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mercoledì 31 marzo 2021

I Soft Machine (e Jimi Hendrix) nel marzo del 1967

Soft Machine on stage in 1967: Kevin Ayers / Robert Wyatt / Daevid Allen

Marzo 1967 iperattivo per i fantomatici Soft Machine: dopo essere stati scritturati insieme ai Pink Floyd per due mesi all’UFO Club di Londra, registrano il loro primo 45 giri “Loves Makes Sweet Music” e partono in tour negli USA come “supporto” della Jimi Hendrix Experience.

Tra le due band nasce una grande stima reciproca, al punto che Jimi Hendrix, spesso si unisce ai Soft Machine, suonando il basso!

Di tutto un Pop…

Wazza

24 marzo: Soft Machine

Jimi Hendrix, Soft Machine, 1967

Jimi Hendrix Experience  e Soft Machine partono per il tour americano


The Soft Machine, 1967

At the UFO club, London, March 3, 1967 with the original line-up: Mike Ratledge / Daevid Allen / Kevin Ayers / Robert Wyatt





domenica 28 marzo 2021

Raven Sad: “The leaf and the wing”, di Alberto Sgarlato


Raven Sad: “The leaf and the wing”

(Lizard records, 2021)

Di Alberto Sgarlato

Sicuramente questo quarto capitolo nella saga del “Corvo triste”, pubblicato il 3 febbraio di quest’anno, è stato uno degli album più attesi dai fruitori del rock progressivo italiano. Il “patron” dell’intero progetto, il chitarrista Samuele Santanna, con quel mix di saggezza e prudenza che lo contraddistingue, ha saputo sapientemente centellinare gli “indizi” sulla rinascita di questa formazione che tutti pensavamo avesse accantonato: dapprima con alcuni post criptici sulla possibile rinascita, poi con le foto che ufficializzavano il ritorno in sala prove della band e poi creando un’aspettativa sempre maggiore: i brevissimi clip in studio di registrazione piazzati sui social, la presentazione della copertina, i singoli pubblicati a distanza di tempo.

Ecco, il tempo: dieci anni esatti sono quelli intercorsi dal precedente “Layers of stratosphere” del 2011, uscito sempre per Lizard. Di quella formazione, accanto al “Re Corvo Triste” Samuele Santanna, che gestisce tutte le chitarre, ritroviamo solo il fidato tastierista Fabrizio Trinci. I nuovi acquisti sono Marco Geri al basso e Francesco Carnesecchi dietro il kit di pelli, fusti e piatti.

Ma il cambiamento più significativo della formazione sta nella decisione di Santanna di non accollarsi più l’impegno anche delle parti vocali. Nel precedente “Layers” la sua voce aveva raggiunto la piena maturità: era calda, profonda, cupa, avvolgente, a cavallo tra il Fish delle ultime prove soliste (certi brani dell’album 13th Star soprattutto) e il David Sylvian del periodo Rain Tree Crow.

Ora invece entra in scena (e ne abbiamo potuto apprezzare le qualità già nei singoli) Gabriele Marconcini (autore, tra l’altro, anche di diverse foto del booklet del disco, mentre il già citato tastierista Trinci ha curato anche le opere di editing grafico).

Se il timbro intimista di Santanna era perfetto per raccontare le vicende personali e a tratti anche dolorose del precedente disco, l’esuberanza più “flamboyante” di Marconcini è il tocco ideale per il nuovo corso della band. No, calma: adesso, detta così, magari chi legge potrebbe pensare a una svolta votata al power metal estremo o al punk rabbioso.

 

Si scherza, naturalmente: gli ingredienti che hanno fatto grande il sound Raven Sad nei dischi precedenti ci sono ancora tutti. Forte impatto melodico, bellezza delle atmosfere, infinita dolcezza e soprattutto una classe che stacca di diverse lunghezze tante formazioni contemporanee italiane e internazionali. Ma la musica si è evoluta rispetto alle prime due pubblicazioni, quando Santanna era praticamente un “one man band” con ospiti e sperimentava più tra i loop cosmici degli Ozric e dei Gong, l’alternative rock dei primissimi Porcupine Tree e una certa new age elettronica di talune produzioni di Mike Oldfield.

Ora la direzione intrapresa è quella di un rock progressivo sempre molto melodico e romantico, ma più corposo, maestoso, dalle orchestrazioni solenni e dal drumming mixato alto e potente a scandire i vari momenti delle lunghe tracce.

