Ha compiuto gli anni ieri, il 30 marzo,Eric
Clapton, per tutti "Slowhand", uno tra i
chitarristi più influenti e famosi al mondo.
Prima della sua folgorante carriera da
solista Clapton ha fatto parte di gruppi che sono entrati nella storia del
"Rock-blues": Yarbirds, Bluesbreakers, Cream, Blind Faith....
Nel 2014 pubblica un album dedicato a J.J.
Cale, il chitarrista americano autore di "Cocaine", "After
Midnight" e altri brani diventati cavalli di battaglia del repertorio
di Clapton.
Ultimamente sta "combattendo"
con una malattia degenerativa, e quasi sicuramente nel 2018 si ritirerà dalle
scene!
"Ho sognato i miei quadri, e dopo ho dipinto
i miei sogni."
(Vincent Van Gogh )
Se ne
andava il 30 marzo 2017Fausto
Mesolella, grande chitarrista, compositore, arrangiatore
conosciuto ai più per aver fatto parte della "Piccola Orchestra Avion
Travel"...
Lentamente, una lettera dietro
l'altra, una parola dopo l'altra, lentamente, come faccio sempre, come faccio
per qualunque cosa che faccio. Lentamente. Anche se stavolta è un pò più
difficile. I ragazzi li ho visti bambini, senza barbe e sempre accompagnati dai
genitori, quindi è più difficile, la retorica è in agguato. Allora proverò a
tenere lontano retorica e nostalgia, cercherò di non iniziare periodi con
"mi ricordo" o con "quando eravate piccoli" o peggio
ancora con "Dio come siete
cresciuti!". Si cresce, si cambia, normalità. L'importante e non
smettere mai di farlo. Crescere e cambiare intendo. Ma forse posso avere una
via d'uscita, perché c'è lei e lei non l'ho vista piccola. Posso cominciare da
lei e vedere come va. Lei è Daria, Daria
Ciarlo, cantante di voce e carisma naturalmente fuori dalla media. La voce
di Daria non è bella né brutta, sarebbe limitativo. La voce di Daria è
affascinante, avvolgente, arrotante, riconoscibile, ipnotica e sfuggente come
una diva del passato. Eclettica fino ad essere indisponente per la sua capacità
di modulare le parole con tanta naturale spontaneità. Ha la capacità di rendere
semplice il difficile, spontaneo l'impensabile, come i fuoriclasse. Maradona ti
mandava inporta con un tocco di prima o
ne saltava quattro o cinque prima di far gol, così, senza pensarci, senza farlo
apposta. Ecco, Daria ti affascina con la sua voce così, senza pensarci, senza
farlo apposta. E poi c'è una squadra che la supporta da par suo: Luca Durante chitarra, Gabriele Pollicino basso, Lorenzo Rognone tastiere e Luca Burattini batteria.
Una squadra
affiatata che gioca con le note massimo a due tocchi. Un piacere sentirli
suonare. I Next
Station signori! Quattro ragazzi di Savona e una ragazza di Cogoleto
che mi hanno fatto divertire un bel pò ascoltando il loro omonimo disco. Un
disco pieno come un bignè alla crema. Reggae, dub, chiamatela come vi pare, io
non la chiamo; l'ascolto, la sento e viaggio tra la mia mente, libero... e
forse sogno. The Way apre le porte
del ritmo e si capisce subito che i ragazzi ci sanno fare. A Daria basta un
"oh-na-na-na" per
ipnotizzarti e l'amalgama di suoni della band fa il resto e sei fatto. Comincia
il viaggio. Con If non cambia
l'atmosfera, ma cambiano le sensazioni, peculiarità di tutto il disco, che pur
mantenendo la stessa coreografia riesce a intrufolarsi a volte nel cervello, a
volte nel cuore o nello stomaco, nel fegato, tra le mani, davanti agli occhi.
Cullati dal mare, sdraiati sul materassino di Senseless, sotto il sole lucente di Overcome, si arriva a Sunflowere "il
naufragar m'è dolce in questo mare". è
che quando una cosa mi piace resto senza parole, allora ho chiesto un aiutino.
