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venerdì 22 novembre 2024

BMS: 22 novembre 1973



Racconti sottoBanco

Iniziava il 22 novembre 1973, dal Teatro Brancaccio di Roma, il Tour invernale del Banco del Mutuo Soccorso.

Gruppo "spalla" erano i Rocky's Filj.
Il Banco ormai era una realtà del prog (pop) italiano, con due capolavori alle spalle e il terzo, "Io sono nato libero", appena uscito.

Mentre i Rocky's Filj, appartenenti alla stessa scuderia (Ricordi), pubblicarono un solo album, "Storie di uomini e non", orientato verso il jazz-rock.

Il disco non ebbe successo, e la band diventò gruppo accompagnatore live di molti cantanti di musica leggera, come Bobby Solo, Iva Zanicchi...
Wazza

foto Gianni Costa con Vittorio e Francesco 1973

Novembre 1973, concerto al Teatro Brancaccio di Roma, del Banco del Mutuo Soccorso.
Il gruppo presenta dal vivo il nuovo lavoro "Io sono nato libero".
Questo concerto passò alla storia per vari motivi, un assolo di Vittorio Nocenzi di circa 30 minuti con i nuovi sintetizzatori costruiti apposta per lui dall'artigiano Marco Maggi; per il teatro strapieno per la prima di "Io sono nato libero"... e per il passaggio di testimone tra i chitarristi Marcello Todaro e Rodolfo Maltese.

In questa rara e sgranata foto si vedono i due insieme sul palco (per l'unica volta), mentre eseguono "Non mi rompete"; si vedono anche Gianni Nocenzi al clarino e Vittorio alle tastiere.


Rocky's Filj in tour con Bobby Solo

M.E.N. - “Spillover”, di Alberto Sgarlato

 


M.E.N. - “Spillover” (2024) 

Ma.Ra.Cash. Records

di Alberto Sgarlato


I M.E.N. sono, più che una vera e propria band, una sorta di “collettivo”, dal momento che i tre componenti che ne fanno parte non sono assegnati a ruoli rigidi ma si alternano tutti alla voce e a molteplici strumenti.

Questo loro album, intitolato “Spillover”, è una critica alla società attuale, travolta da una serie di situazioni (dal consumismo ai social network) che l’uomo non è evidentemente pronto a gestire.

Mettiamo un attimo da parte la musica e facciamo un excursus di valore storico, scientifico e sociale: il termine “Spillover” è stato adottato in primis nel mondo dell’epidemiologia e indica quello che in italiano viene chiamato “il salto di specie”. Non è proprio così facile da spiegare, ma facciamo un esempio immediatamente comprensibile a tutti: il Coronavirus si dice che sia stato passato dal pipistrello all’uomo: in quel momento è avvenuto un “salto di specie” che ha scombussolato (e non di poco) le nostre abitudini e la nostra quotidianità.

Lo “Spillover” dei M.E.N. è più “metaforico” e parla di abitudini e quotidianità continuamente scosse da mutamenti sociali, tecnologici, politici ai quali non siamo preparati.


Marco Grieco a.k.a. MaCRoMaRCo

Vincenzo "Enzo" Lardo a.k.a. 240bpm

Nicola "Nick" Cruciani a.k.a. Flavour

Per rendere al meglio questa sensazione di alienazione e di caos, i tre musicisti sono ricorsi a tecniche di registrazione molto complesse, che valorizzassero ogni sfumatura, ogni ampiezza ambientale, ogni suono che attraversa lo spettro. E, in effetti, ascoltando l’album rigorosamente in formato WAV, senza compressioni e senza perdite di dati, passando attraverso una scheda audio semiprofessionale e delle cuffie che ripropongono un ascolto neutro, senza eccessive frequenze basse (come è tristemente di moda oggi), tutti accorgimenti che il sottoscritto ha avuto, si rimane colpiti dalla qualità dell’incisione e della produzione.

