Non si chiamava Nando Mericoni, e non veniva da Kansas
City. Ma a maggio del 1968 "un americano a Roma", tale Jimi Hendix da Seattle, imitava il nostro Nando, con un bel piatto
di (mi piace pensare) "spaghetti all'amatriciana"... certo
a giudicare dalla foto usava meglio la chitarra che la forchetta!
Nick Mason, nel 1965 si carica
la batteria nel Bedford-van usato per il trasporto strumenti e amplificazioni;
sulla sinistra della foto il resto della band osserva divertito dalla finestra
della casa di Roger Waters... diventarono
i Pink Floyd!
WK
"Stai lontano da chi tenta di frenare le tue
ambizioni, le persone da poco lo fanno sempre, ma solo chi è veramente grande
ti fa sentire che anche tu puoi diventare come lui." (Mark Twain)
Articolo già apparso sul
numero di agosto 2016 di MAT 2020
”Chiacchiere
veronesi “, parlando di musica e dei due fantastici concerti di
David Gilmour
di
Max Pacini
La musica è una fedele compagna della nostra
vita, scandisce il tempo dei nostri ricordi, e ci fa rivivere ogni volta grandi
emozioni nel riascoltare magari quella canzone che ci ha regalato momenti
indimenticabili. Ma la musica è soprattutto condivisione, contatti, amicizia, e
la storia che vogliamo raccontarvi in questo articolo parla proprio di questo.
Due nostri grandi amici che insieme condividono le stesse passioni, gli stessi
gusti musicali. I loro nomi a voi potranno sembrare sconosciuti, ma noi li
conosciamo molto bene, visto che durante i loro concerti con i BIG ONE (all’interno del loro spettacolo
The European Pink Floyd Show), sfoggiano abitualmente con grande orgoglio la
loro divisa ufficiale, cioè la nostra t-shirt di MusicArTeam, donata a loro nel luglio 2014, in occasione di un
grande concerto tenutosi alla fortezza del Priamàr di Savona. Il gruppo di cui fanno parte i nostri protagonisti si chiama
BIG ONE, tribute veronese ritenuta dalla stampa nazionale (e dalla nostra
redazione), come la migliore nel riproporre le magiche atmosfere dell’universo
musicale Pink Floyd. Senza ombra di dubbio èl’unica tribute italiana richiesta
costantemente da diversi anni oltre confine. Sono tornati recentemente da un
grande concerto in Belgio, un tutto esaurito datato 30 aprile 2016 presso
l’EUROPA HALL di Tielt, dove gli organizzatori (fans e cultori dei Pink Floyd)
i PIGS ON THE MOON, li hanno scelti tra una vasta selezione di tribute band
sparse in tutta Europa. Sono di Verona, splendida città degli innamorati e dei
famosi balconi che ci riportano alla storia diRomeo e Giulietta, ma soprattutto
al più grande Anfiteatro all’aperto quale è l’Arena. In questo caldo e afoso
mese di Luglio, precisamente domenica 10 e in replica lunedì 11, Verona è stata
la capitale Floydiana per eccellenza, vista la chiusura nella già citata Arena,
del tour italiano di David Gilmour. Quale occasione migliore per fare due
chiacchiere, con chi ha vissuto questi giorni da “veronesi doc”in prima fila
sotto tutti i punti di vista? Come già vi abbiamo anticipato, sono due nostri
grandi amici, eccoli a voi: Stefano Raimondi (batteria e percussioni), e Gian Paolo Ferrari,
da tutti conosciuto come Giampy (responsabile produzione e tecnico video) dei
BIG ONE.
Giampy e Stefano Raimondi
MAT- Benvenuti ragazzi, è un piacere enorme avere la
possibilità di poter scambiare quattro chiacchiere con amici veri e di lunga
data come voi. Chi vuole rompere il ghiaccio così per cominciare in scioltezza,
parlandoci di David Gilmour in Arena? Da quello che abbiamo potuto riscontrare
dai social e dalla stampa … è stato un grande successo. Raccontateci come è
andata a Verona.
STEFANO-Hai
perfettamente ragione, rispetto all’anno scorso abbiamo trovato un Gilmour in
forma smagliante, uno spettacolo davvero incredibile, ma il Giampy certamente è
molto più bravo del sottoscritto nel saper descrivere certe emozioni, anche
perché con lo zio ha un contatto personale molto stretto … (ride). Pensa che si
è goduto tutte e due le serate in prima fila il raccomandato!
MAT- Ci vuoi
spiegare meglio questa interessante storia Gian Paolo? Hai davvero avuto la
possibilità di stare a stretto contatto
e di conoscere lo zio David?
GIAMPY-Stefano è
sempre molto spiritoso nei miei riguardi, comunque è vero, sia lo scorso
settembre sia quest’anno… ho avuto il piacere di trovarmi a tu per tu
(casualmente), con l’amato zio. Devi considerare che la mia professione di
tassista, mi porta spesso a gironzolare per le vie del centro e a conoscere in
anticipo certe informazioni preziose, visti i miei contatti lavorativi. Sapevo
in anticipo il giorno del suo arrivo, 9 Luglio ore 15 all’aeroporto di
Montichiari (BS). Sei van lo stavano aspettando per portare lui e tutta la band
con relativi amici e famigliari in via Adua 8, all’hotel Palazzo Victoria.
MAT- Altro che
servizi segreti! Con queste informazioni avevi già un vantaggio acquisito
rispetto a tutti gli altri fan, ecco svelato il mistero… allora ci vuoi
raccontare come è andata veramente?
GIAMPY- Nessun
vantaggio credimi, nell’ambito della mia attività mi capita spesso di
incontrare qualche personaggio famoso, devo confessarti che non ho mai avuto
episodi sgradevoli, anzi! Ho sempre trovato persone gentili e molto
disponibili, e ti posso garantire che sul mio taxi ne sono salite tante. Vuoi
qualche nome? Bollani è di una simpatia unica, con Max Gazzè ho interrotto per
circa trenta minuti il mio servizio per parlare dei Pink Floyd, Michele Placido
ha voluto stringermi la mano augurando tanta fortuna alla mia passione musicale
floydiana, con Pau dei Negrita abbiamo fatto l’alba in un locale del centro,
parlando di architettura sonora dei teatri all’aperto e di ferie in camper, un
ragazzo veramente splendido dal punto di vista umano (rientrando in albergo mi
ha addirittura invitato al concerto di Brescia in Piazza della Loggia, dove ho
potuto accedere al back-stage per i saluti finali, con tanto di presentazione
con gli altri componenti del gruppo)… con Gilmour invece devo stendere un velo
pietoso. Ho sempre saputo (da quello che veniva riportato dalla stampa), che
avesse un brutto carattere, ma non pensavo fosse così… burbero e antipatico. Lo
dico con molta tranquillità perché senza volerlo, ogni volta che capita a
Verona me lo ritrovo davanti. Anche questa volta mentre transitavo in centro
con la mia auto ho riconosciuto subito la sua sagoma inconfondibile,
accompagnata da quell’orribile cappello di paglia! Al mio passaggio ha dovuto
scostarsi (essendo la via molto stretta), ci siamo incrociati con lo sguardo, e
ho ritenuto per educazione e gentilezza, accennare ad un timido saluto di
benvenuto. Il suo sguardo seccato e indispettito ha messo letteralmente a
disagio anche la cliente che in quel momento stavo trasportando, mandando in
frantumi la figura di un mito. Ma nonostante questo… gli voglio bene lo stesso,
perché alla tenera età di 70 anni, ha saputo regalare a tutti noi due serate
indimenticabili. Sul palcoscenico dell’Arena si è presentato un Gilmour
eccelso, accompagnato da una band affiatata e impeccabile, coadiuvata dai
fedelissimi onnipresenti Guy Pratt al basso e Steve DiStanislao alla batteria.
Verona ha vissuto per tre giorni una magica atmosfera floydiana, che ho potuto
assaporare fino all’ultimo respiro, non mi sono fatto mancare niente (vista
l’occasione irrepetibile). Ho assistito al primo concerto in prima fila, con
quasi tutta la band dei BIG ONE, per la seconda serata invece, vista la nostra
tradizione romantica, io e Leonardo De Muzio (chitarra solista del gruppo),
abbiamo pensato bene di farci accompagnare dalle nostre rispettive “Giuliette”…
Non vorrei dilungarmi troppo su questa breve recensione dei concerti, visto che
sui social si è scritto già tutto, posso solo aggiungere che lo zio sull’assolo
finale di Sorrow, ha fatto tremare tutti gli spettatori presenti (la vibrazione
era così forte che ti entrava in tutto il corpo e non era una sensazione quella
che avvertivi… stavi tremando davvero!).
MAT – Immagino siano state delle grandi
emozioni, e voi le avrete vissute certamente con una prospettiva diversa,
essendo entrambi componenti e collaboratori di una grande tribute floydiana,
nata molto tempo fa proprio a Verona.In particolare modo tu Stefano, che se non
vado errato sei il batterista storico del gruppo. Vuoi raccontarcicome è nato
il progetto Big One, e quale è stata la sua evoluzione, visto che nel corso degli anni ha coinvolto diversi musicisti, se
non sbaglio sei rientrato nella formazione attuale da un po' di tempo, dopo un
breve riposo? Che differenze(se lo hai potuto notare) hai trovato nel gruppo?
STEFANO- Nel
lontano 2005, ricevetti una telefonata da un amico, un chitarrista che, come
me, adorava i Pink Floyd: Leonardo De Muzio. Ci eravamo conosciuti
precedentemente attraverso un annuncio su internet e volevamo entrambi formare
una tribute band dei nostri idoli. E grazie a quella telefonata, nella quale mi
offrì di entrare a far parte dei nuovi Big One, il sogno ha iniziato a
materializzarsi. Il progetto Big One ha sempre avuto come obiettivo quello di
riproporre il più fedelmente possibile l'esperienza live di un concerto dei
Pink Floyd, e questo nel tempo si è tradotto in un grande lavoro maniacale in
sala prove. Anche l'ambito della produzione e organizzazione dei tour ha
comportato l'investimento di notevoli energie. Negli anni si sono
avvicendati più musicisti, anch'io ho dovuto lasciare, per fortuna solo
temporaneamente, il mio ruolo di batterista. Quando sono poi rientrato, ho
trovato un gruppo che era cresciuto sotto tutti i punti di vista. L'impegno di
tutti è stato fondamentale per raggiungere il livello a cui siamo arrivati,
credo sia doveroso ringraziare per questo, tutti i musicisti che nel corso
dagli anni hanno avuto la possibilità di condividere questa avventura, è anche
merito loro se siamo riusciti in questo arco temporale a raggiungere queste
gratificazioni … e poi mi sono ritrovato a confrontarmi con un grande tecnico
della regia audio-visiva come il Giampy! Una vera garanzia (si ride alla
grande) …
MAT- Invece
tu Gian Paolo, quando hai conosciuto i Big One?
Lavori come tassista a Verona e ci sembra perlomeno strana questa tua
collaborazione, vista la tua professione molto impegnativa e stressante.
GIAMPY-
Hai
detto bene, è stato un caso, sai come si dice in questi casi… il destino! Dei
colleghi mi invitano ad un concerto al Teatro Romano qui a Verona, conoscendo
la mia passione musicale, mi vogliono portare a vedere una tribute dei Pink
Floyd, rispondo “NO GRAZIE! Le tribute
non mi interessano, preferisco gli originali”. Sarò breve: per la compagnia
… vado, osservo, vedo Leonardo alla chitarra e non credo a quello che sto
sentendo, era Gilmour, semplicemente uguale a Gilmour! Voglio conoscere questo
gruppo per scrivere un articolo (collaboravo già con l’amico Athos Enrile), ci
conosciamo, comincio a seguirli in tour e una sera Leonardo mi prende in
disparte e mi dice: ”Senti Giampy, inizia
a guardarti attorno, studia luci, effetti, video, insomma comincia a pensare a
qualcosa di diverso che non sia una semplice foto. Sono convinto che a breve
sarai in grado di diventare un nostro collaboratore. Io non voglio
professionisti, ma gente che ama i Pink Floyd come me, e soprattutto preferisco
avere degli amici sinceri al mio fianco”. Detto fatto, sono qui! Aveva
ragione! Nel corso di questi ultimi anni siamo diventati grandi amici, sono uno
dei responsabili della produzione e delle proiezioni video, oltre che dovere sopportare
continuamente quel batterista spiritoso che tu conosci molto bene … Vedi un po’
di intervistare lui (ride), i tecnici devono rimanere sempre nell’ombra … anche
se sono indispensabili …
MAT- Immagino
che anche i lettori abbiano capito che con voi due è molto difficile annoiarsi,
perciò Stefano raccontaci quando hai iniziato ad appassionarti al tuo strumento
e come è stato il tuo percorso musicale.
STEFANO-
Ho
sempre avuto il desiderio di suonare la batteria, e infatti investii il mio
primo stipendio proprio per acquistarne una. Avevo 18 anni, fu veramente una
grande emozione, porto ancora quel ricordo nel mio cuore, mi sentivo l’uomo più
felice del pianeta (restando in tema lunare - floydiano). Musicalmente adoro il
rock degli anni '70. Ricordo con piacere che ho fatto parte di un gruppo dove
facevamo cover dei Deep Purple, Led Zeppelin, Pink Floyd e altri gruppi anni
'70. Ci chiamavamo Mistery Train. E ci divertivamo un sacco!
MAT-Siete considerati trai migliori nel vostro genere, questo titolo vi
imbarazza o ne siete consapevoli, visto il vostro curriculum -live, dove avete
toccato le location più importanti: vedi Geox di Padova, Teatro Romano di VR,
Habihall di Firenze, Palacreber di Bergamo (per citarne qualcuna), senza
contare che probabilmente siete l'unica tribute italiana, che da diversi anni si
esibisce anche in Europa. Avete trovato qualche differenza rispetto alle nostre
realtà Nazionali e come riuscite a gestire emotivamente queste sensazioni
all’interno del gruppo?
