Compie gli anni oggi, 31 marzo, Thijs Van Leer, cantante, flautista, tastierista del gruppo prog
olandese dei "Focus".
Dal 1970 al 1977, all'apice del prog
mondiale, tra i loro successi "House of the king","Hocus
Pocus", "Sylvia", dopo lo scioglimento del gruppo si dedicò alla
carriera solista.
Nel 2002 ha riformato i Focus,
riprendendo ad incidere dischi e fare tournèe.
Pochi sanno che negli anni '70
,prese parte alla versione olandese del musical "Hair"...
Cosa spinge a violare l’immacolato foglio
bianco? La
prospettiva di un’idea.
Questo è quello che devono essersi chiesti
i MATALEON,
gruppo musicale milanese (di Sesto San Giovanni) nato dalle ceneri dei
PoRnOLoGy, con sonorità Metal-Rock, Hard Rock, Grunge, Melodic, Heavy, Stoner e
Nu Metal di sicuro effetto.
Ed ecco il loro ultimo lavoro prende vita,
si sviluppa nel foglio bianco, si arrampica sui bordi con note aggressive, si tinge con colori accesi, rosso fuoco come il
loro sound, aggredisce l’udito dell’ascoltatore con ritmi vertiginosi, parole
urlate a squarciagola dal buon Tommaso Di Blasi, controtempi diabolici, che
culminano negli accordi classici dell’Hard Rock con chitarra (Andrea Giuliani)
e basso percussivi, fraseggi e assoli d’effetto .
Ed infatti “Il Foglio Bianco“ è un titolo di un brano dell’ EP che insieme ad “Atari”, “Dove seiadesso”, “Ozymandias”, “Vorrei” e “Fuoco nella Testa”
(quest’ultimo realizzato come singolo del 2012), costituiscono la prospettiva
di questa nuova idea musicale, sicuramente interessante, che si pone come alternative Rock e Metal ma non disdegna gli accordi più
classici tipici dei grandi gruppi del passato.
I ritmi ossessivi contenuti in questo
lavoro scuotono l’ascoltatore specie se li si sentono ad alto volume ed entrano
presto in testa ipnoticamente. Ottime le svariate di chitarre e i giri di basso (imperioso in certi punti) ,
che aumentano la corposità sonora, la pastosità di un suono ruvido, graffiante.
Il dialogare tra le percussioni (Daniele
Bocola) e il basso (Manuel Schiavone ) rende ancor più apprezzabile l’impatto
sonoro complessivo, un lavoro omogeneo, dove ogni brano ha la sua funzione ed
il suo perché nell’armonia (distorta) globale.
BIO
La band
nasce nel maggio 2012 dalle ceneri di un'altra formazione.
Il nuovo sound strizza l'occhio alle nuove
sonorità metal d'oltreoceano ma con un cantato in italiano. All'attivo c'è la
pubblicazione del singolo "Fuoco nella testa" del 2012, mentre nel
prossimo Marzo 2015 uscirà l'EP "Prospettiva di un'idea" - di n. 6 brani - interamente auto-prodotto e
che vede alla produzione artistica Olly Riva (The Fire, Shandon, Rezophonic).
L’uscita dell Ep sarà accompagnato dal
video del primo singolo “Atari”.
Da Treccani.it: fonetica: nella vecchia nomenclatura delle
parti della linguistica, ramo della scienza linguistica che studia i suoni, o
fonemi, articolati dall’apparato di fonazione umano allo scopo di significare.
Allo scopo di significare. Proprio così, lo scopo è significare, ovvero esprimere pensieri, sentimenti, idee mediante
il linguaggio. Ma anche mediante la musica, unico linguaggio universale. Il
rock fa ballare il mondo. Almeno il piede per tenere il tempo, almeno quello,
lo muovono tutti! E mentre muovo il piede stavolta ascolto anche le parole e
mentre ascolto le parole penso, per colpa di quelle parole, o per merito.