Difficile, ovviamente, etichettare, il mondo sonoro dei M.E.N.: l’elettronica è elemento-cardine, ma è filtrata attraverso una forte sensibilità dei musicisti, che con interventi chitarristici che potremmo definire “gilmouriani” e lunghi tappeti tastieristici di stampo romantico, portano le coordinate verso un rock di gusto più classico.

Alla fine, elettronica, down-tempo, trip-hop, tanta neopsichedelia (ricordate i Porcupine Tree di “Up the downstair”, per esempio?) e certo new-prog sinfonico, convivono in questo prodotto sicuramente elegante e ben confezionato.

L’opening affidata a “World wide weird”, con un sottile gioco di parole, descrive le insidie del web e le trasmette sotto forma di un grande e coinvolgente “circo sonoro” all’ascoltatore; “Everything” è un riuscito connubio tra alternative-rock e interpretazione vocale tra recitato, enfasi teatrale e rap, seppur con armonie vocali debitrici della più classica psichedelia; “Human eclipse” è una delle tracce più cupe e più giocate su atmosfere rarefatte dell’intero lotto; atmosfere che sembrano quasi capovolgersi totalmente nel dream-pop lo-fi di “Present days”; “Mouths” riporta all’effettistica della opening e all’alt-rock della successiva “Everything”, ma con un ancor maggiore afflato orchestrale; in mezzo a tanta pienezza di suono, risulta spiazzante una ballad come “Keeping safe”, dal sapore quasi barrettiano, una ninna nanna stralunata, un po’ dolce e un po’ angosciante; tutto ovviamente cambia di colpo con “Broken kite”, che invece è uno dei brani più hard dell’intero lotto, con una forte presenza chitarristica in primo piano. “Mother earth” è una sorta di “raga del XXI secolo”, ipnotico e psichedelico, con un sitar che detta le regole dell’intera traccia; altra ballad surreale, stralunata, alienante è “Past days”, retta da chitarra acustica e Mellotron ma impreziosita da campionamenti disseminati qui e là.

Il discorso si fa un po’ più complesso con la “Interchange station”, quella che la band chiama la “stazione di interscambio”, attraverso la quale, come in uno svincolo ferroviario, l’ascoltatore deve scegliere quali saranno gli umani destini attraverso una decisione variabile tra tre potenziali tracce conclusive, intitolate “Hell”, “Purgatory” ed “Heaven”. Il primo di questi tre brani, in ordine come li abbiamo menzionati, è più “serrato” come ritmiche, il secondo è più sinfonico e dominato da grandi evoluzioni chitarristiche, l’ultimo sembra quasi rappresentare un po’ una somma dello stile della band.


M.E.N.

Marco Grieco a.k.a. MaCRoMaRCo

Vincenzo "Enzo" Lardo a.k.a. 240bpm

Nicola "Nick" Cruciani a.k.a. Flavour

Marco Grieco: vocals, piano, keyboards, bass, drums, electric and acoustic guitars, sitar, orchestral arrangements, vocoder, choirs, sounscapes;

Vincenzo Lardo: vocals, electric and acoustic guitars, keyboards, programming, choirs;

Nicola Cruciani: vocals, electric guitars, lap steel guitars, loops, choirs.






giovedì 21 novembre 2024

RocKalendario del secolo scorso – Novembre, di Riccardo Storti

 


RocKalendario del secolo scorso – Novembre

di Riccardo Storti

 

1954 – 19 novembre. Il ventinovenne Sammy Davis Jr., crooner sulla cresta dell’onda, è coinvolto in un incidente d'auto sulla Route 66 all’altezza di San Bernardino, mentre sta viaggiando tra Las Vegas e Los Angeles. La forza dell'impatto gli distrugge l'occhio sinistro dopo che il suo volto si è schiantato contro il volante metallico della Cadillac nuova di trinca. Sammy porterà una benda per un po' di tempo: sarà Humphrey Bogart a convincerlo a sottoporsi ad un intervento per farsi impiantare una protesi oculare. Di fronte alla titubanza dello showman, Bogart sbottò: “Tu non vuoi diventare famoso come il ragazzo con la benda, no?”. L’imprevedibile Sammy, durante la degenza ospedaliera, attraversò una crisi spirituale che lo portò a convertirsi all’ebraismo.

