Il Blog di MAT2020 (estensione del web magazine)
La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
venerdì 7 febbraio 2025
Il compleanno di John "Pugwash" Weathers
Ricordando Marcello Vento
giovedì 6 febbraio 2025
Qohelet – “Il Cantico dei Cantici”-Commento di Alberto Sgarlato
Qohelet – “Il Cantico dei Cantici” (2025)
di Alberto Sgarlato
A chi segue con passione e fedeltà le pagine
di MAT2020, il nome di Gianni Venturi non
risulta affatto nuovo. Nel mondo della musica di qualità ha ottenuto popolarità
come cantante degli Altare Thotemico, elegantissimo progetto tra rock
progressivo e jazz-rock. Oltre questo, ha fatto molto altro: nei suoi dischi
solisti spinge all’estremo la sperimentazione vocale, fondendola con testi di
denuncia sociale e con una lucida analisi del mondo attuale; la Banda Venturi è
un collettivo tra cantautorato, folk e riscoperta delle radici; Moloch è un
progetto in duo con Lucien Moreau, tra industrial, rumorismo, elettronica e
musica concreta.
Ed ecco che finalmente arriviamo al secondo
capitolo del progetto Qohelet. Esso nasce
a quattro mani con un altro nome di tutto rispetto nella scena musicale
italiana: Alessandro Seravalle,
polistrumentista noto nella scena prog italiana come fondatore, negli anni ‘80,
dei Garden Wall. Insieme al fratello Gian Pietro, realizzatore anche
dell’Officina F.lli Seravalle.
Il titolo del nuovo album dei Qohelet è già,
di per sé, qualcosa di monumentale: “Il Cantico
dei Cantici”. Qui Venturi esprime liberamente le sorprendenti
potenzialità interpretative che lo hanno reso noto, mentre Alessandro Seravalle
si districa con sapienza tra chitarre di vario tipo caratterizzate da varie
accordature e intonazioni, pianoforte, piano elettrico, sintetizzatori,
apparecchiature elettroniche di ogni sorta e un nutrito parco di percussioni
intonate e non.
A dare manforte ai due titolari del progetto
appaiono anche, in qualità di ospiti, Emiliano Vernizzi al sax e gli
“interventi ritmici” di Gian Pietro Seravalle (dell’Officina). Entrambi
questi due comprimari giocano però un ruolo decisamente di rilievo nelle
dinamiche sonore dell’album.
Interessante notare, inoltre, che nelle note
di copertina Gianni Venturi è accreditato al cosiddetto “autotune creativo”. A
riprova, ancora una volta, che non è la tecnologia di per sé a rappresentare
una minaccia, ma è l’uso che se ne fa che può essere intelligente e innovativo
(come in questo caso) o, come per la maggior parte delle produzioni mainstream
di oggi, semplicemente pessimo.
Otto tracce di durata oscillante tra i 6 e
gli 8 minuti di media, ci guidano attraverso il fluire magmatico del libero
pensiero generato dal duo Seravalle/Venturi: si parte con “Prologo”
e, se Venturi declama “il tuo amore inebria più del vino / il tuo nome è un
unguento penetrato”, la stessa cosa si potrebbe dire di questo sound, fatto
di suoni gravi e oscuri, di loop ipnotici, di sax lancinanti, che penetrano
davvero sotto i tessuti cutanei dell’ascoltatore. Perché questa non è musica
“epidermica”, superficiale: bisogna essere predisposti non solo ad ascoltarla,
ma ad assumerla, a compenetrarvi.
In questa introduzione sono già tracciate le
vie che troveremo nei cinque brani portanti dell’opera, non titolati ma
numerati da “Primo Poema” a “Quinto Poema”, seguiti
da un “Epilogo” e una “Appendice Finale”.
I testi, ipnotici tanto quanto questa musica
cupa e rarefatta, sono alquanto criptici; Eros e Thanatos, Amore Universale
(per la donna, per la carne, per la natura intorno a noi) e angoscia,
contrapposizioni continue tra il Bene e il Male, riferimenti letterari e
citazioni (i due titolari del progetto non hanno mai nascosto il loro amore per
Guido Ceronetti) si inseguono in quella situazione che lo stesso Venturi
definisce più affine a un’opera teatrale che a un album.
Leggermente meno cupe si fanno le
ambientazioni del Secondo e del Terzo Poema, complici anche i piccoli tocchi di
pianoforte e di un sax giocato su timbriche più acute, a far da supporto
all’intensità drammatica di Venturi, energica sia nei testi, sia nell’interpretazione.