Dopo i due minuti scarsi di Legend #1, strumentale rumorista che di fatto rappresenta l’ultimo vero legame col passato ravensadiano, ci pensano i dieci minuti circa ciascuno dei due singoli divulgati con ampio anticipo, cioè “The sadness of the raven” e “City lights and desert dark” a mettere le cose in chiaro. Nel primo dei due l’omaggio di Santanna al più grande amore musicale della sua vita, i Pink Floyd, è palese, ma filtrato attraverso l’innovazione portata nei decenni successivi dalla “triade neoromantica britannica” Marillion-Pendragon-Iq, e soprattutto con la nota personale data dalla bella voce di Marconcini. Nel secondo di questi due singoli gli arpeggi si fanno più taglienti, i toni più oscuri e l’interpretazione della voce e della band, complici anche dei bei ritmi “spigolosi”, ci porta più verso il metal-prog di classe di nomi storici come Queensryche e Fates Warning.

Un tocco di metal, ma soprattutto tantissimo neo-prog: e così i 13 minuti di Colorbox, tra cambi di tempo repentini, arpeggi di piano, Hammond che ruggiscono sullo sfondo, ci sposta di colpo nei territori dei Flower Kings e dei Transatlantic. Ma naturalmente, come nei dischi precedenti, a svettare su tutti gli arrangiamenti è sempre il tocco chitarristico di Samuele Santanna: la “chitarra perfetta”, sia consentito dire. Il suono è limpido e definito in ogni nota, nei passaggi più veloci come in quelli più carichi di pathos, dal lungo sustain; la produzione della chitarra è sublime; gli arpeggi e i “ricami” sono sempre imprevedibili, mai banali, non c’è niente per riempire senza un senso ben preciso, ogni passaggio è piazzato dove non te lo aspetti, per movimentare, arricchire, impreziosire.

I circa 9 minuti di strumentale al centro del disco, Approaching the chaos, con la chitarra che ancora una volta svetta, con le melodie esotiche e arabeggianti e con gli arpeggi “cosmici” e carichi di echi, costituiscono un altro dei momenti in cui Santanna ci riporta al suo amore per il sound tra psych e prog di Ozric Tentacles, Mandragora, Magic Mushroom Band, Porcupine Tree, che caratterizzava i suoi esordi. Il tutto con un approccio più “cattivo” rispetto al passato (ok… vogliamo parlare addirittura di Haken? Ma perché no!).

La dolcezza melanconica del precedente Layers (seppur riletta, come ripetiamo fin dall’inizio, nella chiave di una produzione più “stunning”) la ritroviamo nei 12 minuti di Ride the tempest, forse la vetta del disco, con le sue ondate sciabordanti e prepotenti di Mellotron che reggono l’irruenza della chitarra e con una prova al pianoforte, in vari momenti della lunga traccia, a dir poco commovente.

Qui il lavoro fatto dagli arpeggi del piano che sembrano “volteggiare” attorno a quelli della chitarra, tocca apici sublimi ed è reso ancora più struggente da una prestazione vocale convinta, sentita, emotivamente devastante. Tutto ciò ci accompagna per mano verso un finale a colpi di doppia cassa epico e mozzafiato.

Di Absolution trial, altro singolo presentato prima dell’album nella sua totalità, avevamo già scritto: con la sua melodia ariosa e di impatto sarebbe la traccia ideale come gran finale dell’album. Senonché Santanna sceglie di spiazzarci ancora una volta: lui e la sua band ci salutano con Legend #2, altri cinque minuti di capolavoro strumentale di prog sinfonico retto su un gran lavoro chitarra/Mellotron/Minimoog. E alla fine, ma proprio alla fine, durante l’ultimo minuto, tutto si spegne e diventa totalmente acustico. Un soliloquio chitarristico con voci registrate che fanno riferimento a un’altra delle grandi passioni di Santanna: l’astronomia.

Il solo problema di questo disco è di essere uscito in piena bufera-Covid: senza tutte le limitazioni imposte dal virus, vederlo riproposto live sarebbe uno spettacolo maestoso come la musica contenuta nelle varie tracce.

