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mercoledì 10 marzo 2021

Intervista a Onsegén Ensemble, di Enrico Meloni

 


Intervista a Onsegén Ensemble

Di Enrico Meloni


Come presentarvi questa band finlandese a cui mi sono avvicinato in modo completamente casuale e “datato” (il potere di una copertina)?

Immaginatevi un improbabile incontro tra i Tool, Ennio Morricone, la musica balcanica, i King Crimson di “Red”, uno scenario da film western, fiati e voci femminili che squarciano un tessuto musicale molto denso in un’atmosfera davvero cinematografica e “tribale” al contempo… ed ecco a voi una sola delle mille possibili interpretazioni che si possono dare a questa musica ipnotica proveniente da un luogo gelido.

Sì, perché come ci dice in questa intervista (a quanto mi risulta la prima pubblicata in lingua italiana) il buon Esa, bassista e componente cardine di questo Ensemble di nove (!) persone che cambiano in continuazione, ciascuno/a in questa musica ci vede un po’ quello che vuole. Riferimenti sì ricorrenti, eppure… se leggete altre recensioni del terzo album della band, lo stupefacente “Fear”, vi renderete conto, appunto, che le opinioni sono da un lato molto varie, e gli accostamenti i più disparati, e dall’altro abbastanza concordi: siamo di fronte a un capolavoro.

“Fear” dura poco meno di 50 minuti e, come spesso accade con i “terzi album” delle band, sembra che li abbia meritatamente e finalmente consacrati in un certo qual modo.

Spero, nel mio piccolo, di contribuire alla diffusione della stupenda musica dei nostri amici finlandesi Onségen Ensemble con questa intervista.

Buona lettura e avvicinatevi a “Fear”… senza paura!

Ciao Esa, innanzitutto vorrei ringraziarti per aver accettato di fare quest’intervista. Ti va di presentare la band ai lettori e alle lettrici di Mat2020?

Grazie a te per l’intervista, è sempre un piacere. Onségen Ensemble è un gruppo di musicisti proveniente dal nord della Finlandia e io faccio parte di questa entità progressive. Il gruppo è evoluto nel corso degli anni e in ciascun album c’è una nuova generazione di musicisti.

Qual è il significato del nome della band e come vi è venuto in mente?

Il nome trae le sue origini dall’avanguardia russa. Oggi Onségen corrisponde all’idea di interiorizzare qualcosa che non esiste. Non appena ti ci avvicini, si allontana. Anche se non riesci a raggiungerla e agguantarla, dà la direzione al tuo viaggio. È tutto e niente allo stesso tempo. È eternità, è specificità. È al di là dell’immaginazione di ciascuno/a di noi, supera l’illuminazione o il supremo. Non ne esistono due interpretazioni simili.

Quindi l’Ensemble è un gruppo che si avvicina a quell’idea compiendo delle azioni, e queste azioni, in questo specifico spazio/tempo, sono rappresentate dalla musica.

Come hai iniziato a interessarti alla musica? Qual è stato IL momento che ti ha cambiato la vita?

La musica è sempre stata sinonimo di “casa”, è così da sempre. Ogni volta che l’ascolto o che la suono… beh mi fa sempre sentire parte di un mondo sì nuovo ma anche familiare al contempo.

E pensando al momento del “punto di non ritorno”, dev’essere stato all’inizio degli anni ‘90, gli anni del boom dell’underground metal in Finlandia. Lo scambio e la vendita di cassette erano molto in voga allora, c’erano le fanzine, un sacco di band che suonavano, e io sono entrato a far parte della scena in modo molto naturale. Anche se la fase metal è stata molto breve per me, è stata proprio quella che ha aperto tutte le porte da lì in avanti… fino a oggi.

Sono venuto a conoscenza dell’esistenza della band dopo essere rimasto stregato dalla copertina del vostro ultimo album, “Fear”. Poi ho fatto un passo avanti e vi ho anche ascoltati, e l’ipnosi è stata (ed è ancora) totale. Complimenti, davvero un disco incredibile! Come è stato accolto dalla stampa e dai fan?

