La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
sabato 30 aprile 2022
Ricordando Maurizio Arcieri...
Ci ha lasciato Gianfranco Coletta
Se n’è andato anche Gianfranco Coletta, chitarrista noto per aver suonato negli
Alunni del Sole, nella Reale Accademia di Musica e per aver "provato" per il Banco (una specie di Tony
Iommi con i Jethro Tull).
Suonava insieme a Vittorio Nocenzi nella band che accompagnava Gabriella Ferri ... Vittorio lo chiamò per un provino con il Banco ma poi prese "in blocco" i Crash, con il fratello Gianni e i fratelli Claudio e Fabrizio Falco.
Nell’annuncio ufficiale degli Alunni del Sole
si legge: “Comunichiamo con immenso dolore che Gianfranco Coletta ci ha
lasciati. Ricordiamo la sua straordinaria professionalità e maestria nel ruolo
di bassista e chitarrista de Gli Alunni del Sole, nel cui gruppo è stato sempre
nel cuore di tutti, anche per la sua personalità partecipe, affettuosa e
discreta. La nostra preghiera per lui si unisce alle condoglianze a sua moglie
Nataliya Potapova ed alla famiglia tutta”.
Antonio Cocco ricorda Maurizio Arcieri
venerdì 29 aprile 2022
Lutto nel mondo della musica: ci ha lasciato il giornalista Michele Manzotti
Ci ha lasciati improvvisamente Michele Manzotti, 62 anni, vicecaporedattore della
Nazione all'Ufficio centrale-Province e grande esperto di musica. Tragica
ironia del destino: proprio nel prossimo mese di giugno sarebbe andato in Svezia
come unico giudice italiano all’European Blues Awards, grande motivo di
orgoglio, una bella soddisfazione per chi aveva fatto della musica – e del
blues in particolare, appunto – la sua grande passione.
Ma chi era Michele?
Nato a Firenze nel 1960, è stato
musicologo e giornalista. Dopo essersi laureato in Lettere nel 1986, ha
collaborato con varie riviste e ha insegnato storia della musica al Liceo
musicale di Arezzo. Assunto al «Resto del Carlino» nel 1990, dal 1995 al 2021
ha lavorato a «La Nazione», dove è diventato vicecaporedattore all’ufficio
centrale.
Nel 2002 in «Civiltà Musicale» è
stato pubblicato il suo catalogo delle musiche non operistiche di Arrigo Boito.
Dello stesso anno è l’uscita del libro Attilio Brugnoli-Il pianoforte e la sua
mano (Polistampa, Firenze) con cd allegato contenente la prima incisione
assoluta delle musiche di Brugnoli, compositore di cui ha poi raccolto l’opera
omnia per l’Enap stampata da Laterza nel 2006. Ha curato inoltre trasmissioni
per l’emittente Rete Toscana Classica. Ha scritto anche i libri “My name is
Pasquale”, dedicato a Nicola Arigliano (con Ernesto de Pascale, Stampa
Alternativa 2003) e Jethro Tull (Editori riuniti 2003).
Dal 2011 ha diretto il sito Il popolo
del Blues (www.ilpopolodelblues.com)
ed è stato uno dei conduttori dell’omonimo programma radio su Controradio
Firenze.
È stato anche presidente dell’Agimp
(Associazione giornalisti e critici musicali legati ai linguaggi popolari) e fa
parte dell’European Folk Network.
Dal 2009 delegato per la Toscana della Casagit (Cassa assistenza integrativa giornalisti) e dal 2020 consigliere dell’Ordine dei giornalisti della Toscana.
Oltre al giornalismo, la sua grande passione era la musica, ed era proprio grazie a quest'arte che Michele aveva regalato ai lettori autentiche perle, non soltanto con recensioni di brani e di album, ma soprattutto con interviste in cui emergevano sempre la sua competenza e la sua conoscenza anche storica degli eventi musicali e di cronaca, che sovente abbinava agli articoli per meglio inquadrare le persone di cui scriveva. Aveva conosciuto tutti i più grandi artisti del blues e del rock, da B.B.King a Ian Anderson (tanto per citare solo due grandi con i quali ricordiamo anche sue disinvolte conversazioni telefoniche dal giornale, in perfetto inglese), ma aveva pure scoperto giovani talenti italiani.
