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mercoledì 21 maggio 2025

Ricordo di Francesco Di Giacomo

foto di Andrea Ascolese


21 maggio

Ci sarai sempre. Buon viaggio Capitano.

Wazza


Quando a metà del 1985 lasciai la EMI per entrare a far parte della CBS, ora Sony Music, ricordo che uno dei primi impegni fu a Saint Vincent per il disco per l'estate, programma tv, dove ero incaricato di ritirare un premio per conto di Sade e seguire la promozione del Banco (Banco del Mutuo Soccorso) - di cui faceva parte Francesco Di Giacomo, the Big Man, per dirla alla Canned Heat - che avevano come manager Gianni e Lina Marsili, due belle e colte persone.

Li affiancai per poco tempo, decisero di cambiare distribuzione, ma fu sufficiente per conoscere lo straordinario talento di Francesco Di Giacomo, il musicista preferito dal regista Federico Fellini, che lo coinvolse in ben quattro film, come attore.

Oggi sarebbe stata la sua festa. Auguri Gigante Gentile.

(Massimo Bonetti, discografico, scritto un 22 di agosto)

 



Ricordando Vincent Crane, nato il 21 maggio

 

 


Vincent Crane: l'anima profonda del Rock Progressivo

 

Oggi, 21 maggio, si celebra la nascita di Vincent Crane (1943-1989), una figura la cui influenza risuona ancora potentemente nel panorama del rock progressivo e dell'hard rock. Tastierista visionario, co-fondatore degli Atomic Rooster e mente creativa dietro molte delle sonorità più psichedeliche e innovative degli anni '60 e '70, Crane è stato un artista la cui vita, seppur tragicamente breve, ha lasciato un'impronta indelebile.

Nato a Hampstead, Londra, Vincent Crane ha iniziato la sua carriera musicale con una determinazione feroce e un talento innato per l'organo Hammond, strumento che avrebbe reso iconico. La sua versatilità e la sua capacità di tessere trame sonore complesse e al tempo stesso viscerali lo resero presto una figura di spicco. Prima di co-fondare gli Atomic Rooster con Carl Palmer, Crane fu una componente essenziale di The Crazy World of Arthur Brown, contribuendo a forgiare il sound di brani leggendari come "Fire". La sua abilità nel creare atmosfere drammatiche e spesso sinistre, unita a una tecnica impeccabile, lo distingueva in un'epoca di grande sperimentazione musicale.

Con gli Atomic Rooster, Crane raggiunse l'apice della sua creatività. Il suo organo Hammond, spesso distorto e carico di espressività, divenne il cuore pulsante della band, dando vita a un sound unico che fondeva elementi di blues, prog e hard rock con una vena psichedelica. Album come Atomic Rooster e Death Walks on High Heels mostrano la sua genialità compositiva e la sua capacità di creare brani che erano allo stesso tempo complessi e accessibili, oscuri e melodici. La sua musica parlava di temi profondi, spesso riflettendo le sue stesse battaglie interiori.

Purtroppo, la vita di Vincent Crane fu segnata da una lunga e coraggiosa lotta contro la depressione bipolare, una condizione che influenzò profondamente la sua carriera e la sua esistenza. Nonostante i successi e la stima dei colleghi, Crane affrontò periodi di grande difficoltà, che spesso lo portarono a ritirarsi dalla scena musicale o a combattere per mantenere la sua stabilità.

Il 14 febbraio 1989, il mondo perse Vincent Crane. Morì a soli 45 anni a causa di un'overdose di antidolorifici, un tragico epilogo di una vita intensa e tormentata. La sua scomparsa lasciò un vuoto incolmabile nel cuore dei fan e dei musicisti che lo avevano conosciuto e amato.

Oggi, mentre ricordiamo la sua nascita, è fondamentale celebrare non solo il genio musicale di Vincent Crane, ma anche la sua resilienza e la sua onestà artistica.







martedì 20 maggio 2025

Il ritratto di Ray Manzarek, di Gianni Sapia



Gianni Sapia ci aiuta a ricordare Ray Manzarek


Ray è morto, ormai da dodici anni... lunga vita a Ray! I sudditi del rock hanno pianto la morte di un altro leggendario cavaliere. Ray Manzarek è andato ad incontrare Jim per la seconda volta, dopo quella a Venice Beach, dove tutto ebbe inizio. Raccontare quello che è stato Ray Manzarek, i Doors, raccontare gli incredibili avvenimenti di quegli anni è un po’ come giocare a nascondino con la retorica, da cui è difficile sfuggire. Devo essere più furbo, devo distrarla. Mi nasconderò dietro i miei ricordi, per gettarle fumo negli occhi. 

