Usciva il 30 maggio 1980 il terzo album solista di Peter Gabriel, chiamtao "Peter Gabriel III" oppure "Melt", in omaggio alla copertina ideata da Storm Thorgerson.
Il brano nel corso degli anni fu "coverizzato" da molti artisti.
La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
FAIRPORT CONVENTION
"Nine"
di Andrea Pintelli
“L’album prog-oriented dei seminali Fairport
Convention.
Un grandioso esempio di vitalità espressiva e compositiva.”
Fu così che nel tardo 1971 Simon Nicol,
l’ultimo membro dell’original line-up, decise di uscire dalla band, per le più
classiche divergenze artistiche. Le redini del gruppo, dopo un periodo di
sbandamento, erano saldamente nelle mani di Dave Swarbrick che, di fatto, ne
evitò lo scioglimento chiamando in formazione Trevor Lucas, compositore,
cantante e chitarrista, già nei Fotheringay, nonché futuro marito di Sandy
Denny (si sposarono il 20 settembre 1973), il quale a sua volta portò il
chitarrista Jerry Donahue, ex compagno del supergruppo folk per eccellenza.
Qualità assicurata, anche se in questo modo i Fairport Convention ebbero un
imprinting meno folk e più sperimentale. A metà del 1972 registrarono “Rosie”,
un album non perfettamente riuscito, anche se la sua pubblicazione a inizio
1973 riportò in auge il nome del gruppo. Fu seguito da “Nine”, rilasciato
nell’ottobre dello stesso anno e accolto ben diversamente da pubblico e,
soprattutto, critica. Complesso, non di immeditata assimilazione, si fonda
sulle indubbie capacità tecniche e stilistiche dei nostri: Swarb era ed è
sempre stato un vulcano di idee, mai domo, prolifico in ogni occasione che si
presentasse e che lui stesso si inventò, maestro di violino e uno degli
inventori del folk rock; DM e Peggy erano la sezione ritmica per eccellenza
dello stesso ambito, straordinari nel creare passaggi e dinamiche difficilmente
ricreabili per altri musicisti (ricordate “Dirty Linen”?); Trevor Lucas,
cantante australiano con voce sicura e profonda nei suoi toni baritonali,
chitarrista ritmico, per lo più, con caratteristiche uniche nel suo genere,
compositore sopraffino, la cui vena pareva (in quegli anni) pressoché
inesauribile; Jerry Donahue, chitarrista solista americano, il cui tocco
raffinato e la cui particolare fantasia ben si sposavano al background
culturale delle tradizioni inglesi. Il disco si apre con “The Hexamshire Lass”, e si parte alla grande: dal
mondo traditional cercano e trovano questa canzone, che fanno loro con un propulsivo
arrangiamento da guru del folk rock quali erano (e sono tuttora,
fortunatamente), esplosiva e spessissimo utilizzata nei loro concerti come
momento che faceva ricordare al pubblico da dove venivano. La seconda traccia è
la vera perla del disco, ossia quella “Polly on the Shore” che definire poetica
è riduttivo rispetto alla sua portata. Il testo proviene dal mondo della musica
popolare, Peggy ci aggiunse le splendide note musicali e il combo Swarb-Lucas
un arrangiamento coi controfiocchi che lascia stupiti: incredibile l’idea di
mettere il wah-wah nel violino, geniale la sensazione di caldo abbraccio che la
sua atmosfera produce. E poi c’è la voce di Lucas, che eleva il brano
senz’altro come uno dei migliori della band britannica. “The Brilliancy Medley
and the Cherokee Shuffle” è in infuocato set, tipico dei Fairport, che donavano
luce e rinnovata energia ai tanti traditional che nel corso del tempo
affrontarono. Questa, riproposta live, era un momento di svago sia per la band,
che per il pubblico, fusi insieme in un sentimento di felicità collettiva che è
rarità. “To Althea from Prison”, ispirata a una lettera di secoli addietro, è
una ballata dal ritmo calmo e tranquillo, la cui bellezza si sposa
perfettamente alla meravigliosa prestazione vocale di Swarbrick, qui in un
picco emotivo intenso e ispirato. Questo è un saggio dell’incontro fra prog e
folk, un modello che altri artisti seguirono negli anni successivi. Un delicato
passaggio che fa riflettere. “Tokyo”, composta da Donahue, rende chiare le