E pensare che nel 1954 aveva mietuto successi con Something's Gotta Give, Love Me or Leave Me e That Old Black Magic, scalando le classifiche degli States.

Link: https://www.youtube.com/watch?v=FxJHmNWsKgk


1964 – È il 24 novembre, quando gli High Numbers decidono di mutare definitivamente il loro nome in The Who e lo fanno in occasione di un tour londinese che vede come prima tappa il prestigiosissimo palcoscenico del Marquee. In realtà va precisato che questa data è la prima di una lunga permanenza nel locale che durerà ben 16 settimane. Inutile aggiungere che i ragazzi si fanno conoscere subito, in particolare modo quel chitarrista nasuto e talentuoso che, tra le ovazioni dei presenti, di tanto in tanto riduceva in frantumi qualche chitarra. 

Insomma, per Townshend, Daltrey, Entwistle e Moon tutto esaurito, ma idem dicasi per le finanze del management che dovette ripagare non pochi danni.

Link video: https://www.youtube.com/watch?v=BxCLyY9-Tuw


1974 – Erano le prime ore dell’alba del 25 novembre, quando Nick Drake fece un salto in cucina, forse per una micro-colazione di cereali, quel minimo per variare un’insonnia che sarebbe stata calmata dalle solite pillole di amitriptilina; ma quella volta la dose aveva superato i livelli di guardia, tanto che il ragazzo non si sarebbe più svegliato. Fu suicidio o fu un errore? Se ne parla ancora oggi e le tesi, spesso, sono contrastanti tra di loro. Il povero Drake lottava ormai da tempo contro una depressione profonda, testimoniata spesso all’interno delle sue liriche tanto struggenti, quanto ricche di umana tenerezza. Il suo ultimo album Pink Moon era uscito da oltre due anni e Drake si era allontanato da tutto e da tutti; secondo qualcuno aveva rinunciato alla vita già da un bel po’.

L’ultimo saluto il 2 dicembre nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Tanworth-in-Arden: una sparuta folla di una cinquantina di persone, tra cui diversi suoi collaboratori che si sarebbero incontrati lì per la prima volta; sì, perché Nick amava tenere distanti tra loro le sue relazioni.

Link video: https://www.youtube.com/watch?v=Vdl-C09MStg


1984 – Londra, Notting Hill, 25 novembre: la Band Aid entra in sala per registrare Do They Know It's Christmas?. L’idea del supergruppo venne a Bob Geldof e a Midge Ure (Ultravox) con lo scopo di creare una canzone natalizia per raccogliere fondi in favore della popolazione etiopica, vessata dalla fame. Il passo successivo – ce lo ricordiamo bene – sarà il Live Aid. Ma chi c’è negli SARM Studios a dare man forte al progetto? Beh, il meglio del mainstream pop-rock delle isole britanniche: un ponte tra Irlanda e Regno Unito che vede a cantare e suonare insieme componenti degli U2, Duran Duran, Spandau Ballett, Paul Young, Boy George, Ultravox, Police (Sting), Genesis (Collins), Heaven 17, Kool and the Gang, Bananarama, Status Quo, The Style Council, Paul McCartney e altri ancora. La canzone uscirà il 7 dicembre e dal successo arriveranno nelle casse di Geldof e compagni oltre 8 milioni di sterline in beneficenza. 

All’epoca il compianto Ernesto Assante scrisse un brillante corsivo su La Repubblica da rileggere tutto d’un fiato (leggi qui).  

