Luigi Mantovani, qui in foto con
Francesco e Rita Calderoni nelle cucine dello storico locale milanese
Capolinea, durante la registrazione dell'omonimo disco.
Oggi quasi quasi a pranzo me la
faccio la “cacio e pepe”, ma non seguirò la ricetta classica, ma quella che si
inventarono anni fa il famoso chef Antonello Colonna e il grande Francesco
di Giacomo. Allegata la “Ode a cacio e pepe”... e Cracco muto!
Buon appetito
Wazza
Cacio e pepe pepe e cacio
Pepe e pepe cacio e cacio
Bianco e nero nero e bianco
Impeto della luce ebbrezza della
notte
Tinte-contrasto- grande unisono
E ogni tanto acqua bollente
E poi cacio e pepe pepe e cacio...
Decidi tu quando dire basta
Questa ode al cacio e pepe è stata
scritta dal famoso chef Antonello Colonna con Francesco Di Giacomo cantautore
del gruppo Banco. Questi versi si trovavano nel menù di degustazione del ristorante
col “portone rosso”, a Labico, dove era possibile gustare una personale
versione del cacio pepe preparata davanti ai clienti. Versione che come
racconta Antonello Colonna nel suo libro “Antonello Colonna: un anarchico ai
fornelli”, da Labico a New York è nata nel 2000 nel corso di “Cucinare a
Labico”.
Colonna racconta che l’idea di far
rinascere questo piatto popolare romanesco era data dall’esigenza di
“contrapporlo” alla cucina fusion ed in particolare al sushi che andava di moda
in quegli anni nei ristoranti della capitale. Così pensò di nobilitare il
popolare e semplice cacio e pepe, finito in secondo piano o talvolta scomparso
nei menù dei ristoranti, preparandolo a mo’ di risotto davanti ai clienti, in
una sorta di esibizione artistica.
Riscosse grande successo tanto da
essere definito “il re del cacio e pepe” e alla presentazione della Guida di
Roma del 2000 il Gambero Rosso gli dedicò l’evento dal titolo "tra
sushi e cacio e pepe".
Il 29 settembre del 1973, i Grand Funk Railroadraggiungono
il primo posto nella classifica dei singoli statunitensi con "We're An American Band".
Di tutto un Pop…
Wazza
Il
settimo album della band, “WE'RE AN AMERICAN BAND” (1973)
Registrato in soli tre giorni ai
Criteria Studios di Miami, prodotto dal talentuoso Todd Rundgren, è un altro
esempio della vertiginosa velocità con cui si è sviluppato il rock.
L'album è stato n° 2 negli Stati
Uniti e ha ottenuto un disco d'oro un mese dopo la sua uscita, merito
alimentato dal successo del singolo “We're An American Band”.
Dalla
rete…
We're
an American band…
We're
an American band…
We're
coming to your town, we'll help you party it down.
We're an American band…
Parole semplici e dirette, copertina
scarsa ed essenziale. È così che si presenta uno dei migliori dischi mai
realizzati a marchio USA da uno degli ultimi gruppi che riempì gli stadi
americani negli anni ‘80.
I Grand Funk nacquero come gruppo
hard-blues col nome di “Grand Funk Railroad”, grazie al lead-singer e
chitarrista Mark Farner, il bassista Mel Schacher e il batterista Don Brewer,
tre ottimi musicisti che vengono troppo spesso dimenticati. Più tardi vi si
affiancò anche il tastierista/cantante Craig Frost, il quale portò nel gruppo
una vena di hard rock.
La band è famosa più che altro per le
spettacolari performance live, al punto tale che la critica assegna loro il
titolo di “loudest band in the world”, ovvero la band più rumorosa del mondo.
