizia, se poi parliamo del Banco
acquista un sapore in più; «di cose in questi anni ne sono cambiate, tanti gli
eventi che hanno lasciato un segno indelebile nella mia vita - ci racconta
Vittorio Nocenzi ». Transiberiana è un album inedito, un viaggio metaforico
della vita, una necessità di fissare una tappa, un percorso, «dopo anni di attività
concertistica - continua Vittorio - ci siamo accorti che abbiamo trascurato
l’attività di registrazione. È accaduto perché la vita non è distaccata da
quanto scrivi, anzi t’ispira direttamente. Comporre brani nuovi e scriverne i
testi scaturisce sempre dalla vita… sarà poi questa, qualunque forma
sceglierai, che si esprimerà nel tuo lavoro creativo. Ebbene, il lento ma
continuo degrado culturale e sociale, che stiamo vivendo ormai da tanti anni,
non ci ispirava, anzi ci spingeva ad eludere l’appuntamento con la scrittura».
?Il banco del Mutuo Soccorso si presenta con elementi nuovi rispetto al
passato, vale la pena ricordarli: il chitarrista Nicola di Già, «è nel Banco
già da qualche tempo e ha avuto la possibilità di incontrarsi con Rodolfo
Maltese». Il batterista Fabio Moresco: «Ho provato diversi musicisti, ma Fabio
ha un calore unico, unito a una presenza esecutiva fortissima. In più viene
dall’esperienza prog con Metamorfosi ed è diplomato al conservatorio in
percussioni. Il bassista, Marco Capozi: «Mi ha conquistato subito per il tocco
che ha sullo strumento». il chitarrista Filippo Marchegiani: «Ha seguito i
concerti del Banco fin da bambino, è entrato nella band nel ’93.
Sentivo
il bisogno di due chitarre stabili per aumentare l’orchestrazione dei brani.
Filippo è di Marino, come me e la cosa mi colpì particolarmente anche perché,
come me, aveva perso il papà da piccolo. La dimensione umana dei musicisti con
cui lavorare per me è sempre stata molto importante. La musica scava dei
contatti profondi, “intimi” tra le persone.» Tony D’Alessio, la voce: «Lo
conoscevo da anni, è venuto a decine di concerti. Una potenza vocale
particolare, era amico di Francesco, Francesco Di Giacomo. Lo conosceva bene e
di lui ne aveva stima». L’attuale formazione del Banco è composta da persone
vere con due qualità: l’umiltà e la passione. «Una giornata meravigliosa
trascorsa con l’amico di sempre Vittorio Nocenzi - ci racconta Massimo Lauri,
presidente della Proloco - un’occasione per ricordare i vecchi tempi; ringrazio
il Banco del Mutuo Soccorso per aver scelto Marino e il Teatro delle Ore della
Proloco per presentare Transiberiana in anteprima mondiale.» Durante la
conferenza stampa, Massimo Lauri, ha fatto dono alla band di una prestigiosa
raccolta di fotografie, in edizione limitatissima, solo due copie di cui una
rimarrà negli archivi della Proloco, scattate da lui stesso durante il servizio
fotografico per l’articolo uscito sulla rivista Prog Italia. «la tessera di
socio onorari della Proloco conclude Lauri - è solo un piccolo gesto a cornice
di un evento indimenticabile».
Quella
per la musica non è una passione come le altre. Per chiunque ne sia soggiogato,
rappresenta una componente talmente importante della propria esistenza da non
poterne fare a meno. Questa è la riflessione che sgorga spontanea leggendo il
primo romanzo a sfondo autobiografico dello scrittore e musicista romano Federico “Fed” Venditti (chitarrista della
promettente band doom/stoner/gothic metal Witches of Doom con all’attivo tre
album). Ecco, quindi, che le sette note non soltanto fungono da colonna sonora
della nostra vita, ma sono in grado di erigersi a baluardo nei momenti di
profonda solitudine, in quei terribili frangenti in cui tutto appare perduto e
ci si sente inermi come un fuscello nel mare in tempesta.