Il mio primo disco dei Doors è stato Absolutely Live. Li avevo scoperti grazie a un mio cugino più grande di me, che, in una cassetta mista, tra Deep Purle, Eagles e Black Sabbath, aveva messo anche i Doors. La canzone ovviamente era Light My Fire ed era già Manzarek-mania, prima ancora di Morrison-mania. Perché se Jim era il personaggio, la follia del genio, il poeta, Ray era il musicista. Le universali note dell’inizio di Light My Fire mi avevano catturato e dovevo saperne di più. All’epoca pensavo che solo ascoltando un gruppo dal vivo avrei capito se mi piacevano davvero o se era solo un’infatuazione del momento. Poi ho scoperto che non è proprio così, che un conto e vedere un concerto e un altro e ascoltarlo e che solo mettendo insieme le due cose puoi sentirlo. Ma allora vivevo di convinzioni adolescenziali, madri di inevitabili delusioni e comprai il disco dal vivo. Che non fu affatto una delusione. Ce l’ho ancora, bello, nelle sue tonalità di viola e d’azzurro. È un doppio, di quelli che si aprono in due. Fronte e retro di copertina sono un’immagine unica. Si vede Jim in primo piano con i suoi pantaloni di pelle, dietro di lui un’ombra, è Robby. In mezzo, di spalle, John, e defilato sulla sinistra l’architetto del suono dei Doors, come lui stesso amava definirsi, Ray Manzarek, naturalmente durante un’esibizione assolutamente dal vivo. La puntina del mio giradischi imparò a memoria la strada tra i solchi di quei due elleppì. Da Who Do You Love a Soul Kitchen, passando per Close To You, cantata da Ray, non passava giorno in casa mia in cui non si sentisse l’inconfondibile suono del Vox Continental di Manzarek. Già, perché prima di imparare a conoscere e quindi innamorarmi dell’encefalica sensualità di Jim Morrison, mi innamorai della musica di Ray. 

Per la prima volta di un gruppo non adoravo il cantante o il chitarrista solista, amavo il tastierista. Quando poi scoprii che le parti di basso le faceva lui con un Rhodes Piano Bass poggiato sul top piatto dell’organo, allora l’amore diventò devozione e Ray Manzarek fu asceso al cielo, nel mio personale Olimpo degli dei della musica. La melodica ossessione di quel suono colmava tutti i miei sensi. Come una benefica droga scorreva attraverso i canali sanguigni del mio corpo raggiungendo muscoli, reni, polmoni, stomaco, fegato, cervello, cuore, lasciandomi ubriaco di bellezza. Un po’ come la Scimmia di Finardi, “un onda dolce di calore, quasi come nell’amore”. Le emozioni si rincorrevano come libellule, che volano sul filo dell’acqua di un fiume e tutto sembrava potesse accadere in quei momenti, in cui l’eccitazione aveva la meglio sulla ragione, il trascendentale sul reale, in cui il mondo dell’esperienza cessava di esistere per dar spazio al mondo della mia fantasia, per farmi volare tra gli universi esistenziali della mia mente. E tutto questo grazie al sapiente scorrere delle dita delle mani sui tasti bianchi e neri del suo organo, di quel ragazzo biondo, dalle spesse basette e dai grossi occhiali, che sembrava un essere mitologico quando sedeva dietro il suo strumento, metà uomo e metà tastiera. 
Immagine di Glauco Cartocci, grazie a C.M.Schulz che sicuramente avrebbe approvato

Penso a Riders On The Storm, a When The Music’s Over, The Crystal Ship, a Take It As It Comes, Love Street, a Queen Of The Highway e quant’altre ancora e penso a quanto fosse sconfinato il talento musicale di quell’uomo. E quanto capace dovesse essere nell’individuare il talento negli altri. Fu lui quel giorno, sulla spiaggia californiana, a riconoscere le smisurate doti di Jim Morrison mentre canticchiava imbarazzato Moonlight Drive e subito dopo dichiarava di non saperne un accidente di musica. Fu lui che di James Douglas Morrison fece Jim Morrison. O per lo meno fu lui che lo regalò al mondo. Non reclamò mai un posto in primo piano nella band, benché gli competesse, ma lasciò che fosse Jim a prendersi la scena. Non per umiltà, ma per semplice onestà intellettuale. Suonare con Jim Morrison era un privilegio. Attento, la retorica è sempre lì, ti vede. Certo. 