“We’re An American Band” è un disco
dal facile ascolto, diretto ed immediato, che parla di feste, donne, alcool e
della vita “on the road”, aprendo proprio con la title-track, una fantastica
autocelebrazione di una band spaccaculo, il cui ritmo ha il potere di
coinvolgerci fin dalle prime note. Il pezzo, scritto e cantato dal batterista,
diventa subito uno dei capisaldi della band, immancabile nella scaletta dei
concerti successivi. Il ritmo trascinante non è da meno in “Stop Lookin’Back”,
i cui fraseggi di chitarra e basso si intrecciano in un alternarsi di linee
melodiche, colorate dagli accenti di organo e dei piatti, con tanto di piccolo
solo finale di batteria, una perla incastonata fra l’oro della canzone.
Dopo il discutibile episodio di
“Creepin”, si arriva alla strepitosa “Black Licorice”, uno dei pezzi più
travolgenti del disco, che si fa ascoltare ai massimi livelli, in cui Frost
dona dei vocalizzi degni di Ian Gillan dei tempi d’oro, e un assolo di tastiera
che non ha niente da invidiare a John Lord in suono e abilità; alla fine del
pezzo, paragonabile ad un’esplosione collettiva, la band ci lascia di nuovo
respirare, con un pezzo lento ma intenso, “The Railroad”, dove si riconosce
finalmente la voce del grande Mark Farner, col suo accento americano e la sua
calda timbrica, suggellata dalla parte corale. Per ogni amante del basso
elettrico, suonato in modo ritmico e sincopato, “Ain’ t Got Nobody” è una vera
chicca, una di quelle canzoni che ascolterei all’infinito, senza stufarmi mai…
“Walk Like A Man” è un bel pezzo, superata solo da “Loneliest Rider”, il brano
più emozionante del disco. Mark Farner, la cui nonna era indiana, scrisse
questa canzone come dedica all’etnia che da sempre fu vittima di persecuzioni
da parte dei coloni bianchi.
Tra le bonus track, le canzoni
“Hooray” e “The End” (in cui è percepibile un’influenza Deep-Purpleliana) sono
di ottimo livello, avrebbero dovuto essere parte del disco originale. La All
American Band per eccellenza sfornò questo disco nel 1973, e rimane tutt’oggi
uno dei più belli dell’intera discografia, purtroppo poco conosciuto.
IL PORTO DI VENERE – “E pensa che mi
meraviglio ancora”
Ma.ra.cash records -
2021 ITA
Di Valentino Butti
Con molta curiosità è stata accolta
nell’ambiente degli appassionati la nuova (ma non la prima…) collaborazione tra
Cristiano Roversi (Moongarden, Submarine Silence…) e Maurizio Di
Tollo (ex Höstsonaten, ex La Maschera di Cera e da qualche
anno “battitore libero” con due ottimi album solisti) nel progetto “Il Porto di Venere”.
I due,
autori di tutti i testi e delle musiche, sono accompagnati in questa avventura
da Erik Montanari alle chitarre, da Elisa Molinari al basso, da Marco
Remondini al violoncello e sassofoni e da Stefano Zeni al violino.
Tra gli
ospiti anche Faso al basso, Tiziano Bianchi al flicorno, Massimo
Menotti alla chitarra acustica e… Demetrio Roversi (voci e “Suoni
della strada).
Malgrado
sia un lavoro di gruppo, l’impronta che ha ispirato i due lavori solisti di Di
Tollo appare evidente. Testi “importanti”, di grande sensibilità, talvolta duri,
disillusi, altre volte pieni di speranza, seppur con un velo di malinconia che
sembra quasi aleggiare su ogni singolo verso.