Nelle
vicende di Claudio Polverari, detto Polvere, protagonista di 19 – Un tram chiamato nostalgia, il metal e il
rock costituiscono gli unici veri compagni in grado di supportare la sua determinazione
nel voler sentirsi a tutti i costi diverso dagli altri, negli atteggiamenti,
nei gusti personali, nel modo di vestire, insomma, in ogni singolo aspetto che
delinea la personalità di un individuo. In
un deserto di affetti familiari, afflitto da un carattere introverso, estremamente
timido, perennemente impacciato negli approcci con l’altro sesso e capace
unicamente di aprirsi solo se si parla di musica, Polvere risulta essere, come
si suol dire a Roma, uno “sfigato” che agli occhi degli altri, i presunti
normali, è un perdente senza alcun futuro. Ma c’è un’occasione in cui egli trova
l’esaltazione di sé stesso, ovvero quando si infila nel suo negozio di dischi
preferito, il più alternativo della Capitale, e che raggiunge con la linea 19: il
Sabbra Cadabra, sito nel quartiere San Lorenzo. È lì che trascorre le ore più
felici, impegnato a visualizzare e analizzare i vinili e a confrontare le
proprie idee con il competente commesso Santiago. A Polvere, però, questo non
basta e cerca in ogni possibile circostanza l’isolamento ascoltando con
attenzione maniacale ciò che più gli aggrada utilizzando gli auricolari ed estraniandosi
volutamente dal mondo esterno che gli è così ostile. Tutta la storia si snoda
in questo contesto ben conosciuto da chi ha vissuto anche in epoche diverse la
ghettizzazione da parte dei genitori e amici nei confronti di chi soleva approcciare
a una musica “diversa”, snobbata dalla maggioranza e apostrofata con termini denigranti
e commentata con frasi superficiali del tipo “Ascolti metal? Solo
confusione!”. Chi ci è passato in prima persona sa molto bene di cosa si stia
parlando e di quanto sia stato difficile, se non impossibile, condividere i
propri gusti con mentalità ottuse, ancorate a stilemi codificati e prive di
qualsivoglia volontà di progredire verso altri lidi. Il libro stimola e
commuove, e nelle sue oltre le 300 pagine trovano spazio informazioni e
riflessioni su numerose band e artisti più disparati, segno incontrovertibile
della cultura musicale di Federico. Ci si può immedesimare nel protagonista,
nel suo tortuoso percorso di maturazione e consapevolezza che sarà portato a
compimento alla fine del romanzo, con una trovata dell’autore, dagli inaspettati
contorni surreali, la quale sancirà il passaggio a una nuova fase in cui,
comunque, l’assoluta protagonista continuerà a essere una sola: la musica. L’autore
è in procinto di pubblicare un nuovo romanzo che si intitolerà Hotel Paranoia,
credo che lo acquisterò a scatola chiusa.
“One
of the greatest drummers I’ve ever played with, a great guy, and a very sad
loss.”
(Steve Winwood)
Ci sono batteristi che hanno suonato
con i “più grandi” e che hanno contribuito con il loro stile a rendere
immortali molte canzoni, ma rimasti sempre “nell’ombra”.
Uno di questi è Roger Hawkins, batterista americano che conoscevo
perché suonò nei Traffic di Winwood/Capaldi/Wood, nel mastodontico tour
“Traffic on the road” del 1972. Purtroppo, se ne è andato il 20 maggio,
vergognosamente ignorato dalla stampa “specializzata” italiana, in un mondo
dove se non appari non esisti.
