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domenica 30 giugno 2019

Beggar's Opera

BEGGARS OPERA Italy 1972 from Ciao 2001

Chi ricorda i Beggar's Opera, band scozzese, di prog che amava riarrangiare celebri brani di musica classica, un pò come i Nice di Keith Emerson?

Nei primi anni '70 ebbero un discreto successo anche in Italia. Vennero ingaggiati per un tour in vari locali, dancing, balere (all'epoca i gruppi suonavano lì…).

Si racconta che arrivarono a Rimini dalla Germania con il loro furgone, che per il caldo era diventato un forno... praticamente furono ingaggiati per "vitto & alloggio".

Suonarono anche con la PFM, a cui vendettero il Mellotron per pagarsi il viaggio di ritorno!
Per la cronaca presero il nome da un'opera del poeta inglese John Gay.

Pubblicarono 5 album dal 1970 fino al 1976, l'anno in cui si separarono.

Un gruppo da ri-scoprire!

Di tutto un Pop…
Wazza

Lappin' up the sun on the Rimini beach ... summer 1971




On stage in the "Yeh Yeh" club Rimini ... you can just see our huge Mellotron to the left ... it was amazing.. press one key and it played the acoustic guitar intro to the Beatles "Bungalow Bill"!!

Pink Floyd su Pop Magazine nel giugno 1972


Sulla rivista "Pop Magazine" del giugno 1972, articolo e poster sui Pink Floyd... naturalmente in tedesco!


Di tutto un Pop…
Wazza
 Pink Floyd pin up from the June 1972 issue of Pop Magazine



 Pink Floyd article from the June 1972 issue of Pop Magazine


sabato 29 giugno 2019

ACNE-"June 1, 1974"

  
Per la serie "album da riscoprire"...

Usciva il 28 giugno 1974 un live che prendeva il titolo del giorno del concerto "June 1, 1974", registrato al Rainbow Theatre di Londra, suonato da una specie di supergruppo, gli ACNE, formato da John Cale e Nico (Velvet Underground), Kevin Ayers (Soft Machine) Brian Eno (Roxy Music).

Pubblicato dalla Island Records, vi presero parte anche Mike Oldfield, Robert Wyatt e Ollie Halsall

Definito musica d'avanguardia, il disco necessita di un ascolto "attento"…
Di tutto un Pop…
Wazza
ACNE: Kevin Ayers, John Cale, Nico and Brian Eno, London, June 1, 1974

 
Kevin Ayers, Nico, John Cale and Brian Eno on the cover of the New Musical Express - May 18, 1974

giovedì 27 giugno 2019

Scottosopra-"Pizza Boy", intervista di Athos Enrile

E’ uscito ieri, 27 giugno, il video "Pizza Boy" di Andrea Scotto, a.k.a. Scottosopra.
Il brano è il preludio ad un progetto più ambizioso che culminerà con il rilascio dell’EP “Down Hill”.

Dopo aver ascoltato il brano, che propongo a seguire, è nata spontanea la voglia di saperne di più, essendo obiettivo primario di MAT2020 la pubblicizzazione di giovani che si impegnano in campo musicale, qualunque sia il genere che decidono di proporre.


Ecco il risultato della nostra chiacchierata…

Partiamo dalla tua storia personale, dalla tua evoluzione, visto che, analogamente a uno dei tuoi ausili musicali, Edoardo Nocco, sei partito da… un campo di calcio!

Il calcio è stato e rimane una delle mie più grandi passioni. Mi ha sempre impegnato molto, sia come atleta che come tifoso, e ha saputo regalarmi soddisfazioni e amicizie che porterò con me per tutta la vita.
La musica mi ha accompagnato nel mio percorso di crescita, già dalla scuola media.
In prima superiore ho iniziato a muovere i miei primi passi come produttore di musica elettronica e sperimentale, fino a comporre strumentali per ragazzi della provincia savonese e dintorni. Ma non avevo ancora le idee chiare su quali fossero le mie intenzioni in ambito musicale.
Il vero “salto di qualità” è arrivato quando, con l’aiuto di Edoardo Nocco, ho intrapreso quello che attualmente è il progetto “Scottosopra”.
Io ed Edoardo ci conosciamo dalla prima elementare e abbiamo un legame molto stretto: è il primo a cui ho mostrato e proposto le mie idee. Già dal primo giorno di lavoro assieme il “feeling” era alle stelle.