L’impianto
strumentale risulta ben strutturato, talvolta discreto al servizio della voce, ma,
all’occorrenza, anche più deciso, sempre raffinato, e mai vuoto contenitore di
estetismi fini a sé stessi. Il tutto grazie, anche, al valore aggiunto offerto
da strumenti “colti” come il violino, il sax, il violoncello, il flicorno, che
personalizzano al meglio molti dei sei brani di “E
pensa che mi meraviglio ancora". Ma, “Il Porto di Venere” è
soprattutto una rock band e lo scopriamo subito nel brano iniziale, “Formidabile,”
nel quale la sezione ritmica non si fa certo pregare per intensità, le tastiere
di Roversi non sono da meno, tra hammond e piano, e l’elettrica di Montanari si
“guadagna” un ampio spazio. Emozionante la sezione acustica scandita da
violino, arpeggi di chitarra, flicorno e violoncello. Pirotecnico il finale con
un crescendo ritmico notevole a cui si va ad aggiungere pure il sax di Remondini.
“Stop
al televoto” è una denuncia verso la pochezza della società odierna,
del suo nutrirsi e vivere di falsi miti e di idoli di plastica. Musicalmente
meno avventurosa della precedente, fin troppo “moderna” in certe sonorità e
ritmiche ma dal testo che invita a più di una riflessione.
Molto toccante
“Dahlia” (liberamente ispirata alla storia dell’assassinio,
rimasto impunito, di Elisabeth Short), non solo per le liriche, ma per l’esile
e morbida musica in cui prevalgono gli archi, le chitarre acustiche su cui si
posano, delicati, gli altri strumenti. Un pezzo davvero ricco di pathos e che
colpisce nell’anima.
A
seguire è posto il brano più lungo della raccolta, “Miserere sovietico
(Dalnik- ottobre 1941”), oltre dodici minuti che ricordano l’eccidio di
migliaia di Ebrei nei pressi di Odessa nel corso della II guerra mondiale. Qui
la band ed il duo Roversi/Di Tollo si ricordano che provengono (anche) dal prog
sinfonico e danno vita ad una mini-suite dalle sfaccettature plurime. Ogni
singolo intervento, dal lungo “solo” di Montanari a quello del moog di Roversi
o del violino di Zeni è perfettamente funzionale al brano. Volendo, potrebbero
riproporne gli schemi con facilità e con uguale risultato ma, legittimamente, vogliono
esplorare anche altro in un contesto sempre improntato alla musica “intelligente”.
La title
track, di cui è in circolazione un video su You Tube, mi ricorda la poetica del
duo Nocenzi/Di Giacomo di “E mi viene da pensare” … raffinata, elegante…
L’album
si chiude con “…e ancora…”, l’unico brano interamente strumentale
presente. Otto minuti magnetici dominati dal sax e dal flicorno ed un costante
crescendo in cui incalza la chitarra di Montanari con chiusura in dissolvenza
ancora del sax. Ottimo pezzo che forse avremmo collocato a metà lavoro non alla
fine.
“E
pensa che mi meraviglio ancora” mantiene e, anzi, amplifica, le aspettative
che il progetto prometteva. La qualità testuale e strumentale è davvero molto
elevata, senza effetti speciali, ma ricca ed attenta ad ogni particolare, ad
ogni sfumatura. Se proprio vogliamo trovare un appunto da sottolineare (linea a
matita… sottile…) è che avremmo gradito qualche digressione strumentale più
spericolata in qualche frangente, ma si tratta, appunto, di dettagli. Non mi
spingo a consigliarne vivamente l’acquisto… con un poco di presunzione, lo imporrei
proprio! Eccellente e appassionante e un plauso ai testi che “costringono” all’ascolto…
cosa non così scontata nel progressive italiano.
Settembre del 1969 i CREEDENCE
CLEARWATER REVIVAL raggiungono la vetta della classifica UK con il singolo
"Bad Moon Rising"
Nel settembre del 1969 i Creedence Clearwater Revival, dopo aver
partecipato all’Ed Sullivan Show e dopo aver scalato le classifiche con “Proud
Mary”, arrivano alla testa della classifica in UK con il singolo “Bad Moon Rising” confermando il loro momento
d’oro.