Nel “Quinto Poema” un sapiente uso dei
riverberi, soprattutto applicati al sax, accentua ancora di più quel senso di
vuoto e di smarrimento apparentemente perfetto per replicare i contenuti
pessimisti del reale Qohelet del V Secolo a. C., testo contenuto nella Bibbia
(secondo alcune fonti attribuito al Re Salomone).
I loop ritmici della “Appendice Finale”
sembrano rappresentare, in un salto temporale, l’Uomo oggi incastrato nelle
gabbie della modernità.
Come dicono gli stessi autori: “Da non ascoltare in sala da pranzo, ma nel silenzio e nel buio”.
Un ricordo di Gary Moore nel giorno della sua morte
Era il 6 febbraio 2011 quando ci lasciava Gary Moore, formidabile chitarrista e pilastro del rock blues.
Per non dimenticare…
Wazza
GARY MOORE muore improvvisamente il 6
febbraio del 2011, all'età di 58 anni, mentre si trova in vacanza a Estepona,
nella Costa del Sol.
Leggenda della chitarra rock blues,
Moore viene considerato un chitarrista molto espressivo, dotato di grandi
capacità compositive e tecniche.
Nella sua carriera ha suonato e
collaborato con band ed artisti del calibro di Thin Lizzy, Jack Bruce e Ginger
Baker (Cream), Greg Lake, Cozy Powell, George Harrison, Ozzy Osbourne, B.B.
King, Albert King e Albert Collins.
Artista molto stimato, molti sono i chitarristi che hanno affermato di aver attinto e tratto ispirazione dalla sua musica.
«Ogni volta che ero in camerino per conto mio, mi piaceva suonare un po' di blues per me stesso. Una notte, Bob Aisley, il bassista, entrò e mi disse: "Sai, Gary, dovremmo fare un album blues. Potrebbe essere la cosa più grande che tu abbia mai fatto". Io scoppiai a ridere e anche lui scoppiò a ridere. Ma l'ho fatto, e aveva ragione.» (G. Moore)
mercoledì 5 febbraio 2025
Il compleanno di Mauro Pagani
Compie gli anni oggi, 5 febbraio, Mauro Pagani… come diceva una vecchia pubblicità: basta la parola!
Buon compleanno maestro!
Wazza
"Noi alla fine siamo
diventati fratelli, mi sembra quasi di avere sostituito Mauro che a un certo
punto morì. Avevamo un legame speciale. Il mio ruolo un po' s'incastrava con il
suo ma eravamo degli animali simili. La malattia e la mala sorte hanno
cancellato anche i pochi scazzi che si erano venuti a creare. Ci siamo lasciati
senza strascichi; nelle ultime telefonate, quando lui era già malato, abbiamo
chiarito anche i più piccoli dettagli, ci siamo chiesti scusa per quello che
avevamo in conto uno con l'altro".
"È stata una grande storia e ho
imparato tantissimo. [.....] E forse qualcosa gli ho insegnato anch'io, perché
nel canto di CREUZA ci ho messo dentro il mio modo di cantare rock e
soprattutto blues. E da lì in avanti, mi sembra, Fabrizio ha cambiato il suo
modo di cantare; si è sentito libero di farlo in una maniera nuova e diversa".
Mauro Pagani
da; "Belìn, sei sicuro?"
A cura di Riccardo Bertoncelli
martedì 4 febbraio 2025
THE FERTILITY CULT-"A SONG OF ANGER" - Di Andrea Pintelli
THE FERTILITY CULT-"A SONG OF
ANGER"
Di Andrea Pintelli
I finlandesi The Fertility Cült arrivano al loro quinto album, tanto atteso da
schiere di fans del doom, intitolato “A Song of
Anger”, attraverso la Black Widow Records (gloria
sempre).
La band, attiva dal 2008, è caratterizzata da un sound unico
nel suo genere, maestoso, esoterico, imponente, a tratti piacevolmente
minaccioso. Il disco che andremo a
commentare è il prequel di "Kosmodysseia", loro lavoro precedente che
una testata giornalistica definì “vicino alla perfezione”. I territori sonori
esplorati dai Fertility Cült si spingono fino al jazz e alla psichedelia, pur
avendo le loro radici ben piantate nel prog, in prevalenza crimsoniano, e in un
doom di sabbathiana memoria.