RIP
Wazza
Traffic
on tour in 1972: Rebop Kwaku Baah, Barry Beckett, Jim Capaldi, Steve Winwood,
Roger Hawkins, Chris Wood, David Hood (L to R)
Roger
was among the best drummers to ever sit behind a kit. There’s an old line about
studio musicians: You might not have heard of them, but you’ve certainly heard
them
Con Aretha Franklin
Here’s
a tip-of-the-iceberg list of hits Roger played on: “When a Man Loves a Woman” –
Percy Sledge; “Land of 1,000 Dances,” “Mustang Sally,” and “Hey Jude” – Wilson
Pickett; “I’m Your Puppet” – James & Bobby Purify; “Respect,” “Chain of
Fools,” “Since You’ve Been Gone,” “Think,” and “I Never Loved a Man (the Way I
Love You)” – Aretha Franklin; “Take a Letter Maria” – R.B. Greaves; “Respect
Yourself” and “I’ll Take You There” – the Staple Singers; “Kodachrome” and
“Loves Me Like a Rock” – Paul Simon; “Mainstreet,” “We’ve Got Tonight,” and
“Old Time Rock & Roll” – Bob Seger.
He
also played drums on recordings by Linda Ronstadt, Laura Nyro, Solomon Burke,
Leon Russell (who gave the Swampers their name), Cher, Rod Stewart, Jimmy
Buffett, Albert King, Cat Stevens, Eric Clapton, Joe Cocker, and a host of
others.
Gruppo: La
Fantasima – Chris (guitars), Maxbax (bass), Max (drums/piano)
EP: Notte
Anno di pubblicazione:
2018
Etichetta
discografica: Hellbones Records
Tracklist: Notte –
Placida Musa – Dea Mia – Amante Silente – Sino al Mattino
Commento di Fabio
Rossi
Notte, pubblicato per
l’Hellbones Records nel 2018, è il titolo del secondo disco dei capitolini La Fantasima, che segue di tre anni La
Fantasima con il quale esordirono discograficamente dopo una lunga gavetta.
La formazione, composta
di tre elementi, ha inteso portare avanti la propria direttrice artistica
intrapresa con il lavoro precedente, forse dalle caratteristiche più
introspettive e oscure, permanendo nell’ambito dell’ambient/drone adornato di
una veste malinconica e umbratile. Lo stile di questo nuovo album interamente
strumentale abbraccia sapientemente svariati altri generi quali il progressive,
il doom e la psichedelia con il deliberato intento di suscitare nello stato
d’animo dell’ascoltatore emozioni profonde e meditative. A tal riguardo, si
consiglia l’uso delle cuffie auricolari proprio per inebriarsi maggiormente
dell’atmosfera misticheggiante e onirica di cui sono permeate le cinque
composizioni incluse in Notte che può essere definito a tutti gli
effetti una sorta di concept privo di liriche.
Si riscontrano
influenze di band blasonate come Anathema, Sigur Ros, Cathedral, Paradise Lost,
My Dying Bride in un equilibrio perfetto tra l’ambient (riscontrabile
specialmente in Dea Mia eseguita con la collaborazione del belga Ashtoreth), il
prog e l’heavy metal. Talvolta il trio dà quasi l’impressione che da un momento
all’altro stia per virare verso lidi più duri e frenetici, lo si percepisce in Placida
Musa, la migliore del lotto, e nella conclusiva Sino al Mattino, ma
ciò non accade e si rimane attagliati a ritmiche minimaliste, pressoché
rarefatte come nel caso della title track, che invitano alla riflessione e alla
ricerca di un’empatia con l’ammaliante buio della notte che avvolge la terra
demolendo qualsivoglia timore e pregiudizio.