Link video: https://www.youtube.com/watch?v=j3fSknbR7Y4


1994 – Fu la prima volta che sentii la parola “unplugged”. Kurt Cobain se n’era andato ad aprile; proprio a seguito di quell’evento funesto MTV mandò più volte in onda il concerto tenuto 18 novembre 1993 dai Nirvana nei Sony Studios di New York e trasmesso nel contenitore MTV Unplugged. L’eco della scomparsa continuava ad aleggiare tra i fans, così la label Geffen decise di fare uscire il 1° novembre 1994 MTV Unplugged in New York, primo album live dei Nirvana. 

Il disco ebbe un successo planetario da capogiro tanto che, al di là delle vendite alle stelle, questo lavoro si guadagnò dischi d’oro e di platino in numerosi paesi del mondo. E – diciamolo – lanciò anche la moda degli “unplugged”.

Link video: https://www.youtube.com/watch?v=IAp6bQfTQ20

 


Wazza, come ogni 21 del mese, ricorda Francesco Di Giacomo


"Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto,

devi essere pronto a fare qualcosa che non hai mai fatto".

(Thomas Jefferson)

21 novembre

Ci sarai sempre. Buon viaggio capitano!

Wazza

 

Ricordo di Giancarlo Varvo 

Un ricordo di Francesco Di Giacomo.

Uno dei tanti giovedì pomeriggio del 1974,

Passando da Capolea (mitico bar sotto i Palazzi Federici) 

vedo Francesco dall'alto degli scalini del bar, che mi grida a distanza: 

 Gianca! Che devi fa' sto fine settimana?

Non ho programmato niente, perché?

Vatte a prende du panni che Annamo a Riccione.

A France' con che annamo? C'è famo presta' il ferro da stiro da Ennumi (Franco Rosalia)

(Citroen Pallas crema e marrone) e chi guida io non ho patene, te stai peggio di me!

Nun te preoccupa,' abbiamo l'autista, Fabio, il fratello di Ennumi.

Annamo bene!

 

Di quei viaggi ne abbiamo fatti diversi, di giorno, di notte.

Quante cazzate abbiamo detto e quante mangiate.

Ormai l'equipaggio era collaudato.

Proprio in quei viaggi ebbi il piacere di conoscere Tiziano Ricci, che mai potevo pensare che in futuro sarebbe diventato un componente del Bancodi grande spessore.

Francesco continua a mancarci per tanti motivi...



mercoledì 20 novembre 2024

SUBMARINE SILENCE - "Atonement of a former sailor turned painter", di Valentino Butti

 


SUBMARINE SILENCE - Atonement of a former sailor turned painter

Ma.ra.cash records     

2024-ITA

Di Valentino Butti

 

A distanza di quattro anni dal precedente “Did swans ever see God?”, eccoci nuovamente a parlare dei Submarine Silence, uno dei numerosi progetti di Cristiano Roversi (Moongarden, Il porto di Venere, Catafalchi del Cyber, Lanzetti & Roversi… solo per rimanere in ambito prog). “Atonement of a former sailor turned painter”, questo il titolo dell’album, vede impegnati, oltre a Roversi (organo, piano, mellotron, tastiere, pedali bassi), il cantante Guillermo Gonzales, il chitarrista David Cremoni (entrambi “sottomarini” di lungo corso), l’altra vocalist Manuela Milanese (ospite già nell’album precedente) ed una sezione ritmica nuova di zecca con Marco Croci (Maxophone e Julius Project) al basso e Maurizio Di Tollo (già nei Moongarden, La maschera di Cera, Hostsonaten; ora Il porto di Venere e due album da solista all’attivo) alla batteria (e percussioni). L’immancabile, splendido, artwork di Ed Unitsky, fa da corollario al tutto. Mai come in questa occasione le abbondanti note di copertina (oltre alle liriche) sono necessarie per capire la storia di “Atonement…”. E, proprio dalle spiegazioni, mi farò aiutare per addentrarmi nei quarantacinque minuti dell’album (prevista pure la pubblicazione in formato LP). Un lavoro a tema, ma non solo. I vari brani sono come capitoli di una storia che si svolge in luoghi marittimi immaginari e senza tempo, ed ogni brano è pure un bozzetto, un quadro, con riferimenti sia letterari che cinematografici. In aggiunta, le liriche sono precedute da ulteriori osservazioni che specificano ed ampliano le vicende narrate ed il “viaggio” che sottintendono. Non ci soffermeremo più a lungo su queste ulteriori note, per non appesantire queste righe, ma ne avremmo gradito anche la versione in italiano.