Aperto il sipario, ecco A Thousand Starships, che con intro sinistro traccia la linea. Esplicitato il concetto di viaggio intergalattico già dal titolo, anche musicalmente si decolla fin da subito in maniera corale. Il sax dona sé stesso declamando lo spazio infinito in cui si dipana e diventa pian piano protagonista oltre le vocalizzazioni.
Fame Everlasting accresce il ritmo concettuale del messaggio, attraversando idee oblique e trovate stilistiche uniche. Assolo di chitarra da incorniciare, ma è il suono del basso che cattura, grazie a un’intensità palpabile e inusuale. Magie nordiche che hanno rispetto del passato, vivendo nel presente, guardando lontanissimo, pensandosi già oltre gli orizzonti.
The Duel ha coesione corposa e andamento fiero, come se, ora, fosse importante…vincere; tutto ciò per proseguire a indagare, e sondare, i soffi-spiriti vitali. Forza e convinzione possono portare a non soccombere alle azioni altrui, concentrandosi sulle proprie per camminare sempre a testa alta. Briseis, maggiormente introspettiva, si autodefinisce come una psych ballad, avente potenza e alti pensieri. Ascoltandola si viene invasi da un oceano di riflessioni, che naturalmente affiorano per poi galleggiare come fossero ninfee, ora rabbuiate, ora invitanti. Un paradigma dell’esistenza, insomma. The Curse of the Atreides ha una romantica cupezza di cui ci si può innamorare in brevissimo tempo. Pur nella sua pericolosità d’approccio da inquietante sirena, risulta oltre l’ammaliante.
No Surrender, No Retreat: che (ri)partenza speciale! Grazie a un refrain di tastiere ad effetto, essa prosegue, innestando pensieri di movimento, abbattendo la noia e la sedentarietà emotiva. Ancora una volta il sax rende esclusivo il suo incedere, intervenendo su più piani insiti alla sensibilità dell’animo. Sfuma poi in un passaggio heavy che è la trovata scenica del brano, udibile solo dall’io profondo.
A Song of Anger, ultima traccia, è una cavalcata
di oltre dodici minuti, dove è possibile trovare vari significati dell’essere,
affrontandoli per convenire in un dialogo telepatico col circostante. Una suite
monumentale in cui si deve partecipare nella mancata purezza della ragione, con
audacia disposta al superamento del vigore della propria indole. Spingersi
sempre avanti, mai essere domati. La band offre qui un saggio completo della
classe che contraddistingue i vari componenti, che nell’unione trovano le
motivazioni della propria arte.
Senz’altro quest’ultimo album dei Fertility Cült è il loro
più maturo, ma con significati densi e coraggio che li premiano come una delle
realtà più limpide del panorama europeo, relativamente (e ovviamente)
all’ambito di cui fanno parte. Un plauso alla copertina, la cui grafica centra
in pieno le atmosfere che permeano quest’opera.
Abbracci diffusi.
Tracklist:
1 A Thousand Starships
2 Fame Everlasting
3 The Duel
4 Briseis
5 The Curse of the Atreides
6 No Surrender, No Retreat
7 A Song of Anger
"Music and lyrics by The
Fërtility Cült
Recorded by Anssi Solismaa
Mixed and mastered by Markus
Pajakkala
Cover art by Miikka Hakari
Members:
Anssi SOLISMAA - Keyboards
Artturi MAKINEN - Drums
Eero Johannes HEINONEN - Guitars
Ilari RYHANEN - Sax, backing vocal
Ville KAILA - Bass, vocals
Guest guitar solo on Fame Everlasting
by Antti Loponen
Guest vocals on Briseis and backing
vocals on A Song of Anger by Minttu Tervaharju
Guest guitar solo on The Curse of the
Atreides by Arttu Kimmel
Guest soprano saxophone solo on A
Song of Anger by Markus Pajakkala
Guest spoken word on A Song of Anger
by Pete Bingham"
per contatti:
lunedì 3 febbraio 2025
Alan Sorrenti e Le Orme nel 1974
Come prassi per gli anni’70, la rivista musicale “Qui Giovani” pubblica (un mese dopo, nel febbraio 1974) la recensione del concerto di Alan Sorrenti e Le Orme al Teatro Brancaccio di Roma, eseguito il 16 e 17 gennaio 1974 a conclusione di un tour in accoppiata.
Se non sbaglio da questi concerti romani venne registrato il primo live delle Orme.
Di tutto un Pop…
Wazza