Il sound è
estremamente pulito con pregevoli fraseggi della chitarra elettrica e del basso
per cui non ci sono approcci allo stoner che forse il gruppo potrebbe
proficuamente sperimentare nel prosieguo della loro carriera. Domina un apparente
generale senso di tristezza e, infatti, sembra più un prodotto di matrice
scandinava che italiana, ma paradossalmente Notte riesce a rilassarti alla
stessa stregua di un mantra. Le sensazioni, ovviamente, sono sempre personali e
quelle suscitate allo scrivente dall’architettura del sound dei La Fantasima e
dall’evocativo disegno realizzato da Tonino Mirandi per l’originale cover, le
cui dimensioni sono quasi come paragonabili a quelle di un vecchio 45 giri, sono
di positività e speranza verso il nuovo giorno che sta per nascere. I passi che
si odono in questo pregevole lavoro sono dello stesso ascoltatore accompagnato
dalla musica in un percorso di riscoperta della natura boschiva illuminata
dalla luna. Chris, Maxbax e Max mirano a liberarti la mente per farti
soffermare sul fascino dell’oscurità ed è forse questo peculiare aspetto che
infonde un irrefrenabile desiderio di libertà e fiducia nel futuro che sarà
preannunciato dalle prime luci dell’alba: non so se questo fosse il loro intendimento,
ma in caso affermativo… beh, per me è stato perfettamente centrato.
“Non ci sono amici veri o amici
falsi, ci sono persone che sanno cosa significa il termine “amicizia” e persone
che invece pensano di saperlo, persone che la usano solo per pura comodità e
persone che te lo dimostrano anche stando in silenzio.
Non si nasce amici, si impara ad
esserlo.”
(Ilaria Pasqualetti)
21 maggio
Ci sarai sempre. Buon viaggio
Capitano.
Wazza
Questa dedica semiseria al cantante
del BMS nasce da una profonda ammirazione per l'artista e la persona.
Abbiamo perso un cantante dalle doti
canore assolutamente singolari, considerando, poi, che si applicavano a testi e
musiche altrettanto innovativi. Giacomo aveva ancora da darci un bel po’. Lo
incontrai alcuni anni fa a Sirolo. Passeggiava con due suoi colleghi (a me non
noti) nei pressi del teatro nel quale alla sera avrebbero rappresentato un
lavoro teatrale, non solo musicale. "Francesco! Accidenti sei proprio
tu!" Per quanto l'artista, il personaggio noto cerchi e gradisca la
considerazione dei fan, sembrò prevalere almeno in quel caso, l'esigenza di
tranquillità alimentata probabilmente da una ritrosia e riservatezza
connaturata in artisti dall'impegno civile. Ma furono estremamente gentili e
disponibili. Avevo con me sempre la fotocamera.
"Permettetemi di farvi un
paio di foto. Sapete, sai Francesco, siete fra i miei gruppi preferiti; anzi si
può dire che ho vagheggiato nella mia adolescenza sul tappeto della vostra
musica epica, consolatoria ed al tempo stesso struggente, si può addirittura
dire che mi sono formato emotivamente oltre che cognitivamente su di essa."
Lapidaria la considerazione di
Francesco: "Aiah ragazzi, annamosene che questo ce chiede li danni
pissicologgici!"
Grazie Francesco anche per la tua
semplicità ed immediatezza.
K. è il titolo del
nuovo lavoro della talentuosa band pisana Eveline’s
Dust (monicker ispirato da Eveline, uno dei racconti di James Joyce
contenuti nella raccolta Gente di Dublino) pubblicato a distanza di tre anni dal
mirabile debut album The Painkeeper. Analogamente al primo disco, K.
è un concept dalla trama tanto significativa quanto drammatica. Il personaggio
centrale è una giovane ragazza sfortunata (K. è proprio l’iniziale del suo
nome) affetta da un male incurabile che a poco a poco la sta devastando. La
giovane deve lottare ogni giorno contro l’ineluttabile paura della morte, un
evento che cerca disperatamente di allontanare il più possibile perché lei ha
voglia di vivere e non vuole soccombere all’infausto destino. In un certo qual
modo K. è una sorta di eroina dalla quale ognuno di noi dovrebbe
prendere esempio ogniqualvolta ci adombriamo per questioni risolvibili.