STEFANO- Personalmente sono
onorato di aver suonato in location così prestigiose, se poi ci definiscono i
migliori, significa che abbiamo lavorato bene e ciò ci sprona a continuare a
lavorare per crescere ancora. Esibirsi fuori dall'Italia ci ha permesso di
entrare in contatto con realtà molto diverse. Non cambiano solo le prese di
corrente ed il cibo, cambia tutto: abitudini, mentalità, organizzazione. Però
la passione ed il calore del pubblico per la musica dei Pink Floyd è sempre la
stessa, ovunque. E ci ha sempre fatto sentire a casa! Per quanto riguarda la
gestione di determinate sensazioni, siamo tutti consapevoli che finito il
concerto, il giorno successivo ti trasporta alla vera realtà delle cose: il
lavoro, la famiglia, insomma… il vivere quotidiano di una persona semplicemente
normale …
GIAMPY – Concordo
con Stefano, ma vorrei precisare un dettaglio importante:i Big One possono
essere considerati (forse), i migliori,
in conformità dei mezzi, e alle possibilità che abbiamo a nostra disposizione.
I Brit Floyd o gli Australian Pink Floyd, possono offrire certamente degli
spettacoli scenografici accattivanti e altamente professionali dal punto di vista
tecnologico, ma questi sono giustificati dagli enormi budget milionari, a cui
questi gruppi possono attingere. Quindi, tutte le tribute hanno un loro valore
importante, piccole o grandi che siano. Ecco spiegato il motivo del nostro modo
di vivere determinate situazioni, siamo orgogliosi di questo, ma ci rendiamo
perfettamente conto che a tutti gli effetti … restiamo e siamo … persone
semplici e normali, che hanno la fortuna di potere condividere INSIEME, questa
grande passione musicale. Però c’è un particolare importante e molto
significativo che voglio ribadire e sottolineare: Leonardo De Muzio suona con
noi! Mi permetto di raccontarvi brevemente questo aneddoto, avvenuto all’uscita
dall’Arena, dopo il concerto di David Gilmour. Casualmente incontriamo Steve
DiStanislao, il batterista dello zio Gilmour, e tranquillamente io e Leonardo
lo accompagniamo in hotel, sembravamo come dei vecchi amici intenti a
raccontarsi le ultime impressioni della serata appena trascorsa. Ad un certo
punto dico a Steve di guardare un video dei Big One, e gli faccio sentire l’assolo
di Comfortably eseguita proprio a Tielt in Belgio, mi guarda e rivolgendosi con
stupore verso Leonardo dice: “Incredibile!
Ma tu suoni come David, Pazzesco! Complimenti!”, come sempre Leo cercava di
minimizzare la cosa, perché fa parte del suo carattere, però ha voluto
approfondire l’argomento chiedendo espressamente i riferimenti inerenti al
gruppo … non voglio aggiungere altro … Leo sei grande!
MAT -A
proposito di Europa, come avete già ricordato siete reduci da un grande evento
che vi ha visto protagonisti a Tielt in Belgio, vuoi raccontarci com'è andata
Stefano?
STEFANO -
E'
stata veramente una bellissima esperienza. Per l'occasione, su Anotherbrick in
The Wallpt 2, ci siamo ritrovati sul palco, un coro di 25 adolescenti che
si sono esibiti con noi dal vivo. Molto emozionante, ma queste domande vanno
rivolte al nostro addetto stampa: Giampy Press., su questi argomenti è sempre
molto prolisso, e poi lui stesso aveva
preparato qualche sorpresa per il pubblico presente.
GIAMPY – Cercherò di
entrare nel ruolo caro amico, visto che le tue risposte sono sempre
strettamente minimali … Siamo stati invitati da una associazione culturale
denominata Pigs On The Moon, e come ha sottolineato Stefano,è stata una esperienza
molto coinvolgente. Sold out e entusiasmo alle stelle, un pubblico davvero
caloroso (ci vogliono anche l’anno prossimo, siamo già stati prenotati). Per
quanto riguarda la mia sorpresa, in verità è stato un assolo che Leonardo mi ha voluto regalare, dopo le mie
continue e pressanti insistenze iniziate
dopo il concerto di Bologna. Proprio lì è nata la mia idea: poco prima del
soundchek, qualcuno era partito con il riff di PurpleRain (Prince ci aveva
lasciati qualche giorno prima), subito ho pensato che sarebbe stato bello
inserirlo nell’assolo finale di Comfortably Numb come tributo, ma non si poteva
realizzare certamente quella sera. Ci ha pensato invece David Gilmour la sera
dopo,durante un suo concerto, (beccato casualmente in un video su FB), e subito
mi sono sentito … artisticamente … derubato. Chiamai immediatamente Leo per
metterlo al corrente del fatto, e dopo tante pressioni, sono riuscito a
convincerlo “Se lo faccio è solo per te rompiballe!” questa è stata la sua risposta
finale, il risultato invece lo potrete tranquillamente giudicare in questo
video che ho pubblicato su youtube ...
MAT – Una
domanda a entrambi: trovate il tempo per seguire altre tribute band, oppure
preferite studiare e perfezionarvi sugli originali.
STEFANO
- Se
ho l'occasione, quando il tempo me lo
permette, seguo volentieri le tribute band dei grandi gruppi rock anni '70, in
circolazione ce ne sono di veramente interessanti. Per quanto riguarda lo
studio dei brani, lavoriamo già tanto in sala prove, che sinceramente non
riesco a trovare spazi a cui dedicare il mio tempo per seguire altri tributi
floydiani.
GIAMPY –
Personalmente amo leggere qualsiasi cosa che riguarda i Pink Floyd, una fonte a
cui molto spesso faccio riferimento per lo sviluppo delle mie idee, sono senza
dubbio i due fantastici libri pubblicati dai The Lunatics, per quanto riguarda
le tribute, seguo con molto affetto gli Italian Dire Straits del mio caro amico
Max Lisa. Ci siamo conosciuti qualche
anno fanell’ambito di un evento benefico che ci vedeva entrambi protagonisti in
un memorabile concerto al Teatro Filarmonico di Verona (ovvio che loro si esibivano
sul palco, io facevo parte dell’organizzazione). Per essere precisi li avevo
contattati personalmente e ho fatto il possibile per offrirli al pubblico
veronese. Anche quello fu un grande successo che con soddisfazione porto nel
cuore, come il primo concerto organizzato per i Big One al Teatro Romano di
Verona, ma soprattutto il più importante, cioè quello di Savona con MusicArTeam,
non è forse vero Stefano?
STEFANO
–E’
stato nel 2014 se non erro, suonammo in quella cornice fantastica quale è La
Fortezza del Prìamar, fu in quell'occasione che ebbi il privilegio di conoscere Max Pacini , Athos
Enrile ed il loro MusicArtTeam. Persone stupende e grandi conoscitori di musica.
A tutti noi venne regalata la t-shirt ufficiale, che da allora indosso spesso e con orgoglio durante i nostri spettacoli live, e non solo…
(il Giampy, ha voluto che entrambi, fossimo presenti in prima fila al concerto
di Gilmour con la nostra immancabile divisa), non si potevano scattare molte
foto, perché del personale addetto cercava di impedirtelo. Il Giampy rideva,
perché a lui nulla era vietato, e se qualcuno provava a farlo… mostrava la t-shirt
con la scritta, aggiungendo che stava lavorando… uno spasso ve lo posso
garantire …
MAT –Qual
è il concerto che ricordi con maggiore soddisfazione Stefano, vista la tua
lunga militanza nel gruppo, c’è qualche ricordo che può aiutare la tua scelta?
STEFANO-
E' una scelta difficile.. Direi il Live at Valle dei Templi del 2006,
all’interno del quale è stato registrato il nostro secondo DVD. Mi ricordo che
suonare Echoes in quel contesto è stato davvero emozionante.
MAT – La
vostra canzone e l’album che preferite dei Pink Floyd, stilate una vostra ipotetica
classifica da 1 a 3.
STEFANO
– Se
parliamo di album, per me il capolavoro assoluto è senza ombra di dubbio The
Dark Side, seconda posizione per WishYouWere Here seguito da Animals. Per
quanto riguarda le canzoni 1-Comfortably Numb, un capolavoro assoluto, 2-Careful
With ThatAxe Eugene, space-rock by Pink Floyd all’ennesima potenza, 3-Wish
YouWere Here, emozione allo stato puro.
GIAMPY
– Sicuramente
The Dark Side, perché ancora oggi rappresenta l’essenza del fascino del sound
floydiano, guardi le stelle, osservi la luna … e subito pensi a questo disco.
Per la seconda posizione Animals! Ero adolescente in quel periodo, e mi sentivo
incazzato con tutti, eravamo in piena era Punk, arrivò questo disco che parlava
di un’umanità popolata da cani, porci e pecore, diciamo che fu una risposta
alle mie incazzature, e che in parte le poteva giustificare … la tristezza
forse è che sono passati quasi 40anni, ma siamo peggiorati … purtroppo, e siamo
circondati sempre dalle stesse figure. Per quanto riguarda le canzoni, sono
tutte fantastiche, ti posso citare quelle che preferisco eseguite dai Big One:
AnyColourYou Like, AstronomyDominè, Us And Them, ne aggiungo un’altra che spero
entri nel repertorio live, e cioè Obscured By Clouds, un pezzo incredibile che
ha anticipato con i suoi tre minuti, il sound dei Kraftwerk di Trans Europe
Express, ecco spiegato il motivo della grandezza di questo gruppo, tutti bene o
male hanno dovuto attingere da loro ...
MAT – In
questo ultimo periodo sono avvenuti diversi cambiamenti all’interno delgruppo, praticamenteavete una nuova line-up. Questa
situazione ha creato qualche problema (visto che stiamo parlando sempre di una
tribute) , oppure è stato un ulteriore passo in avanti verso progetti ancora
più ambiziosi, quali sono appunto in ottica futura, i vostri nuovi traguardi da
raggiungere.
STEFANO –
I
cambiamenti in generale, sono sempre portatori di nuova energia propositiva, nella realtà di una tribute credo sia
assolutamente normale vivere certe situazioni. Qui non stiamo parlando di
musicisti professionisti legati da vincoli contrattuali, siamo persone normali,
che molto spesso si devono confrontare con i problemi reali, cioè: lavoro,
famiglia ecc., e non è scontato che queste dinamiche possano sempre incontrarsi.
Per quanto riguarda il futuro,personalmente mi piacerebbe riproporre live
l’intero album di Animals, come ricordava giustamente il nostro
tecnico-tassista … siamo prossimi al 40° anniversario ormai.
GIAMPY
– Ha
ragione Stefano, i cambiamenti portano sempre nuova energia e colgo l’occasione
in merito a questo, per rispondere a tutte quelle persone che mi hanno
contattato in questo ultimo periodo, manifestando preoccupazioni sulla sorte di
questa band. Ebbene, a tutti quanti vorrei dire che … restiamo con i piedi per
terra! Forse qualcuno ha un pochino
esagerato nell’attribuire così tanta importanza a fatti assolutamente normali. Qualche tempo
fa Paolo Iemmi ha lasciato il gruppo per seguire (giustamente), la sua
avventura artistica nell’ambito della musica prog, è arrivato (alla grande)
Luigi Tabarini, un nuovo bassista che ha già fatto intravedere le sue qualità.
Con Elio Verga (vista la carta d’identità), sapevamo tutti che entro la fine di
quest’anno avrebbe lasciato il gruppo, ha solamente anticipato la sua scelta,
mettendo davanti a sé il bene più prezioso: la salute. In merito a questo
vorrei riportare lo stralcio di una recente intervista rilasciata da Ian
Anderson (Jethro Tull): ”La salute è una cosa seria, specialmente mano a mano
che passano gli anni. La maggior parte di noi maschietti non pensa a cosa possa
succederci. Ma bisogna pensare anche a chi ci vuole bene e ci sta attorno,per
cui è anche una questione di sano egoismo.” Elio ha fatto la scelta giusta, era
già da molto tempo che cercavo di convincerlo in questo, posso dire questo
senza ombre, visto che sono stato a stretto contatto con lui fino a poco tempo
fa. Purtroppo sui social certe persone possono manipolare e fuorviare certe
notizie, indirizzandole su linee incomprensibili, creando equivoci e sospetti
infondati… Resto dell’idea, che la sorte dei Big One possa interessare a
qualche amico-fan-simpatizzante, ma certamente non siamo i Pink Floyd, e per
questo non meritiamo sotto certi aspetti tutto questo interesse, perdonatemi se
mi viene da ridere… Per quanto riguarda il futuro, ho creato un nuovo logo per
la band, viste le continue indicazioni che ci pervenivano da varie direzioni.
Il vecchio logo era considerato da molti, brutto, inadeguato e cupo. A tutto il
gruppo è piaciuto il mio progetto, e quindi per i prossimi concerti saremo già
pronti! Perciò, un saluto a tutti e cerchiamo di guardare alfuturo con un sano ottimismo, nella
speranza che Leonardo non venga mai colpito dal più piccolo dei raffreddori…
resta sempre lui, il nostro diamante insostituibile …
MAT – Visto il
vostro simpatico spirito e per l’amicizia che ci lega, abbiamo pensato di
chiudere queste nostre “chiacchiere veronesi” con questa ultima richiesta, naturalmente
se siete d’accordo… Stefano parlaci del tuo amico, e tu Gian Paolo, fai
altrettanto!
STEFANO- Quando
sono rientrato nel gruppo dopo una breve assenza, il Giampy (così viene
chiamato da tutti noi), era già operativo. Avevo capito immediatamente che pur
non essendo un musicista era diventato una figura fondamentale. Ancora adesso
non riesco a capire come faccia a gestire tante cose contemporaneamente.