Dopo Absolutely Live dovevo avere gli altri dischi. C’era solo un piccolo problema, non avevo una lira! Allora iniziai a risparmiare sulla miscela, sulla merenda a scuola, sul flipper, ma dovevo comprare gli altri dischi dei Doors, dovevo sentire ancora il calore di quell’organo scorrere dentro di me. Arrivai a pensare di vendere i miei Roy Rogers, ma non ce ne fu bisogno, perché quella santa donna di mia nonna, buonanima, ogni tanto mi elargiva un paio di biglietti da diecimila, che più di una volta finivo per spendere in musica e quella volta li spesi per The Doors. Sulla copertina dominava il viso dionisiaco di Morrison, mentre gli altri tre restavano in secondo piano, ma sul retro, metà della faccia di Ray era proprio in primo piano! Contento come sa essere contento un bambino, misi il disco sul piatto del giradischi e con cautela appoggiai la puntina su di esso. L’eccitante gracchiare dei primi solchi vuoti fu improvvisamente interrotto dal ritmo di John, seguito subito dall’organo di Ray, la chitarra di Robby e poi Jim: “You know the day destroys the nigt/Night divides the day/Tried to run/Tried to hide/Break on through to the other side/ Break on through to the other side/ Break on through to the other side, yeah”.

Queste sono state le mie prime percezioni dei Doors, forse il primo gruppo che ho amato tanto da comprarmi anche dei poster, che ovviamente sono ancora oggi appesi alle pareti di casa mia. Gruppo che amo perché prima il rock e il blues, poi il resto. Gruppo che amo perché Jim Morrison non puoi non amarlo. Gruppo che amo perché le canzoni le firmavano The Doors, non Morrison/Manzarek o Morrison/Krieger. Gruppo che amo perché si coprivano le spalle, come una famiglia. Gruppo che amo perché The End è un capolavoro! Gruppo che amo perché in una settimana hanno fatto il loro primo disco. Gruppo che amo perché dopo quarant’anni il suono dei Doors è ancora il suono dei Doors. Gruppo che amo perché John Densmore e Robby Krieger sono dei grandi musicisti. Perché Jim Morrison era un genio assoluto. Gruppo che amo perché Ray Manzarek era una brava persona. Ray non c'è più, lunga vita a Ray!




lunedì 19 maggio 2025

Dire Straits: il 19 maggio 1978 veniva pubblicato "Sultans Of Swings"



Era il 19 maggio 1978 quando i Dire Straits pubblicarono il loro primo singolo con un grande etichetta: "Sultans Of Swings".

Il pezzo fu scritto da Mark Knopfler in un momento in cui le cose per la band  non giravano bene. L'ispirazione gli venne in un desolato pub, dove suonava una band davanti a pochissime persone, chiamata appunto "The Sultans of Swing".

Il singolo fu registrato con un budget di 120 sterline, ma il passaggio a tappeto a "Radio London" lo fece diventare in poco tempo uno dei singoli più venduti e loro "cavallo di battaglia" nel corso dei concerti.

Il "guitar George" citato nel brano è il chitarrista "George Borowski", amico di Mark Knopfler.

Di tutto un Pop…
Wazza


Mark Knopfler nel 1977 doveva ancora decidere definitivamente cosa avrebbe fatto da grande, in bilico com’era tra il lavoro di critico musicale e quello di chitarrista semi-professionista.
Per il gruppo che stava mettendo su scelse un nome esplicito, un nome che dava subito l’idea della disastrosa condizione delle loro finanze: Dire Straits, momenti difficili, tempi duri.

Una sera venne invitato da una band abbastanza mediocre a un loro concerto, affinché poi ne scrivesse una recensione. Lo spettacolo, entrando nel pub, fu desolante. L’audience era composta da 5-6 persone ormai ubriache e completamente incuranti della musica.
Il gruppo accorcia il repertorio, tanto di sguardi attenti e di orecchie tese non ve n’era traccia, il disinteresse era pressoché totale ma, alla fine, il cantante ha un colpo di genio.
In perfetto aplomb inglese saluta il pubblico con un serissimo: “Goodnight and thank you, we are the sultans of swing (Signori buonanotte e grazie, noi siamo i sultani dello swing)”.

In quel momento nella testa di Mark Knopfler nasce l’idea della canzone.
Nottetempo, tornato a casa, butta giù i primi accordi sulla chitarra acustica.

Pochi mesi dopo: “Sultans of swing” diventa uno dei brani più incisivi del decennio d’oro del rock.






domenica 18 maggio 2025

Fabio Rossi-"SANDY DENNY – La Regina del Folk Rock", commento di Andrea Pintelli

 


SANDY DENNY – La Regina del Folk Rock
di Fabio Rossi

Commento di Andrea Pintelli

 

L’amico scrittore romano Fabio Rossi ha fatto un grandissimo regalo a tanti appassionati di Musica vera, quella con l’emme maiuscola, realizzando un libro dedicato alla Regina del Folk Rock, ossia Sandy Denny. Il primo libro uscito in italiano su di lei, s’intende. Pubblicato lo scorso aprile da Il Cuscino di Stelle, esso va a coprire un vuoto editoriale che colpevolmente aveva, fin qui, escluso l’artista britannica dai radar del circuito letterario. 