Quattro sono i brani che compongono l’opera a cui si aggiunge la bonus-track “Zena”, presente nella sola versione in CD. Si inizia con “Majestic Whales” (che riprende e “stravolge” un brano di Anthony Phillips presente su “Sail the world” del 1994), uno splendido strumentale “liquido”, con un notevole “guitar-solo” di Roine Stolt (The Flower Kings), batteria possente ed atmosfere “genesisiane” molto spiccate (quelle dei brani più potenti di “A trick of the tail” per intenderci).

Una bordata ritmica e di hammond ed è subito “Les mots que tu ne dis pas”, la seconda traccia. Iniziamo ad apprezzare la voce di Guillermo Gonzales, il sound è sempre incalzante e la chitarra di Cremoni pare rivaleggiare con le tastiere di Roversi, mentre la sezione ritmica ci dà dentro che è un piacere. Poi tutto si placa per lasciare spazio anche alla voce di Manuela Milanese e al “solo” di Cremoni che ci conduce al finale. Ma non c’è tregua.

È la volta di “Limbo of the rootless”: chitarre arpeggiate, la voce della Milanese, poi cresce l’intensità, si inserisce anche Gonzales ed inizia un’epica, vorticosa, cavalcata strumentale con una ritmica davvero spumeggiante. Il cantato diventa ancora più enfatico, le digressioni ritmiche sempre più articolate e spericolate.

Il finale è per sola voce (Manuela) e chitarra arpeggiata. La suite, nonché title track, chiude l’album “ufficiale”: ventuno minuti di grandissimo progressive rock d’annata. Il vertice assoluto, ad oggi, della produzione della band. E’ presente un impianto melodico di prim’ordine, con le due voci ed i cori davvero superbi; ci sono repentini sbalzi di umore musicale con le atmosfere acustiche e pastorali che si fondono con quelle decisamente rock; ci sono gli squarci sinfonici che conciliano i “vecchi maestri” seventies con il new prog del decennio successivo; ci sono le trame ritmiche articolate e la “semplicità” di qualche arpeggio della sei corde; ci sono, infine, le “grandeur orgiastiche” di un suono pieno e dirompente frutto (anche) di una qualità di registrazione ottimale. Insomma, se la parola “capolavoro” è sempre impegnativa (e non a tutti concesso l’uso…), mi permetto questa volta di “spenderla” senza esitazioni. La versione CD, come anticipato, comprende pure “Zena”: tre minuti di struggente malinconia, nati da un’idea melodica di Sergio Lattuada, tastierista dei Maxophone, scomparso qualche anno fa, che i Submarine Silence hanno completato e pubblicato come doveroso omaggio.

“Atonement of a former sailor turned painter” si candida prepotentemente come disco progressive italiano dell’anno e sicuramente sarà tra i protagonisti dell’”Arlecchino Azzurro”, sondaggio indetto (assieme all’”Arlecchino Doro”, scritto così) dalla storica Webzine “Arlequins” e che premia l’album italiano e straniero che più è piaciuto ai membri del forum.





Compie gli anni Gary Green (nell'articolo concerto dei Gentle Giant)

Compie gli anni oggi, 20 novembre, Gary Green, mitico chitarrista (polistrumentista) dei Gentle Giant, sempre in formazione, dalla nascita sino allo scioglimento del gruppo.