Ma la sensazione è proprio quella. Sunflower
è un pezzo bello, curato, coccolato e la chitarra finale di Luca Durante lascia
intravedere orizzonti ancora più grandi per i Next Station, sospesi tra Giamaica, Chicago e New Orleans. La
variabilità di I Go Crazy mantiene la
promessa di solleticare anche la pelle e Daria e squisita quando arrota la
erre. Un pezzo d'ironico romanticismo. Anche Alurem non riesce a nascondere i tanti orizzonti che i ragazzi
sanno aprire e fa da apripista all'eclettica Darknight. Non sono un critico musicale, né mai lo sarò e né lo
voglio essere. Riesco giusto a criticare me stesso o la Samp quando gioca male,
figuriamoci la musica! Quello che posso dire è che Darknight è un pezzaccio, questo lo posso dire! è musica plasmata dal talento. è genialità. Attraversa l'irregolare e
si forma nell'irrazionale e più la sento e più mi piace. WOW! Per dirla tutta.
I ragazzi chiudono divertendosi con Senselessdub,
cercando di farci atterrare sul mondo con meno traumi possibili. Lentamente.
Una nota dietro l'altra che si rincorrono nell'eco. Lentamente. Come piace a
me. Come mi piace Next Station.
Tutto Next Station, disco e band!
Dovete sentirlo, perché i dischi belli vanno sentiti, non "scritti".
Per quante parole io possa cercare, magari inventare, non sarò mai all'altezza.
Aldous Huxley disse: «Dopo il silenzio,ciò
che si avvicina di più nell'esprimere ciò che non si può esprimere è la musica».
Quindi ascoltate i Next Station,
anzi, sentiteli. E non pensate che io
possa essere di parte solo perché li ho visti bamb... niente retorica, come
avevo promesso. E buon viaggio.
Compie
gli anni oggi, 27 marzo, Tony
Banks,
tastierista e membro fondatore dei Genesis. Compositore di quasi tutte le
musiche del gruppo, è considerato uno dei più talentuosi e innovatori del rock
progressivo.
Ha
registrato album solisti, ma non ha avuto la fortuna dei suoi ex compagni dei
Genesis (Gabriel-Collins-Hackett).
Ultimmente
si… "diverte" a comporre colonne sonore o suite per orchestre!
Esattamente
40 anni fa, nel marzo del 1978, usciva il primo album omonimo degli UK, supergruppo progressive formato
da artisti del calibro di John Wetton,
Bill Bruford, Allan Holdsworth e Eddie
Jobson.
Un album
diventato un classico nel suo genere, che mette in risalto il virtuosismo dei
musicisti.
Di tutto
un Pop…
Wazza
(leggi
recensione… e procuratelo!)
UK, UNA PERLA A TEMPO SCADUTO
L’album U.K., realizzato dalla band omonima nel 1978, è grande disco
crossover. E’ il prodotto del supergruppo formato da quattro musicisti
principeschi: due magnifici co-leader (Bill
Bruford e John Wetton), uno
stimatissimo session man (Allan
Holdsworth) e un emergente (Eddie
Jobson).
Il
disco è un crossover tra Jazz-Rock e Progressive; ottimo esempio di opera che ha differenti traiettorie musicali, utile anche per chiarire in tal
senso alcuni profili. In questo album dominano le componenti e il carattere
Jazz-Rock, tuttavia può confondere il fatto di essere in parte cantato e che
alcuni membri del gruppo abbiano avuto esperienze legate al Progressive e
dintorni.
U.K. è un album prevalentemente
Jazz-Rock perché ci sono molte sezioni di natura modale e molto spazio per
parti strumentali sia come assoli sia come temi e unisoni (virtuosistici),
molte parti ritmiche e metriche complicate: anche nel Prog c’è questo, tuttavia non così
preminente e strutturale. Laddove non propriamente dimpianto modale, le armonie sono più semplici
di quelle tipiche del Prog, e al contempo i temi melodici (anche quelli
cantati) sono di discendenza Jazz: né pentatonici-rockeggianti né
classicheggianti. Anche le forme dei brani sono mediamente meno complesse di
quelle Prog, seppur con atmosfere rapidamente mutevoli. Il clima di fondo di
tutto il disco, il suo mood essenziale, è scuro, nervoso e aguzzo; più
tipico del Jazz-Rock che del Prog.
Veniamo ai brani.
