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lunedì 2 settembre 2019

Banco Del Mutuo Soccorso - “Transiberiana”, di Antonello Giovannelli



Banco Del Mutuo Soccorso-Transiberiana”
Di Antonello Giovannelli
Fotografie di Andrea Guerzoni
Articolo già apparso sul MAT2020 di giugno

Si può dire tutto, su "Transiberiana", tranne che non sia originale. Una delle caratteristiche della musica del Banco Del Mutuo Soccorso, da sempre, è la mancanza della possibilità di dire “rassomiglia a…”. “Post fata resurgo” potrebbe essere il sottotitolo di Transiberiana, tanto questo lavoro è una risposta orgogliosa agli eventi avversi, anche luttuosi, che hanno investito il nucleo storico della band: Francesco Di Giacomo prima e Rodolfo Maltese poi, scomparsi prematuramente; Vittorio Nocenzi (ma anche Gianni) che oggi, dopo essere usciti alla grande da improvvisi e gravi problemi di salute, possono festeggiare una sorta di “secondo compleanno”. Vittorio è stato chiaro: “… abbiamo ancora molto da dare al nostro pubblico, e non c’è tempo da perdere”.


Il Banco non muore, l’idea non si può fermare, avanti tutta. La miccia l’ha accesa Michelangelo, uno dei figli di Vittorio, altro grande musicista della grande famiglia di musicisti Nocenzi. Le polveri si sono accese in fretta, in famiglia Nocenzi è come girare con la fiamma libera in una polveriera.
“Sorprendente”. Mi ritrovai a dare questa impressione a Vittorio, nel novembre del 2017, quando la chiese a ciascuno dei suoi ospiti in occasione di una presentazione di alcuni frammenti del nuovo lavoro. Il treno della Transiberiana stava appena partendo dalla stazione, con Maestro Vittorio in piedi sul locomotore, il figlio Michelangelo ad alimentare la caldaia e il capotreno Paolo Logli a bordo. Autore di successo, geniale ed eclettico, impegnato in TV, cinema e letteratura, storico collaboratore del Banco, Paolo Logli si è fatto carico del compito importante di creare i testi per il nuovo disco. 


Un gruppo di musicisti straordinari con loro: Filippo Marcheggiani, chitarra storica del Banco, Nicola di Già, alla chitarra ritmica, ormai veterano anche lui, e i nuovi Marco Capozi al basso elettrico, Fabio Moresco alla batteria e Tony d’Alessio, cantante. Un’impresa non facile, la loro: utilizzare un viaggio immaginario, il più lungo del mondo che si possa fare in treno, per parlare del viaggio nel tempo, nelle vite, nelle esperienze di ciascuno di noi. Il viaggio geografico è metaforico, e il suo significato prende corpo all’interno di ciascuno di noi, nel tempo più che nello spazio. Ci possiamo ritrovare lo scorrere delle nostre storie, la crisi del mondo contemporaneo con i suoi improvvisi mutamenti e le sue cattiverie, le paure, le aspirazioni, la sorpresa davanti a bellezze inaspettate.


La musica è per sua natura evocativa, nel senso che è in grado di mettere in risonanza delle consapevolezze racchiuse nella mente, nelle esperienze, nei ricordi dell’ascoltatore, e quanto più le affinità culturali ed emotive sono forti, tanto più questa risonanza cresce di intensità fino a portare l’ascoltatore ad amare un brano, un gruppo musicale, un genere musicale in cui finisce per riconoscere sé stesso. Ecco, credo sia questo il meccanismo che fa si che un gruppo come il Banco, con una storia di quasi 50 anni di palco e di dischi, riesca a farci ancora emozionare e trepidare nell’attesa dell’uscita del disco, come succedeva negli anni ’70. 

Il pubblico aveva voglia, necessità, di tornare a risuonare con le emozioni che sempre il Banco ha saputo trasmettere, indipendentemente dal momento storico, indipendentemente dalle mode e dagli accadimenti della vita. E Vittorio Nocenzi questa atmosfera l’ha colta, ha sentito il richiamo e lo ha rilanciato alle proprie truppe. Probabilmente anche inaugurando un modo innovativo di creare musica: condividendo quell’atmosfera, quel richiamo, quella sfida con una truppa più ampia, allargata ad un consistente gruppo di amici, appassionati del Banco, amanti della cultura e della musica, che nel corso dei decenni hanno seguito più da vicino la storia della band. Per vedere se le risonanze si attivano, per raccontare, spiegare, mettere sul tavolo le idee, mostrare il lavoro, il materiale da costruzione. Perché un disco è un progetto, complesso come quello di un palazzo, in cui nulla può essere lasciato al caso, in cui piccoli dettagli possono produrre grandi differenze.