Di tutto un Pop…
Wazza
Bad Moon Rising
John Fogerty era entusiasta della sua
ES-175, con cui registrò Proud Mary, ma quando stavano per iniziare a
registrare il loro nuovo album, gli rubarono la chitarra. Invece di comprarne
un’altra, Fogerty decise che fosse arrivato il momento di acquistare una Les
Paul. Così andò al negozio più vicino e comprò una Custom nera. Il primo pezzo
che avrebbe registrato con quella chitarra sarebbe stato Bad Moon Rising,
un'altra delle tante canzoni irresistibili della sua carriera, numero uno nelle
classifiche britanniche e numero due negli Stati Uniti. Il suo lavoro sulla
chitarra ricorda le canzoni di Elvis ai tempi della Sun mentre il resto della
band lo segue con un groove perfetto.
THIS
DAY IN 1969 - Proud Mary climbs to number one on the Inter-Collegiate 50 Chart
In colpevole ritardo mi trovo a scrivere di “Cosmically Nothing”, dei molisani Mindance.
La band di Campobasso ci porta attraverso un viaggio psichedelico e
progressivo come raramente ascoltiamo in Italia.
Dalla frequentazione di una vera e propria “comunità musicale”
frequentata da molti personaggi con la voglia di sperimentare e suonare lunghe
ed improvvisate fughe strumentali fuori dall’ordinario, nascono i Mindance.
La loro avventura ha inizio nel 2012 e dopo vari cambi di formazione nel
2015 si assestano con Tonino Marchitelli alla voce e tastiere, Gianluca
Vergalito alla chitarra, Peppe Aloisi al basso, alla voce, al synth
e Massimo Cosimi alla batteria.
Ascoltando il disco, le radici ci riportano a gruppi come gli Hawkwind e i Pink Floyd del
primo periodo, ma vorrei precisare che loro non copiano ma, partendo dai loro
riferimenti, propongono una musica attuale consapevole dei nostri giorni.
Allora è giunto il momento di
partire, schiacciate il tasto “play” del vostro lettore, mettetevi comodi sul
vostro divano e chiudete gli occhi... il viaggio sta per iniziare.
“Minkiadance”,
elettrica ed incalzante, con le chitarre protagoniste, ci mostra il lato più
elettrico e heavy della band.
L’elettronica prende il sopravvento
nella seguente “Prologue One” introdotta da una voce recitante.
Il vero e proprio viaggio psichedelico
inizia con “Falls In Love”, sette minuti abbondanti di grande
pathos con i Pink Floyd come ispirazione e la band che suona veramente in modo
splendido.
“I Don’t Belive”, più
ritmata, prosegue il viaggio con un suono più progressivo per i suoi cambi di
tempo.
“Echi Megl’E Me”, unico
brano non cantato in inglese ma in dialetto, è una ballata molto bella e
rimanda alla grande musica dei ‘70... grande pezzo.
Si prosegue con la lisergica “Don’t
Break Me” che ricorda certe composizioni di Neo Prog.
Segue “Prologue Two”,
altro breve intermezzo recitato su un tappeto di tastiere.
“Don’t Break Me”
accelera col suo riff di chitarra sfiorando certo punk degli anni ‘80 per
rendere il menù più vario ma sempre di qualità.
Si torna al prog, anzi al neo prog
degli anni ’80, con la bella “Sery”, dal ritmo lento, adatto a
proseguire il viaggio che vorremmo non finisse mai.
Ancora il breve “Prologue Three”
per poi finire in bellezza con la lunga (dodici minuti) “Cosmically
Nothing” che dà il titolo all’album. Qui troviamo tutto quello che ci
aspettiamo da un brano psichedelico e space.
Inizio col solito recitato su un
mantra di tastiere elettroniche, poi la ritmica parte con un mood lisergico,
ripetitivo, con effetti che ci guidano verso il cosmo per poi esplodere con la
chitarra che sale in cattedra. Questo brano, per chi scrive, vale il prezzo del
biglietto.