In
The Dead Of Night è il magnifico pezzo di apertura che ostenta
la traiettoria Jazz-Rock: modale, in 7/8 e con lungo assolo. Introduzione su
una nota e un minimale riff di tastiere, poi Wetton canta un incalzante motivo
di pochissime note, poco dopo si distende, ma dura pochissimo, dopo solo trenta secondi s’innesta
un tema strumentale (chitarra e basso), un lungo ponteriprende il cantato, si ripete la sezione
strumentale, si giunge all’assolo di Holdsworth. Ripresa di
una precedente sezione (quella a 1.01) per il finale. Senza soluzione di continuità (grazie ad un
serratissimo drone di tastiere in 5/4 che si era sovrapposto in
coda al primo brano) giunge By The Light
Of Day. Per contrasto si sovrappone un pacato cantato, che riprende in
parte il motivo del pezzo precedente; entra la batteria e breve assolo del
violino elettrico di Jobson interpolato con un ponte cantato. Poi sezione
strumentale, la conclusione è affidata soltanto alle tastiere. Senza
interruzione sinnesta Bruford e comincia Presto Vivace And Reprise dominato da un
terrificante e lungo tema esposto dalle tastiere, contrappuntato dal basso, e
qua e là doppiato dalla chitarra; del tutto asimmetrico. Incedere zappiano,
però meno ironico e più cattivo. La parte Reprise
è inerente a In The Dead Of Night e
occupa la sezione centrale e finale: mediante lassenza dinterruzioni tra questi tre brani e le riprese
di un paio di temi, è data consistenza al progetto di un brano di dodici
minuti.
Thirty
Years,
grande introduzione di tastiere a mo di archi e chitarra acustica. Dopo
circa un minuto la voce filtrata di Wetton traccia un tema complesso. A circa 3.30entra la ritmica (basso e batteria) e la
chitarra elettrica: prima un disteso motivo, poi la musica si compatta, si
acumina e complica... Obbligati, assoli, interpolazioni asimmetriche; riprende
il cantato prima del gran finale capitanato dall’elettrica di Holdsworth che plana
su un tappeto di tastiere per la conclusione.
Alaska è un brano del tutto strumentale:
ancora sintetizzatori per la lunghissima e solitaria introduzione di Jobsondopo quasi tre minuti tutto il
quartetto è all’opera per le parti sincopate,
dispari e aggressive. La parte terminale rammenta alcune cose più cupe degli
ELP; senza interruzione sinnesta un accordo esposto con cori
e il cantato del brano successivo, Time
To Kill. Scattante, con la melodia che alterna parti in 4/4 e 15/8. Dopo circa 30, sempre su un fitto tessuto di
tastiere, altra sezione; ne succedono altre prima di quella strumentale (1.49), che sembra frutto di un edit. Su un
aggressivo e sincopato riff (composto di una nota bassa ripetuta) in 18/8 sinserisce lassolo di violino elettrico; seguono alcune
variazioni e si arriva al finale, che riprende la parte del cantato (quella a 1.11). È la volta di Nevermore.
Due chitarre acustiche, poi l’immancabile sinth-tappeto di
Jobson, quindi batteria e cantato per un brano rapido e sinuoso. La melodia,
alquanto jazzistica e triangolare, potrebbe giungere dal song-book di Robert
Wyatt; dopo poco tre minuti, assolo di Holdsworth, seguono duetti tra lui e le
tastiere di Jobson. Obbligati in unisono, distensione e rientro del cantato. A
circa 520, su una nota tenuta dalla voce di Wetton
(doppiata dal sinth), suggestiva sezione con droni e tappeti di tastiere.
Ancora un pò di voce e chitarra elettrica. Breve coda di tastiere in
dissolvenza.
Mental
Medication, ultimo brano, non dissimile dal precedente in quanto a
strutturazione melodica e armonica di derivazione jazzistica. L’intro è esposta con pochi ma
sofisticati suoni di chitarra e violino elettrici; poi la voce di Wetton. Segue
sezione A con entrata della ritmica. La parte B è basata su un complesso
obbligato. Ancora A, poi nuova e complicata sezione strumentale. A 4.30assolo di violino elettrico su una base sempre
modale. A 6.06rientra la voce esponendo brevemente il motivo
dell’intro, si arriva verso il termine
con la voce che lascia il posto a un esercito di chitarre elettriche
armonizzate; il disco termina su un accordo di tastiere.