E’ opportuno chiarire il rapporto di questo disco con il “Progressive”. Questo termine è stato coniato in un periodo successivo a quello della musica cui si riferisce, che è all’incirca la prima metà degli anni ’70. Di fatto, raggruppa una grande quantità di stili diversi, anche piuttosto distanti tra loro. Si possono, forse, individuare alcuni elementi più ricorrenti, ma anche questo sforzo porta a risultati incerti. Il “concept album”? Mussorwsky ne aveva già fatto uno bellissimo, molto tempo prima, ma tutta la storia della musica operistica ne è piena; la “suite”? Roba antica, seicentesca; tempi dispari? Vedi Bartok…; raccontare una storia in musica? Franz Liszt la sapeva già molto lunga, nella seconda metà dell’800 con la “musica a programma”. Che cosa, allora, ha portato, di veramente innovativo, il cosiddetto “Progressive”? Probabilmente, una contaminazione tra generi diversi che, con l’innesto della cultura classica e della disponibilità di strumenti elettrici e quindi di nuove sonorità, ha consentito a musicisti di spessore di esprimersi in modo assolutamente personale svincolandosi da condizionamenti di ogni tipo: di forma musicale, di spettacolo, di comunicazione, di logiche commerciali. 


E’ stato un periodo di sperimentazione vera durato alcuni anni, con esiti a volte modesti, a volte straordinari. Il Banco è ancora in piena sperimentazione, se proprio vogliamo leggere questo lavoro attraverso una lente “Progressive”, ben consapevoli del fatto che le etichette seguono sempre la realtà e non la potranno mai precedere, e che ai musicisti del Banco hanno raccontato anni dopo che la loro musica era “Progressive”. A 25 anni dall’ultimo lavoro in studio, quindi, si riparte con la sperimentazione, con la ricerca del modo migliore per tornare ad eccitare quelle risonanze dentro ciascuno di noi, dopo tutto quello che è successo, al Banco, a noi, al mondo. Vittorio Nocenzi ed il Banco tornano a raccontarci una storia, la loro e la nostra, con il linguaggio di oggi. Questo è l’atteggiamento giusto con cui metterci all’ascolto. Come ci siamo stupiti, 47 anni fa, ascoltando “Il salvadanaio”, predisponiamoci oggi ad ascoltare “Transiberiana”. Vittorio Nocenzi è più “Progressive” che mai, tanto da essere andato oltre… E noi?



Ascolto del disco…

Transiberiana è disponibile sia in CD che in vinile, nel classico formato LP (doppio). Posto che la mia personale preferenza sarebbe quella di un CD grande come un LP, tra le due opzioni ho scelto la comodità e la qualità digitale del CD. L’esecuzione dei musicisti è perfetta, maniacale, impeccabile anche nei passaggi più ostici, in perfetto stile Banco.

01) Stelle sulla terra: La partenza / Cavalli sull’altopiano / Perché, perché, perché
Si parte in’un’atmosfera ovattata, assorta, che dura appena 50 secondi prima di avvertire la corsa dei cavalli. Forse sono i nostri pensieri a volare nell’altopiano sotto il cielo immobile, trasportati dal vento. Il ritmo degli zoccoli si confonde con quello del treno. “Voglio parole per ribellarmi, versi feroci per inchiodarvi! Scrivo canzoni per accusarvi, voglio ideali per liberarmi” è la dichiarazione di intenti contenuta nel terzo tempo, ad esplicitare quale è, ed è sempre stato, il ruolo del musicista per Vittorio Nocenzi ed il Banco. Il brano è relativamente corto pur sviluppandosi in tre tempi, racchiudendo in 6 minuti una piccola storia completa.

02) L’imprevisto
“L’imprevisto è solo un’occasione per cambiare! Non aver paura, è una strada nuova che si apre”. Ed in simbiosi con il testo, il ritmo del brano ci spiazza con dei repentini cambi, che ci scuotono dalla monotonia del viaggio, appena accennata nell’incipit, e ci inquietano. Il testo, anche in questo caso, non è casuale, anzi declama in una sintesi perfetta tutte le motivazioni ed i sentimenti che hanno costituito le fondamenta di questo lavoro. E’ una esortazione per l’ascoltatore, ma nel contempo l’indicazione della strada scelta dal Banco. Bellissimo brano, originale, di quelli che entra in testa già al primo giro, e non esce più.

03) La discesa dal treno
E’ il momento dello smarrimento, della mancanza di idee, dell’impotenza dell’agire, del dolore sopraffattore della volontà. Abbandonati ad eventi, a sogni, forse incubi, che ci pervadono mentre siamo inermi. Una riflessione cupa sul dolore eterno, sulla dissoluzione dei corpi e dei pensieri, sulle assenze senza ritorni… Qualche reminiscenza di “Canto nomade”, nel pianoforte e nelle chitarre nella parte centrale del brano.

