PACHA
AND PÖRSTI:
SEA OF MIRRORS
Seacrest Oy 2023
SPA/FIN
Di Valentino Butti
È passato giusto un anno dal debutto
con “Views from the inner world”, ed ecco il duo ispano/finlandese
composto da Rafael Pacha e Kimmo Pörsti ripresentarsi
all’attenzione degli appassionati con “Sea of
mirrors”.
L’album è suddiviso in dieci tracce (di
cui quattro strumentali) incentrate su racconti di mare e marinai. Molto bello
il libretto allegato con le foto dei protagonisti, le liriche e le
rappresentazioni “visive” dei brani con illustrazioni ad hoc. I numerosi
strumenti utilizzati da Pacha (oltre alle chitarre ed alle tastiere), come la
cetra, il flauto dolce, il bouzouki ed il mandolino sottolineano ancora di più
il delizioso “flavour” folk della proposta, pur non mancando momenti fusion o
spiccatamente più rock. Notevole, come al solito, il contributo degli ospiti
come le due vocalist, Laura e Paula Pörsti (rispettivamente nipote e figlia di
Kimmo), Alessandro Di Benedetti al piano, Marek Arnold al sax, Olli
Jaakkola al flauto, sax ed oboe, Jan-Olof Strandberg al basso e
dell’altro cantante Alejandro Suarez.
Il fascino del mare, come detto, fa
da sfondo ai nuovi pezzi, interamente scritti dai due titolari del progetto. “Sailor’s
tale”, con i vocalizzi di Laura Pörsti, fa volare la mente tra le onde marine, le
correnti tempestose, i mostri mitologici, le bonacce pericolose ed il fluire
della musica contribuisce a farci immaginare tutto ciò. “Diving into
infinity”, ben interpretata da Paula Pörsti, con oboe, flauto e cetra a donare una piacevole
brezza acustica appena increspata dalla strumentazione elettrica, sempre di
gran gusto. Allegra e scanzonata (in evidenza il mandolino, il bouzouki ed il
piffero) è “Tara’s joy in the beach”, piacevole digressione sui
divertissement “canini” che scorrazzano sulla battigia. “The island of
Lotus-eaters” ci introduce alla mitologia greca ed agli abitanti
dell’isola, i quali, cibandosi dei frutti dell’albero di Loto, vivevano in una
costante apatia che faceva loro scordare il passato e desiderare solo di
rimanere in quel luogo. Il testo rievoca i piaceri offerti da quella terra e
sono suggellati dai vocalizzi finali di Laura. Lo strumentale “Charybdis”
è un malinconico intermezzo con venature fusion che anticipa la title track, un
altro brano non suggellato da presenza cantata. Su tutto emerge il sax di
Arnold, all’ennesimo contributo di qualità, ben assecondato da una sezione
ritmica discreta e mai soverchiante. Segue, “Fascination”, il pezzo più
lungo del lavoro superando, seppur di poco, i nove minuti. Alla voce, qui,
Alejandro Suarez. Si tratta, probabilmente, del pezzo più “tradizionalmente”
progressive con le tastiere sugli scudi, i notevoli interventi dell’elettrica
di Pacha ed Arnold che ci delizia con qualche spunto dei suoi. Eppure, il brano
pare un po’ incompiuto, soprattutto per la mancanza di una forte melodia che
possa subito rimanere nella mente. “Lead, silver and gold (Song for Cadiz) “è
una splendida composizione prevalentemente acustica, che disegna arabeschi
davvero preziosi e la “dedica” alla città andalusa di Cadice è lì a
dimostrarlo. “Shipwreck” nasce in modo soft, per crescere piano piano,
sempre con qualche sentore arabeggiante, per poi sfociare in un arioso
strumentale, condotto dal sax, che può ricordare un poco di King Crimson con Mc
Donald. Sicuramente il pezzo che più mi ha conquistato. L’album si chiude con “House
of the light”. La voce soave di Laura, le atmosfere rarefatte, la graduale
crescita ritmica sono il degno finale di un album che, e ne diamo merito al
sodalizio Pacha e Pörsti, convince appieno.