Tutte le meravigliose esperienze anglo-francesi
di questa speciale commistione tra cantato e strumentale, a cavallo tra
Jazz-Rock e Prog (Magma, Gong, King Crimson, Matching Mole, Hatfield and The
North e altri), sfociano brillantemente in questo U.K.. Sempre a nome U.K. si è proseguito parzialmente nel
79 con il disco Danger Money (in trio, senza
Bruford e Holdsworth e con il bravissimo batterista statunitense Terry Bozzio).
Un album non al livello del precedente. Molto meglio i susseguenti dischi
solisti di Bruford (omonimo del ‘78, One Of A Kind del 79 e
Gradually Going Tornado dell’80) e di Holdsworth (I.O.U. dell82, Road Games dell83 e Metal Fatigue dell85), i quali sostituiranno i residuali stilemi
Prog con alcuni elementi Fusion (all’epoca più attuali): giunsero così a
una musica moderna che, ad oggi, risulta ancor più pregiata anche per questo
fattore di estrema e alta sintesi musicale. Sintesi smarrita da decenni, con i
gruppi della nuova generazione persi in meandri di soluzioni convenzionali e
abilità camuffate con i digitali edit dell’hard disk recording.
Nel marzo del 1977 partiva dall'Empire Pool di Londra il tour di Animals, chiamato "In the Flesh Tour", le 5 date londinesi
furono "Sold Out".
Subito dopo partirono per un gigantesco tour nel Nord
America.
di tutto un Pop
Wazza
(recensione Melody Maker)
15-16 marzo 1977
Empire Pool, Wembley. Middlesex
Originariamente i
concerti erano previsti dal 17 al 20 marzo ma per ragioni non ben identificate
la data del 16 andò a sostituire quella del 20. Fu poi aggiunta un'altra
serata, il 15, vista l'enorme richiesta di biglietti per gli altri spettacoli,
già esauriti. Sheep. Pigs On The Wing Pt 1. Dogs. Pigs On The Wing
Pt.2. Pigs. Shine On You Crazy Diamond Pts. 1-5. Welcome To The Machine. Have A
Cigar. Wish You Were Here. Shine On You Crazy Diamond Pts.6-9.
Bis: Money.
"Per i Pink Floyd
è giunto il momento di riprogettare lo spettacolo dal vivo. Si esibiscono in
arene vaste e ventose ma non fanno nulla per rendere più 'umani' i loro
concerti: l'atmosfera che ne risulta è quella di alcune migliaia di robot che
rispondono a un computer. La serata di mercoledì all'Empire Pool di Wembley non
ha fatto eccezione. È stato come sedersi al buio in casa propria e ascoltare i
loro dischi a un volume un po' più alto di quello che ci permetterebbero i
nostri vicini, con più acuti di quello che chiunque vorrebbe ascoltare e un
maiale gonfiabile sospeso sulla testa. È rock questo? Una band che esegue i
suoi ultimi due album con meno variazioni possibili? È stato tutto talmente
freddo, impeccabile e distaccato. I Floyd hanno modificato l'intero concetto di
rock; hanno trasformato il palco in uno studio di registrazione in presa
diretta, rinunciando al vincolo umano tra artista e pubblico." (Melody
Maker)
Non
voglio sentirmi intelligente guardando dei cretini voglio sentirmi cretino guardando persone
intelligenti.
Franco Battiato
Buon compleanno Maestro…
Wazza
Erano anni terribili, con le stragi
di Capaci, di via d'Amelio, di Firenze e Milano.
Povera
patria! Schiacciata dagli abusi del potere di gente
infame, che non sa cos'è il pudore, si
credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto
gli appartiene.
Tra i
governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Questo
paese è devastato dal dolore... ma non vi
danno un po' di dispiacere quei
corpi in terra senza più calore?
Non
cambierà, non cambierà no
cambierà, forse cambierà.
Ma come
scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali? Nel fango
affonda lo stivale dei maiali. Me ne
vergogno un poco, e mi fa male vedere un
uomo come un animale.
Non
cambierà, non cambierà si che
cambierà, vedrai che cambierà.
Voglio
sperare che il mondo torni a quote più normali che possa
contemplare il cielo e i fiori, che non
si parli più di dittature se avremo
ancora un po' da vivere... La
primavera intanto tarda ad arrivare.