Durante lo spettacolo ha il delicato compito di “lanciare” i video, durante
l’esecuzione dei nostri brani, e il giorno dopo ti ritrovi sui social il
reportage con le sue foto e video del concerto … incredibile! E’ un grande
amico, sincero, onesto che non ha peli sulla lingua e perciò non te le manda a
dire. Siamo entrati subito in sintonia, anche perché la batteria è lo strumento
che adora e che vorrebbe suonare (per il momento si accontenta di darmi una
mano nello smontaggio alla fine di ogni concerto). E’ a tutti gli effetti il
componente dei Big One alla regia dello spettacolo, è lui che realizza e
produce i video per i nostri concerti. Ha la responsabilità di controllare ogni
benché minimo dettaglio, e noi che siamo sul palco ci sentiamo in buone mani
nel vederlo attento nella sua postazione, logico che se poi qualcosa non
funziona … la colpa è sempre sua (ride). E’ una persona molto meticolosa con
una testa sempre in continua evoluzione, mi piace la sua calma e la sua umiltà,
sa farsi voler bene perché sempre disponibile a risolvere qualsiasi problema,
ha uno spiccato senso della comunicazione e in questi anni è riuscito ad
organizzare diversi concerti per il gruppo e già questo non è poco, se non
ricordo male dovrebbe esserci il suo zampino anche in quello straordinario
concerto ligure di due anni fa o sbaglio? A parte questo posso dire che è l’amico che
tutti vorrebbero avere, grande Giampy! Visto che questa è l’ultima domanda,
vorrei cogliere l’occasione per abbracciare tutti i lettori e gli amici di MAT,
ringraziando voi della redazione in modo particolare, per la vostra grande
sensibilità, un grande ciao da Stefano Raimondi.
GIAMPY – Quando
Stefano è rientrato ho capito subito la differenza. Un batterista è come le
fondamenta di un gruppo, come il portiere di una squadra di calcio: se il
portiere è scarso, la difesa si sentirà meno sicura. Se Leonardo De Muzio
(chitarra solista e voce n.d.r.) è il diamante, Stefano è il portiere che da
sicurezza e serenità a tutta la band. Ragazzo straordinario, sempre positivo
con il quale mi lega una grande amicizia. Se in tour devo scegliere il compagno
ideale per dividere la stanza d’albergo, scelgo sempre lui. Mi piace la sua
calma serafica, mai una parola fuori dalle righe o una polemica. Ad entrambi,
interessa solo la passione e la voglia di fare musica coinvolgendo il pubblico
che viene ai nostri concerti, e poi… ci divertiamo veramente alla grande. Molto
spesso mi sento chiedere se Stefano è il migliore batterista in circolazione
nel suo genere. Personalmente non amo le classifiche e rispetto tutte le
tribute sparse nel nostro paese, perché chi ha la fortuna di saper suonare, ha
il sacrosanto diritto di farlo, sarà il pubblico eventualmente a fare una
scelta. Recentemente ho letto una dichiarazione di Cristina Scabia dei Lacuna
Coil, dove in un’intervista, parlando in merito alla nuova line-up del gruppo,
a proposito del batterista dice: “Ryan
Folden è con noi da otto anni, ha iniziato come tecnico della batteria di Criz
e oggi ha finalmente guadagnato il suo posto nella band. Ha dato un bel
contributo stilistico. Qualcuno su FB mi ha chiesto se non ci fosse un
batterista italiano all’altezza. Probabilmente ce ne sono anche più bravi, ma
Ryan è la persona giusta. Quando un gruppo deve passare tanto tempo on the road
come facciamo noi, esistono fattori umani e caratteriali che contano molto”.
Ecco, perché secondo me, Stefano
Raimondi è la persona giusta, oltre che ad essere un bravo batterista, porta
con se dei valori umani che non hanno prezzo, e questo nel corso del tempo fa
sempre la differenza. Mi associo ai saluti di Stefano e vi abbraccio tutti con
affetto, (se indossiamo sempre con orgoglio la t-shirt di MAT è
perché ci sentiamo portatori di questa filosofia di vita, MAT è una famiglia
composta da persone che amano la musica e si dedicano a questo con grande
umanità), un abbraccio sincero, da Gian Paolo, SHINE ON!
Ripensando all’incontro, non posso che affermare: “Attenti a quei due!”
Il primo pensiero che mi è venuto in mente riascoltando Farfalle
in anteprima, brano anticipatore dell'album Miniature(che
ho avuto l’onore di ascoltare “dal vivo”, mentre il suono del magnifico
pianoforte Steinway gran coda veniva catturato, risucchiato dall’avveniristico
sistema di microfoni utilizzato per l’occasione), è quello che ho scambiato al
telefono con Gianni Nocenzi mentre in macchina, di notte, rientravo a casa da Roma a
Ferrara: “In quale reparto credi potrebbe
essere collocato il tuo nuovo lavoro? Dove lo dovrò andare a cercare? Tra il
Progressive? Nella Classica?”.
La domanda era fatta per riderci sopra, naturalmente,
conoscendo bene l’avversione di Gianni per le etichette e, una volta di più, la
difficile collocazione, anche in senso strettamente artistico, di questo grande
lavoro pianistico.
“Tranquillo Anto, una
copia te la do io”, mi sento rispondere con tono rassicurante e un pò
burlone. Un modo geniale per glissare la domanda…Ma è una domanda meno banale
di quanto possa sembrare, perché le etichette, si sa,vengono utilizzate per
comodità, per pigrizia, per evitare di approfondire, di ascoltare, di capire; per
cercare nel solo scaffale che interessa, e ignorare gli altri. Ma stavolta è
possibile utilizzare una sola etichetta:“Gianni Nocenzi”. Punto. Chi già sa, chi
già conosce, non ha bisogno di indicazioni per trovare la strada, sa bene dove
sta andando; chi vuole capire meglio, o chi è solo curioso, non perda tempo a
cercarle, perché stavolta saranno tutte sbagliate. O meglio, saranno inadeguate
a condurre l’ascoltatore verso il racconto che Gianni ci narra attraverso il
suo canale preferenziale di comunicazione, fatto di pianoforte e di tecnologia.
Tre elementi sono alla base di questa storia, che poi è la storia di Gianni
Nocenzi: il suo racconto, il pianoforte, la tecnologia. Sembrano cose
imparentate solo alla lontana, eppure coesistono e danno vita a un’esperienza
(termine oggi purtroppo abusato, utilizzato per le minuzie: esperienza di
navigazione, esperienza d’uso… ogni reazione a un qualunque stimolo che ci
arriva da questo mondo di apparenze vacue sembra ormai dover essere misurata in
termini di “esperienza”) unica, del tutto naturale. Gianni ci vuole raccontare
sé stesso, il suo mondo, con uno strumento che potenzia, ampliandole, le
possibilità di espressione.
Ma una parte inscindibile di questo suo mondo è la
tecnologia, la supertecnologia, cui ha dedicato grande parte della sua vita professionale
e artistica. Per cui, il messaggio arriva carico di connotati anche sonori,
spaziali, di profondità, di focalizzazione, ciascuno dei quali ha una ragione comunicativa
e una valenza semantica ben precisa, e che rendono ancora più coerente il
messaggio con le caratteristiche umane dell’artista: precisione,
appropriatezza, misura, passione, cura per i dettagli. Sperimentare, sempre. Mentre
suona, in realtà Gianni sta comunicando, e lo si capisce bene: lo Steinway non
sta solo suonando, sta parlando. Sta raccontando un insieme di visioni, di
sensazioni, di ricordi e di aspirazioni, sta srotolando e riavvolgendo nastri,
si sta facendo beffe del tempo e dello spazio, sta dicendo tutto quello che sa.
Ora si preoccupa per quello che in un qualche tempo, vicino o lontano, ha
portato nubi scure; ora si apre nel sorriso per le giornate serene, ora parla
sottovoce di speranze e di sogni, poi si imbizzarrisce all’improvviso per
qualche accidente che proprio non ci voleva… Subito dopo i martelletti tornano
a colpire lievemente le corde, fino a farle muovere appena, per un sussurro
all’orecchio, per piangere in silenzio il ricordo di un amico.Il volto di
Gianni non cambia espressione, non serve. Ci pensa il pianoforte, che sembra
collegato via MIDI direttamente alla sua testa, tanto la tecnica esecutiva è
impeccabile. Dai pianissimi ai fortissimi, con dei “crescendo” che sembrano
arrestarsi solo un attimo prima dell’esplosione delle corde, facendo suonare
tutta la tastiera (cifra caratteristica del pianismo di Gianni), dal primo
all’ultimo tasto, ché nessuno si senta trascurato! Alla fine dell’ascolto si
rimane per un po’ senza fiato, come se la ricezione del messaggio avesse
impegnato tutte le nostre risorse (lasciatemi attingere al lessico
computeristico, che non mi piace ma rende bene l’idea), e fossimo ancora lì con
la clessidra che gira e rigira nella testa in attesa che i sensi ritornino a
posto e i pensieri possano tornare a scorrere… Se mai avverrà. Di certo, rimarrà
un segno indelebile. Mi ci è voluto qualche giorno per riprendermi del tutto. Oppure,
al contrario: qualche giorno è durato l’effetto catartico di questa esperienza,
prima che la vita quotidiana con le sue scocciature e inutilità riconquistasse il
sopravvento. Gianni ha suonato tutti i pezzi in neanche due sessioni di
registrazione, praticamente alla “buona la prima”. Questo rende ancora più
autentico e sincero il suo lavoro, eseguito in un contesto al massimo livello
della tecnologia, con il contorno affettuoso della sua famiglia, di Vittorio,
dei suoi colleghi di lavoro storici, dei fonici di fiducia e di pochi amici. In
certi momenti sembra baluginare dal passato l’immagine e l’atmosfera del salotto
di Schubert, con gli amici seduti intorno ad ascoltarlo ed ammirarlo; ma subito
l’immagine svanisce per far posto alle barre di led dei Vu meters, alle pareti
di vetro fonoimpedenti, al “ragno” di microfoni per la ripresa 5.1 appollaiato
giusto sopra la testa dell’esecutore. Impossibile e improprio raccontare o
commentare i contenuti delle sei tracce di Miniature:
lontanodall’idea della “musica a programma”, ovvero della sinergia tra diverse
forme di espressioni in cui la musica, per essere meglio compresa, debba essere
“spiegata” o comunque supportata da un commento che descrive l’ispirazione del
compositore, Gianni Nocenzi ci lascia completamente liberi di far risuonare il
nostro spirito con le sue note, con la certezza che nulla meglio delle note
stesse potranno riportare in modo autentico il suo messaggio.Gli stessi titoli,
cui a volte un artista affida il suo manifesto programmatico, non hanno il
compito di prepararci o di guidarci all’ascolto. Semmai, se proprio vogliamo
approfondire, ci sottopongono a una sorta di piccolo indovinello, non facilissimo
da risolvere…Dal punto di vista tecnico, per quanto sia stata presa in
considerazione la possibilità di ascolto attraverso i diversi mezzi di
comunicazione e riproduzione ad oggi disponibili, sono dell’avviso che ci si
debba mettere all’ascolto di Miniature
con il migliore impianto di cui si dispone o, al limite, con una cuffia di alta
qualità per poter apprezzare tutti i dettagli che, più sono minuti, più sono
importanti. La sensazione, grazie anche all’attrezzatura e alla tecnica di
ripresa accuratamente impostata da Gianni, è quella di sentire il pianoforte in
modo nuovo, molto vicino a come lo percepisce il musicista che lo suona. Gianni
Nocenzi è tornato. In realtà non è mai stato troppo lontano, ha solo avuto un
po’ da fare per poterci stupire meglio. Buona Esperienza
Il primo pensiero che mi è venuto in mente riascoltando Farfalle
in anteprima, brano anticipatore dell'album Miniature(che
ho avuto l’onore di ascoltare “dal vivo”, mentre il suono del magnifico
pianoforte Steinway gran coda veniva catturato, risucchiato dall’avveniristico
sistema di microfoni utilizzato per l’occasione), è quello che ho scambiato al
telefono con Gianni Nocenzi mentre in macchina, di notte, rientravo a casa da Roma a
Ferrara: “In quale reparto credi potrebbe
essere collocato il tuo nuovo lavoro? Dove lo dovrò andare a cercare? Tra il
Progressive? Nella Classica?”.
La domanda era fatta per riderci sopra, naturalmente,
conoscendo bene l’avversione di Gianni per le etichette e, una volta di più, la
difficile collocazione, anche in senso strettamente artistico, di questo grande
lavoro pianistico.
“Tranquillo Anto, una
copia te la do io”, mi sento rispondere con tono rassicurante e un pò
burlone. Un modo geniale per glissare la domanda…Ma è una domanda meno banale
di quanto possa sembrare, perché le etichette, si sa,vengono utilizzate per
comodità, per pigrizia, per evitare di approfondire, di ascoltare, di capire; per
cercare nel solo scaffale che interessa, e ignorare gli altri. Ma stavolta è
possibile utilizzare una sola etichetta:“Gianni Nocenzi”. Punto. Chi già sa, chi
già conosce, non ha bisogno di indicazioni per trovare la strada, sa bene dove
sta andando; chi vuole capire meglio, o chi è solo curioso, non perda tempo a
cercarle, perché stavolta saranno tutte sbagliate. O meglio, saranno inadeguate
a condurre l’ascoltatore verso il racconto che Gianni ci narra attraverso il
suo canale preferenziale di comunicazione, fatto di pianoforte e di tecnologia.
Tre elementi sono alla base di questa storia, che poi è la storia di Gianni
Nocenzi: il suo racconto, il pianoforte, la tecnologia. Sembrano cose
imparentate solo alla lontana, eppure coesistono e danno vita a un’esperienza
(termine oggi purtroppo abusato, utilizzato per le minuzie: esperienza di
navigazione, esperienza d’uso… ogni reazione a un qualunque stimolo che ci
arriva da questo mondo di apparenze vacue sembra ormai dover essere misurata in
termini di “esperienza”) unica, del tutto naturale. Gianni ci vuole raccontare
sé stesso, il suo mondo, con uno strumento che potenzia, ampliandole, le
possibilità di espressione.