Ottimo il libretto, che contiene
tutte le informazioni necessarie e i testi e molto bella la grafica.
Un disco di gran spessore con ottime
composizioni, un suono veramente di livello, molto vario, con parti cantate
veramente molto convincenti.
Ora siete arrivati alla fine del
viaggio ma, son sicuro, che vi alzerete dal vostro divano e andrete a
schiacciare ancora il tasto “play” del vostro lettore perché la voglia di
ri-partire sarà più forte di voi e che, in questo modo, lascerete perdere,
almeno per un po’, tutte le cose negative che questo periodo ci costringe a
vivere.
Fine settembre 1980, i Led
Zeppelin sono riuniti nella villa di Jimmy Page per le prove in vista di un
eventuale ritorno sulle scene. John Bonhamarriva già "brillo" e continua a bere,
sembra "40 bicchieri di vodka"; viste le sue condizioni viene portato
in una stanza dove viene lasciato dormire. La mattina dopo, 25 settembre 1980,
John Paul Jones e il manager lo trovano morto, soffocato dal suo stesso vomito!
Se ne andava così a 32 anni il grande
batterista dei Led Zeppelin, innovatore della batteria, caposcuola per l'hard
rock, heavy metal, rock blues.
Con i Led Zeppelin ha macinato tour,
dischi d'oro, riconoscimenti; nel 2011 i lettori di Rolling Stone Magazine lo
dichiarano "miglior batterista di tutti i tempi"
Ma a causa di una vita fatta di
eccessi, droghe alcol e sesso sfrenato (!!!), la sua carriera è andata
rapidamente in declino. Rimarrà sempre il "Bonzo" che ancora oggi ci
scuote, e non riusciamo a trattenerci, quando ascoltiamo, "Black Dog"
"Moby Dick" "Immigrant Song".
Il Pensiero
di alcuni "colleghi"...
«La batteria non c'entrava. John
si sedette dietro un kit in miniatura: una cassa da 18", un rullante alto
4", un tom da 12" e uno da 14"... ed era quel suono! Rimasi
annichilito da quello che stavo sentendo, e da come lo stava suonando: da quel
minuscolo kit stava uscendo il sound dei Led Zeppelin!»
Dave Mattacks, Fairport Convention
Memories: Ringo Starr e John Bonham, cose da batteristi
«Avevamo ottenuto un backstage pass per le due serate del
festival di Knebworth [1979, NdA]. Bonham arrivò insieme a suo figlio e si
sedette alla batteria per controllare l'accordatura. L'impianto di
amplificazione non era ancora acceso, e lui fece qualche acciaccatura: il palco
iniziò a tremare, io e John Deacon ci guardammo negli occhi, e ci abbracciammo».
(Roger Taylor - Queen)
Alcune sue
"bravate"…
Una volta John Bonham invitò Glenn
Hughes a fare un viaggio sulla sua nuova e lussuosa macchina. Il batterista
andò a sbattere dritto contro un muro e abbandonò la macchina. Il giorno dopo
Hughes lo incontrò su una nuova lussuosa macchina e gli chiese che cosa avesse
fatto con la vecchia macchina. Bonham rispose: "Quale macchina?".
Nel 1976 si recò ubriaco nel backstage del "Nassau
Coliseum" di Long Island durante un concerto dei Deep Purple. Quando notò
un microfono libero salì sul palco prima che i roadies potessero fermarlo; il
gruppo smise di suonare mentre Bonham urlava al microfono: "Sono John
Bonham dei Led Zeppelin e voglio semplicemente annunciarvi che abbiamo un nuovo
album in uscita: si chiama “Presence” e, cazzo, è fantastico!".
Prima di andarsene si voltò verso il chitarrista dei Deep
Purple e lo insultò dicendo: "E per quanto riguarda Tommy Bolin, non sa
suonare una merda!".
