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venerdì 28 giugno 2024

Zita Ensemble – “Zita Ensemble”, di Alberto Sgarlato



Zita Ensemble – “Zita Ensemble” (2024) 

di Alberto Sgarlato

 

Per chi ama le più evolute ed avanguardistiche frontiere del jazz-rock, Zita Ensemble è un nome ben noto e molto apprezzato. La loro carriera, seppur con qualche stop, qualche ripartenza e qualche progetto parallelo nel mezzo (come è normalissimo che sia nel variegato mondo della musica), dura ormai da vent’anni esatti. Ovvero da quel 2004, anno della loro formazione, fino a questo 2024 che vede l’ensemble consegnare alle stampe questo album omonimo formato da otto tracce.

“Musica strumentale post-moderna” potrebbe essere un termine bellissimo e onnicomprensivo per descrivere gli universi sonori di questa formazione, nei quali convergono il jazz-rock, il post-rock, il math-rock e suggestioni “cinematiche” da colonna sonora.

La opener “The wind” vede arpeggi di chitarra ridotti all’essenziale, dal suono pulito, appena riverberato, danzare leggeri su una sezione ritmica mixata in modo presente, che si snoda con la velocità tipica di generi come il drum’n’bass e con deliziosi accenti degli splash che fanno capolino qui e là, fino a un crescendo con un rullante turbinante.

Atlantico” si regge su un roccioso giro di basso che fa persino venire in mente certi brani dei Soft Machine (periodo “Seven”) o del Perigeo, sul quale ancora chitarre ora minimali, ora dal sapore “desertico” e drumming fantasioso costruiscono le loro trame sonore.

Black summer” ha un’introduzione che potrebbe persino far pensare all’Hendrix di “Little Wing” o all’Howe di “Roundabout”. Quando la band entra al completo si respira quasi un clima da “blues fusion del III Millennio” (pur non essendo, in realtà, affatto un blues nella struttura; semmai nel “mood”).

Accenti dispari introducono “Dance Tape”, brano che trova il suo punto di forza nelle stratificazioni dei vari temi, rapidamente cangianti, che ciclicamente ritornano.

Us” profuma di esotico, di Bossa Nova. Ma come avevamo detto per “Black Summer”, se quel brano tecnicamente non è un blues, questo di fatto non è una bossa nova. Ed è proprio da questi dettagli che si coglie la sottile intelligenza compositiva della band, capace di far “respirare” all’ascoltatore certi climi, certe atmosfere, certe suggestioni, ma facendo in realtà tutt’altro. Difficile da spiegare, più facile da capire ascoltando.

Amigos” è forse la traccia più assimilabile al classico concetto di ballad, per la sottile malinconia e per quel senso di struggimento che la pervade.

 “Musica per immagini”, si diceva all’inizio. Qui le note lasciano che ogni ascoltatore viva, chiudendo gli occhi, il suo “film personale”. E nei minuti conclusivi sembra quasi di scorgere remoti echi king-crimsoniani.

Lipstick”, dopo i languori della traccia precedente, torna a giocare con il groove in modo poderoso. Math-funk-jazz ai massimi livelli per un brano che svela tutta l’energia di cui è capace questa band.

Si conclude con “Sunday”… Quel raffinato lavoro di bacchette sul bordo del rullante che sorregge tutti gli intarsi tra chitarra e basso è qualcosa di delizioso. Ascoltare per credere. Siamo di fronte a un’altra traccia che, dietro al groove intelligente e raffinato, nasconde una vena di malinconia. Come forse un po’ tutto l’album.

Concludendo: un’opera in cui la perizia tecnica degli strumentisti, di altissimo livello, è messa sempre al servizio di una scrittura intelligente, raffinata, senza sterili prove muscolari o gratuite ostentazioni ma, al contrario, alla costante ricerca di un “mood” elegante e ricercato.

Sia che voi ascoltatori siate culturalmente “figli” del prog-rock e del jazz-rock degli anni ‘70, o della new-wave e del minimal degli anni ‘80, o del post-rock degli anni ‘90 o dell’eclettico mondo chillout, drum’n’bass, trip-hop dei primi 2000, qui troverete un gran lavoro di composizione capace di unire almeno quattro generazioni diverse.







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