straordinarie qualità di questo musicista, la cui incandescente chitarra è
protagonista nella prima parte melodica, per poi lasciare spazio alla
combinazione violino-basso da applausi (e sì, Dave Pegg è uno dei migliori
bassisti in circolazione, anche nel 2023), fase che poi dopo un contrappunto
più riflessivo del solo Jerry, torna alla melodia iniziale chiudendo così
un’ottima traccia, che solo un paio di anni prima non ci sarebbe mai aspettati
di trovare in un disco dei Fairport Convention. Il secondo lato del LP si apre
con “Bring 'Em Down”, composizione di Lucas, piacevolissimo campione rappresentativo
delle sue abilità, che trovarono spazio in tante sue opere successive alla
militanza nel gruppo. Autore anche di colonne sonore, mostrava i suoi pregi
andando ad adattarsi perfettamente ai vari significati via via incontrati. La
sezione centrale del pezzo è, probabilmente, ciò che più si avvicina al prog
nella carriera dei Fairport: un coacervo di climi psicologici stranianti e
multidirezionali che lasciano stupiti. Si prosegue con “Big William”, cantata
da Swarb; ci si muove in territori vicini al pop, non male come vitalità
espressiva! Il mandolino rende solare il tutto, la cui leggerezza (mai banale)
trova colori tutt’intorno ad essa. Dona serenità. “Pleasure and Pain” è
un’altra ballata che più classica non si può. Orecchiabilissima, anticipa di
“qualche anno” quella “Red and Gold” che tanta fortuna portò ai Fairport anni
’80. Un modello di stile che ritroveremo in altre loro composizioni negli anni
a venire. L’album si chiude con “Possibly Parsons Green” dal ritmo sostenuto e
dall’armonizzazione unica, per il piacere di chi lo ascolta. Si tratta di una
summa fra i sentimenti di tutti gli elementi della band, qui coesa come non
mai, quasi fossero una sola entità.
In definitiva “Nine” propose i Fairport Convention ad un altro tipo di pubblico. Le loro barriere culturali si aprirono verso luoghi maggiormente contaminati da altri generi musicali, e questa loro scelta li rese ancor più meritevoli di riconoscimenti, almeno da parte della critica. Il ritorno in formazione di Sandy Denny li riportò, successivamente, anche alla corte di ben più ampie dimensioni, anche se fu solo per un periodo circoscritto. La storia, comunque, si produce di episodi e scelte, e i Fairport Convention, vivissimi ancor’oggi, l’hanno sempre fatta. La band col sorriso sulle labbra e nelle anime. Immortali.
Tracklist con ascolto
Lato
A
1.
The Hexamshire Lass –
2:27 (Trad.
,
arrangiamento Fairport Convention)
2.
Polly on the Shore –
4:50 (Trad. (testo), arrangiamento di
Trevor Lucas e Dave Swarbrick; musica di Dave Pegg)
3.
The Brilliancy Medley and the Cherokee Shuffle – 3:52 (Trad., arrangiamento Fairport
Convention)
4.
To Althea from Prison –
4:05 (Richard Lovelace (testo del
1642), Dave Swarbrick (musica))
5. Tokyo – 2:47 (Jerry Donahue)
Lato B
1.
Bring 'Em Down –
5:53 (Trevor Lucas)
2.
Big William –
3:21 (Dave Swarbrick, Trevor Lucas)
3.
Pleasure and Pain –
4:57 (Dave Swarbrick, Trevor Lucas)
4. Possibly Parsons Green – 4:38 (Trevor Lucas, Pete Roach)
Personnel:
- Dave Swarbrick / lead
(1,4,7) & backing vocals, violin, viola, mandolin (7)
- Trevor Lucas / lead (2,6,9) & backing
vocals, acoustic guitar, co-producer
- Jerry Donahue / electric & acoustic
guitars
- Dave Pegg / bass guitar, mandolin (3), backing
vocals
- Dave Mattacks / drums, percussion, harmonium
(4), clavinet (5), bass (3)
Technicians
·
Trevor Lucas, John Wood e Fairport Convention - producers
·
Registrred at Sound Techniques, London, U.K.
·
John Wood – sound
engineer
·
Wendy" D. M. e Phillip Stirling-Wall – cover designers
· Brian Cooke – cover photo
Andrea
Pintelli
Instagram:
@apintelli
28 maggio 2004, Francesco di Giacomo è ospite dell’evento “Musicultura” di Recanati: memorabile il duetto con Lucio Dalla, cantando “Barcarolo Romano”.
Oltre che “solo”, Francesco partecipò
alla manifestazione con il Banco del Mutuo Soccorso nel 1997 e 2009. Il
sodalizio Banco “Musicultura”, continuerà anche nel 2015…
Di tutto un Pop.