Parole che si avvinghiano come edera alla musica, si fondono insieme. Una da
gusto alle altre, come la Coca e il rhum, le trofie e il pesto, whisky e
cohiba. E se le parole accendono il fuoco del pensiero, il vento della musica
lo alimenta fino a dar vita all’incendio del sogno. Mi viene in mente Adolfo
Celi quando dice a Gastone Moschin, nel capolavoro di Monicelli: “è una catena
di affetti, che né io né lei, possiamo spezzare”. Questo fanno i Fonetica,
legano musica e parole con una catena di affetti, che né io né lei… Fonetica appunto! E il loro album, Eppure. Ve li presento: CLAUDIO MARTINOLLI
chitarra solista - DOUGLAS D'ESTE batteria, percussioni - MASSIMILIANO CADAMURO
basso, flauto traverso, canto - FABIO BELLO chitarre, armonica, voci. testi e
musiche - RICCARDO GALLUCCI tastiere, canto e l’incantevole per voce e fattezze
SILVIA SIEGA canto e cori. Eppure è
un disco rock dalle solide fondamenta di basso e batteria che si articola nelle
svariate sfumature progressive di tastiere, flauto e chitarre e nelle liriche
di Fabio Bello, che trattano argomenti sociali di estrema attualità. Già il
primo pezzo, Santa Pace, col fiabesco
flauto introduttivo e l’escalation musicale che segue, ci fa capire la trama
dell’album. Rock in progressione appunto. L’argomento trattato è la pace, ma
non mi soffermerò più di tanto sui testi, proprio perché tutte le canzoni del
disco non sono né ovvie né banali e quando le parole sono spesse, credo sia opportuno
che ognuno ne tragga il proprio insegnamento, o la propria ispirazione, senza
che io debba metterci becco. Un pezzo potente, che canta la pace senza essere
pacifico. La Strada del Sole continua
sulla via aperta dal brano precedente. Il ritmo incalza e la “gioia di fare”
dei cinque musicisti veneti e proprio lì, davanti agli occhi. È un dialogo tra
batteria e basso che apre La Legge del
Branco, col solletico di una chitarra impertinente, protagonista del finale
del pezzo. Ne La Scuola è Morta, si
respira intenso l’odore del progressive anni ’70. Un pezzo d’atmosfera,
malinconico, che dipinge la cruda realtà della scuola italiana, mettendone in
risalto anche gli odori. Armonica e fisarmonica fanno sì che la tristezza non
prenda il sopravvento sulla malinconia. Un equilibrio difficile da mantenere,
ma i Fonetica reggono per tutto il
pezzo. Con una tastiera d’oriente si apre La
Nuova Guerra, il cui ritmo, così come il titolo, non lascia dubbi
sull’argomento trattato. Quasi una marcia, colorata però da basso e tastiera. Inno (Canzone Politica) è il sesto brano
dell’album. Non poteva mancare una canzone politica, sulla politica, il cui
testo, malgrado l’asprezza dell’argomento trattato (per me la politica è
aspra…), è adagiato sulla musica forse più melodiosa di tutto il disco. Canzone
numero sette, Le Parole. Bella
chitarra iniziale dal retrogusto blues, bella l’atmosfera di tutto il pezzo,
incalzante, aggettivo che ho già usato e che forse userò ancora, perché se
dovessi definire la musica dei Fonetica,
bè, la definirei proprio incalzante. Goduriosa la tromba finale. Sarà per il
flauto, i ricami e le sottolineature chitarristiche, l’atmosfera delle tastiere,
ma Pianeta Blu, pezzo strumentale,
scorre che è una meraviglia. Siamo al numero nove, Aspettare, ballata interpretata magistralmente da Sivia Siega che
aspetta, come tutti noi, quello che non ci aspettiamo. Ancora profumo di buon
vecchio progressive nell’inizio di Posto
in Affitto, che vira poi verso il folk, verso la ballata rock, per poi
tornare con una sterzata di chitarra verso la strada intrapresa inizialmente.
Gli ultimi brani di Eppure, rivelano
forse la parte più intimista e folk del gruppo e non fa eccezione in questo
contesto Pioggia Pioggia, seppur
animata da un ritmo più… più… lo dico? Vabbè, lo dico: incalzante. Ecco, l’ho
detto. Soprattutto il finale, il finale incalza di brutto! Dell’ultimo brano, Eppure, che dà il titolo all’album, va
detto che il testo è una poesia di Igle Saragoza musicata dal sempre ottimo
Fabio Bello. Una canzone di sofferenza e atrocità, che finisce con la speranza,
la stessa speranza che aleggia nell’ultimo Eppure
dei Fonetica: “eppure credo che l’uomo vorrà la pace”.