04) L’assalto dei lupi
Una contrapposizione di paure, quella dell’uomo nei confronti del lupo e del lupo nei confronti dell’uomo. Lupo che si rifugia nel branco per fronteggiare la paura dell’uomo. “Occhi vili, musi falsi, forti quando sono in tanti!!”. Una invettiva contro la falsità, contro la viltà, che assurgono a logica di potere quando praticate in branco. Ed il rapporto tra uomo e lupo si ribalta: il vile lupo, in queste condizioni di forza, ritiene di possedere dignità di uomo.

05) Campi di fragole
“E non scordarti mai che c’era il vento e la musica! Non ci provare ad arrenderti, non farlo mai. Non sarà un attimo, ma prima o poi si ripartirà”. Anche la visione di un campo di fragole, coperto dal bianco della neve, offre lo spunto per richiamare emozioni forti, di quelle che soffiano sempre vento in poppa per una nuova ripartenza. Più criptica la parte che segue, in cui le parole descrivono immagini, esperienze ed aspirazioni che, per quanto personali e difficilmente trasferibili, danno comunque la suggestione di un sommovimento interiore, di un conflitto tra un desiderio di abbandono a nuovi orizzonti e la volontà di rimarcare un territorio, un percorso, di cui andare fieri. Dolce e nostalgica la melodia composta per “Campi di fragole”, che sotto la neve germogliano.

06) Lo sciamano
Ritmi sostenuti e chitarre a briglie sciolte per “Lo sciamano”, altra denuncia contro l’alienazione dell’uomo, l’incapacità di interpretare i segni che la civiltà contemporanea ci mostra, l’incapacità di incidere in modo positivo su quanto ci ruota intorno. Con anatema: “Pagherai, tutto sai, credi a me, pagherai. Siamo dei fantasmi senza voce ormai, chi ci ha fatto questo prima o poi pagherà”.

07) Eterna transiberiana
Riparte il treno, con la sua cadenza regolare, mista ad un sentimento interiore di anelito al mare. Ritorna il motivo dolce di “Stelle sulla terra”. Semplice, incisivo, evocativo, portatore di pensieri intimi di ricerca della primavera come uscita dal mondo, o dal momento, di ghiaccio e nebbia cui non arrendersi. “Accompagnami alla riva, eterna transiberiana, fino al mare, mentre spunta il sole”.

08) I ruderi del Gulag
Echi mai spenti di Canto nomade per un prigioniero politico: principi sempre attuali, rabbia mai sopita e che mai deve attenuarsi contro la prigione delle idee. La novità è che la cella la scegliamo noi, con i comfort che vogliamo. Per passarci la vita in silenzio, le mura, le pietre, le sbarre sono ormai inutili, superate. Non servono più.

09) Lasciando alle spalle
Unico pezzo solo strumentale. Una sorta di “Promenade”. Cambia il paesaggio, ai ricordi si sostituisce l’aspettativa di ciò che verrà.

10) Il grande bianco
La paura improvvisa che la neve ed il ghiaccio, candidi come le menzogne, prevalgano su tutto. Smarrimento, mancanza di una meta vera, con il cuore che cerca dove andare a posarsi. “Devo andare via da qui: via da questo Grande Nulla! Pretendo sogni enormi… Come vele in alto mare!”. La chitarra elettrica traccia volute sonore precise e taglienti, in competizione con la voce perentoria del sintetizzatore elettronico. Finché il brano non ripiega verso le sonorità tranquille del pianoforte, con ci conduce all’ultimo tratto di percorso verso il mare.

11) Oceano: strade di sale
Atmosfera di festa per l’arrivo al mare, rassicurante, eterno, con i suoi cicli rassicuranti della marea. Libertà, nel prendere il mare, sotto gli uccelli che, arabescando, stridono in aria dai tempi di “L’evoluzione”.
Transiberiana è un disco che spiazza, che arriva subito al dunque, senza preamboli o lungaggini. Anche quando la tentazione porta verso la “suite” (nell’accezione progressive) in più tempi, il Banco si limita ad enunciare il tema, ed a passare al movimento successivo. Sei minuti in tutto invece di venti. Non è cambiato il Banco, siamo cambiati tutti. Ci siamo abituati, o ci hanno fatto abituare, alle frasi corte, ai messaggini, ai concetti espressi in fretta, alle abbreviazioni. Quasi il nostro tempo avesse, all’improvviso, acquisito un valore enorme, impagabile. Tempo che è sempre meno il nostro, dissolto in mille rivoli inutili che alimenta la società contemporanea. Transiberiana si appropria del buono che c’è in questa urgenza comunicativa, e ci spara undici brani densi, centrati, dritti al cuore. Concetti pesanti per gente pensante. Testi chiari, diretti, efficaci che bene si combinano con le frasi melodiche sintetiche, dirette, di presa immediata. Un lavoro perfettamente in linea con lo spirito di chi è abituato a marciare avanti a tutti, da pioniere senza età.

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