“La foglia e l’ala” sono i due simboli che segnano il grande ritorno dei Raven Sad dopo due lustri di silenzio e, in questo 2021, si può già parlare di titolo degno di figurare tra i dischi prog del decennio.





mercoledì 24 marzo 2021

Alchem-"Viaggio al Centro della Terra", di Fabio Rossi


Gli Alchem, nati dallo scioglimento degli Acida Luna, sono una formazione romana che ha esordito discograficamente nel 2008 con il promettente Shadows il quale includeva alcune tracce interessanti tra cui l’ottima Desdemona. Soltanto nel 2018, la band è riuscita a pubblicare il secondo album intitolato Viaggio Al Centro Della Terra.

Troppe, davvero troppe, le disavventure capitate a questo sfortunato gruppo che, di fatto, hanno inficiato la possibilità di affermarsi come avrebbe meritato.

Per completezza d’informazione ricordiamo anche una demo del 2005, gli EP Whispering (2011) e Fragments (2014), quest’ultimo disponibile solo in digitale.

Le architetture sonore degli Alchem si fondano essenzialmente sulla magica sintonia degli arpeggi e dei riff di chitarra sciorinati da Pierpaolo Capuano con la magnifica voce di Annalisa Belli nel contesto di un genere inquadrabile nel progressive metal con marcati riferimenti ad atmosfere gotiche e cupe tanto care agli amanti dei Paradise Lost, My Dying Bride e Evanescence.  Il lavoro del bassista e programmatore Luca Minotti è di notevole levatura e completa un quadro d’insieme coeso ed efficace. Le parti alle pelli sono state curate da Massimiliano Fiocco e Alessandra “Trinity” Bersiani, mentre spesso ci si è avvalsi della batteria digitale.

Viaggio Al Centro Della Terra è un concept che s’ispira al breve romanzo La Canzone del Vento, scritto dalla Belli e avente come tema centrale il percorso interiore da intraprendere verso la ricerca di sé stessi.

Nel disco non mancano passaggi strumentali che ne accrescono il valore complessivo e attraverso i quali si può maggiormente apprezzare la qualità dei musicisti.

L’opener Behind the Door fa risaltare le mirabili doti vocali di Annalisa nel contesto di un andamento rarefatto di rara bellezza compositiva. Segue l’incedere sostenuto di Spirits of the Air, in cui spicca un azzeccato giro di basso. In Il Canto delle Sirene l’heavy la fa da padrone e rammenta non poco lo stile dei canadesi Rush. L’armoniosa In my Breath, con ospite al basso Diego Banchero leader della formazione genovese Il Segno del Comando, pone in risalto ancora una volta l’ammaliante voce della cantante, mentre il suono del violino di Emilio Antonio Cozza porta ad accostamenti non così peregrini con i King Crimson. Nella lunga strumentale che dà il titolo all’album emerge dirompente l’anima progressive della band, con le tastiere e l’organo protagonisti come vuole la tradizione del genere. Un dolce arpeggio apre I Don’t Belong Here, uno dei pezzi migliori del lotto, con la sirena Annalisa ad ammaliare l’ascoltatore come Partenope, Leucosia e Ligea fecero con Ulisse. Si permane in atmosfere eteree e affascinanti in Butterflies Are Singing e nell’inquietante Fragments of Stars, inframezzate dall’irruenza iconoclasta di Armor Of Ice. Chiude il full length Pioggia D’Agosto con un piano emersoniano in apertura per poi sfociare in un sostenuto prog metal.

Viaggio Al Centro Della Terra è un concept magistrale in cui musicalità e lirismo si trovano in perfetto equilibrio. Una prova egregia e superiore a Shadows che merita la dovuta attenzione da parte degli amanti del genere.

Mi auguro, però, che non si debba aspettare a lungo per ascoltare un nuovo disco degli Alchem: datevi da fare ragazzi, basta tergiversare!  


Gruppo: Alchem

Album: Viaggio al Centro della Terra

Label: Black Widow Records

Anno 2018


Tracklist:

1-Behind The Door (5:39)

2-Spirit Of The Air (6:57)

3-Il Canto Delle Sirene (6:14)

4- In My Breath (4:38)

5-ViaggioAl Centro Della Terra (8:32)

6-I Don't Belong Here (4:06)

7-Butterflies Are Singing (5:53)

8-Armor Of Ice (4:09)

9-Fragments Of Stars (4:41)

10-Pioggia D'Agosto (9:41)


Tutti i brani sono stati composti da Annalisa Belli e Pierpaolo Capuano



lunedì 22 marzo 2021

100 anni di Nino Manfredi

Ciao Nino.