Ma una parte inscindibile di questo suo mondo è la
tecnologia, la supertecnologia, cui ha dedicato grande parte della sua vita professionale
e artistica. Per cui, il messaggio arriva carico di connotati anche sonori,
spaziali, di profondità, di focalizzazione, ciascuno dei quali ha una ragione comunicativa
e una valenza semantica ben precisa, e che rendono ancora più coerente il
messaggio con le caratteristiche umane dell’artista: precisione,
appropriatezza, misura, passione, cura per i dettagli. Sperimentare, sempre. Mentre
suona, in realtà Gianni sta comunicando, e lo si capisce bene: lo Steinway non
sta solo suonando, sta parlando. Sta raccontando un insieme di visioni, di
sensazioni, di ricordi e di aspirazioni, sta srotolando e riavvolgendo nastri,
si sta facendo beffe del tempo e dello spazio, sta dicendo tutto quello che sa.
Ora si preoccupa per quello che in un qualche tempo, vicino o lontano, ha
portato nubi scure; ora si apre nel sorriso per le giornate serene, ora parla
sottovoce di speranze e di sogni, poi si imbizzarrisce all’improvviso per
qualche accidente che proprio non ci voleva… Subito dopo i martelletti tornano
a colpire lievemente le corde, fino a farle muovere appena, per un sussurro
all’orecchio, per piangere in silenzio il ricordo di un amico.Il volto di
Gianni non cambia espressione, non serve. Ci pensa il pianoforte, che sembra
collegato via MIDI direttamente alla sua testa, tanto la tecnica esecutiva è
impeccabile. Dai pianissimi ai fortissimi, con dei “crescendo” che sembrano
arrestarsi solo un attimo prima dell’esplosione delle corde, facendo suonare
tutta la tastiera (cifra caratteristica del pianismo di Gianni), dal primo
all’ultimo tasto, ché nessuno si senta trascurato! Alla fine dell’ascolto si
rimane per un po’ senza fiato, come se la ricezione del messaggio avesse
impegnato tutte le nostre risorse (lasciatemi attingere al lessico
computeristico, che non mi piace ma rende bene l’idea), e fossimo ancora lì con
la clessidra che gira e rigira nella testa in attesa che i sensi ritornino a
posto e i pensieri possano tornare a scorrere… Se mai avverrà. Di certo, rimarrà
un segno indelebile. Mi ci è voluto qualche giorno per riprendermi del tutto. Oppure,
al contrario: qualche giorno è durato l’effetto catartico di questa esperienza,
prima che la vita quotidiana con le sue scocciature e inutilità riconquistasse il
sopravvento. Gianni ha suonato tutti i pezzi in neanche due sessioni di
registrazione, praticamente alla “buona la prima”. Questo rende ancora più
autentico e sincero il suo lavoro, eseguito in un contesto al massimo livello
della tecnologia, con il contorno affettuoso della sua famiglia, di Vittorio,
dei suoi colleghi di lavoro storici, dei fonici di fiducia e di pochi amici. In
certi momenti sembra baluginare dal passato l’immagine e l’atmosfera del salotto
di Schubert, con gli amici seduti intorno ad ascoltarlo ed ammirarlo; ma subito
l’immagine svanisce per far posto alle barre di led dei Vu meters, alle pareti
di vetro fonoimpedenti, al “ragno” di microfoni per la ripresa 5.1 appollaiato
giusto sopra la testa dell’esecutore. Impossibile e improprio raccontare o
commentare i contenuti delle sei tracce di Miniature:
lontanodall’idea della “musica a programma”, ovvero della sinergia tra diverse
forme di espressioni in cui la musica, per essere meglio compresa, debba essere
“spiegata” o comunque supportata da un commento che descrive l’ispirazione del
compositore, Gianni Nocenzi ci lascia completamente liberi di far risuonare il
nostro spirito con le sue note, con la certezza che nulla meglio delle note
stesse potranno riportare in modo autentico il suo messaggio.Gli stessi titoli,
cui a volte un artista affida il suo manifesto programmatico, non hanno il
compito di prepararci o di guidarci all’ascolto. Semmai, se proprio vogliamo
approfondire, ci sottopongono a una sorta di piccolo indovinello, non facilissimo
da risolvere…Dal punto di vista tecnico, per quanto sia stata presa in
considerazione la possibilità di ascolto attraverso i diversi mezzi di
comunicazione e riproduzione ad oggi disponibili, sono dell’avviso che ci si
debba mettere all’ascolto di Miniature
con il migliore impianto di cui si dispone o, al limite, con una cuffia di alta
qualità per poter apprezzare tutti i dettagli che, più sono minuti, più sono
importanti. La sensazione, grazie anche all’attrezzatura e alla tecnica di
ripresa accuratamente impostata da Gianni, è quella di sentire il pianoforte in
modo nuovo, molto vicino a come lo percepisce il musicista che lo suona. Gianni
Nocenzi è tornato. In realtà non è mai stato troppo lontano, ha solo avuto un
po’ da fare per poterci stupire meglio. Buona Esperienza
Feci questo ritratto di te nel 2008,
dopo averti conosciuto di persona. Un incontro con te era stato il mio regalo
del diciottesimo compleanno, e l'abbiamo passato insieme, chiacchierando per
ore di ciò che importa davvero, in uno dei più bei pomeriggi della mia vita.
Non ho mai avuto il coraggio di spedirtelo e adesso non potrò più farlo perché
te ne sei andato a tradimento, contraddicendoti, come ti piaceva fare.
È proprio vero, Francesco, gli Dei se
ne vanno e gli arrabbiati restano. Già mi manchi tantissimo.
Leonardo Duranti
"Sono io la
bestia un sogno di libertà
un
pensiero nero che fai e non dici mai
sono
i mille amori pronti quando li vuoi
sono
un pugno in faccia
che
pensi ma non dai.."
C’è ancora tanta rabbia,
per la tua assenza... fisica
Ci sarai sempre. Buon
viaggio Capitano!... E buon compleanno in anticipo.
Wazza
Il ricordo di Tony
Pagliuca
"L'ho conosciuto bene dopo
gli anni del successo", ha ricordato l'ex tastierista de
Le Orme Tony Pagliuca, "perché ai nostri tempi c'era poco
dialogo tra noi musicisti rock, purtroppo, a causa di una rivalità smisurata
amplificata dalle polemiche causate da certi giornalisti, che quando ti
intervistavano piazzavano sempre una domanda del tipo 'Hanno detto che non
sapete suonare’, e finivano per spostare sempre le interviste dal piano
musicale e dei contenuti a quello personale. Mi rammarica molto che fra noi
musicisti in quell’epoca non ci sia stata una bella amicizia. Ma per fortuna l’ho recuperata dopo, negli anni ‘90,
quando abbiamo anche suonato assieme, Francesco ed io, all’Auditorium di Roma, dove lui cantò
'Sguardo verso il cielo'. Poi ci siamo sentiti molte altre volte per telefono.
Era un amico sincero, un musicista che ha fatto la storia, uno tutto di un
pezzo, un grande che sul palco portava anche il suo pensiero di uomo e che
aveva anche un impegno sociale che, associato a quello musicale, lo rendeva
veramente completo. Il fatto che sia morto relativamente giovane, in un
incidente stradale, ci sottrae nel pieno della sua attività una persona che ha
dato tanto alla musica e all’arte di questo paese, un esempio di coerenza e di umiltà".
"Mio
fratello è figlio unico, perchè è convinto che Chinaglia non può passare
al Frosinone"
(Rino Gaetano)
Con l'augurio che il Frosinone torni in A
(popolo a me molto simpatico), torna oggi il campionato di calcio.
Con la speranza che non diventi sfogo per
decerebrati, che dimenticano i veri problemi e si incazzano per un gioco!
Sono stato un grande ammiratore, e
discreto giocatore, di questo bellissimo sport, quando i valori erano la
partecipazione, "fare squadra" e l'altruismo.
Ormai è solo "business", fare
cassa, non ci sono più le "bandiere", i giocatori simbolo, uno su
tutti Gigi Riva.
In allegato, per fantasticare, alcuni team
che a noi rockettari, piacerebbe vedere in campo.
Buon divertimento
Wazza
In questa foto, da sin. in alto: Mita Medici, Vasso Ovale, Franco Califano
(capitano), Erminio Salvaderi (Pepe dei Dik Dik), Don Backy, Jimmy Fontana,
Nada.Sotto da sx: Paolo Mengoli, Massimo Ranieri, Sergio Di
Martino (I Giganti) mancato a soli 49 anni nel 1996, Armando Savini, Giancarlo
Sbriziolo (Lallo dei Dik Dik), Tonino Cripezzi (I Camaleonti) e Sergio Leonardi.
Nella foto: in piedi da sinistra: Mauro
Pagani(il secondo) Giorgio Piazza(il
quarto) Flavio Premolii(il settimo). Franz di Cioccioallenatore
(lo riconosciamo dalla maglietta bianca). In basso a sinistra: Francone Mussida.
Lunga e diritta correva la strada... Quante volte ci siamo riconosciuti nel testo di una canzone, rivivendo le stesse emozioni, le stesse dinamiche, le situazioni, le parole pronunciate come in uno specchio riflesso. La musica con la sua alchimia sa regalarci anche questo, e molto spesso ci soffermiamo a riflettere sul testo appena ascoltato… La strada è un argomento che ricorre spesso nelle canzoni, e qui la possiamo trovare descritta, condita di molteplici sfumature, e densa di significati. La troviamo gonfia di speranza, proiettata nel futuro, oppure triste nel segno di un addio, o felice per un inaspettato ritorno, e purtroppo… tragica, come nella conosciuta “Canzone per un’amica”, nota come “In morte di S.F.” di Francesco Guccini, scritta e pubblicata nell’ormai lontano 1967, all’interno del suo primo album, “Folk Beat n.1”, e successivamente dai Nomadi di Augusto Daolio, nell’album omonimo. La canzone è dedicata a Silvana Fontana, una carissima amica del buon Francesco, morta in un tragico incidente stradale.
Il sinistro che fu all’origine della canzone avvenne alle ore 15 del 2 agosto 1966, sull’autostrada del Sole. A circa 10 km dal casello di Reggio Emilia, la Rover 2000 su cui viaggiava Silvana Fontana con il fidanzato, improvvisamente invase la corsia opposta, valicando l’aiuola spartitraffico, scontrandosi frontalmente con la fiat 500 di due signori bolognesi, che morirono sul colpo, mentre Silvana spirò tre ore dopo, nel nosocomio del vicino capoluogo provinciale. L’unico a salvarsi fu il fidanzato. Nel testo della canzone, Silvana viene descritta come una ragazza allegra che affronta un viaggio in autostrada col suo fidanzato accanto, in una giornata tipicamente estiva. Viene messo in evidenza il dramma di come una bella giornata possa tramutarsi in una tragica storia di morte. Guccini si domanda cosa abbia provato Silvana nel momento fatale dell’incidente che segue immediatamente la fine della sua vita. Non volendo soffermarsi troppo sulla disgrazia, lancia un grido di speranza, cioè sperare che la dolce amica possa, magari da lassù, ascoltare ancora le sue canzoni e sorridere …
La storia racconta che il titolo originale della canzone era: “In Morte di S.F.“, ma venne censurato pesantemente, infatti l’ANAS per evitare una cattiva pubblicità in tema di sicurezza stradale fece enormi pressioni per cambiarlo, e così il titolo definivo divenne
“Canzone per un’amica”.
Cari amici, tenete a mente questo interessante dettaglio, cioè l’Anas (Azienda Nazionale Autonoma delle Strade), società per azioni fondata nel 1948, avente per unico socio il Ministero dell’Economia e delle Finanze che gestisce la rete stradale e autostradale, sotto la vigilanza tecnica e operativa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, esercita forti pressioni per censurare una canzone. Forse non esistevano ancora le barriere protettive che ci sono adesso, certo è che un aiuola non può ritenersi sicura allo scopo di dividere un percorso autostradale. Ci saranno state allora delle chiare responsabilità da parte di qualche ente? Non potremo mai saperlo, il fatto certo è che la povera Silvana e i due signori bolognesi persero la vita in quel tragico giorno di agosto del 1966, una delle tante storie che riguardano le vittime della strada.
Siamo arrivati al 2016, nel frattempo le automobili sono aumentate, ricche di tecnologia e dotazioni particolari e sofisticati dispositivi inerenti alla sicurezza stradale. Nonostante questo, il numero di incidenti sulle nostre strade è un problema, come la stessa sicurezza stradale. Oltre 180mila gli incidenti stradali con lesioni a persone, quattromila i morti, quasi 260mila i feriti. Le chiamano “vittime della Strada”, in realtà sono le vittime dei delinquenti della strada: di chi corre troppo, di chi si mette alla guida ubriaco o sotto l’effetto di droghe, o di chi si distrae mentre si trova intento a messaggiare o a navigare con l’inseparabile smartphone.
Ho voluto presentare questo articolo con questa prefazione, parlando dei vari risvolti di una strada, perché tutti noi, cari amici lettori siamo protagonisti della strada, ci rechiamo al lavoro, portiamo i figli a scuola oppure ci rechiamo ad un concerto… Quanti di noi hanno perso amici, conoscenti o addirittura famigliari, a causa di questi tristi eventi! Da anni numerosi associazioni in Italia si sono battute contro questa piaga, chiedendo che venisse istituito il reato di omicidio stradale, con annesse modifiche al codice della strada, richiedendo maggiori controlli e prevenzione. Uno degli artefici e dei protagonisti di questa lunga battaglia durata più di un decennio, è il dott. Alberto Pallotti, diventato nel corso degli anni Segretario Nazionale AUFV (Associazione Unitaria Familiari Vittime della strada). Ho pensato fermamente che questo argomento così delicato e importante potesse essere di enorme interesse per tutti voi, ringrazio la redazione di Mat2020 per la grande opportunità che mi è stata offerta, perché sappiate che l’informazione e la sensibilizzazione del problema può diventare senza ombra di dubbio una speranza concreta nel raggiungimento dell’obbiettivo primario: salvare delle vite umane. Ecco a voi la strada che mi ha portato a conoscere il caro amico Alberto.