Grazie per le tue parole. Nel nostro ensemble, l’aspetto visuale risuona con le stesse frequenze di quello musicale. Trovare un equilibrio tra questi aspetti è molto importante.

Finora l’album è stato accolto benissimo in generale e i pareri sono stati principalmente positivi. Anche se magari non è troppo semplice avvicinarsi alla nostra musica, una volta che ti abbandoni e ti ci dedichi, ti si aprono dei mondi.

La mano destra, e quel colore… qual è il significato della copertina di “Fear”?

La copertina non ha un significato in particolare. Il gesto della mano ha diversi significati a seconda della cultura in cui si trova. Ciascuno/a di noi può interpretarlo come vuole. La paura è il vero collante dell’album.

E come avete creato il vostro logo?

Il logo è la resa visuale del significato di Onségen.

Paura… di cosa?

Di niente. Come detto nella canzone “Earthless”: “rallenta e ascolta, potresti imparare dalla tua paura” (in inglese: “Slow down and hear, you may learn from your fear”).

Torniamo a parlare di musica. Mi piace molto che nell’album trovino spazio strumenti a fiato e percussioni. Credo che conferisca alla musica un senso di instabilità: tutto suona certamente familiare ma all’improvviso si viene come catapultati altrove, in un luogo lontano… un luogo dove c’è un rituale in corso. Qual è l’intenzione che sottende l’uso di questo tipo di strumenti?

Onségen Ensemble è una comunità molto aperta e chiunque si può unire. Chi ne fa parte, beh, è come se fossimo una grande famiglia. Abbiamo tutti dei background molto diversi, ma tutti/e abbiamo lo stesso approccio: permissivo, tollerante e con grande apertura mentale.

Penso che tutto ruoti attorno alla singola persona piuttosto che allo strumento che viene suonato. Il che probabilmente spiega perché nei nostri album ci siano tanti suoni non tradizionali: non siamo alla ricerca di nulla di troppo specifico. Anche se la produzione alla fine risulta essere molto accurata, all’inizio nessuno/a sa cosa aspettarsi. Le cose non si sviluppano in modo intenzionale ma più che altro intuitivo.

Nelle sette canzoni che compongono “Fear” troviamo moltissime voci femminili e cori, in quantità molto superiore al “cantato tradizionale” (se così si può chiamare). Questa sembra una caratteristica presente in tutti i vostri album.

Come mai avete scelto di avere così poche parti cantate negli album, sempre che si sia trattato di una decisione presa a priori, e a cosa è dovuto l’uso così massiccio di voci femminili?

La voce umana è una componente davvero fondamentale quando si tratta di comunicare attraverso i suoni e penso che la vocalità non possa essere lasciata fuori dal quadro anche se non abbiamo niente da dire a livello di messaggi specifici o anche se in quel momento specifico non c’era una persona in grado di occuparsi di un “cantato tradizionale” (ride, ndr).

Le voci femminili e i cori fanno parte del nostro sound fin dal primo giorno, quindi sono a tutti gli effetti una componente naturale del tutto.

So che la prossima è una domanda davvero stramba ma… quali attività consigliate di svolgere mentre si ascolta la vostra musica per poterla capire appieno? Alcuni album funzionano bene come colonne sonore, altri come sottofondo rilassante, altri ancora hanno un’anima più cinematografica… questo discorso vale anche per “Fear” e, se sì, in quale misura?

Non lo so, non riesco ad ascoltare la nostra musica in questa maniera. Mi hanno detto che funziona benissimo se l’ascolti in cuffia, con gli occhi chiusi e senza interruzioni. È un viaggio bello lungo: più ti ci dedichi mentre l’ascolti e più ne riceverai indietro. E tu, hai il coraggio di dire cosa fai mentre l’ascolti? (certamente no!, ndr)

Trovo molto particolare il fatto che vi riferiate ai componenti della band come a “Generation 2020” (per questo album, che è uscito nel 2020 appunto. L’anno cambia a seconda di quando viene pubblicato l’album). Anche il fatto di avere “Ensemble” nel nome della band è abbastanza interessante. Qual è il motivo di queste scelte?