Wazza
Lucio e Francesco, insieme sul palco
della XV edizione del Festival. Era una notte di maggio del 2004 ed insieme
cantarono Barcarolo Romano.
Due geni assoluti della canzone, due
nostri amici irrinunciabili. Sfogliando le immagini dell'archivio, ci piace
immaginarli questa sera, ancora insieme. Da qualche parte.
Ospiti dell’edizione
Antonello Venditti, Luciano Ligabue,
Fernanda Pivano, Amalia Gré, Ennio Cavalli, Piera Degli Esposti, Enzo Gentile,
Roberto Pazzi, Isa Grace, Edoardo Bennato, Daniele Bonora, Bungaro, D-Rad
(Almamegretta), Lucio Dalla, Mariano Deidda, Francesco Di Giacomo, Carlo
Fabbri, Enzo Jannacci, Paolo Jannacci, Orchestra di piazza Vittorio, Pacifico,
Patty Pravo.
Nasceva il 27 maggio del
1940 Riki Maiocchi, cantante italiano
conosciuto per essere stato il fondatore del complesso dei Camaleonti.
Divenne famoso nel 1964 con “Non dite a mia madre”, cover del brano degli Animals “The House of the Rising Sun”.
Maiocchi partecipò per due volte al
Cantagiro e una volta al Festival di Sanremo (in coppia con Marianne Faithfull), mentre nel Regno Unito ebbe collaborazioni artistiche con Ritchie
Blackmore e Jimi Hendrix, e portò al successo un brano scritto da Mogol e Lucio
Battisti, la celebre “Uno in più”.
Si avvicinò alla musica leggera
ancora giovanissimo quando svolgeva il mestiere di muratore. Iniziò a
frequentare il celebre locale milanese Santa Tecla, punto di ritrovo di molti
grandi cantanti Adriano Celentano, Luigi Tenco, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci
tra gli altri.
Iniziando coi Riki & the Four
Jacks con l'amico Roberto Bescapé, prende parte, nel 1964, alla fondazione dei
Camaleonti di cui sarà il frontman nel periodo beat più impegnato, con brani
come “Chiedi chiedi” e “Io lavoro”. Li abbandona alla vigilia del grande
successo, nel 1966.
Maiocchi sceglie di trasferirsi nel
Regno Unito dove incontra Ritchie Blackmore (futuro componente dei Deep
Purple), all'epoca chitarrista sconosciuto, insieme al quale fonda i The Trip,
in seguito attivo soprattutto in Italia.
Maiocchi e i The Trip si esibiscono in molti locali della scena underground londinese, persino insieme a Jimi Hendrix.
Per circa tre settimane suonano anche in Italia, all'incirca nel
novembre del 1966. Fu comunque grazie a Hendrix che Maiocchi entrò in contatto
con Marianne Faithfull, allora compagna di Mick Jagger, con cui partecipò al
Festival di Sanremo 1967 con “C'è chi spera”, nell'edizione segnata dal tragico
suicidio di Luigi Tenco.
Maiocchi partecipò anche a due
edizioni del Cantagiro, quelle del 1965 e del 1967, e in quest'ultima edizione
conobbe la coppia Mogol-Battisti, per i quali aveva interpretato “Prendi fra le mani la testa”.
Un altro brano scritto da loro, “Uno
in più”, resterà per sempre il massimo successo del cantante milanese, e verrà
reinciso dallo stesso Lucio Battisti nel 1969, pubblicato nel suo primo omonimo
album.
Nel 1967/1968 il nuovo gruppo
d'accompagnamento (durante i concerti e le esibizioni dal vivo) sono i Generali,
una formazione beat di Milano.
Nel 1974 prende parte come attore al
film “Il siculo”, che resta però senza distribuzione nelle sale e viene passato
direttamente in televisione su alcune reti locali.
Il periodo d'oro di Maiocchi si
esaurisce in pratica qui: a partire dagli anni Settanta si ritira a vita
privata.
Negli anni Ottanta, con gran parte
dei suoi colleghi, ha preso parte a molte trasmissioni revival che si sono
occupate di riportare in scena gli anni Sessanta: nel 1983 Bandiera gialla,
nel 1988 Vent'anni dopo, nel 1989 Una rotonda sul mare (in questa
trasmissione riuscì ad arrivare in semifinale).
La canzone “Uno in più” è stata poi
scelta come sigla del programma televisivo Roxy Bar.
Gravemente malato da tempo, è morto il 2 febbraio del 2004, all'età di 64 anni, in un ospedale milanese.