Appreso del malore fatale che lo ha
colpito a Roma, l'Ordine dei giornalisti e l'Associazione Stampa Toscana lo
hanno ricordato sottolineando "la grande ed esemplare
professionalità".
giovedì 28 aprile 2022
G.O.L.E.M: G.O.L.E.M (Gravitational objects of light, energy and mysticism)-Commento di Valentino Butti
G.O.L.E.M:
G.O.L.E.M (Gravitational objects of light, energy and mysticism)
Black Widow Records - 2022 - ITA
Di Valentino Butti
Un nuovo progetto si è affacciato
ultimamente nel panorama hard-prog italiano, quello dei G.O.L.E.M (cioè Gravitational object of light,
energy and mysticism). Una band dal sound rigorosamente vintage, con
strumentazione adeguata, due tastieristi e… senza chitarrista.
Autore di quasi tutti i brani è il “vulcanico”
Paolo “Apollo” Negri (ex Wicked Minds, che si occupa di hammond e synth
vari) coadiuvato dal bassista Marco Zammati. Completano l’organico Emil
Quattrini (piano elettrico, mellotron), Francesco Lupi (batteria) e Marco
Vincini (dei Mr. Punch, alla voce).
Nei quaranta cinque minuti (e sei
brani) che compongono l’album (uscito in CD, LP e formato digitale) emerge
prepotente l’amore per le sonorità seventies più hard ed oscure, di band
seminali quali Atomic Rooster, Quatermass, ma anche Uriah Heep, Black Sabbath e
Deep Purple. Un lavoro carico di energia, roccioso, dinamico e… mistico.
Le tematiche affrontate nei testi,
invece, sono quanto mai attuali, narrando di emigrazione, ecologia, ma anche di
passione ed amore. “Devil’s gold”, introdotta dallo hammond di Negri,
nasce dai profondi ’70, con una ritmica possente, un cantato ad hoc e le tastiere
a menare le danze. Il pianoforte smorza, brevemente, i toni, il moog si fa
sentire ed il cantato di Vincini si fa sofferto, poi lo hammond torna a ruggire
sino alla chiusura del pezzo.
Una lunga e lugubre introduzione
affidata a tastiere e basso, dà il “là” a “Five obsidian suns”, che si
caratterizza per l’atmosfera malinconica, soprattutto nella prima metà. Uno
sfolgorante “solo” di synth, bissato da quello di hammond, riporta energia al
brano. Anche il cantato diventa più aggressivo e graffiante, finché, sul
finale, vengono riprese le sonorità introduttive.
“The logan stone” è fortemente
debitrice degli Uriah Heep degli anni d’oro, mentre, prima di prendere le
coordinate hard-rock, è davvero notevole l’introduzione al pianoforte di “The
man from the emerland mine”. Le “svisate” di hammond non si contano e la ritmica
sempre granitica.
Meno debordante “Marbles eyes”,
con in evidenza il moog ed un’altra sofferta interpretazione di Vincini.
Chiude l’album la mini-suite “Gravitational
objects of light, energy and mysticism”: anche qui non mancano i “funambolismi”
di Negri e Quattrini, sostenuti da un basso ipnotico e batteria solida.
Insomma, lo avrete capito, l’esordio
dei G.O.L.E.M. è davvero ottimo: coinvolgente, energico, appassionato e
decisamente imperdibile per gli amanti di certe sonorità che hanno segnato più
di un’epoca.
G.O.L.E.M. sarà disponibile nei seguenti formati:
1. Compact disc with 20 pages booklet
2. Lp foldout cover with 20 pages booklet
3.