Mi incuriosiva ascoltare dal vivo La Coscienza di Zeno,
sia perché conoscendo lavori pregressi dei singoli componente ero rimasto piacevolmente
sorpreso, sia perché il caso mi aveva sempre fatto, solo, sfiorare la
partecipazione ad un loro concerto.
E l’occasione è arrivata il 24 febbraio scorso, con una serata
fantastica in cui i CDZ, festeggiando il proprio decennale, si esibivano insieme agli
UTO
(Universal TotemOrchestra) sul palco de La Claque, a
Genova.
E le mie aspettative non sono
andate deluse, anzi, la performance ha aumentato il mio desiderio di conoscenza
della band.
Iniziano gli UTOcon alcuni brani Jazz/Rock veramente straordinari, in
cui la voce della cantante Ana Torres
Fraile dialoga con la chitarra di Daniele
Valle, con sonorità riecheggianti i favolosi Area e i Soft Machine, e con virtuosismi al pari dei sopracitati
gruppi.
Alle 23.00 circa comincia la tanto
attesa performance, con un palco mirabilmente illuminato dai tecnici de La Claque, uno dei pochi locali dove è
ancora possibile ascoltare musica pregevole.
Entrano un pò in sordina e si
comincia. Le note del pianoforte di Luca Scherani aprono il concerto,
quasi inaspettatamente, con l’assolo di piano de “La Città di Dite”, e il palco si illumina di luce e colori mentre
fa il suo ingresso Alessio Calandriello, voce del gruppo, che con la sua
esuberante personalità intona i primi versi.
E’ incredibile come i brani di
questi musicisti sembrino fuoriuscire dalla tua mente come se li avessi
concepiti tu stesso: ogni controtempo e ogni accordo sono in sintonia con la concezione
musicale, cosa che solo i grandi musicisti sanno fare. Per un attimo mi viene
in mente quel filosofo che sosteneva che il sapere (evidentemente anche quello
musicale) è dentro di noi, congenito ed inconscio, ed il compito
dell’insegnante - o del musicista in questo caso - è quello di portarlo allo
stato di coscienza.
Si susseguono vari brani, dai
conosciuti “Acustica Felina”, “Giovane Figlia “ e “Il Giro
del Cappio” sino ad alcuni brani inediti, contenuti nel prossimo disco
che uscirà a breve.
Rimango ancora una volta sbalordito
dalle note e dagli accordi che poco hanno da invidiare ai grandi classici del
passato, sensibilità e classe da vendere. Il ritmo ben cadenziatogestito da Andrea Orlando e Gabriele
Guidi Colombi non perde un colpo, mentre la voce di Alessio,
graffiante e modulata, si accompagna con la chitarra del nuovo elemento Gianluca
Origone, mentre le tastiere e i sintetizzatori del grande Luca
Scherani danno il tocco poetico al tutto.
Il tempo trascorre veloce, in un
crescendo esaltante di piacevole sonorità, ed il pubblico li acclama
giustamente.
C’è anche Stefano Agnini tra il
pubblico, autore di numerosi testi e brani del gruppo, sicuramente uno dei
migliori arrangiatori (mi si passi il termine anche se lui è molto di più) del
panorama prog genovese.
Infine le foto di rito e la consapevolezza
di aver assistito all’ottima performance di un gruppo che gode di ottima
creatività, in un mondo dove diventa sempre più raro trovarla.
"Migliaia di candele possono essere accese da
una singola candela e la luce di quella candela non ne sarà diminuita. La
felicità non diminuisce mai quando viene condivisa."
(Buddha)
21 Marzo
Buon viaggio Capitano.
Ci sarai sempre!
Wazza
Ricordo da "Rock.it
La furia progressive
fortemente debitrice del jazz rock del John Mc Laughlin di Devotion (l’album) che apre il brano e lascia poi
spazio a climi più meditativi in cui riaffiora un’eco lontana del melodramma italiano funge da base perfetta
per un testo fortemente antimilitarista e pacifista che dipinge uno scenario di
guerre lontane, comunque pre-polvere da sparo, che risulta sempre attuale nella
sua drammaticità.
Ma quella dell’impegno è solo una delle facciate di Francesco
Di Giacomo, “un ribelle con
i neuroni sempre in corto circuito”, come lo ha definito Lucio Salvini. Nel
disco successivo, Darwin, ambizioso concept dedicato all’evoluzionismo, registrato e uscito in
quello stesso 1972 dalla vorticosa creatività, spicca un brano che è emblematico di un altro lato
di Di Giacomo: 750.000 anni fa-L’amore?