Nata il 6 gennaio 1945 e deceduta il 21 aprile 1978 in seguito a una caduta dalle scale, Alexandra Elene McLean Denny, detta Sandy, è stata senza dubbio la miglior cantautrice di sempre del Regno Unito e una delle migliori di tutti i tempi a livello mondiale. Grazie a una sensibilità senza limiti, a un talento immenso, a una voce sognante e penetrante, ha composto canzoni che siedono nel gotha della Musica del Novecento. Purtroppo, proprio questa sua infinita sensibilità le condizionarono la vita, andando talvolta a intaccare negativamente il suo cammino nel campo dell’arte. Inutile e dannoso che spieghi qui il suo percorso, visto che lo farà questo sentito e ottimo libro, di cui Fabio mi ha pregiato di scriverne la prefazione. Il mio amore per Sandy risale a tantissimi anni fa, quando da ragazzino (intorno ai 13 anni) comprai “Liege and Lief” dei Fairport Convention, il disco-manifesto del Folk Rock, band di cui le fece parte. Da lì in poi, collezionai tutto ciò che riguardava il gruppo inventore di questo genere per quanto riguarda la Britannia, la stessa Sandy nella sua carriera al di fuori di questo “nido”, come pure ciò che i suoi membri rilasciarono come solisti o all’interno di altre formazioni. Insomma, il British Folk mi stregò fin dall’inizio. Quello che mi colpì maggiormente fu il flusso di emozioni che suscitarono in me molte delle composizioni di Sandy, andando a toccare corde interiori che finora nessun altro aveva nemmeno sfiorato (e assicuro che di Musica ne avevo fin lì “masticata” tantissima, di ogni genere). Late November, Solo, The Pond and the Stream, One More Chance, I’m A Dreamer, Who Knows Where The Time Goes, Nothing More, tanto per citarne alcune di clamorose, ebbero un effetto deflagrante su di me, andando ad aprire porte nel mio io più profondo. 


Sandy Denny fu (ed è) la chiave che mi permise di evolvere, in poche parole. Per chi non la conoscesse, quest’ottimo libro del bravissimo Fabio (già autore di diversi volumi oltremodo importanti dedicati a Rory Gallagher, Bathory, EL&P, ecc.) potrà avere una funzione determinante che permetterà di entrare a conoscenza di un pilastro della Musica tutta, sebbene qui in Italia sia sempre stata poco citata (ma si sa come girano le cose nel paese fatto a stivale…). Per chi la conoscesse già, esso sarà una piacevole lettura, perché non solo va a sbobinare la vita dell’artista e la sua preziosa (seppur troppo breve) carriera, ma riporta anche notizie di non facile raccolta. Il libro contiene un’interessante ed esauriente fascicolo fotografico sulla protagonista, nonché i testi di alcune sue canzoni con traduzione in italiano. Insomma, invito chiunque abbia un briciolo di curiosità e raffinatezza ad acquistare “Sandy Denny – La Regina del Folk Rock”: ne sarete soddisfatti. Abbracci diffusi.

 

 

Per contatti col sottoscritto:

andrea.pintelli@gmail.com






Compie gli anni Rick Wakeman


Compie gli anni oggi, 18 maggio, Rick Wakeman, tastierista, compositore, ma anche presentatore e autore di programmi radio televisivi.

Inizia con gli Strawbs, ma il successo personale arriva con gli Yes, attraverso una travagliata militanza, fatta di abbandoni e ritorni.

Molti i suoi album solisti, e tante le collaborazioni (David Bowie, Black Sabbath, Dave Cousins...).

Ha inciso un album con il percussionista cantante Mario Fasciano, dove erano presenti anche Francesco di Giacomo e Rodolfo Maltese.

Negli anni '70 la sua "rivalità" con Emerson era pari a quella tra Coppi e Bartali (naturalmente tutto creato ad arte da una certa stampa…).

Happy Birthday Mago Merlino!
Wazza



Yes "Going for the one " 1978








sabato 17 maggio 2025

Il compleanno di Bill Bruford

Compie gli anni oggi, 17 maggio, Bill Bruford, batterista, colonna portante della scena progressive, amante del jazz.

Ha suonato praticamente con tutti, esempio e modello per generazioni di batteristi.

Da tempo ha deciso di ritirarsi dalla scena (mentre tanti mediocri ancora insistono!)

Happy Birthday William!

Wazza


The Bruford band in 1977. March 7 1979

King Crimson, 1981

Backstage at London's Royal Albert Hall for the last night of the London King Crimson shows with old friends: L-R Tony Levin, Jeremy Stacey, Bill, Pat Mastelotto

Genesis-1976