Lp foldout embossed cover Limited ed. 66 copies in colored vinyl + Poster + 28
pages booklet + 3 cards + sticker + mp3 download card
Tracklist (cliccare sul titolo per ascoltare)
01 - Devil's Gold (Negri/Zammati)
02 - Five Obsidian Suns (Negri/Zammati)
03 - The Logan Stone (Negri)
04 - The Man From The Emerald Mine (Negri)
05 - Marble Eyes (Negri)
06
- Gravitational Objects of Light, Energy and Mysticism (Negri)
Line up:
Paolo Apollo Negri - organ & synthesizers
Marco Vincini - vocals
Emil Quattrini - electric pianos & Mellotron
Marco Zammati - bass
Francesco Lupi - drums
Il compleanno di Eddie Jobson
Compie gli anni oggi, 28 aprile,
Eddie Jobson, tastierista, violinista.
Forse si fa prima a scrivere con chi
"non" ha suonato... enfant prodige, entra ancora minorenne nei Curved
Air; nel 1973 sostituisce Brian Eno nei Roxy Music e inizia una carriera straordinaria,
sino a che, nel 1976, approda alla corte di Frank Zappa.
Fonda il supergruppo degli UK, con
Allan Holdsworth, Bill Bruford e John Wetton.
Durante il tour americano del 1979, come "spalla" dei Jethro Tull, si "invaghisce" (musicalmente) di Ian Anderson ed entra nel suo riformato gruppo dopo il "sisma" di “Bursting Out!” Dave Pegg, ama raccontare questo aneddoto: "Eddie sul palco era circondato da tastiere, che suonava contemporaneamente con le due mani, da entrambi i lati; alla fine del soundcheck gli allontanavo le tastiere di quel tanto che Eddie non ci potesse arrivare..." forse è per questo che se n’è andato subito?
Dalla metà degli anni '80 si dedica
alla carriera solista, sperimentazione e colonne sonore; forma poi gli UKZ.
È stato special guest con gli Yes, King Crimson, Deep Purple, Fairport Convention, Brian Ferry, Bill Bruford, Phil Collins, Amazing Blondel… vado avanti?
Nel 2012, insieme a John Wetton, e
Terry Bozzio, ha riformato gli "UK", ottenendo sold out in tutti i
concerti. Insomma, un fenomeno.
Nell’aprile 2017, insieme a Marc
Bonilla, ha portato in tour un tributo a John Wetton e Keith Emerson chiamato
“Fallen Angels Tour”.
Nel 2019 viene inserito nella Rockand Roll Hall of Fame come membro dei Roxy Music.
Happy Birthday Eddie!
Wazza
mercoledì 27 aprile 2022
Ci ha lasciato Klaus Schulze
Ci ha lasciato Klaus Schulze, il pioniere della kosmische musik tedesca, morto all'età di 74 anni.
A dare l'annuncio è stato il figlio con
una nota sintetica: "Con profondo dolore dobbiamo informarvi che Klaus
è venuto a mancare ieri, 26 aprile 2022, all'età di 74 anni dopo una lunga
malattia, ma tuttavia improvvisamente e inaspettatamente. Non solo lascia una
grande eredità musicale, ma anche una moglie, due figli e quattro nipoti. A
nome suo e della famiglia, vogliamo ringraziarvi per la vostra lealtà e il
vostro sostegno nel corso degli anni: ha significato molto! La sua musica
continuerà a vivere e anche i nostri ricordi".
Nato a Berlino, il 4 agosto 1947,
Schulze è stato per breve tempo membro dei Tangerine Dream e dei gruppi Ash Ra
Tempel e The Cosmic Jokers.
La sua spettacolare carriera da solista
- inaugurata dal monumentale "Irrlicht" del 1972 - lo ha visto
pubblicare più di 50 album in cinque decenni, esplorando l'elettronica in tutte
le sue sfumature, dall'ambient alla techno, e realizzando anche le colonne
sonore di numerosi film.
Considerato uno dei pionieri e dei rappresentanti dello stile
krautrock, Schulze è riconosciuto per essere stato un anticipatore di molti
generi e stili della musica elettronica. Il suo stile fatto di "ritmi
ipnotici e vortici tessiturali informi.