Siamo rimasti… Brutti sporchi e cattivi

Wazza

- Ma... com'è tu moje? 

-Comprensiva... basta menaje…

“Tutti devono essere sapitori della splendosità di Giacinto!”

(Nino Manfredi in "Brutti, sporchi e cattivi"






domenica 21 marzo 2021

Il ricordo di Big Francesco si unisce all'inizio della primavera

21 Marzo

“Ma la primavera è inesorabile…” 

Ci sarai sempre. Buon viaggio Capitano! (aspettando la nostra primavera)

 Wazza



 L'odore degli zingari è come il mare

come il mare arriva e non sai da dove

l'odore degli zingari è come il mare

e primavera è oltre il suo cielo chiaro

non porta più leggende da raccontare

ma ti sorprende come una malattia.

La primavera è altro che un cielo chiaro

è grandine veloce sui tuoi pensieri

ti cresce all'improvviso dentro la testa

e scopri che hai bisogno di questo sole

e non ti fa paura la sua allegria

ma ti sorprende come una malattia.

Arriva all'improvviso,

arriva come il mare

e non sai mai da dove.

Arriva come il mare,

arriva all'improvviso

e non sai mai da dove.

La primavera è altro

che un cielo chiaro

è grandine veloce sui tuoi pensieri

arriva come il mare e non sai da dove.

Arriva all'improvviso, arriva come il mare e non sai mai da dove.

Arriva all'improvviso, arriva come il mare e non sai mai da dove.

Arriva all'improvviso, arriva come il mare e non sai mai da dove.

Arriva come il mare, arriva, arriva all'improvviso all'improvviso e non sai mai da dove...




sabato 20 marzo 2021

Anno 1972 – “Mente Corta", gruppo con grandi idee e voglia di fare musica dei Jethro Tull



Ormai siamo sommersi da cover o tribute band, fenomeno nato alla fine degli anni ‘80 e dilagato in seguito!
Ma già negli anni '70 molti gruppi, non avendo materiale proprio sufficiente per un concerto, attingevano a pezzi di altre band famose. Una su tutti la PFM - dal vivo eseguiva brani dei Jethro Tull e King Crimson, - ma anche i meno famosi Teoremi, e molti altri.
Ma spulciando ho scoperto un gruppo di Livorno,  Mente Corta, che suonavano 5/6 brani dei Jethro Tull, una cover band "ante litteram".
Ebbero il loro momento d'oro nel 1972,suonando in un mega festival, con Formula Tre, Quella vecchia Locanda e New Trolls, il tutto presentato da Renzo Arbore.

La band era formata da:
Sergio Biondi - chitarra
Marco Caluri - batteria
Claudio Barontini - basso
Guglielmo Ferrari - flauto e voce
Antonio Favilla – tastiere


Come tante altre band non riuscirono ad emergere nel panorama pop, poi diventato progressive.
Divennero il gruppo dal vivo di Milva, facendo con lei tour in tutto il mondo.
Claudio Barontini è oggi un affermato fotografo.
Di tutto un Pop...
Wazza


(Estratto intervista a Claudio Barontini)

D: Nel 1972 è la volta della Mente Corta. Il tutto coincide con l'esplosione del prog italiano. Vostri cavalli di battaglia le cover dei Jetro Tull... ma anche composizioni firmate da voi stessi.

R: La "Mente Corta" nacque sulla scia del progetto dei "Clara e i Backhand". L'organista Alfredo e la cantante Clara lasciarono il gruppo ma entrò a farne parte Guglielmo Ferrari voce, flauto e chitarra delle Sfingi. La formazione era quella tipo dei primi Jethro Tull: chitarra, basso, batteria e flauto. Suonavamo "Cross­eyed Mary, "Locomotive Breath", "Living the past", “Bouree" dei Jethro Tull e altri pezzi composti da Sergo Biondi, Guglielmo Ferrari e dal sottoscritto. Per l'occasione ricordo che mi comprai il tanto sospirato "Fender Jazz Bass". 

D: Con la Mente Corta ricordo allo Stadio Comunale di Livorno l'evento del settimanale TV Sorrisi e Canzoni "Estate insieme", presentatori Renzo Arbore e Loretta Goggi. Sul palco insieme a voi i New Trolls e La Vecchia Locanda... una bella soddisfazione.