(Da sx
Alberto Pallotti e Gian Paolo Ferrari, al termine della nostra chiacchierata ,
con grande entusiasmo, ha indossato la nostra mitica t-shirt).
IN UN PAESE SORDO E CIECO: LA LUNGA E DIFFICILE STRADA CHE HA PORTATO
ALLA VITTORIA DI UN CITTADINO SPECIALE… ALBERTO PALLOTTI. La civiltà e il senso civico di un popolo, si possono sicuramente
valutare anche e soprattutto dal comportamento che gli automobilisti mantengono
sulla strada. E qui purtroppo dobbiamo essere onesti e sinceri, viviamo in un
paese molto incivile! Per la professione che svolgo, mi posso ritenere un
credibile e autorevole testimone, mio malgrado, di quello che ho appena
affermato. Passaggi con il semaforo rosso, mancate precedenze, invasioni di
corsie, transito non consentito su corsie preferenziali, biciclette, motorini
in contromano, sorpassi azzardati, uso incondizionato del cellulare… insomma un
vero festival delle infrazioni stradali; per non parlare della velocità, che
diventa la vera e unica causa di questo lungo e poco edificante elenco. Tenete
presente, che non sto parlando di comuni distrazioni stradali, queste possono
anche succedere e fanno parte della casistica umana del nostro vivere
quotidiano, come scivolare dalle scale, o inciampare su di un marciapiede,
rompere un vetro ecc. ecc. La mia riflessione
caso mai, punta il dito contro il nostro modo di vivere, il nostro stile di
vita, troppo spesso condizionato dalla fretta. Siamo sempre di corsa, il tempo è diventato per noi un
vero problema, un nemico da abbattere, e la velocità diventa una logica
conseguenza di tutto ciò; a tal punto che anche i limiti imposti dal codice
della strada diventano fastidiosi optionals da usare in casi estremi, vedi
autovelox o avvisi dell’ultima ora. Con queste premesse diventa fisiologico che anche i giovani neo-patentati
si adeguino a questa situazione; e così nel corso degli anni, con l’aumento
spropositato delle vetture in circolazione sulle nostre strade, anche gli
incidenti in sostanza (guardando e analizzando le statistiche) sono aumentati a
dismisura, ma il dettaglio più drammatico è che molto spesso non si parla di
normali o banali sinistri, ma di autentiche stragi stradali. E qui cominciamo
ad entrare su di una tematica molto delicata e importante, infatti le leggi a
riguardo non sono mai state molto severe, o meglio, usando una terminologia
semplice, le sanzioni alla fine
diventano “abbastanza malleabili”, anche quando si comincia a parlare della
perdita di vite umane: credo non serva aggiungere altro in merito, dal momento
che è da molti anni che sentiamo parlare delle purtroppo famose e tragiche
“stragi del sabato sera”. Incommensurabile il numero di persone che ogni anno
perdono la vita sulle nostre strade, talvolta nelle maniere più assurde, molto
spesso per colpe altrui causate dall’abuso di alcool e dal comportamento
incivile che ho già dettagliatamente spiegato in precedenza, qui stiamo
parlando di veri omicidi stradali. Una legge non c’era, non esisteva, non era
mai stata pensata o programmata, fino a che, persone colpite da questi tragici
eventi, hanno cominciato a muoversi, a ribellarsi e a fare sentire alto il loro
grido disperato, la loro sete di giustizia, una giustizia vera, nel pieno
rispetto del valore di una vita umana che non potrà mai avere un prezzo…
Serviva una legge per cercare di porre fine a questo stillicidio, non è stato
facile ma dopo molti anni, siamo riusciti a raggiungere, o meglio, altri per
noi, sono riusciti a raggiungere questo grande obbiettivo: una legge specifica
che riguarda l’omicidio stradale. Sono persone comuni, normali cittadini, con
alle spalle esperienze tragiche, come la perdita dei propri cari, famiglie
distrutte che difficilmente potranno ritornare a vivere un briciolo di
normalità. Uno dei portavoce di queste associazioni si chiama Alberto Pallotti.
Ho avuto il piacere di conoscere Alberto (perdonate la confidenza, ma nel
frattempo siamo diventati grandi amici), nella serata di martedì 7 giugno c.a.,
durante il convegno organizzato da Uritaxi, per parlare e discutere appunto
sulle nuove normative del codice della strada inerenti all’omicidio stradale.
Quando guardi fisso negli occhi un uomo, e lui non cerca di abbassare lo
sguardo, ma di rimando contraccambia il tuo atteggiamento, allora vuol dire che
dietro la persona c’è spessore, sincerità, insomma… “un uomo con i giusti
attributi”. Siamo entrati immediatamente in sintonia, e vi posso garantire che
potrei scrivere un libro sulla sua vita, mi voglio solo limitare alla cosa più
importante che ho potuto toccare con mano (oltre al grande spessore umano):
Alberto ha 43 anni, sposato con la dolcissima Daniela, entrambi genitori degli
splendidi: Vernante (la primogenita), Raul, Teodorico e la piccola e
irriducibile Olimpia, una famiglia davvero fantastica. Ho pensato di
intervistarlo, e lui ha subito accettato con entusiasmo… Voglio avvisarvi che
il tema trattato è molto particolare e per certi versi drammatico. È un
racconto sincero e crudo, che in certi momenti sembra faccia uscire tutta la
rabbia di un uomo, nei confronti del tempo perduto, delle porte chiuse, delle
promesse non mantenute da parte di una certa politica, figlia di un paese sordo
e incivile, ecco a voi il mio caro amico AlberTO.
Lo scambio di battute...
Bene Alberto, vorrei
ringraziarti in anticipo per la tua cortese disponibilità. Dopo il tuo
intervento del 7 giugno, inerente alle tematiche del nuovo codice della strada
– omicidio stradale, devo confessarti che hai lasciato il “segno” , come si
dice in gergo, e quindi non potevo rinunciare a questa grande opportunità che
tu mi hai voluto dare, perciò potresti iniziare parlandomi di te, della tua
triste storia che ti ha visto, tuo malgrado, essere un protagonista ancora
prima di nascere delle vittime della strada.
Sono io che ti devo ringraziare
Gian Paolo per questa grande opportunità; quando mi hai proposto questa
intervista per MAT 2020 ho capito immediatamente che il tuo interesse, vista la
professione che svolgi, era sensibilmente sincero. Devo confessarti che mi ha
sorpreso positivamente questa tua duplice veste di tassista/giornalista; mi
piacciono le persone come te che si impegnano in queste attività, aggiungo che
avere la possibilità di raggiungere con l’informazione il maggiore numero di
persone è fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi.
Hai già colto nel segno, perchè è vero quello che dici: ancora prima di nascere
mi sono ritrovato con un copione già scritto che in futuro mi avrebbe segnato
per tutta la vita; andiamo con ordine. Mi chiamo Alberto Pallotti, e sono una vittima della strada. La mia famiglia, una bella famiglia, una ricca famiglia, è stata distrutta da un incidente stradale,
tanti anni fa. Mio padre, alla guida del suo autoveicolo, per evitare un
trattore che gli aveva tagliato la strada, è finito in un fosso. Sul trattore
c’era un uomo che non poteva guidare, in quanto sprovvisto di patente, quindi
non in regola. Il signore in questione, facendo un'inversione di marcia per poi
rientrare nella corsia( proprio mentre sopraggiungeva la macchina di mio
padre), non lasciò a lui scampo nella scelta, se non quella di provare a
schivarlo, per evitare la morte certa. La macchina, come detto prima, finì in
un fosso, a Felonica Po'. Il fratello di mio padre, Alberto Pallotti, seduto
accanto a lui, morì sul colpo, perché
sbattè la testa violentemente nella caduta. Mio padre riportò ferite
gravissime. Mia madre lo stava aspettando a casa. Invece ricevette la visita della
polizia che consegnava l'impermeabile di mio padre sporco di sangue, e a mia
madre fu detto che era morto suo marito, mentre invece era in ospedale. Mia
nonna Mafalda, che si trovava in ospedale per la frattura di un piede, nei
giorni successivi chiedeva notizie dei figli insistentemente, sino a quando non
fu più possibile nascondere il tragico fatto accaduto. Alla notizia che suo
figlio Alberto era morto il suo cuore non resse, e cadde in coma, morendo dopo
10 giorni di agonia. Mio nonno Gino, smise di vivere proprio quel giorno. La
perdita di Alberto già fu devastante, ma la morte dell'adorata moglie, il 31
dicembre del 1970, fu insostenibile. Egli chiuse tutte le posizioni aperte,
vendette la fabbrica che dava lavoro a tutta la nostra famiglia, anzi la
svendette, e si lasciò andare, morendo qualche tempo dopo. Io sono nato qualche
anno dopo, da un padre ferito nel corpo ma soprattutto nell'anima, e una madre
ferita ugualmente. Incredibilmente, forse mia madre patì le conseguenze
peggiori: purtroppo cadde in una depressione che la portò in clinica per molto tempo, togliendola anche
dal sottoscritto, e io fui a forza parcheggiato dai miei zii, dove sono vissuto
i primi anni della mia vita, senza papà ne madre vicini. Ho pensato e ripensato, non hai idea di quante volte, a quel maledetto
28 novembre, a quegli anni ‘70 che avevano portato morte e disperazione in una
famiglia favolosa, divisa tra Italia e Argentina, dove i miei nonni erano
andati nel dopoguerra a cercar fortuna. Per chi non ha vissuto tutto ciò è
impossibile descrivere quello che abbiamo passato, una tragedia che la mia
famiglia non ha saputo affrontare e ha portato la devastazione. Sono cresciuto
in questo clima di tristezza, anaffettiva, oblio che solo una famiglia
devastata internamente può offrire. Ho sempre colpevolizzato anche i miei
genitori, incapace da piccolo di capire perché
avessi dovuto pagare questo caro prezzo, chiedendo loro il perché mi
avessero messo al mondo. La risposta a questa domanda mi è stata chiara solo molti anni dopo. Come tutti i ragazzi feriti nell'anima, ma forti e orgogliosi, ho
fatto una strada che, visti i problemi, mi ha portato molto presto lontano
dalla famiglia di origine, bisognoso di una emancipazione da tutto quello
schifo, desideroso di formare una famiglia mia, per dare ai miei figli quello
che mi era stato negato, ossia una infanzia serena, protetto e amato dai miei
cari.
Certo che non deve essere stato facile
vivere sulla propria pelle tutto questo, mi sembra ovvio che questi “segni”
rimangano per sempre rinchiusi nel cuore e nella mente. E così già da
adolescente hai iniziato ad interessarti agli incidenti stradali, e alle
dinamiche conseguenti, diciamo che cominciavi ad arricchire il tuo bagaglio di
esperienza, e nello stesso tempo condividevi tutto il dolore e la sofferenza
che lo circondava.
E’ vero, il tuo pensiero conclusivo racchiude di per sé quello che
stavo vivendo, è giusta la tua descrizione del meccanismo in cui mio malgrado stavo
entrando. In verità devo confessarti che in generale gli incidenti stradali mi
avevano sempre "attirato", (negli anni ’80 ci fu l’inizio del problema
delle stragi sulla strada), e mentre i miei amici fuggivano davanti a una scena
visiva cruda e sconvolgente io mi avvicinavo inconsciamente, desideroso di capire,
di analizzare. Mi sono sempre informato di questi gravi fatti di cronaca,
cercando di capire quelle che sarebbero poi state le conseguenze (vista la mia
tragica esperienza), disperandomi internamente perché sapevo cosa stava per passare la famiglia della
vittima, di tutta la trafila delle cose orribili che stavano per vivere. Non
hai idea di quante ore ho dedicate a queste tematiche, sia leggendo i
quotidiani che pensando intimamente. Mi sono sempre fermato quando c'era uno
scontro, e non solo per portare il mio aiuto, quanto per vedere, toccare con
mano quello che era capitato ai miei familiari ma che io non ho mai vissuto
direttamente perché non ero ancora nato. Mi è sempre mancato quel pezzo della
loro sofferenza, avrei voluto esserci, avrei voluto aiutare a combattere.
Abbiamo perso tutto quel giorno, e loro erano da soli. Ho sempre dormito
pochissimo nella mia vita, 3/4 ore per notte, la mia testa è sempre stata persa
in quel momento in cui tutto cambia, quel momento dal quale non si può più
tornare indietro, quella fatalità, quella colpa che è inspiegabile, che lascia
un buco, un vuoto enorme, un rammarico devastante. Durante il giorno è più
facile non pensarci, ma di notte da soli, al buio, mi risulta quasi
impossibile.
Comprendo
il tuo stato d’animo, anch’io con la mia professione di tassista mi sono
trovato spettatore di qualche incidente stradale, il copione rimane sempre lo
stesso, i gesti le parole, sono immagini difficili da cancellare. Qualche volta
il pensiero mi torna nei confronti di queste persone … capita anche a te la
stessa cosa immagino.
Conosco in modo incredibile tutte le tragedie
della mia zona, e non solo. Le vittime non lo sanno, ma li penso moltissimo,
tutti. Ho visto scene tremende, impresse nella mia mente ho ricordi indelebili,
incancellabili, scolpiti nella pietra di una parte del mio cervello. E le
dinamiche, le frasi i pensieri “del dopo”, come in un’atroce sceneggiatura,
sono sempre le stesse… "Se solo
avessi avuto la possibilità di salutarlo, di baciarlo, di parlargli per un
ultima volta", "se lo avessi chiamato, fermato, poteva salvarsi, bastava un minuto prima… e forse non sarebbe
successo, perché proprio a noi?", sono le frasi che si rincorrono e
che sono simili per descrivere quel vuoto enorme.