«Schulze cesellò... un'estetica che eredita dai raga il senso del tempo, dal jazz la spontaneità e dai sinfonisti tardo-romantici un vizio di grandeur... Con lui l'organo da cattedrale, i ritmi sintetici, i timbri del synth, la suite di mezz'ora e più, diventano non più esperimenti d'avanguardia, ma stereotipi di consumo.»
(Piero Scaruffi)
Anche il grande fotografo Roberto Masotti ci ha lasciato….
Anche il grande fotografo Roberto Masotti ci ha lasciato….
Rip!
Wazza
Ravenna, 25 aprile 2022 - Si è spento Roberto Masotti, aveva 75 anni, piegato da una malattia che lo aveva colpito un anno e mezzo fa. E Ravenna perde il fotografo della musica, un artista di livello internazionale. Aveva immortalato tutti i più grandi, da Demetrio Stratos, a Jan Garbarek, poi James Brown, Lou Reed, Miles Davis, Riccardo Muti, Vladimir Horowitz, Leonard Bernstein... ma l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Assieme alla moglie Silvia Lelli creò la sigla Lelli e Masotti, un marchio di qualità, come il loro lavoro, che li portò anche alla Scala di Milano.
Il jazz era il suo grande amore, nei
festival non mancava mai. Celebri le sue foto del grande pianista americano
Keith Jarrett, cui aveva dedicato da poco un nuovo libro, mentre un altro su
Franco Battiato è in pubblicazione proprio in questi giorni. Masotti aveva
studiato a Firenze, per poi trasferirsi a Milano, nel 1974, ma non aveva
dimenticato Ravenna. Nel 2017 al Mar era stata allestita una mostra del suo
lavoro svolto negli anni assieme a Silvia. Foto vibranti, perché Roberto
riusciva a catturare l’attimo della grande passione per la musica. In uno
scatto si vedeva un giovanissimo Jan Garbarek intento a suonare il sax e lo
scatto di Masotti esaltava il sorriso di un felice Keith Jarrett al piano, in
estasi per il sound perfetto che stava nascendo da quell’incontro di giganti.
In un’altra foto coglieva l’attimo in cui Leonard Bernstein, durante una prova
a Milano, chiudeva gli occhi, mentre portava una mano sul petto, come per far
entrare la musica nel suo cuore. Mancherà a tutti Roberto, un grande fotografo,
un artista.
martedì 26 aprile 2022
COMPASSIONIZER – “AN AMBASSADOR IN BONDS”, di Andrea Pintelli
COMPASSIONIZER
– “AN AMBASSADOR IN BONDS”
Di Andrea Pintelli
Imbattersi, forse non troppo casualmente, in un’opera sofisticata
come “An Ambassador In Bonds” dei Compassionizer provoca gioia e felicità. Per tanti
motivi. Primo, sono dei musicisti veramente capaci; secondo, sanno trasmettere
i loro sentori e senza strafare; terzo, sono un gruppo transnazionale che
abbraccia ciò che ora è diviso, infatti provengono da Russia, Germania e
Ucraina.
L’ensemble
Compassionizer è un progetto nato nel 2020 durante il lockdown e prende il nome
da un album del 2007 di Roz Vitalis, con l’idea metafisica che sia fare musica
che ascoltarla dovrebbe contribuire allo sviluppo di qualità umane come
simpatica, empatia e compassione.
Il titolo dell’album (il loro secondo) è una metafora di una persona che svolge il proprio ministero e missione in qualsiasi area della creatività e si trova di fronte alla necessità di superare vari vincoli. Esso contiene diversi strumenti, tra cui non solo sintetizzatori e chitarre, ma anche clavicembalo, clarinetto basso, clarinetto, tromba, doira, rubab, ecc.; quindi Oriente e Occidente. Suono insolito, composizioni polifoniche, tempi dispari, melodie accattivanti, stati d’animo oscuri, atmosfera ipnotica, ossia un incrocio fra world music, avant-jazz, camera avant-Prog, psichedelica ed elettronica. Questo, in sintesi, quello che vi aspetta ascoltando il disco in questione. Ma c’è di più, andando in profondità.