R: Suonare allo stadio di Livorno con la tribuna gremita fu una bella emozione per tutti. Parenti inclusi. Ricordo in particolare la mia esibizione, l'assolo di basso di Bourèe, con un lungo applauso finale. Ho ancora la pelle d'oca. Renzo Arbore alla fine ci premiò con quattro Telegatti d’argento, all’epoca però non c'era ancora la statuetta ma una medaglia. La settimana dopo uscimmo con un servizio su TV Sorrisi e Canzoni.






giovedì 18 marzo 2021

“Io sono nato libero”, di Marco Francione


“Io sono nato libero”

L’importanza dell’eredità artistica del Banco del Mutuo Soccorso, nel 2021

Di Marco Francione

Articolo già pubblicato sul portale VeroRock.it

 


Perché si parla poco di “Io sono nato libero”, del Banco del Mutuo Soccorso, uscito nel 1973?

 


Il suo ascolto si pone in maniera prepotentemente attuale. Non è facile comprendere le ragioni secondo le quali si parla poco della sua importanza, ed è più facile ritrovare il “salvadanaio” o “Darwin” nelle classifiche dei dischi più importanti del prog rock italiano realizzati dal BMS.

“Io sono nato libero”, secondo chi scrive, rappresenta il punto più interessante ed ambizioso della loro produzione artistica e dell’avanguardia artistica rock progressiva italiana del 1970. Impossibile non apprezzare, già dal primo ascolto, la profonda ricercatezza delle liriche di Di Giacomo, lo spessore delle musiche composte da Vittorio Nocenzi, e la piena libertà artistica musicale espressa dalla totalità della band.

Il messaggio profondo che racchiude l’LP, inoltre, lascia un solco indelebile nella coscienza musicale dell’ascoltatore, inducendone attimi di profonda riflessione. La copertina del disco, nella sua pubblicazione originale, ritraeva la sagoma di un enorme portone a chiusura del dettaglio degli occhi di Francesco Di Giacomo. Il varco in questione è tratto da un’abitazione milanese, situata nei pressi del vicolo della Lavandaia.

Ogni traccia del disco approfondisce la tematica della libertà in ogni sua sfaccettatura, dalla dolente tensione causata a seguito di un sopruso politico, all’idea pura e immateriale della libertà intesa come espressione dell’indipendenza dell’artista. Ogni aspetto descritto rende il disco in questione uno dei migliori concept album mai concepiti in Italia.


Tracce

 

L’incipit del disco è affidato alla suite “Canto Nomade Per Un Prigioniero Politico”, titolo dal chiaro riferimento alla tradizione dei canti leopardiani. La prima traccia è già manifesto del pianoforte nocenziano e della profonda espressività della voce del maestro Di Giacomo. Il testo è una chiara espressione, in toni poetici, del dolore e del dissidio interiore vissuto da un prigioniero recluso per motivi politico:

Cosa dire, soffocare, chiuso qui… perché?

Prigioniero per l’idea, la mia idea… perché?

Lontano è la strada che ho scelto per me

dove tutto è degno di attenzione perché vive, perché è vero, vive il vero…”

La canzone trae ispirazione dalle vicende storiche legate al colpo di Stato di Allende avvenuto nel 1973 in Cile, e si pone come dichiarazione di resistenza a ogni sopruso e, allo stesso tempo, manifesto del diritto di libertà nell’espressione politica. La suite si conclude con aspra invettiva a ogni forma di discriminazione:

“Voi condannate per comodità,

ma la mia idea già vi assalta.

Voi martoriate le mie sole carni,

ma il mio cervello vive ancora ancora… ancora”

Le musiche esprimono pienamente il senso di inquietudine dell’esiliato che, nonostante l’afflizione, rinnega ogni forma di superficiale pietismo retorico:

E voi donne dallo sguardo altero, bocche come melograno,

non piangete perché io sono nato,

nato libero, libero,

non sprecate per me una messa da requiem,

io sono nato libero”

Non mi rompete” è una ballata dal testo lineare e poetico di probabile ispirazione ariostesca. Costituisce una rievocazione della libertà intesa in senso ingenuo e sincero, fino a raggiungere la candida dimensione onirica. Si tratta di un invito a godere e apprezzare di ogni occasione fugace, finché la libertà riesce ancora a offrirla…

“Perché volete disturbarmi

se io forse sto sognando un viaggio alato

sopra un carro senza ruote

trascinato dai cavalli del maestrale,

nel maestrale… in volo”.