La nostra band è come un organismo vivente. Cambia e cresce in direzioni sempre diverse e “ensemble” è un gruppo di persone che cambia, non un gruppo composto da alcune persone specifiche.

La band si chiamava Onségen Trio nel 2004, ma poi come puoi vedere la cosa non era molto pratica. Ed ecco perché parliamo di “Generations”, fino all’ultima, che è appunto “Generation 2020”.

Nel 2014 c’è stato un grande cambiamento (potremmo definirlo “generazionale”), e in pratica tutta la band è cambiata. Per cui è stato naturale poi chiamare ciascuna band “Generation” con di fianco l’anno in cui quella Generation suona insieme.

Quali sono le tue influenze principali in fase di composizione?

Il passato, il futuro, la natura, la cultura, le persone e il tutto.

Chi si occupa di comporre la musica? È un lavoro di squadra?

È sempre un lavoro di squadra. Alcuni di noi compongono più di altri, alcuni si occupano di aspetti più quotidiani della vita dell’ensemble, ad alcuni di noi piace solo suonare, altri ancora sono responsabili del catering, ma alla fine è tutto un lavoro di squadra. Qualsiasi azione ha un impatto su tutto il resto.

Qual è il ruolo dell’improvvisazione nella vostra musica?

Dovrebbe essere più importante. Mi piace improvvisare e lasciare che le cose prendano il loro corso. All’interno dell’ensemble ci sono alcuni gruppi dove improvvisiamo un po’ di più, chissà se un giorno pubblicheremo qualcosa (sarebbe stupendo!, ndr).

Sembra che abbiate ascoltato e re-interpretato grandi quantità e varietà di musica progressive (nel senso più ampio) per produrre qualcosa che è al contempo familiare e difficile da catalogare.

A quali band venite paragonati solitamente?

Nelle recensioni vengono menzionati: King Crimson, Magma, Ennio Morricone, Earth, Tool, Hexvessel, Oranssi Pazuzu, Black Sabbath, ecc. La musica dev’essere ampia e universale, molte persone quando ci ascoltano ci trovano dentro le loro band e canzoni preferite (come il sottoscritto, come leggerete tra qualche domanda, ndr). Suoniamo da tantissimi anni e nel nostro ensemble sono presenti moltissime influenze  e un sacco di punti di vista diversi, per cui… c’è “qualcosa di qualsiasi altra cosa” (in inglese: “there must be something about everything”, ndr).

I tempi dispari sembrano essere un’altra costante della vostra musica ma ritengo che questi non siano mai né eccessivi né fastidiosi. Non ci si distrae a inseguire il tempo, ecco. Davvero notevole. A volte sembra di ascoltare una versione rock della musica dell’Est (Balcani, Turchia, ecc.). Che ne pensi?

A livello ritmico, abbiamo sempre sentito il bisogno di fare qualcosa di diverso. Quando si suonano parti poliritmiche di una certa lunghezza è sempre interessante vedere dove vai a parare e anche se riesci a suonarle tutte. Avere questo tipo di ritmiche conferisce qualche strato in più alla musica e la si può affrontare da diverse angolazioni. La canzone si scrive da sé in un certo senso.

Non avevo mai pensato al paragone con la musica balcanica ma ora che ci penso in effetti ci sono delle analogie a livello di struttura ritmica. E comunque c’è stato un periodo in cui ascoltavo un casino di Emir Kusturica & The No Smoking Orchestra… mi hai beccato! (ride, ndr).

Come descriveresti la vostra musica a un/a neofita?

Rock.

Per caso la canzone “Earthless” è il vostro omaggio ai Black Sabbath? Mi sembra di sentire molte similitudini con “Solitude”… e non mi dispiace affatto.

Non ci avevo fatto caso fino a ora. Forse sono stati influenzati dalle stesse cose che hanno influenzato anche noi.

In che misura l’aver collaborato con un produttore come Jaime Gomez Arellano ha condizionato il processo di registrazione dell’album?