Il tuo singolo di esordio, “Pedalò”, ti ha visto collaborare con Zibba: come è avvenuto l’incontro?

Io ed Edoardo, dopo quattro mesi di lavoro, avevamo già confezionato un EP di 6 tracce.
Quelle tracce sono arrivate all’orecchio di Zibba, il quale ha deciso di contattarci.
Da quel momento è nata una collaborazione che ha portato alla creazione di “Pedalò”.
Ringrazio ancora Zibba per la professionalità dimostrataci e per l’esperienza che ha saputo trasmetterci: ha tutta la mia stima, sia a livello umano che artistico.
Pedalò” lo reputo un grande traguardo: non avrei mai creduto di iniziare il mio progetto con una collaborazione del genere!

Sta per uscire il tuo nuovo singolo, "Pizza Boy": quali sono le caratteristiche del brano, le peculiarità, la storia che vuoi raccontare?

Pizza Boy” è uno dei singoli a cui sono affezionato di più.
La particolarità della canzone sta principalmente nel testo, sviluppato in stile "story telling”, avente ad oggetto la delusione amorosa di un porta pizze “tradito" da una sua cliente abitudinaria, che decide di punto in bianco di ordinare le pizze da un kebabbaro.
Un’altra caratteristica sta nella scelta della musica e nella struttura della canzone, ricca di climax e variazioni che invogliano alla prosecuzione dell’ascolto.
"Pizza Boy” (come praticamente quasi tutte le mie canzoni) non vuole trasmettere nessun insegnamento, è un punto di vista, un modo in cui poter vedere cose o fatti che ci accadono. Cerco di trattare temi tristi appartenenti a periodi bui che chiunque può aver attraversato nella vita (in questo caso una storia d’amore finita male), ma con leggerezza e autoironia. La storia del porta pizze supereroe è il mezzo con cui trasmetto sensazioni e stati d’animo.


Quali sono gli altri tuoi compagni di viaggio, le persone che ti hanno aiutato nella realizzazione di questo nuovo episodio musicale?

Le persone che mi seguono da sempre in questo progetto sono Edoardo Nocco e Riccardo Lazzari.
Edoardo, classe ’97, di Albissola, studia al Conservatorio di Cuneo, è membro della band “Cantiere 164” ed è mio produttore ed amico.
Riccardo, anche lui mio grande amico, classe ‘97 di Celle, studia a Milano alla SAE per diventare manager in ambito musicale: mi ha sempre consigliato le scelte migliori per muovermi in un ambiente che fino a poco tempo fa era a me sconosciuto.
Da quando il progetto si è fatto sempre più serio ci sono altri due miei amici che mi sostengono e mi danno un grande aiuto: Nicolò Uzzauto e Michael Ferraris.
Nicolò, classe ’99 di Savona, studia all’Accademia delle Belle Arti a Genova e si occupa della fotografia.
Michael, classe ’98 di Bergeggi, studia “Music production” a Milano ed è il mio riferimento per quanto riguarda mix e mastering.

A chi ti sei ispirato… chi ti ha influenzato e ti ha permesso di dare forma ai tuoi convincimenti musicali?

Non ho una, ma più fonti di ispirazione.
Diciamo che quello che faccio, che produco e che scrivo è il frutto degli ascolti musicali di una vita. Sicuramente “Pizza Boy” ricalca le sonorità dell'Indie Pop e dell’ITPop italiano, ma trae spunto, soprattutto per quanto riguarda la struttura, da artisti pop di fama internazionale come i Twenty One Pilots.
Per quanto riguarda il testo, quello penso che sia il frutto dei vari ascolti riferibili all’ambito hip-hop.Se dovessi definire cosa faccio, io risponderei “Indie Rap”.

Il tuo nome d’arte è “Scottosopra”: da dove nasce la scelta?