Ha collaborato tra gli altri con Eddie Jobson e Billy Sherwood.

Nel 2008, insieme ad altri due ex Gentle Giant, Kerry Minnear e Malcom Mortimer, forma i "Three Friends", che riportano dal vivo i cavalli di battaglia dei Gentle Giant.

Un gran bel manico!!!

Happy Birthday Gary!

Wazza





 Un bel concerto dei Gentle Giant...





martedì 19 novembre 2024

RAVEN SAD - "Polar Human Circle"- Commento di Luca Paoli

 


RAVEN SAD

Polar Human Circle

AMS Records | BTF Vinyl Magic

7 tracce - 56.36 min.

Edizione cd papersleeve

Di Luca Paoli

 

I Raven Sad, band italiana di progressive rock con influenze psichedeliche, raggiungono il traguardo del quinto album in studio con Polar Human Circle. Questo nuovo lavoro non solo conferma la qualità delle loro precedenti produzioni, ma rivela anche una maturità artistica che li posiziona tra le realtà più interessanti del nuovo prog italiano ed internazionale.

La band impegnata nell’opera vede Samuele Santanna alle chitarre, Marco Geri al basso, Fabrizio Trinci alle tastiere e voci, Francesco Carnesecchi alla batteria e Gabriele Marconcini alla voce solista. Ad aiutarli troviamo anche Morgana Bartolomei ai cori, Andrea Benassai al pianoforte Alessandro Drovandi alla tromba e Karoline Gierymski speaker.

La band di Santanna qui sfiora la perfezione, se non la raggiunge pienamente, proponendo un progressive rock moderno, ricco di idee e suonato in modo impeccabile.

Le liriche, cantate in inglese, ruotano attorno al tema del lato sociologico dell’essere umano, con gli autori che esprimono una speranza nella salvezza dell’umanità, oggi incamminata su un percorso quantomeno preoccupante.

Quindi l’attualità dei testi si sposa perfettamente con quella della musica che, partendo, dal prog dei Pink Floyd, Genesis, Marillion e Porcupine Trees (solo per fare qualche esempio) arriva, in modo molto personale ai giorni nostri.

La melodia regna sovrana in ogni brano, caratterizzando il lavoro in modo estremamente personale, grazie anche agli ottimi arrangiamenti e alla notevole perizia tecnica dei musicisti.

Un disco che va assaporato con la giusta tranquillità, seguendo tutte le tracce dalla prima all’ultima così da entrare meglio nel mondo dei Raven Sad.

Vi assicuro che non ci si annoia; al contrario, ci si innamora del lavoro delle tastiere, della chitarra, che si distingue con assoli irresistibili senza mai eccedere, e della sezione ritmica, precisa e versatile.

Se dovessi scegliere delle tracce tra le sette presenti, menzionerei “Andenes”, che apre l’album con il pianoforte e la bella voce di Gabriele Marconcini. È una ballata intensa e malinconica, resa ancor più magica dalla chitarra lirica e profondamente ispirata di Santanna.

Come non citare la muscolare “The Obsidian Mirror” che sa anche accarezzare – sempre con la chitarra a marchiare a fuoco il brano.

Non posso non citare il fiore all’occhiello dell’album: la suite finale “Polar Human Circle”. Con i suoi 27 minuti, suddivisi in sei movimenti, è un brano che da solo vale il prezzo del biglietto. Qui si trova tutta l’essenza dei Raven Sad: melodia, cambi di tempo ed umori, anche un filo di jazz che male certo non fa, un magnifico lavoro all’organo e alle tastiere, chitarre sempre al top e una sezione ritmica che sottolinea e sigilla i vari mood del brano.

In conclusione, questo è il prog del nuovo millennio: un genere in cui le radici storiche fungono da trampolino di lancio per nuove avventure, audaci e perfettamente calate nei nostri giorni. Se amate il prog e non siete "regressive", questo è un disco che non potete lasciarvi sfuggire.

Buon ascolto.