Permettimi
Alberto questa riflessione, il lettore più attento potrebbe già pensare che non
sia poi così tanto normale che un giovane adolescente sia così fortemente
interessato alle tragedie stradali, anche tu immagino a quel tempo avrai
pensato qualche volta la stessa cosa, o no?
Non riuscivo a capire perché fossi così morbosamente attratto dalle
tragedie, così scuro dentro. L'ho capii
tempo dopo, precisamente il 30 giugno del 2002. Sicuramente Gian Paolo a
te questa data non ti ricorda nulla, ma il 30 giugno del 2002 è un
giorno-chiave, a mio avviso, in merito alla questione legata agli incidenti
stradali in Italia. Una domenica apparentemente normale, con l'eccezione che quello era il giorno
della finale dei mondiali di calcio: Brasile-Germania, l'anno di Ronaldo per
intenderci, e la finale fu anticipata, nessuno sa perché, di mezz'ora. Due
cugini di Verona, Massimiliano Tommasini (il"Pingio" per tutti, uno
dei miei più grandi amici) e Marco Bendinelli stavano tranquillamente guardando
la partita, ignari del fatto che quello sarebbe stato il loro ultimo giorno su
questa terra. Una volta finita la partita presero le moto intenzionati ad
andare al circuito di Misano Adriatica perché loro, che erano due ragazzi a
posto, sapevano divertirsi con coscienza, quindi… quando volevano correre andavano in circuito,
come è giusto che sia. Nonostante questo, ad Argenta, in provincia di Ferrara,
il destino aveva preparato la sua trappola: un camion che trasportava gabbie di
polli vuote ne perse una in curva, uccidendo sul colpo Massimiliano. Il cugino
Marco, che lo seguiva a breve distanza, colpendo la gabbia stesa per terra fini
nella corsia opposta dove un secondo camion di gabbie di polli transitava,
ponendo fine anche alla sua vita. Ecco, quello fu l'esatto momento in cui tutto
cambiò.
Comprendo
che la perdita di due grandi amici abbia potuto sconvolgerti, ma in che senso
tutto cominciò a cambiare, che cosa successe dopo.
Venni a conoscenza della tragedia il giorno dopo. Il meccanismo si stava innescando. Dopo un
primo momento di rabbia, di lutto, che mi ha portato per molto tempo al
cimitero, vicino a quella tomba carica di significato, mi fu chiaro cosa ero, e
quale sarebbe stata la mia missione nella vita. Sentivo dentro di me il forte
desiderio di aiutare la famiglia Tommasini, Alberto e Iole (i genitori del
Pingio), provando a farli stare meglio per cercare in tutti i modi di alleviare
in parte quell’immenso dolore. Mi fu difficile in un primo momento cercare di
mettere in pratica i miei buoni e sinceri propositi. Avvicinarsi ad una
famiglia così di recente colpita da un simile lutto è quasi impossibile. Ho
cercato di far sentire a loro vicini tutti gli amici, cercando nel corso degli
anni di onorare la memoria di quei due bravi ragazzi strappati troppo presto dai
loro affetti.
Impresa
difficile davvero, immagino che non fosse sufficiente tutto questo …
Infatti, non bastava, per quanti sforzi avessi
mai potuto fare anche questo non era sufficiente. Purtroppo mi dovetti
arrendere all'amara realtà, cioè, che nessuno mai avrebbe potuto portare
indietro Massimiliano e Marco, e gli amici o i conoscenti potevano voltare
pagina ed andare avanti, per i propri familiari era invece impossibile. Allora
ho pensato che mi restava un’ultima cosa
da fare: tentare di impedire che altri morissero.
E così
avevi terminato ormai il tuo percorso, e potevi essere pronto a portare a
termine il tuo progetto, cioè interessarti attivamente come Associazione
vittime della strada a queste gravissime e tragiche problematiche delle stragi
stradali.
Certamente,
ero consapevole che mi trovavo davanti ad un compito improbo, e forse un altro
obiettivo impossibile, ma ero molto pronto a lottare, a vendere cara la pelle
prima di arrendermi. Mi ero preparato tutta la vita per la verità,
inconsapevolmente, ma ero diventato capace, informato, preparato, sensibile: in
poche parole una macchina da guerra, la guerra alle stragi stradali. E ho
promesso a me stesso: fermerò questa vergogna nazionale, questa strage infinita
della quale nessuno parla, nessuno vuole accorgersene. E' una promessa che ho
fatto a mio zio Alberto, a mia nonna, mio nonno, mio padre e a Massimiliano.
Bene, credo sia arrivato il momento a questo
punto, di parlare dell’Associazione Italiana Famigliari Vittime della Strada, (AIFVS)
sorta, correggimi se sbaglio, verso la fine degli anni ’90, per arrivare poi ai
giorni nostri, con la nascita dell’Unione Italiana Sicurezza Stradale (UISS),
realtà importanti che da molti anni sostengono, assistono e divulganole tematiche inerenti a questo grande e grave problema.
L’AIFVS nasce nel 1998 con i comitati nazionali di
vittime della strada proposti dall’Avvocato Saladini, di Ascoli Piceno, al
Maurizio Costanzo Show. Assieme ad altri fondatori, tutte vittime, tra i quali
Marco Montanari, di Verona, marito di Rosanna e padre di Mattia ed Andrea, (tutti
uccisi da un pazzo a Nogarole Rocca, il 22 luglio del 1994), hanno fondato
l’Associazione famigliari e vittime della strada onlus, che era l’unica realtà
strutturata e nazionale presente sul territorio all’inizio del nuovo millennio.
Io mi sono avvicinato all’associazione nel 2004, cercando un modo di aiutare la
famiglia Tommasini, come precedentemente menzionato. Marco Montanari, che era
responsabile locale di Verona, mi chiese di prendere in mano la sua attività di
volontariato, perché la sua tragedia era un macigno che non gli permetteva più
di seguire come avrebbe voluto le altre famiglie colpite. Vedendo in me molto
entusiasmo, capendo che forse ero la persona giusta, mi chiese di aiutarlo. Un
grande onore, un grande privilegio ma anche una grande responsabilità. Io fui
titubante, in genere non mi piace apparire, ma lavorare nell’ombra. Tuttavia,
il movimento era un po’ fermo, stagnante, dopo la costituzione iniziale aveva
perso di incisività. Da lì iniziò la mia attività sul territorio, e poi nel
direttivo nazionale, sino al 2013, anno nel quale ho capito che non si poteva
solo custodire gelosamente la nostra conoscenza ed esperienza nella lotta alla
strage stradale, ma era necessario aprire a tutte le realtà che erano nate
grazie ad internet. Quei processi aggregativi che avevano portato una serie di
sigle dove ognuno lavorava in modo scoordinato, senza una regia. Facemmo un
grande incontro a Roma e furono invitati tutti quelli che si erano distinti per
iniziative e apparizioni locali e nazionali. Partì in quel momento l’Uiss
(Unione Italiana Sicurezza Stradale) ma ci sono voluti altri 2 anni per vedere
la nascita di una grande associazione di vittime, L’Associazione Unitaria
Familiari e vittime Onlus, l’Aufv,
della quale oggi sono il segretario nazionale. L’Aufv non racchiude solo
vittime della strada singole, ma anche vere e proprie associazioni. Al nostro
interno sono presenti quasi tutte le massime associazioni italiane che stanno
combattendo la strage stradale. A mio avviso un passo chiave per la lotta. E’
infatti grazie all’Aufv che abbiamo portato avanti questo grande progetto
dell’omicidio stradale, arrivando alla conclusione con il traguardo di questa
importantissima legge.
Non dobbiamo più avere paura, ormai il dado è tratto,
le associazioni, le vittime, ormai non possono più essere ignorate, calpestate,
come troppo spesso è accaduto in passato. Oggi le associazioni sono in grado di
farsi ascoltare e rispettare.
Immagino
che sarai partito con tanto entusiasmo, con tanta voglia di fare, e immagino
anche che avrai trovato qualche difficoltà sul tuo cammino e magari qualche
delusione, l’informazione in questi casi credo sia fondamentale, continua pure
la tua storia Alberto.
Noto che sei molto bravo ad anticipare i miei
pensieri… infatti, pensavo che almeno i mezzi di informazione avrebbero potuto
darmi una mano per denunciare questa silenziosa guerra che avevamo e abbiamo sulle nostre strade. Ma in
televisione, sui giornali, si sente parlare di tutto tranne che di questo
problema enorme, e provo rabbia per questo. Il problema più grave che abbiamo
nei paesi industrializzati, la principale causa di morte per i giovani, che
conta 50 mila decessi in Europa ogni anno e 1 milione nel mondo, e questo
tragico fenomeno viene liquidato come fosse un inevitabile tributo da pagare al
progresso. Basta fare spallucce e dire : "Purtroppo sono cose che capitano", un modo come un altro, per cercare di mettere tutti tranquilli,
nascondendo come sempre il vero problema, e ancora meno, la voglia di voler
trovare una soluzione per risolvere in parte tutto questo scempio di vite
umane.
Non posso
darti torto su questo, hai perfettamente ragione …
Aggiungo che quando poi vai a vedere il numero
dei morti lo devi moltiplicare per 3 e avrai il numero dei feriti gravissimi:
cerebrolesi, amputati, paralizzati, dializzati, trapiantati, persone che non
torneranno mai più a stare bene. Ma ti voglio portare un altro esempio per
farti capire meglio queste difficili dinamiche di comunicazione. Se (purtroppo)
avviene un attentato terroristico che produce 7 morti, i mezzi di informazione
giustamente, danno un ampio spazio a questa notizia, e così vedi poi la gente
accendere le candele… e poi metterle sui davanzali alla sera. Quando invece poi
muoiono 7 ragazze italiane su un autobus durante un trasferimento del progetto
universitario Erasmus, la notizia scorre veloce, senza incontrare particolare
solidarietà, o meglio, per i primi giorni diventa la notizia che aumenta
l’audience, e poi … ti chiedi: “ Che fine
avranno fatto quelle famiglie? Quale sarà stato l’epilogo di questa ennesima
strage stradale?”. Sono passati
diversi mesi … te lo dico io, sono rimaste da sole, come la mia.
Questo è
uno degli aspetti più tristi, il dimenticare, certamente per te sarà stato un
ulteriore stimolo, la consapevolezza che bisognava fare qualcosa di concreto,
ma è proprio da qui che inizia a crescere la consapevolezza che forse l’impresa
non sarà così facile, se non ricordo male …
Ricordi bene, cominciavo a metabolizzare quali
fossero le difficoltà, ma avevo ormai deciso che dovevo fermare tutto questo.
Mi sono avvicinato ad una delle più grandi associazioni italiane, trovando
persone simili che avevano vissuto simili tragedie, convinto che avrei in poco
tempo sistemato tutto, vista la gravità del problema e il mio livello di
determinazione. Pensavo ci sarebbero volute azioni eclatanti, bloccare strade e
autostrade, in una lotta come si faceva ai tempi degli anni ’60, per cercare di
fare capire le nostre ragioni con la forza della nostra voce. Invece ho trovato
il famoso ”muro di gomma”, o peggio le sabbie mobili, perché vedi, in tutta
sincerità ti devo confessare che anche tra noi vittime, purtroppo, il livello
di dolore è tale che non ti permette
quasi di avere voglia di lottare.
E la
conferma dei tuoi pensieri, se non
sbaglio, è arrivata proprio al primo importante appuntamento nel 2005 …
Esattamente, proprio nel 2005, anno del primo
presidio a Roma, eravamo forse in 10. Io ero allibito. Ci sono stati 300 Mila
morti negli ultimi 40 anni in Italia, forse di più, e 1 milione e mezzo di
feriti gravi ed eravamo solo in 10? Ma dove è la gente? È' stato forse il
momento più brutto, perché non mi aspettavo sarei stato sostanzialmente da
solo. Ci sono logiche, dinamiche, che per me, vittima laterale di una tragedia
erano incomprensibili. Forse i tempi erano immaturi, la politica e le
istituzioni ci scherzavano, giornali e TV pure, abbiamo vegetato anni a mandare
e-mail e fax senza ricevere risposte. Siamo stati una voce flebile, e
nonostante io avessi dentro la forza e l'energia di un leone, mi sentivo
imbrigliato da un sistema strano, farraginoso, che ha mille porte ma che quando
provavo ad aprirle, nello stesso tempo arrivava quel subdolo soffio leggero che
di rimbalzo le richiudeva.
2005-2010:
5 anni dopo, arriva la svolta, cinque anni lunghi, difficili, dove mi
raccontavi hai avuto più volte l’impressione di non farcela, e invece…
l’ennesimo fatto tragico cambia completamente lo scenario, questa volta era
stata coinvolta la persona sbagliata, spiegaci meglio nel dettaglio che cosa è
successo…
Erano passati cinque anni molto difficili, la mia
determinazione stava per crollare, ma nel 2010 succede un’altro fatto
gravissimo. Lorenzo Guarnieri, un giovane di 17 anni, viene falciato e ucciso
da un ubriaco, il 2 giugno a Firenze. Questo fu un altro momento di svolta
nella lotta alla strage stradale, a mio avviso forse quello più determinante.
Possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo, possiamo anche prenderci tutti il
merito di questa incredibile legge che segna un passo della nuova civiltà
italiana, ma il motore iniziale e determinante di questa legge è stata la
famiglia Guarnieri, assieme a quello che a quel tempo era il Sindaco di Firenze,
Matteo Renzi. Per un giusto riconoscimento direi che loro mi hanno dato un
grande aiuto nell’ideare e sostenere il progetto di un effettivo cambiamento
della legge denominandolo con il suo vero nome, cioè omicidio stradale. Posso
tranquillamente dire che se ipoteticamente avessimo lottato contro un nemico
invisibile che ha orchestrato e messo in scena la strage stradale, l'omicidio
di Massimiliano Tommasini e di Stefano Guarnieri, con il senno di poi, è
risultato il prodotto di due errori madornali, perché hanno segnato una
reazione incredibile a catena, che ha portato
a delle conseguenze incredibili ed efficaci. Senza ombra di dubbio erano
state uccise le persone sbagliate! Ovviamente, io e Stefano Guarnieri non siamo
le uniche persone che hanno contribuito questo incredibile passo, Roberto
Cocco, e suo zio Claudio Martino, Roberto Cona e sua moglie adorata Marina
Fontana, Rosario e sua mamma Francesca, Matteo e sua mamma Croce, Luigi e i
suoi genitori Biagio ed Elena, Mario e i suoi genitori Rosa e Giuseppe,
Gabriele Borgogni con la sua famiglia, le vittime dell'A16 e il loro
rappresentante Giuseppe Bruno, e tanti altri. Persone coraggiose, sempre
presenti, che sono state determinanti per arrivare alla legge. Come ho detto
prima, Nel 2005 non eravamo tanto considerati, nel 2014 invece, fu chiaro che
non eravamo più delle zanzarine, e che stavamo facendo sul serio.
La macchina da guerra era partita, ma qualche
ostacolo era ovvio dovesse incontrarlo, erano semplici dossi o montagne da
scalare?
Magari fossero stati semplici dossi (sorride
n.d.r.)… A questo punto, il sistema ha cominciato a notarci, e ha iniziato a
lanciare i propri anticorpi, a propria difesa, basti pensare che la
circolazione stradale è un affare enorme. Autostrade, pedaggi, vendita di
automobili, pezzi di ricambio, officine, vendita di moto, scooter, e
soprattutto la vendita di assicurazioni e benzina, la tassa sulla quale si
regge il nostro sistema. Ti faccio un esempio: mi fanno sorridere quelli che
dicono: "questi politici fanno
schifo, mandiamoli tutti a casa". Basterebbe smettere di fare benzina,
per fare fallire lo Stato, o meglio il “Sistema Italia”. In brevissimo tempo,
potrebbero essere già tutti a casa, ecco che allora e sottolineo solo allora si
potrebbe pensare di ripartire, in un altro modo ovviamente… Di fronte a questi
interessi, come puoi ben pensare che si possa presentare uno come me, in
Parlamento, al Senato, dai ministri e dire: "Egregi signori, la patente non è un diritto costituzionale, non è una
libertà improrogabile dell'individuo, ma una licenza data a chi è
veramente in grado di guidare un
autoveicolo". Perché un’altro problema dei nostri tempi è che ci sono
troppe patenti in giro, e troppe automobili, e il mondo corre troppo
velocemente. E’necessario ridurre prima di tutto la velocità, la fretta.
Dobbiamo limitare la circolazione stradale,ridurla.
L’esame della patente, per il rilascio e per il rinnovo, è quanto di più poco
serio esista. Non è credibile infatti un esame che viene passato da tutti! Ma
quando in caso di un incidente grave ti lamenti, chiedi i dati, delle risposte,
qui allora intervengono le maglie della burocrazia, che con i giusti metodi ti
imbrigliano. Perché alla fine la patente deve essere data a tutti, anche a
quelli incapaci di guidare, e ce ne sono tantissimi sulle nostre strade. Di
conseguenza revocare una patente, magari ad un recidivo ubriaco che è stato
trovato cinque volte positivo, è un concetto che non faceva presa sui nostri
legislatori, sino a poco tempo fa. Toccare la mobilità, la circolazione, le
patenti, in Italia era inconcepibile, come anche mettere i colpevoli di
gravissimi incidenti in galera, dove è giusto che stiano. Mi sono confrontato,
ho parlato a lungo con i nostri legislatori in merito a queste tematiche per
far capire loro che dovevamo pensare a un modo per intervenire con fermezza.
Era necessario studiare una fattispecie di reato in grado di prevedere certi
gravissimi comportamenti come dolosi invece che colposi. Non si doveva più
tollerare che chi uccide ubriaco, drogato, in contromano, quattro ragazzi
innocenti possa sostenere che in realtà non voleva farlo, che si è sbagliato.
Come quando si spara in mezzo alla folla, sarebbe ingiusto sostenere, e sperare
che un giudice ti creda, di non aver voluto uccidere. L'automobile è un arma,
ed esiste una fattispecie di reato che deve essere messo tra il colposo e il
volontario. Ho parlato con molte persone che ci rappresentano, come Schifani,
Giovanardi, Nitto Palma, con Francesco Paolo Sisto, tutte persone che hanno fortemente
osteggiato l'introduzione dell'omicidio stradale. Persone preparate, ma che non
sono riusciti a capire che la vecchia mentalità, quella degli anni ottanta,
novanta, non va più bene, che la strage è infinita e necessita di contromisure
urgenti, puntuali, efficaci.
Si sente
parlare spesso dei famosi “poteri forti”, quindi tu hai avuto l’opportunità di
toccare con mano questa realtà, nell’ambito del tuo progetto di modifica alla
legge, ci vuoi spiegare meglio?
Ovviamente! I poteri forti controllano, hanno
paura dei cambiamenti. E l'incidente stradale è anche un businnes enorme.
Questo nessuno te lo dirà mai, ma è così. Ho sentito anche frasi oscene seduto
in balconata al Senato, o alla Camera, come per esempio: ”che la vera vittima di un incidente è il colpevole, perché in fondo ha
la vita distrutta!”. Ragionare così vuol dire essere vecchi, di vecchia
concezione, inadatti a capire la realtà quotidiana, inadatti a governare e pronti
per il giusto riposo. Ed è qui che abbiamo dato il meglio di noi come
Associazione Vittime. La legge, siamo chiari, doveva saltare. L'attuale
maggioranza non aveva i numeri per portarla a casa, un onorevole dalla nostra
parte mi ha detto: "Se votiamo a
scrutinio segreto, non passa, perché abbiamo 1000 patenti contro". E
così è stato, e la legge è rimbalzata cinque volte tra le Camere, ed è stata
portata a casa con la fiducia, per due volte. Molti dei nostri amministratori
hanno sollevato problemi di incostituzionalità, hanno presentato moltissimi
emendamenti, hanno costretto la maggioranza a delle modifiche che hanno solo
peggiorato le cose. Ed è incivile che il governo abbia dovuto porre la fiducia
su questa legge che avrebbe dovuto vedere una approvazione all'unanimità. Il
metodo italiano, il bicameralismo perfetto, può intrappolare ogni iniziativa di
ogni tipo tra emendamenti, rinvii, piccole modifiche, che rendono ogniprocesso di cambiamento ingessato e pieno di insidie.
Se non fosse stato per Renzi, e per l'impegno preso con la famiglia Guarnieri e
con noi vittime, non avremmo mai avuto la legge 41/2106, che riguarda
l'omicidio stradale.
Non voglio
entrare in discorsi politici che non mi competono, ma ti posso comprendere in
quello che dici. Trovo che l’Italia sia un paese strano, molto spesso si sente
pronunciare dalla gente comune che: “ Questo paese non funziona perché non
esiste la certezza della pena, e perciò tutti fanno quello che vogliono perché
appunto non esiste giustizia”. In questa nuova legge che riguarda l’omicidio stradale,
finalmente abbiamo regole e pene certe, nonostante questo si sono scatenate
numerose polemiche… ci vuoi spiegare meglio questa strana situazione che si sta
creando?
Hai perfettamente descritto l’anomalia del nostro
paese, ci lamentiamo ma sembra quasi che alla fine dei conti qualcuno non
accetti di buon grado un cambiamento. E così adesso stiamo assistendo alla
strumentalizzazione politica, alle polemiche su giornali e media, a certi
convegni, vere e proprie crociate dei poteri forti che vogliono demolire questo
passo di civiltà. Per fare questo danno informazioni strumentali e tendenziose
per spaventare tutti, per mettere in cattiva luce questa legge. Certo, non è perfetta,
ma segnalatemi una legge che lo è, perché io non la conosco. La verità è che
questo impianto di legge non ha punti deboli o errori grossolani, meno che meno
l'incostituzionalità. La verità è che questa legge aiuterà a fermare la strage
stradale, riducendola. A mio avviso dimezzeremo i morti e feriti entro 10 anni,
già da adesso vedo dei cambiamenti. Qualche volta al bar sento dire: "Ehi! Non c’è più tanto da scherzare quando
guidi, attento a bere un bicchiere in più". Questa legge, cari lettori
di MAT, non è una limitazione della propria libertà, ma un passo di civiltà e
di rispetto nei confronti del prossimo. Come si può pensare di avere più paura
di perdere la patente, o di fare il carcere, piuttosto che di essere uccisi, o
gravemente feriti, magari da un ubriaco o drogato? 4000 morti l'anno, 10000
feriti gravissimi, ora, sulle nostra strade. Una scia di sangue irreale. Ma ti
rendi conto che in un momento, per colpa magari di un’ incosciente, puoi
rischiare di perdere tutto? E anche se fosse qualcuno che si è sbagliato, che
non ha visto, che stava telefonando, vale lo stesso ragionamento: perché non devi sbagliare se si tratta di una vita
umana, se si tratta di rischiare di distruggerla.
E allora
cominciamo ad entrare nei dettagli di questa nuova legge. Che cosa cambia?
Le cose che cambieranno sono molte… una su tutte:
se uccidi qualcuno, ubriaco, drogato, o lo ferisci gravemente, se lo fai
passando con il rosso, in contromano oppure a velocità doppia rispetto al
consentito, il carcere non lo puoi più evitare, perché la pena minima sotto la
quale il giudice non può scendere sono 5 anni. Se scappi dal luogo
dell'incidente, invece rischi sino a 18 anni di carcere e 30 di ritiro della patente. Sono state
inserite nella legge anche le ferite stradali, per la prima volta, e non sono
più legate alla querela di parte. Le denunce scattano di ufficio, per una
prognosi di guarigione lunga. Cambieranno molte cose, le procure dovranno
lavorare seriamente per le indagini e il tribunale pure per i processi, che
adesso certamente dovranno essere celebrati. Quando prima c'era un morto, e ce
ne sono stati 400.000 in Italia negli
ultimi 40 anni, nel 99 per cento dei casi il penale si è chiuso con il patteggiamento.
Incredibile vero? Ma è così. Una giustizia che "dimentica" che
l'omicidio colposo è un reato da perseguire e indagare puntualmente, e liquida
il tutto in una udienza di 20 minuti, è il simbolo di una società che si è
assuefatta a questa assurda strage.
Ma c’è
anche una giustizia civile oltre che a quella penale, anche qui ci saranno
evidentemente dei cambiamenti, e qui a mio avviso entriamo nel campo dei
risarcimenti se non sbaglio, altra materia molto delicata e importante, dove
purtroppo emergono interessi nascosti, e qui entrano in ballo le compagnie
assicurative …
Appunto, dici bene. Non si può non menzionare la
seconda "giustizia", perché
non esiste solo quella penale, ma anche quella civile. Se vogliamo
capire la strage stradale è fondamentale capire il discorso risarcitorio, ossia
il valore della vita umana. Quanto vale una vita? Come potergli dare un valore
in chiave di risarcimento? E' impossibile. Pensiamo ad un grande campione dello
sport, uno che guadagna milioni di euro. Se fosse ucciso sulla strada
l'assicurazione dovrebbe pagare tutto il massimale. Pensiamo se fosse stato
ucciso da bambino, magari investito da un ubriaco sulle strisce davanti a
scuola. Nessuno avrebbe mai saputo cosa sarebbe potuto diventare, e perciò
ipotizzare quali sarebbero stati i
propri guadagni (cifre enormi). Questo sistema iniquo ti mette davanti a delle
"tabelle", ti dice che la vita di un bambino vale poco, in quanto non
produce nulla, vale solo affettivamente, ti fa una proposta e tu magari
l'accetti, stremato dal dolore. Morale, famiglie in qualche modo "soddisfatte"
ma le assicurazioni molto di più, perché a fine anno gli utili crescono, spinti
dalla differenza tra premi incassati e risarcimenti pagati. Gli avvocati
lavorano per arrivare alla definizione del risarcimento, trattano un poco con
l' assicurazione, un paio di conteggi e dopo 6 mesi incassano la loro parcella,
un bel 10 per cento, troppo spesso in nero, che a volte può anche essere di
più.
Insomma, un
sistema perfetto, un grande business …
Ancora una volta hai capito il senso delle mie
parole, ci troviamo di fronte ad un sistema perfetto, un business enorme. Ma
secondo te può esistere che risarcimenti milionari vengano sempre e solo decisi
tra avvocato e liquidatore senza la decisione di un giudice? Perché è questa la
realtà. Portami qui dei casi nei quali un giudice ha deciso il valore della
vita umana e io te ne porterò 100 volte tanto di quelli nei quali il valore
alla vita umana lo hanno dato i parenti delle vittime. Perché è bene che si
sappia, chi accetta il denaro relativo alla morte di un congiunto ne ha
stabilito anche il valore della sua vita. È questo le vittime non lo capiscono,
spinte da professionisti che si appoggiano al facile concetto che i processi
sono lunghissimi e che alla fine la liquidazione del danno sarebbe anche
inferiore se decisa da un giudice. Di certo, quello che sarebbe inferitore è la
liquidazione del loro onorario, che data da un giudice si aggira sul 3 per
cento del valore, mentre nel caso ditrattativa
privata ha un minimo di 6/8 per cento ma può crescere anche fino al 30 per cento
in alcuni casi. Uno schifo, una vergogna. Devo dirti sinceramente che se la
giustizia fosse più veloce, puntuale, seria, non si potrebbe fare più leva su
queste debolezze per approfittarsene.