Le
sette tracce che compongono il platter sono in sostanza le storie di coloro che
hanno gravitato attorno alla vita della protagonista (infermieri, amori, compagni
di scuola, amici, parenti) persone che l’hanno aiutata e altre che l’hanno umiliata,
come si evince nella traccia Hope.
Sotto
il profilo musicale, il full length segue le stesse direttrici di The
Painkeeper, il quale è stato accolto favorevolmente sia in Italia che
all’estero, per cui reputo tale scelta assolutamente condivisibile.
Il
prog settantiano di matrice romantica (King Crimson, Genesis, Gentle Giant,
PFM) viene abilmente alternato a venature jazz rock (Perigeo) e a riferimenti
neoprogressive (Porcupine Tree, Marillion, Dream Theater) in un caleidoscopio
sonoro perfettamente concepito che ha il pregio di risultare sempre godibile
all’ascolto grazie all’accuratezza degli arrangiamenti e alla versatilità
strutturale delle composizioni.
Il
gruppo anche in questo frangente si è avvalso della collaborazione di alcuni
special guest. Fra gli ospiti spicca il ritorno di Federico Avella con il
suo prezioso supporto al sax e al flauto traverso; da menzionare, inoltre,
l’apporto della singer Lorenza Catricalà.
L’atmosfera
greve di cui è intriso l’album si manifesta già nell’opener A New
Beginning, dominata da un arpeggio di chitarra su cui si staglia
l’ugola di Nicola Pedreschi. Il brano esplode quando gli Eveline’s Dust entrano
nel piano delle sue potenzialità catapultandoci in un tessuto sonoro inequivocabilmente
“targato Everline’s Dust”. Questo è forse il complimento migliore che si possa
fare a una formazione emergente. Non ci si aspetta, difatti, originalità,
probabilmente è ormai una mera utopia, ma quantomeno il tentativo di dimostrare
una grande personalità artistica accostabile a quella dei blasonati gruppi
sopra menzionati.
In
Fierce Fear Family si impone il drumming di Angelo Carmignani,
mentre nella commovente Hope svetta l’ipnotica chitarra di
Lorenzo Gherarducci.
La
breve title track è anche il singolo estrapolato da K. accompagnato da
un suggestivo videoclip.
Il combo è in forma smagliante sia quando si
lancia in cavalcate ardimentose che quando rallenta il ritmo, come nel caso
della seguente Lost In A Lullaby.Il finale di questo brano è al fulmicotone,
uno dei momenti migliori di K.
Faintly Falling dispone di un andamento quasi etereo,
impreziosito dall’eccellente vocalism della Catricalà.
Chiudono K. i quasi dieci minuti di Rain
Over Gentle Travellers, una sorta di mini-suite che possiede tutti i
crismi per essere annoverata tra le migliori composizioni degli ultimi tempi.
Il pathos cresce sempre di più fino alla parte conclusiva in cui inquiete note
di chitarra preannunciano l’ormai prossima prematura scomparsa di K. che
sta per consegnarsi alla Signora con la Falce: prima di lascarci vuole cantare
un’ultima volta per i suoi cari e vederli sorridere per un’ultima volta... Struggente,
non occorre aggiungere altro! Consiglio l’uso degli auricolari per assaporare
meglio le sfumature di quello che reputo un grande disco e con orgoglio aggiungo
“realizzato da una band italiana”.
''Per conoscere me e le mie
verità, ho combattuto fantasmi di angosce con perdite di io.
Per distruggere vecchie realtà ho
galleggiato su mari di irrazionalità.
Ho dormito per non morire, buttando i
miei miti di carta su cieli di schizofrenia''
(No U Turn)
Altro bruttissimo giorno, per la
musica, l’arte la bellezza… ci lascia anche Franco
Battiato. Un genio che ha lottato contro tutti i pregiudizi degli
anni’70 - quando “sperimentava” - per diventare il grande artista che tutti
conoscono.