Band of joy 1968 , con John Paul Jones e Robert Plant
Il 24 settembre 1974 si concludeva la
seconda edizione del
“Villa Pamphili Festival”
Si concludeva il 24 settembre 1974
la seconda edizione del "Villa Pamphili
Festival", all'epoca giudicata sottotono rispetto alla prima
edizione, sia per numero di presenze che per la qualità dei gruppi presenti (si
parla di 12.000 presenze contro le 20.000 della precedente edizione).
Si parte il 20 settembre con un
diluvio che mette a dura prova gli organizzatori, che presentavano un impianto
da 10.000 watt ma, a parte un ritardo di 24 ore, il festival prende il via.
Nella prima serata tra gli
altri se esibirono: Ciampini & Jackson, Biglietto per L'Inferno, Dodi
Moscati, Angelo Branduardi, Banco Del Mutuo Soccorso; il giorno dopo: Amazing
Blondel, Richrd Benson, La Spirale, La Preghiera di Sasso, Juri Camisasca,
Strada Aperta, I Crash (dei fratelli Falco), Il Volo....
Terza serata: ancora Amazing Blondel,
Sensation Fix, Crepuscolo, Murple, Kaleidon, Albero Motore, Samadi (ex RRR),
Mauro Pelosi.
...le due firme sono di Francesco Di
Giacomo e Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso... il biglietto è di
Tony Carnevale che lo conservò per trent'anni nel suo portafoglio e lo mostrò
poi a Francesco (ovviamente molto commosso) durante una mostra sull'evento...
L'ultima serata era previsto il
concerto di Stomu Yamashta, ma i costi elevati del percussionista giapponese
indussero gli organizzatori a "ripiegare" sui Soft Machine,
che iniziarono a suonare a mezzanotte, davanti ad un pubblico gelato e fradicio
di umidità! Prima di loro toccò ai Perigeo, Ibis, Assemblege, Ines Carbona,
Etna.
Stando alle recensioni dei giornali,
il Banco Del Mutuo Soccorso fu il gruppo che risollevò il festival, per
le presenze e per un concerto memorabile (posso testimoniare… ma io sono di
parte!).
Oltre ai grandi e alle nuove promesse
del rock, nel cartellone c'erano molti folk-singer: da notare che la siciliana Rosa
Balestreri fu sommersa dai fischi, tanto da non poter continuare la sua
esibizione, mentre il Duo di Piadena, con Bandiera Rossa e Bella Ciao
(paraculi!), ricevettero molti applausi.
Per il resto, pubblico ordinatissimo,
nessun incidente, e per quattro giorni capelloni, seguaci di Hare Krishna,
militari in libera uscita e studenti, condivisero questa "Woodstock"
dè noantri.
Si dice che molte persone non vennero
perchè in quei giorni in tv c’erano sia il tentativo di record di immersione di
Enzo Majorca che il derby Roma-Lazio!
C'era anche la troupe Rai di
"Sapere" che riprendeva... chissà che fine hanno fatto quei filmati…
sarebbe bello rivederli, visto che la memoria, ha poca ram...
Il 22 settembre 1971 iniziava
il “Pop Rock Meeting” di Novate, piccola
cittadina in provincia di Milano, organizzato da Pino Tuccimei, Francesco
Sanavio e Franco Mamone.
Oltre ad esibirsi nomi già affermati
- come gli inglesi Colosseum, i canadesi Ocean, i “quasi famosi” New
Trolls, i Delirium, Mia Martini, gli Osanna, Le
Orme, la Premiata Forneria Marconi -, vennero invitati anche gli
“emergenti” Banco del Mutuo Soccorso, il Balletto di Bronzo, Nuova
Idea, Il Punto, Trip, Quelle strane Cose Che, Gleemen…
una specie di “talent show”, che si tenne al Palasport di Novate, e finì
il 24 settembre.