Tra musica, testo e
superba interpretazione, sentitissima, di Francesco Di Giacomo, il brano è un
intensissimo capolavoro che scava nell’interiorità nella zona di confine tra desiderio sessuale e dubbi
sulla propria avvenenza e seduttività. Dai tempi in cui eravamo “uno scimmione
senza ragion” non è cambiato nulla e la magia delle
parole e della voce di Di Giacomo rende credibile tanto la storia quanto il
verso conclusivo appena citato.
C’è un terzo brano che sento di dover
citare del Banco del Mutuo Soccorso, forse il suo più famoso, primo a essere edito anche
in 45 giri, nel gennaio 1973, come apripista del terzo album Io sono nato
libero (il cui titolo fu suggerito da Lucio Salvini), ed è Non mi rompete.
Elogio del sonno come
fuga dalla realtà, tanto più se si tratta di una realtà drammatica come quella
di cui parla il resto del disco (Canto nomade per un prigioniero politico è
ispirata alla fine di Salvador Allende dopo il colpo di Stato fascista in Cile;
La città sottile parla del “disagio dell’urbanesimo”, secondo quanto ha dichiarato Vittorio Nocenzi a
Classic Rock 5; (“Dopo niente piùè lo stesso” riprende i temi dell’antimilitarismo di R.I.P.), “Non
mi rompete” non solo definisce inconsapevolmente l’intera parabola progressive
e hippy, nonché l’aurea stagione dei Festival Pop
italiani, di cui sembra l’ideale colonna sonora con la sua ariosa ansia di libertà, ma - per i tempi - fu pure una
canzone estremamente coraggiosa. Ha dichiarato infatti Di Giacomo:
Ricordo che, dopo l’uscita di questa canzone, mi arrivò una lettera di una ragazza che
chiedeva: “Perché i compagni lottano in fabbrica e tu scrivi Non mi rompete?” In quel momento ho capito che
avevo fatto gol, nel senso che i compagni lottano nelle fabbriche e io sono con
loro, ma la sera posso avere 5 minuti per stare per i cazzi miei? Momenti come
questi, 5 minuti di relax, non sono dispersivi, anzi, il recupero della
lucidità e delle proprie sensazioni credo sia fondamentale anche perché già è
difficile arrivare alla fine della propria giornata.
Il brano era stato
composto diversi anni prima, nel 1969, come ha raccontato Vittorio Nocenzi a
Classic Rock 5:
Scrissi questo pezzo a
diciotto anni e poi lo misi in un cassetto. Pensavo: è troppo semplice, sono
solo due accordi! Da giovani si può commettere l’errore di credere che la complessità sia sinonimo di qualità. Solo con il passare degli anni un
artista comprende che “sintesi” non significa
“semplicistico”.
La scrissi una domenica mattina, guardando le cave di Peperino dalla finestra
di una vecchia casa medievale di Marino, il paese in cui sono nato.
Poi arrivò Di Giacomo:
Era dedicata a un
momento particolare, serio, di grandi fermenti. Era il 1973. L’ho scritta in un momento di totale
disancoramento da tutto quello che c’era intorno. Volevo stare per conto mio. L’ho scritta sotto a un pianoforte, con
Vittorio Nocenzi che suonava sopra. Io stavo sotto al pianoforte, cercando di
dormire. E poi me la sono trovata scritta.
Non stupisce che sia
stata tra i brani ripescati e reinterpretati per il disco del debutto
internazionale, quel Banco di cui parlavo all’inizio. Tra i fans ci si divide
ancora tra chi preferisce la furiosa schitarrata di Todaro nel passaggio alla
seconda parte della canzone e chi il tocco più morbido del nuovo chitarrista
Rodolfo Maltese.
A me piace immaginarlo
così, ora: nel vento suggerito dai vocalizzi finali, libero per sempre dagli
scocciatori. Che non debba più fare come quella volta al Festival di Villa
Pamphilij a Roma, il 27 maggio 1972, quando si rivolse a uno spettatore che
continuava a gettare zolle di terra sul palco a ogni cambio palco: “Possibile che in questa città non si possa mai fare nulla, senza
lo stronzo di turno?” E quello smise. Addio, Francesco. (Da: rockit.it)