Compie gli anni oggi, 30 marzo, Eric Clapton, detto "slowhand" o "God",
sicuramente il chitarrista più famoso al mondo!
Un curriculum impressionante il suo…
ha fatto parte di gruppi storici come gli Yeardbirds, Bluesbreaker, Cream,
Blind Faith, Delanie & Bonnie, Derek and the Dominos, ma ha avuto sopratutto
una straordinaria carriera da solista!
Ha prestato la sua "manolenta
ai Beatles, George Harrison, Frank Zappa, Bob Dylan, Joe Cocker, Rolling
Stones, solo per citare i famosissimi e non i famosi, altrimenti ci vorrebbe
l'elenco telefonico di Tokio!
Deve molto al chitarrista JJ Cale,
al quale ha "saccheggiato", portandoli al successo, brani
come "Cocaine" e "After midnight": nel 2014 gli dedicò
un album!
Ha partecipato ai film
"Tommy" degli Who e "The last waltz" di Martin Scorsese -il
famoso concert di addio della "Band"- e "Blues Btothers, il mito
continua"
Una lunga carriera fatta di luci e
ombre, i grandi successi alternati a depressione, droga, la perdita di un
figlio; nel 1990 si è salvato la vita, lasciando il suo posto in elicottero a
Steve Ray Vaughan... ma si sa "Clapton is God"
Torna il 2 Aprile #SopracèGente, l'appuntamento con la musica organizzato dallo staff di #CantieriRubattino, Fabrizio Emigli - Fan Page Ufficiale in collaborazione con Maurizio Carlini.
Un evento speciale che avrà come ospiti:
MASSIMO ALVITI TRIO
- Mauro Gavini al contrabbasso
- Giulio Caneponi alle percussioni
- Massimo Alviti alla chitarra.
SPECIAL GUEST: Alessandro Papotto ai fiati.
Jazz, etno-world music ed atmosfere classiche si fonderanno in un'unica serata all'insegna della buona musica.
LA PRENOTAZIONE TRAMITE EMAIL è OBBLIGATORIA.
I possessori della Rubattino Gift Card avranno la tessera associativa in omaggio
CLUB IL GIARDINO LUGAGNANO- via Cao del Prà, 82 - LUGAGNANO(VR)
Acclamato ritorno di Jennifer Batten la chitarrista di Michael Jackson con la sua band al Club Il Giardino, questa volta al basso Stuart Hamm( Joe Satriani Band) già apprezzato qualche mese fa con Carl Verheiem. In apertura CATFISH TRIO.
Album: Bisognava
dirlo a tuo padre che a fare un figlio con uno schizofrenico avremmo creato
tutta questa sofferenza (2 CD)
Artista: Paolo Saporiti
Etichetta: Orange Home Records
Anno: 2015
Genere:Avant Folk
Tracklist:
CD1
01.A modo mio
02.In costante naufragio
03.Figlio di madre incompleta
04.Io non resisto
05.Per l'amore di una madre
06.Hotel Supramonte
CD2
01.Per l'amore di una madre
02.Io non resisto
03.Figlio di madre incompleta
04.A modo mio
05.In costante naufragio
06.Hotel Supramonte
Voto: 7.5
Non si può smettere di essere madri o padri, buoni o cattivi (e
spesso si peggiora col tempo), ma si può smettere d'essere figli e a volte, è
davvero necessario.
“Bisognava dirlo a tuo padre che a fare un figlio con uno
schizofrenico avremmo creato tutta questa sofferenza” è titolo dell'album e fa
riferimento diretto all'ultimo scambio, via telefono, tra Paolo Saporiti e sua
madre. Saporiti, ci ha regalato, lo scorso anno, il migliore disco di
cantautorato internazionale, assieme a “Nothing Important” di Richard Dawson. A
pochi mesi dall'album omonimo, ritorna con un altro gran lavoro. Il disco del
2014, era quello della manifestazione piena, questo, quello della
deflagrazione. Davanti a tanta “fame di dire” non sono mai sostanza e intensità
a mancare, al limite, qualche sbavatura nell'organizzazione estetica di un
progetto, cosa che c'è qui c'è, più che nel lavoro precedente, ma è cosa, che
rende in modo diverso, ambo i lavori perfettibili nella mente di ognuno e
dunque, tanto più, vivi e in divenire. E' segno di un'epoca in cui si avverte
la precarietà più assoluta nella definizione della parola “fine”, intesa come
traguardo, ma anche come compimento. Eppure l'autore quella forma l'ha sempre
ricercata, sin dai tempi del bellissimo esordio (The Restless Fall).