Amico dei fratelli Nocenzi del Banco
dai tempi remoti della RCA sulla via tiburtina a Roma. Nel 2015 incise con il
Banco il brano “Imago Mundi”, contenuto nel booklet dei 50 anni di Darwin (https://www.youtube.com/watch?v=ngpI2re0tLs)
Grande dispiacere
RIP
Wazza
(dalla rete)
Non è guarito dalla malattia canaglia
- si era detto alzhheimer, si era detto di tutto, in verità - che l'aveva
portato via dalla canzone, dalla parola, dalla sua Sicilia Franco Battiato da
Riposto (allora Ionia), in provincia di Catania, dov'era nato il 23 marzo 1945.
E la sua assenza apre ferite mai rimarginate, scuote il mondo in estinzione
della canzone d'autore storica italiana. Oggi risuoneranno le sue canzoni in
tutta Italia, si dirà, ed era vero, che per molti di noi è stato e resterà un
«Centro di gravità permanente» e che nessun j'accuse scosse l'Italia
berlusconizzata quanto il suo lancinante grido di «Povera patria», come quello
sconsolato sguardo su una primavera che tardava ad arrivare.
Lo ricorderemo come un Giano Bifronte
della nostra cultura popolare - alzati, che sta passando la canzone popolare,
quella che segna nel corpo una nazione, non quella delle cofecchie d'accademia
e degli happy few sempre happy e sempre più few - insieme sperimentale e pop,
alternativo e mainstream, autore e interprete (cos'era quando intonava i lied,
«Amore che vieni, amore che vai», «Ruby tuesday», «La chanson de vieux amants»
e, soprattutto, «Era de maggio»). Nel bombardamento dei coccodrilli senz'anima
si racconterà di come ci abbia permesso di tenere insieme la ricerca dello
spirito («Un oceano di silenzio») con quella dell'amore terreno anzi carnale
(«Tra sesso e castità», «La cura»), il pop più raffinato e sospeso («E ti vengo
a cercare») col rock più corposo e d'impatto («Shock in my town»).
Uno, nessuno e centomila come il
corregionale Pirandello, Battiato ha sfidato «Il vuoto» e «I giorni della
monotonia», alieno nella routine canzonetttara sin dai titoli, dei dischi,
delle canzoni. Convinto, come i filosofi della Magna Grecia a cui era fiero di
appartenere, che «Niente è come sembra» ha recuperato la filosofia sicula in
«Il cammino interminabile» come l'esplosione futurista in «Strani giorni». I
testi delle sue canzoni, non solo quelli firmati da Manlio Sgalambro, sono
ricchi di citazioni/allusioni/giochi di parole quanto un libro di Eco, si
muovono tra filastrocche leggerissime («Cuccurucucu», «L'era del cinghiale
bianco»), la leggerezza convive con la profondità, il piacere epidermico con la
colta consapevolezza di un ex avanguardista convertito alla comunicazione
popolare, le melodie sottili ma inesorabili con improvvisi rovelli elettrici
e/o segni del futuro digitale prossimo venturo.
''Franco mi è figlio e padre, amico e
fratello,è parte di me,e la migliore'
Giusto Pio
Lui, che cantava seduto nella
posizione del loto su un antico tappeto persiano, ha provocato il mondo da cui
veniva (le avanguardie) con la filastrocca dedicata a «L'era del cinghiale
bianco» e, da quel punto, conquistato anche il primato delle hit parade e dei
festivalbar ha punzecchiato il nuovo pianeta su cui era sbarcato con
non-canzoni come «L'anima dolorante di Nietzsche», sinfonie elettroniche e muri
di chitarre memori di Glenn Branca e dei Sonic Youth prima maniera. Negli
ultimi tempi d'attività si era sentito più regista (d'élite) che musicante di
massa ma era comunque bellissimo perdersi nel suo incantesimo.
Milva e Franco Battiato
Organizza la tua mente in nuove
dimensioni
Libera il tuo corpo da ataviche
oppressioni.