La leggenda racconta che John Hiseman
talentuoso batterista dei Colosseum, si “innamorò” artisticamente di Franco
Mussida, giovane chitarrista della PFM, chiedendo a Mamome “how mach”; per
fortuna non se ne fece nulla, anche perché i Colosseum, dopo due mesi si
sciolsero, mentre la PFM inizio la carriera che tutti conosciamo.
Sembra che il termine “progressive
rock” fu coniato per la prima volta durante questi tre giorni di festival.
Un altro gruppo a cui Novate portò
fortuna fu il Banco del Mutuo Soccorso. Anche se il viaggio per i “ragazzi” fu
un incubo - strumenti e musicisti stipati dentro un pulmino che, se non erro, si
ruppe per ben due volte durante il viaggio - fu l’unico gruppo a suonare per
tutte e tre le serate, anche se ad orari assurdi, nel primo pomeriggio o a
notte fonda.
Nella serata finale, tra il pubblico
c’era anche Sandro Colombini della Ricordi. Franco Mamone visto il “talento”
dei ragazzi, organizzò una serata al “Carta Vetrata” di Bollate, invitando
Colombini ed altri discografici della Ricordi, da lì agli studi di via dei
Cinquecento a Milano per un provino: fu quella la pista di lancio per il Banco
del Mutuo Soccorso!
Di tutto un Pop…
Wazza
PREMIATA FORNERIA MARCONI 1971
Novate Milanese near Milano Italy Colosseum tour 23/9/1971
Alla
domanda... Come sta il Rock in Italia? Dopo aver ascoltato l’ultimo
lavoro di Alex Savellila risposta non può che essere… Il rock in Italia
sta benissimo!
Polistrumentista
e compositore, già leader dei londinesi Pelican Milk, prog band di assoluto
valore, prosegue il suo percorso di collaborazioni. Lo avevamo lasciato con
l’ottimo “Doing Nothing” in coppia con i Nostress di un anno fa che
seguiva un altro gran disco che era “Gettare Le Basi” del 2019, in
coppia con il notevole batterista Massimo Manzi.
Eccoci
a commentare “Italian Kidd”,nuovo capitolo discografico di Alex che collabora
ancora con un altro grande della batteria che risponde al nome di Ivano Zanotti (attualmente batterista e direttore
musicale di Loredana Bertè e batterista dal vivo di Ligabue, Zanotti vanta
collaborazioni internazionali con giganti quali Brian Auger e Manolo Badrena e
nazionali, sia live che in studio, con Vasco Rossi, Anna Oxa, Alan Sorrenti,
Edoardo Bennato etc.)
Ma
non è finita... a cantare le 15 tracce che compongono l’album sono stati
coinvolti ben 11 vocalist.
Il
disco, diciamolo subito a scanso di equivoci, è un susseguirsi di emozioni, tra
brani rock diretti e potenti, ballate e brani più elaborati dove fa capolino
anche una certa psichedelia che rende il menù particolarmente speziato.
Ma andiamo per ordine.
L’opener è affidata a “Loud
Mouth Went Crazy”, funky rock molto anni ‘80 con un giro di basso
intrigante e la bella voce di Luca Fattori.
“Not Alone” è un
piacevole e tenue brano pop venato di folk e cantato, questa volta, dal bravo
Luciano Luisi.
Le chitarre tornano a ruggire nella
trascinante “Dogman” cantata da Massimo Danieli col giusto piglio
rock... gran pezzo con Savelli molto ispirato alla chitarra.
Si prosegue con la suggestiva “Dead
End”, cantata dalla voce molto evocativa di Jeanine Heirani, supportata
da un altrettanto evocativo coro.
Si torna alle atmosfere hard rock con
la trascinante “Take Me Back”, cantata egregiamente da Michele
Menichetti e con basso e batteria sugli scudi... poi la chitarra solista di
Savelli mette la ciliegina sulla torta.
“Rosita” è veramente
una bella ballata soave dove spicca la più che convincente voce di Teresa
Iannello.