La Città Sottile” ha arpeggi misti tra jazz e psichedelia in un percorso che conduce l’ascolto a un lirismo di inaudito spessore. È facile notare delle affinità con la celebre “Giardino del mago” (contenuta nel primo disco del BMS, il cd. “Salvadanaio”). Le tastiere dei fratelli Nocenzi si fondono in intrecci di sperimentazione prog e classicismo. La voce di Di Giacomo si esprime in senso maniera profondamente suggestiva e dolente. Le liriche trattano dell’alienazione da metropoli, vissuta dal punto di vista del cittadino. Il testo risulta attuale anche per l’ascoltatore del 2021:

“Tu chi sei, città non città

Che vivi appesa in giù alle tue corde d’aria ferma.

Travi, tubi senza dimensioni,

Freddi quarzi invecchiati.

I tuoi mille ascensori di carta velina

Che vanno su e giù senza posa,

Nessuno che scende, nessuno mai sale”

In “Dopo Niente È Più Lo Stesso” l’espressività della voce di Francesco Di Giacomo ci racconta della profonda delusione di un soldato russo che, a guerra finita, si accorge dei profondi e forse irreversibili cambiamenti che la sua anima ha subito:

“Canti e balli nella strada volti di ragazze come girasoli

Cose che non riconosco più.

Per troppo tempo ho avuto gli occhi nudi e il cuore in gola.

Eppure non era poca cosa la mia vita.

Cosa ho vinto, dov’è che ho vinto quando io

Ora so che sono morto dentro

Tra le mie rovine.

Perdio! ma che m’avete fatto a Stalingrado!?!”

È facile notare, infatti, dopo l’inizio scanzonato sulla rassicurante fine della guerra, il dolente senso di inquietudine del militare. Segue una violenta filippica contro la guerra e i giochi di potere degli eletti, a danno del popolo: 

“Difensori della patria, baluardi di libertà!

Lingue gonfie, pance piene, non parlatemi di libertà

voi chiamate giusta guerra ciò che io stramaledico!

Dio ha chiamato a sé gli eroi, in paradiso vicino a Lui.

Ma l’odore dell’incenso non si sente nella trincea.

Il mio vero eroismo qui comincia, da questo fango.

T’ho amata donna, e parleranno ancora i nostri ventri.

Ma come è debole l’abbraccio in questo incontro.

Cosa ho vinto, dov’è che ho vinto quando io,

vedo che, vedo che niente è più lo stesso, ora è tutto diverso

Perdio! ma che cos’è successo di così devastante a Stalingrado !?!”

L’attualità della canzone in questione è rappresentata anche dal testo recitato da Alessandro Haber nella versione contenuta nel disco del Banco “Un’idea Che Non Puoi Fermare” del 2014.

Chiude l’Lp “Traccia II”, un pezzo strumentale sinfonico in chiave progressive. L’ulteriore espressione della genialità della band è rappresentata dalla conclusione del disco, estremamente impegnato e profondo, con un inno alla spensieratezza, in toni sfumati e onirici. Lo spessore dei Banco del Mutuo Soccorso, a seguito della pubblicazione di “Io sono nato libero”, non sfuggì all’attenzione di Greg Lake che, nel 1975, decise di includere la prog band romana nel celebre catalogo della casa discografica “Manticore”. L’uscita successiva è “Banco”, con elisione del nome della band per il mercato internazionale e testi tradotti in inglese.

“Io sono nato Libero” è un capolavoro di profondo spessore, dal messaggio ancora attuale, come per ogni opera senza tempo. L’ascolto rappresenta un’esperienza di inimitabile emozione. La stessa sensazione potremo provare nel momento in cui riconquisteremo del tutto, e in maniera finalmente tangibile e duratura, la nostra libertà.

Che sia di auspicio per tutti noi…



Tracklist

Lato A 

1. Canto nomade per un prigioniero politico – 15:43

2. Non mi rompete – 5:03


Durata totale: 20:46

 

Lato B

1. La città sottile – 7:10 (Gianni Nocenzi)

2. Dopo…niente è più lo stesso – 9:54

3. Traccia II – 2:39 – Brano strumentale 

Durata totale: 19:43


Testi di Francesco Di Giacomo e Vittorio Nocenzi, musiche di Vittorio Nocenzi, eccetto dove indicato

 