CLICCARE SUL TITOLO PER ASCOLTARE
“FollowAfter Meekness” annuncia l’avvio delle danze con rintocchi di un piano
interrogativo, ma subito dopo si mette in pratica l’alchimia sonora dei nostri,
grazie a un coacervo di idee mescolate insieme sulla falsariga di un messaggio
di coesione sociale.
“Different Sides of Ascension” corre verso
l’azzurro, armonica e bilanciata come fosse un soffio di vento gentile. La
linea di clarino è solenne, ma lascia spazio alle percussioni ora minacciose,
ora soft.
“Caress of Compassion (Part 4)” pare una favola
raccontata da chi ci ama, un forte messaggio simbolico che potrebbe essere
portato al Cremlino d’oggigiorno. Non essendoci mai fine alla follia umana, chi
può medicarla se non la compassione e il Bene supremo?
“The Man That Sitteth Not in the Seat of the Scornful”
è dark e a tratti marziale, una traccia dove non c’è compromesso. Questa
visione fa parte della natura, ma va stemperata con l’impegno. Ma ora siamo
qui.
“An Ambassador in Bonds (Part 1 e 2)” sono il fulcro
dell’album, due sguardi contrapposti alla mercè della pietà caritatevole che
contraddistingue la maggior parte di noi. Forse. Il lavoro d’intersezione fra
gli strumenti crea un insieme pieno e benevolo, a tratti liquido, che vuole
raggiungere il cuore dell’ascoltatore. La seconda parte ha i fiati come
elemento predominante, espressione di una processione d’anime che si ritrovano
a parlare, proseguendo nel dialogo.
“I Am Sitting on the Pier” ossia metafora d’attesa e
speranza. Rappresentata magistralmente dalla dolcezza e dalla concretezza degli
strumentisti, vuole attirare a sè un migliaio di occhi per carpirne il
messaggio.
“Hard-Won Humility” è sentore di sorpresa che si
trasforma nel pezzo migliore del disco. Atmosfere simili portano in un mondo
onirico difficile da ritrovare altrore. Le percussioni sono magnetiche, ma è il
lavoro delle tastiere che provoca magia. Il wah wah della chitarra, dosato nei
giusti termini, aggiunge quel tocco che completa il quadro insieme al
clarinetto fatato.
“An Ambassador in Bonds (Part 3)” riprende da dove
era finita la seconda parte, ed è ancora una volta la celestiale impronta che i
Compassionizer vogliono imprimere al nostro sentore. Il loro intento, spiegato
all’inizio dell’articolo, riesce in pieno nell’impresa prefissata.
“Bear Ye One Another’s Burdens”, ultima
mastodontica traccia del disco, con i suoi oltre 13 minuti, mette in evidenza
tutti i pregi dei vari membri del gruppo, in un gioco intrepido che vuole
rimarcare le caratteristiche di ognuno, ma in maniera coesa e fantasiosa. Si
attraversano diverse stanze della natura umana, in un paradigma che fa sembrare
questo pezzo come un disco nel disco.
Per varietà, impressioni e volontà resta un meraviglioso esempio
di cosa rappresenti la Musica attuale e vera. Uno sforzo stilistico senza pari.
Un consiglio: fatelo vostro.