Immagino
che dalla tua enorme e più che decennale esperienza maturata sul campo, avrai
pensato a qualche soluzione in merito. Pensi che in futuro si possa cambiare
anche questo panorama, sempre collegato purtroppo alle stragi stradali?
Certo che sì! Nel corso di questi anni ho potuto
studiare molto bene questa materia molto delicata, ho avuto modo di riflettere
e di studiare caso per caso ogniqualvolta mi è stato concesso dagli eventi. Per
cui ho elaborato una proposta interessantissima. Una proposta rivoluzionaria,
che va dritta al cuore del problema, una proposta disarmante perché fattibile e
molto vantaggiosa per tutti. Tu lo sai perché esiste l'Inail? Perché molto
tempo fa, durante il fascismo, si decise che non si poteva lasciare in mano
alle assicurazioni private la tutela sul lavoro. Troppi i casi di lavoro in
nero. Allora è stato fondato l'Inail. Giova ricordare che l'Inail è il
"tesoro" dello Stato. Produce utili enormi, minimo 600 milioni di
euro ma è arrivato anche a 3 miliardi di euro l'anno. Ma ti rendi conto che le
morti bianche sono 1000 l'anno? E che 500 sono vittime della strada? Si può
capire facilmente che l'incidente stradale è un fenomeno almeno 20 volte
superiore, perché ci sono i feriti. Per quale motivo non è stato tolto alle
assicurazioni il controllo delle RC auto, magari accorpando il servizio
all'Inail? Stiamo parlando di un nuovo ente, che produrrebbe utili spaventosi.
20 miliardi di euro l'anno, ma forse molti di più. Certo, utili da togliere
alle assicurazioni, al privato. Perché da un punto di vista squisitamente
economico, vogliamo dare 20 miliardi ogni anno, ma sono di più in realtà, ai
pochi padroni delle assicurazioni, che in più per la maggior parte sono esteri
e portano i capitali fuori dall'Italia? 20 miliardi di euro sono una
finanziaria. Con quei soldi potremmo abbassare il costo della benzina,
aumentare i fondi per lo sport, l'agricoltura, o magari per aiutare i
diversamente abili.
Devo
confessarti che il tuo ragionamento non fa una piega, come mai nessuno ci ha
mai pensato?
E’ ovvio che nessuno ci abbia mai pensato a
questa grande riforma, qui ritornano in ballo gli intoccabili poteri economici.
Poteri che poi comprano il nostro debito pubblico, finanziando la spesa per gli
interessi, acquistando Bot e Btp. E che ci mantengono con il rating di
"paese spazzatura per gli investimenti". Tra l'altro, RC auto in mano
allo Stato sarebbe un sistema molto più equo, un assicurazione che
proteggerebbe tutti, anche i veicoli non assicurati, che ci difenderebbe dai
pirati della strada, magari anche dagli incidenti senza colpevoli che lasciano
famiglie senza reddito e senza ristoro.
Devo dirti
con sincerità, che trovo le tue analisi sempre molto lucide, e i tuoi propositi
di cambiamento molto efficaci … Io credo in tutto questo, e quando vedo
coraggiosi esseri umani che combattono contro la mafia a Palermo oppure a
Napoli, mi sento un po’ escluso. Anche il sottoscritto, con tutta l’umiltà
possibile, combatte una mafia gigantesca, che ha permesso scempi e umiliazioni
a famiglie intere, che ha permesso che venissero uccisi, calpestati, derisi nei
tribunali e abbandonati. Non esiste solo la mafia che uccide per strada, ma
anche una mafia passiva, che lascia che tutto scorra, anche le cose che fanno
schifo, e che non interviene anche se potrebbe farlo, anzi che resiste ai
cambiamenti. Colpevolmente, e che anzi aumenta gli ostacoli per fare in modo
che la situazione non possa cambiare, come abbiamo visto in Parlamento. Certo,
qualcuno in buona fede, seriamente preoccupato che questa legge possa essere
"dannosa", esiste, ma altri, e sono molti, dovranno fare il conto con
la loro coscienza.
In
Parlamento hai trovato solo un muro di gomma, o sei riuscito nel tempo a
raccogliere un briciolo di solidarietà, visto il tuo caparbio e tenace impegno.
Durante
l'iter dei lavori parlamentari sono stato citato pubblicamente alla Camera e al
Senato due volte, in segno di ringraziamento per il grande impegno profuso. Per
questo motivo, qualche detrattore ha battezzato questa legge la "legge
Pallotti", anche se non è vero che sia la mia legge, in quanto è una legge
giusta di tutto il popolo. L'intento è stato quello di farla apparire un pò
come una vendetta da parte di noi vittime, ferite, distrutte, che per sfogare
il proprio dolore si inventano una legge repressiva ed esagerata per punire
tutti. È stato un altro modo con il quale "il sistema" ha cercato di
reagire. E
ho ricevuto anche un sacco di critiche, anche dai miei stessi amici, timorosi
di perdere prerogative di libertà e la loro amatissima patente di guida. Le
persone che criticano, ne sono profondamente convinto, non conoscono davvero il
problema, sono male informati e strumentalizzati da chi sa come spaventare,
come allarmare, come far sentire il popolo minacciato nelle proprie libertà,
anche le più dannose e scorrette. Io non mi stanco mai di continuare a ripetere
che qualcosa è' cambiato, che bisogna stare molto attenti, ma dentro di me
sorrido perché mi sembra impossibile debba dire una cosa che doveva essere
capita molto prima, anche senza questa legge.
Obbiettivamente
devo dire che la legge, evidentemente, ha qualche leggera lacuna. Non mi sembra
che si parli di uso improprio del cellulare alla guida, comportamento che è
all’origine di molti incidenti, qualcuno purtroppo anche mortale …
Non ho mai detto che questa legge sia perfetta, certamente non è come la
volevamo e la avevamo ideata e proposta. In merito ai telefoni cellulari
bisognerà punire la guida mentre si telefona oppure si usa il cellulare, c'è da
rendere più equo il provvedimento per certi aspetti, ci sono da limitare le conseguenze
nei casi limite, quelli tanto paventati dalle forze di opposizione, che hanno
etichettato questa legge come inutile, addirittura dannosa. Ho sentito parlare
di futuro pieno di casi di fuga dagli incidenti stradali, di aumento indicibile
dei pirati della strada, grazie a questa legge troppo severa. Come un monito:
non fate leggi troppo severe altrimenti le trasgrediranno e la faranno franca.
Mancava solo questa. Vorrei citare le
parole del Comandante Luigi Altamura, della Polizia locale di Verona: “I
telefoni cellulari e altri simili, la moderna tecnologia, ormai usata da tutti,
offre straordinarie possibilità investigative e, complice le numerosissime
telecamere presenti sul territorio, sarà una possibilità sempre più efficace di
individuare eventuali pirati della strada, e sarà sempre più difficile farla
franca”.
Comunque
qualche polemica mio caro Alberto si poteva mettere in preventivo. Appartiene
per tradizione al DNA di questo nostro paese, concordi?
Effettivamente non posso darti torto. Ricordo
benissimo l'introduzione della legge che obbligava i conducenti ad indossare la
cintura di sicurezza alla guida. Ricordo le perplessità perché la cintura
avrebbe potuto diventare pericolosa addirittura in caso di caduta in acqua del
veicolo, oppure che la cintura poteva ad alte velocità creare lesioni interne
devastanti. Tutte strumentalizzazioni, le solite, patetiche, argomentazioni
prodotte da chi rifiuta il cambiamento, anche il più giusto. Ricordo
perfettamente l'introduzione dell'obbligo del casco alla guida, ricordo le
obiezioni sollevate. Ognuno è padrone della propria vita, il casco può essere
anche più dannoso, e citavano i casi limite, quelli dove il casco si è rivelato
più uno svantaggio che un vantaggio nella dinamica. Le obiezioni che ho sentito
a questa legge, i casi limite citati, sono il solito meccanismo di fermare, di
conservare, di non introdurre novità. Non ci sono casi limite signori, qui si
muore davvero, una tragedia immensa che ci colpisce da vicino, direttamente.
A parte le giuste
considerazioni fatte, relative all’omicidio stradale, abbiamo altri casi meno
gravi, in cui l’automobilista, o peggio ancora, un professionista della strada
come il sottoscritto (servizio Taxi), potrebbe trovarsi coinvolto. Ti faccio un
esempio: un tamponamento, una manovra di retromarcia e così via… Con questa
nuova legge, di riflesso si comincerà a rischiare molto, potresti chiarire
meglio anche questi delicati dettagli e magari dare un tuo parere in merito.
Ti ringrazio per questa domanda. Ho sentito
parlare della possibile "retromarcia in parcheggio" e per sbaglio
l'urto dell'anziana novantenne, con la stessa che cade e si frattura un braccio
che può costare fino a 5 anni di ritiro della patente… Ma nessuno pensa che
quell'anziana potrebbe essere la propria madre, nonna, sorella, e che bisogna
stare più attenti? Sì signori, bisogna stare attenti anche quando si fa
retromarcia nel parcheggio, perché la gente muore quando non si sta attenti.
Prendiamo il caso della retromarcia, emblematico. L'ho sentito tirato in ballo
diverse volte, moltissime per la verità. Vi stupireste se vi raccontassi quanti
bimbi muoiono nei parcheggi delle proprie case, investiti proprio dai parenti
in retromarcia? Chiudete gli occhi per un istante e pensate, vi colpisce di più
che la patente se ne va per molto tempo, o vi colpisce di più l'immagine di
quel povero bimbo che aveva tutta la vita davanti, ma che adesso giace steso
nel cortile di casa in un lago di sangue? Ed è la stessa cosa anche per
l'anziana signora. Davvero vogliamo paragonare anche lontanamente le due cose?
Siamo forse diventati così? Un popolo automa, che corre, lavora, corre ancora,
a volte per errore uccide e si preoccupa che magari potrebbe perdere il lavoro?
È proprio questo l'intento di una legge penale, prevenire oltre che assicurare
alla giustizia il colpevole. La paura delle conseguenze, della punizione
scongiura nuovi reati, aumenta l'attenzione come è giusto che sia. Meglio
perdere un momento in più per scendere dal veicolo per controllare che il proprio
bimbo, o l'anziana ultranovantenne, non stia transitando proprio in questo
momento. Si chiama umanità. Senza contare che ci sono tecnologie che aiutano, i
sensori, le telecamere. Ecco in questo mi sono ripromesso di aiutare a limare
le criticità. Non ci sto ad etichettare come sola colpa del conducente un
sinistro. L'errore umano è capibile, molto meno quello di chi ha posto in
essere le condizioni perché un sinistro si verificasse. Potrei citarti per filo
e per segno quello che ho visto di sbagliato sulle nostre strade. Ricondurre
tutto all'errore umano non ci aiuterà a risolvere nulla. Criminalizzare
l'utente della strada non è una strategia giusta. L'uomo può sbagliare e va
aiutato in ogni modo. Mi farò portatore di pressioni sul nostro legislatore perché
investa nella sicurezza dei veicoli, nella sicurezza delle strade. Posso
formare quanto voglio un guidatore e può essere il miglior pilota al mondo, ma
se le curve sono insidiose e i guard- rail si spezzano e trafiggono i veicoli
come scatoline c'è poco da fare. E
dobbiamo dare modo a chi dovesse perdere la patente per molto tempo di non
diventare un disoccupato, di non perdere il lavoro, di non avere la propria
vita compromessa. Penso alle categorie professionali (come la tua Gian Paolo)
che passano gran parte della propria vita in strada per lavoro. Bisogna
prevedere forme di tutela in caso di grave incidente con lieve colpa. Una
tutela che possa compensare la perdita del lavoro per il ritiro della patente.
Quello che
hai detto mi sembra ragionevole, vorrei aggiungere che la condizione e la
manutenzione del nostro manto stradale lascia molto a desiderare, e anche
questo può incidere in certi casi a diventare un fattore determinante nella
causa di un sinistro, qui entra in ballo un concorso di colpa a mio avviso …
Come dicevo prima non si può criminalizzare e
abbandonare l'utente della strada. Per il semplice cittadino, se dovesse
rimanere senza patente, dobbiamo offrire dei correttivi come il servizio
pubblico puntuale ed efficiente. Non dobbiamo permettere che chi sbaglia e paga
rimanendo a piedi non possa più vivere. Hai detto bene, adesso con il concorso
di colpa anche dei gestori delle strade, molto cambierà. Tempo fa mandavo lettere continue, segnalando
black- point oppure altre situazioni di pericolo. Da ora in poi chi riceverà le
segnalazioni dovrà intervenire, non potrà fregarsene, perché le procure
indagheranno e soprattutto i colpevoli cercheranno altri colpevoli per godere
di notevoli sconti (metà della pena). E i processi saranno celebrati, con
grande beneficio per la giustizia. Sarà quindi una giustizia più giusta.
Ti
ringrazio nuovamente Alberto, la tua storia credo farà riflettere.
Personalmente mi hai lasciato nel cuore un mix di emozioni che a parole non
riesco a descrivere. Mi auguro che qualcuno leggendo questa semplice intervista
abbia avuto il modo di capire il senso, ma soprattutto l’obbiettivo che si
vuole raggiungere con questa nuova legge: salvare delle vite umane. Grazie a te Gian Paolo, e
in particolare a tutta la redazione di MAT2020, siete stati veramente
fantastici per la sensibilità che avete dimostrato nel volere affrontare una tematica
così importante e delicata. Avere avuto a disposizione questo spazio su di un
magazine musicale, mi ha riempito veramente di orgoglio. Vi ringrazio ancora,
ma soprattutto voglio abbracciare tutti i vostri numerosi lettori,
raccomandando a loro la massima prudenza al volante. Ricordatevi sempre
che basta veramente poco alle volte per
cambiare la vostra o un'altra vita, percorrendo una strada …