Lineup

Francesco Di Giacomo: voce

Vittorio Nocenzi: organo Hammond, sintetizzatore, spinetta

Gianni Nocenzi: pianoforte

Marcello Todaro: chitarra elettrica, chitarra acustica

Renato D’Angelo: basso, chitarra acustica

Pierluigi Calderoni: batteria, percussioni

Altri musicisti

Rodolfo Maltese: chitarra acustica, chitarra elettrica

Silvana Aliotta: percussioni

Bruno Perosa: percussioni

Gaetano Ria: fonico

Gaetano Ria e Alessandro Colombini: mix

 

ARTISTA: Banco del Mutuo Soccorso

TIPO ALBUM: Studio

ANNO: dicembre 1973

DURATA: 40:29

GENERE: Rock progressivo

ETICHETTA: Dischi Ricordi


mercoledì 17 marzo 2021

Viola Nocenzi-"Viola Nocenzi", di Fabio Rossi


Viola Nocenzi-Viola Nocenzi

di Fabio Rossi

Label: Santeria Records/Audioglobe

Anno: 2020


Viola Nocenzi, compositrice, vocal coach e appassionata di filosofia oltre che di musica, avrebbe potuto intraprendere agevolmente il cammino artistico del padre Vittorio e dello zio Gianni e, invece, per la realizzazione del suo omonimo album d’esordio ha inteso imboccare un sentiero diverso, più incline alle sue reali aspirazioni artistiche. Ha preferito scegliere, quindi, la strada del cuore e non quella del mero opportunismo, dimostrando il suo ferreo intendimento di volersi affermare nel mondo delle sette note con le proprie idee senza la necessità di seguire percorsi “facili”.

È confortante constatare che esistono ancora persone squisitamente sincere e scevre da compromessi e già solo per questo Viola merita stima incondizionata.

La sua proposta potrebbe essere definita una sorta di “pop/rock raffinato” nel senso che agli arrangiamenti curati in ogni particolare sotto la supervisione di Gianni Nocenzi (raccomando l’ascolto in cuffia per coglierne tutte le sfumature) si coniuga un vocalism avvolgente che si snoda attraverso sette tracce pop/rock di pregevole fattura compositiva.

Nell’opener Viola si apprezza l’accattivante melodia nell’ambito di un testo che tratta la tematica dell’amore: “Per ascoltare il tuo profumo io ucciderei… chiudere a chiave la mia voce dentro di te…. Non vedi, non vedi, non vedi che il cielo è viola…”.

All’immediatezza di Lettera da Marte (“Quassù è tutto bellissimo c’è solo un po’ di vento”), ispirata a una poesia di Alessio Pracanica, si contrappone il romanticismo di Colui che Ami (“Vienimi a salvare da una pietra gelida da una goccia umida da tutto questo sale”), l’unica traccia in cui Viola si cimenta al piano.

È l’elettronica ad emergere in Entanglement, uno dei pezzi più riusciti (“Non potrei dirti di no se lo decidessi”). Itaca (“Getto l’ancora ora e aspetto mentre abbraccio con lo sguardo l’isola intera il mio porto…”) è una metafora sul tema del viaggio e dimostra la versatilità e la bravura di Viola (ricordiamo che ha un’estensione vocale di quattro ottave). In L’Orizzonte degli Eventi (“Oscurità la nera luce che sa misteri e verità”) il pop strizza l’occhio alla fusion.  Bellezza chiude il disco, una canzone rappresentativa del pensiero di Viola sull’uomo come si evince da questi significativi versi: “Non tutti sono disposti a misurare il proprio cuore e la propria intelligenza”.

I testi sono stati scritti dal citato Pracanica, fatta eccezione per "Bellezza", opera di Viola, che firma anche tutte le musiche.

La Nocenzi ha inteso dischiudere il passaggio che da l’accesso al suo mondo interiore offrendo la possibilità a tutti di potervi accedere e di conoscere i pensieri, le paure, i sogni di una ragazza semplice che desidera solo mostrarsi per quello che è realmente. Come una sorta di Virgilio, ci prende per mano e attraverso sette perle, “sette schegge della mia personalità” (parole sue), ci accompagna in un viaggio tra le sfaccettature della sua anima che potrebbe rivelarsi davvero sorprendente ed emozionante per chi è dotato di sensibilità.



Tracklist:

1.Viola

2.Lettera da Marte

3.Colui che Ami

4.Entanglement

5.Itaca

6.L’Orizzonte degli Eventi

7.Bellezza


http://www.violanocenzi.com/

https://www.facebook.com/viola.nocenzi/