Mr Gomez è un vero professionista e tutto è andato davvero molto bene. Interessante notare che, anche se ci troviamo agli opposti geograficamente, siamo entrati in sintonia fin dal primo momento. Il sound che ha creato per il nostro album è davvero incredibile. Con la batteria poi è un fenomeno.

Il mondo finlandese (cultura, paesaggi, tradizioni…) ha avuto qualche tipo di influenza sulla composizione dell’album?

Naturalmente, ci ha influenzati moltissimo. Siamo tutti finlandesi e abbiamo vissuto qui quasi per tutta la vita.

Il pubblico di Mat2020 è molto ferrato in ambito prog. Faccio sempre questa domanda a chiunque intervisti perché solitamente scopriamo qualcosa di interessante… Quali band italiane del panorama prog conosci? Quali sono le tue preferite?

Quand’ero più giovane ero assetato di band prog e ovviamente ho rivolto il mio sguardo anche all’Italia. Il primo nome che mi viene in mente è Biglietto per l’Inferno.

Quale scopo state perseguendo con gli Onségen Ensemble… in qualità di ensemble?

Per me, fare musica è un cammino infinito e non voglio raggiungere nessuna destinazione. Ho solo bisogno di continuare a camminare, scrivere canzoni, pubblicare nuova musica e suonarla dal vivo per gli altri.

Ecco, questo forse è lo scopo finale.

In che modo state promuovendo la vostra musica in questi tempi un po’ strani in cui non si può suonare dal vivo?

Beh, cose come questa: interviste, social media, pubblicare nuove canzoni. L’anno scorso abbiamo fatto solo due concerti, che schifezza.

Siete fan dei concerti in live-streaming dallo studio e/o dalla sala prove? Che ne pensi di questa modalità?

Abbiamo registrato un live dallo studio qualche mese fa e probabilmente lo pubblicheremo in primavera o in estate (del 2021, ndr). Ovviamente non è la stessa cosa, ma cos’altro si può fare? L’unica cosa che conta è avere delle persone davanti a te e avere reazioni in modo istantaneo, nulla che YouTube sia in grado di replicare.

Il meglio e il peggio della vita on the road.

On the road ci sono solo cose belle. Se non ti piacciono, non devi andarci. 

Ho letto altre vostre interviste e ho notato che state cercando di mantenere un profilo piuttosto basso riguardo ai nomi e ruoli dei componenti dell’ensemble… quanto è difficile, di questi tempi, rimanere nel semi anonimato?

Non è così difficile, in realtà pochissimi hanno chiesto informazioni personali e comunque puoi trovare tutto ciò che cerchi su internet o sul nostro sito (ride, ndt). Scherzi a parte, non credo che il fatto di conoscerci meglio possa aggiungere alcun tipo di valore alla nostra musica.

Parliamo ora, appunto, degli altri componenti dell’ensemble: siete tutti in grado di vivere della vostra attività di musicisti o… di cosa vi occupate nella “vita di tutti i giorni”?

Nessuno/a di noi vive di musica. Facciamo i lavori più disparati e nell’ensemble “Generation 2020” abbiamo graphic designers, ingegneri topografici, insegnanti d’arte, agronomi, insegnanti di danza, professori di chimica, consulenti finanziari, insegnanti di inglese e infermieri psichiatrici. La musica è il fattore unificante nonché la nostra vera ragione per vivere.

Quali sono i progetti futuri per la band?

Spero che la situazione ora si normalizzi di nuovo grazie al vaccino e che potremo suonare dal vivo. Se così non fosse inizieremo a scrivere il prossimo album. E infatti, a dirla tutta, abbiamo già un paio di canzoni pronte.

Sono un musicista in erba. Dammi un consiglio, insegnami qualcosa che hai imparato dai tuoi errori.

Se hai imparato qualcosa, allora non è stato un errore. Prendi le cose così come vengono, segui l’intuito e non aver paura di niente.

Esa, grazie mille per averci dedicato il tuo tempo. La chiusura è a tuo piacere.

Grazie a te, è stato un vero piacere!



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