Si torna al rock deciso con “Spears”,
aperta da un gran bel riff di chitarra poi sostenuta dalla decisa e compatta
sezione ritmica e dal gran lavoro di Zanotti alle pelli... Lorenzo Giovagnoli
ci fa capire di che pasta è la sua voce.
Con “The Shepherd” si
rallentano ancora i toni per un bel brano che vede l’intensa prova vocale di
Valentina Gerometta, sorretta da un sound tenue e arricchito anche da un uso
controllato dei synth: oltre nove minuti di pura magia dove aleggia anche una
tenue psichedelia... grande brano!
“NSD – Natural Space Drift”
è un gran esempio di dark rock dove tastiere e coro creano un alone cupo, ma il
groove non manca, basso e batteria lavorano alla grande... ottima prestazione
vocale da parte di Michele Menichetti.
Ancora ritmica e riff di chitarra
sugli scudi in “The Bat From Wuhan“, con la voce abrasiva e
graffiante di Luca Fattori assoluta protagonista... un rock che non lascia
superstiti.
Alex Savelli si occupa anche della
parte vocale di “Uspoken”, brano dal suono più pacato con un bel
solo di synth e di chitarra.
Ritornano ritmo e riff hard rock
nella successiva “Don’t Get a Word”, cantata da Francesco Grandi
e Omar Macchione.
Il brano che per phathos e sound che
più ha colpito chi scrive è la bellissima e quasi bluesata “The Stranger”,
cantata da Frederick Livi, ballata che ci trasporta in territori psichedelici
con una chitarra solista stratosferica.
Territori psichedelici anche per “UFG
– Unidentified Flying Girl”, penultima traccia di questo lavoro
notevole. La voce è affidata a Valentina Gerometta che coi suoi vocalizzi ci fa
viaggiare in territori inesplorati. Tastiere, un basso rotondo, le chitarre e
tutta la seziona ritmica, fanno un lavoro incredibile.
“Non siamo soli”,
versione italiana di “Not Alone”, chiude, col suo inno alla speranza e
alla unione, un grande disco di rock che, nel nostro paese non è scontato
ascoltare.
Come sempre Radici Music
confeziona in modo superbo il cd con libretto in carta di alta qualità.
Non servono tante parole ma un cd,
uno stereo e un’ora abbondante del vostro tempo.
Lasciatevi trasportare dai suoni che
propongono Savelli e Zanotti e, vi assicuro, che una volta arrivati all’ultima
traccia sarà impossibile per voi non schiacciare il famoso tastino “play” per
riascoltarlo.
BIOGRAFIA
ALEX SAVELLI-Polistrumentista e produttore di esperienza trentennale,
fondatore a Londra del 1999, tra le altre, della band Pelican Milk, Alex
Savelli nel corso degli anni ha collaborato con Eddie Kramer, Francesco
Guccini, Simon Painter, Paul Chain, David Eserin, Alex Elena, Ares Tavolazzi,
Davey Rimmer, Pippo Guarnera, Andrea Giomaro, Antonio Stragapede, Gianpiero
Solari e tantissimi altri. Dopo Gettare le basi (2019) con Massimo Manzi e
Doing Nothing (2020) con i NoStress, riprende la partnership con Ivano Zanotti
in Italian Kidd.
IVANO ZANOTTI-Batterista, arrangiatore e produttore a richiesta. Si destreggia
in tutte e tre le pratiche con accortezza e passione totale per la musica.
Vanta collaborazioni internazionali con giganti quali Brian Auger e Manolo
Badrena e nazionali, sia live che in studio, con Vasco Rossi, Luciano Ligabue,
Loredana Bertè, Anna Oxa, Alan Sorrenti, Edoardo Bennato etc. Attualmente è
batterista e direttore musicale della Bertè e live è batterista di Ligabue.
Dopo aver suonato in uno degli undici brani di Gettare le basi (Savelli/Manzi),
si dedica a un disco tutto con Savelli dal titolo Italian Kidd.