Tracklist:
01 Follow After Meekness 8:15
02 Different Sides of Ascension 3:54
03 Caress of Compassion (Part 4) 3:35
04 The Man That Sitteth Not in the Seat of the
Scornful 3:34
05 An Ambassador in Bonds (Part 1) 5:00
06 An Ambassador in Bonds (Part 2) 3:05
07 I Am Sitting on the Pier 3:12
08 Hard-Won Humility 7:17
09 An Ambassador in Bonds (Part 3) 4:10
10 Bear Ye One Another’s Burdens 13:20
Band:
Bayun The Cat – basso synth, tbilat, cowbell
Serghei
Liubcenco – chitarre acustiche ed elettriche, basso, rubab, doira, batteria e
alter percussioni
Leonid
Perevalov – clarinetto basso, clarinetto
Ivan Rozmainsky – concezione del progetto, clavicembalo, Arturia MiniBrute, sintetizzatori, campaneAndRey Stefinoff – clarinetto
Oleg Prilutsky – tromba
Anatoly Nikulin – mixing e mastering
Vyacheslav Potapov (VP) – artwork
lunedì 25 aprile 2022
L’ultima notte di Pasolini (Paolo Cochi, Nino Marazzita, Francesco Bruno): commento di Fabio Rossi
Libro: L'ultima notte di Pasolini
Autori: Paolo Cochi, Nino Marazzita, Francesco
Bruno
Edizioni: Runa Editrice
Anno: 2022
Recensione a cura di Fabio Rossi
Lo scorso 15 aprile ho partecipato presso il ristorante romano Il
Biondo Tevere alla presentazione del libro L’ultima
notte di Pasolini.
La location non è stata scelta a caso atteso che il poeta scomodo fu visto vivo l’ultima volta proprio all’interno di quell’esercizio commerciale. Si trovava in compagnia del ragazzo di vita Giuseppe Pelosi, con il quale si diresse poi all’Idroscalo di Ostia dove, la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, fu barbaramente assassinato.
Oltre al saggista Paolo Cochi e all’Avvocato Nino Marazzita (degli autori era assente per motivi personali il criminologo Francesco Bruno), hanno presenziato all’evento la sociologa e criminologa Tonia Bardellino e il conduttore di Radio Cusano Campus Fabio Camillacci.
Si è trattato di un avvenimento appassionante che avrebbe meritato
una cornice di pubblico maggiore, ma ormai sono abituato a vedere deserte le
presentazioni di saggi perché in Italia la cultura è da troppo tempo snobbata
come la peste bubbonica. Gli assenti hanno sempre torto, ma mai come in questa circostanza.
Davvero un peccato, perché l’argomento trattato è uno di quelli che non
tramontano mai. Di rilievo soprattutto l’intervento accuratamente dettagliato dell’anziano
Avvocato Marazzita, all’epoca legale della famiglia Pasolini.
L’esposizione dei fatti ha certificato ancora una volta l’ipotesi che
i mandanti e gli autori (a parte il Pelosi) dell’orribile uccisione rimangono sconosciuti.
Giova ricordare che la sentenza di primo grado del Tribunale dei Minori di Roma
datata 25 aprile 1975, giudicò il Pelosi colpevole di omicidio volontario in
concorso con ignoti. Era sin troppo evidente che un delitto così efferato (il
corpo era irriconoscibile) perpetrato ai danni di un uomo atletico e robusto
come Pasolini non poteva mai e poi mai essere stato commesso da un’unica
persona, peraltro di corporatura mingherlina. Eppure, la Procura Generale
impugnò inopinatamente la sentenza, affermando il concetto che a commettere l’omicidio
fu il solo Pelosi, quasi si volesse evitare a tutti i costi l’individuazione
dei soggetti presenti sulla scena del crimine e, in particolare, dei possibili
mandanti.
Gli esami effettuati nel 2010 sui reperti conservati al museo
Criminologico di Roma appurarono, peraltro, la presenza di tre profili genetici
attribuiti ad altrettanti ignoti che con ogni probabilità parteciparono al
massacro di Pasolini. Uno dei tanti eventi delittuosi italiani, pensiamo alla
strage di Piazza Fontana a Milano o di Piazza della Loggia a Brescia, che
rimangono irrisolti e non soltanto perché le indagini non sono state eseguite
correttamente: a buon intenditor poche parole.
Come si evince dalla foto, abbiamo proceduto a uno scambio culturale con Cochi il quale, appassionato degli Emerson, Lake & Palmer, si è assicurato una copia del mio libro sul trio inglese.
L’ultima notte di Pasolini si apprezza per la ricostruzione
minuziosa di Paolo, i ricordi di Mazzarita e la parte più precipuamente
criminologica affidata a Bruno. Il saggio merita attenzione anche per la
presenza dei documenti ufficiali salienti relativi agli atti processuali e
d’indagine.