Semplicemente, s'invecchia e bisogna prendere atto di aspettative irrisolte.
Paolo, accarezza con una voce che qui si fa ancora più cruda (e grave), tra
morbidezze e ruvidità, a volte appena appesantita dall'uso di un vibrato sin
troppo “cercato”. I testi sono di una profondità lacerante, autobiografica ma
mai auto-indulgente, che si fa di una potenza devastante in “In Costante
Naufragio” e “Per l'Amore diuna Madre”. Le melodie sono quanto di più vario,
nel pescare dalla tradizione folk anglosassone, dal pop italiano, anche
radiofonico, impensabile, se accostato a confezioni soniche spesso assai
ardite. Si, perché gli arrangiamenti, in questo disco, più che nel precedente,
fanno la differenza rispetto a quanto è possibile ascoltare in Italia e
altrove. Orange Home Records (che segue Saporiti, dal precedente “L' Ultimo
Ricatto”), in materia ha un ruolo essenziale, investendo il ruolo di produzione
artistica effettiva (Raffaele Abbate, ha arrangiato il primo dei due cd), con
una modalità, ovvia, per le produzioni pop delle major, ma completamente
scomparsa in ambito indie, dove si acquisisce un pacchetto completo, gli si dà
un numero di catalogo e se ne traggono la metà dei profitti, senza muovere un
dito. Eccellente, anche, il contributo di Armando Corsi, alla chitarra
classica. A melodie di una semplicità a volte disarmante, che si fa tanto più
intima in un canto così sussurrato, profondo ma mai pago di grazia, si
affiancano chiaroscuri strumentali di una violenza aliena a qualsiasi disco
d'autore. Curiosamente diviso in due sezioni, con gli stessi brani presentati
in chiave diversa, una acustica, ma non priva di accensioni sghembe,
decostruzioni ritmiche e dissonanze davvero cucite “addosso” alla potenza dei
testi (“Figlio di una Madre Incompleta”, episodio d'eccellenza dal CD 1,
assieme alla spoglia, quanto perfetta, “Hotel Supramonte”, di Fabrizio De
André). Un'altra, tale da essere disco in duo, con Xabier Iriondo ad ogni tipo
di strumentazione, senza dubbio, molto meno che convenzionale. Il connubio tra
i due, non sempre è riuscito del tutto, perché si è prestato a qualche eccesso
di troppo nell'alto contrasto, ma quando è a fuoco, ha qualcosa di epocale
davvero: “Io non Resisto”, “A Modo Mio” (abissale il margine con la versione
acustica), “In Costante Naufragio” (che qui si candida a mio pezzo preferito
dell'anno), “Figlio di Madre Incompleta” (ancora una volta). In breve, Paolo
Saporiti è al momento, assieme alla sua band, uno degli artisti internazionali
più importanti in circolazione. In un periodo di rivalutazione, anche assai ben
fatta del folk più “laterale” (Sun Kill Moon e Father John Misty docet), ma
senza alcuna capacità d'invenzione autentica, il cantastorie milanese e i suoi
psicodrammi, hanno una marcia ben oltre, verso i lidi del vero cantautorato
“avant”, quello di Scott Walker e Matt Elliott per fare due nomi, su tutti.
Paolo, è riuscito nella sua progressione, in una maturità che ha molto a che
dividere, nello spirito inquieto, quanto nella ricerca di un vestito “altro”,
appresso alle proprie ossessioni, con Buckley senior e questo è un merito senza
pari. Dischi come questo, avranno certo credito oggi, ma un culto impagabile
tra non molto, perché non hanno da spartire assolutamente nulla con altri. Che
dire, se non che questo lavoro è per me già un cult? E' il momento per un disco
per i soli Saporiti/Iriondo?