Non prestare orecchio alle menzogne
non farti soffocare dai maligni
non ti nutrire di invidie e gelosie.
Ho incontrato proletari completamente
ignoranti, con un fascino e una intelligenza straordinari. E mi commuove sempre
la gente che ha sensibilità, che si accorge dell’esistenza degli altri; delle
persone che non sono e non vivono in una situazione tribale come quella che sta
vivendo la società oggi.
Chet Baker cantava il
dolore sempre senza un soldo in tasca. Ma lui non ci faceva caso:
"Morirò
al verde - profetizzava - ed è giusto, perché è così che sono venuto al
mondo".
Se ne andava nella
notte del 13 maggio 1988Chet Baker,
grande jazzista, trombettista e cantante, genio e sregolatezza del jazz
mondiale.
Per non dimenticare…
Wazza
.
Il 13 maggio 1988,
alle 3 di notte, Chet Baker muore cadendo giù da una finestra (in realtà
un’apertura di appena 40 cm) del secondo piano del Prins Hendrik Hotel, ad
appena 100 metri dalla stazione centrale, praticamente nel cuore di Amsterdam,
ad un passo dalla mitica strada Zeedijk, dove negli anni ’80 si concentrava la
movida “droghereccia” e allucinata della capitale. Le circostanze della sua
morte, fin da subito, sono piuttosto oscure. Sono le 03 del mattino, Chet vola
giù dalla finestra “come se avesse le ali”, atterra sul marciapiede di cemento,
batte la testa, muore sul colpo… e non c’è nessun testimone.
Così se ne andò Viso
d'angelo. Il volto, la vita, il corpo, l'anima devastata dalla droga e dalla
tristezza di una esistenza solitaria.
Tre le ipotesi
accreditate: omicidio, suicidio, incidente.
«Se ne stava seduto
su uno sgangherato sgabello a un distributore di benzina sulla Pacific Coast
Highway, con lo sguardo perso nel vuoto, il volto scavato e segnato da tante
overdose. Era il commesso di quel distributore, crocevia di mille destini
ignoti. Il pasciuto avvocato che si fermò a chiedergli il pieno senza nemmeno
guardarlo in faccia, si accorse ad un tratto -ora che fissava quel volto
straziato e assente- che era lui. Doveva essere lui. Glielo chiese, e per tutta
risposta, senza una parola, l'uomo spalancò senza pudore la bocca a mostrare
una dentatura distrutta e una mascella spaccata. Sì, era proprio lui: due mesi
prima cinque spacciatori gli avevano frantumato denti e mascella a sprangate
per una questione di droga e di soldi. L'avvocato decise di aiutarlo, gli pagò le
cure per ricostruire la mascella e per impiantare una dentiera in quella bocca
spezzata. Sì, doveva tornare a suonare quella tromba in quel modo in cui
nessuno suonava, un inno d'amore e un lamento di morte, doveva tornare a
cantare con quella voce di angelo triste e deluso. Ci provò disperatamente e
dovette imparare a suonare con la dentiera e le labbra spaccate.
E ci riuscì, anche
se non era più lo stesso, qualcosa lo stava consumando dentro: l'eroina è
un'amante crudele e lui era troppo vulnerabile, troppo fragile e
autodistruttivo.
Idolatrato dalle
donne, apprezzato, amato e invidiato dai più grandi interpreti del suo tempo e
così desideroso, così bisognoso di trovare pace nella morte. Squattrinato al
punto da suonare per strada come un musicista ambulante, affranto da un dolore
di cui non riusciva a liberarsi, schiacciato da mille fallimenti e da una vita
spinta sempre oltre il limite, devastato nel corpo e nell'anima dalla droga,
eppure sempre accompagnato dalla sua inseparabile tromba, trovò finalmente il
suo ultimo tragico volo da una finestra del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam il
13 maggio 1988. Aveva 58 anni. Il suo nome era Chet Baker»