Mi piacerebbe poter rispondere con qualcosa di profondo ma… il mio nome è lo stesso con cui mi ero iscritto su Instagram…
L’unica cosa che posso dire è che il mio “nickname” è in linea con la mia scelta artistica: io sono quello che scrivo, non ho voluto scindere la mia personalità in due.

Si può far musica per molti motivi, quasi tutti nobili, ma è inevitabile che, in caso di visibilità, i messaggi lanciati possano diventare per altri elementi guida: ti poni idealmente il problema della responsabilità che ci si assume quando si condividono in modo massiccio le proprie idee? Insomma, fai attenzione alle liriche, oltre che alla musica?

Per quanto riguarda le mie canzoni, non mi sono mai posto il problema.
Fino ad oggi non sono mai stato nella situazione di espormi così tanto, anche perché non mi è ancora capitato di trattare argomenti scomodi o di esprimere opinioni forti e di facile critica. Sono dell’idea che la musica spesso sia utilizzata come un mezzo di trasgressione e di evasione dalla realtà, e che l’utilizzo di testi crudi e violenti possa suscitare scalpore e dissenso. Ma forse prima di aggredire il musicista o l’autore bisogna andare a capirne l’intento, cosa vuole trasmettere realmente.
Qualunque cosa, qualunque fatto possono essere fraintesi, persino le canzoni.
Chi vede la musica come vera causa di divulgazione di principi sbagliati si dimentica che spesso la colpa è della società, che non si prende cura dei giovani.

Chi ha curato il video di pubblicizzazione?

Stefano Baldini e Andrea Vescovi hanno co-diretto il video e si sono occupati della sua post-produzione e montaggio.
Stefano, classe ’96 di Savona, studia al Dams a Bologna, mentre Andrea, anche lui classe ’96 di Savona, studia alla Naba a Milano.
Nicolò Uzzauto ha curato la fotografia e il backstage.
Con un gioco di green screen e transizioni al millimetro, per creare un’ambientazione a tratti surreale che coglie di sorpresa l’osservatore, sono riusciti a cogliere in pieno quello che era il messaggio della canzone.

Il brano "Pizza Boy" è una delle tracce contenute nel tuo EP in preparazione, “Down Hill”: puoi anticipare qualcosa in tal proposito?

L’unica cosa che posso dire di “Down Hill” è che uscirà il più presto possibile su tutti gli stores digitali e comprenderà 6 tracce, tra cui “Pizza Boy”. Voglio lasciarvi con la suspense.

Se guardi al tuo futuro e ti lasci andare al… sogno libero, ti vedi più realizzato su di un palco o con la toga?

“Scottosopra” è un progetto a cui sono molto legato ed è nato in un clima di gioco e di amicizia. Spero di continuare a divertirmi in futuro, di realizzare tante cose belle e di riuscire ad ottenere un seguito adeguato all’impegno profuso.
Ovviamente lo studio e la laurea in giurisprudenza restano sempre in primo piano, ma fortunatamente riesco a proseguire entrambe le strade con tranquillità.

martedì 25 giugno 2019

FUNGUS FAMILY-‘THE KEY OF THE GARDEN', DI LUCA NAPPO


FUNGUS FAMILY-‘THE KEY OF THE GARDEN'
(Black Widow Records)
Di Luca Nappo
 Articolo già apparso nel numero di aprile di MAT2020

Quella dei Fungus, band genovese nata nel 2002 dalla passione e dall’improvvisazioni dal gusto retro prog/psych di Alessandro Vernetti (chitarra) e Carlo Barreca, già Zerothehero, (basso, Chapman stick), è una storia di una vera e propria famiglia che ha visto diversi cambiamenti, avvicendamenti e ritorni e che, oggi, dopo la firma per l’etichetta Black Widow Records e il cambio di nome, appunto Fugus Family, presenta il quarto album 'The Key Of  The Garden', a confermare in maniera più esplicita il legame tra i suoi componenti e a porre le basi per un nuovo ciclo di emozioni sonore.

La band attuale comprende, oltre al già citato Carlo Barreca, Dorian Deminstrel (voce, chitarra acustica) Alessio Caorsi (chitarra), Claudio Ferreri (tastiere) e Cajo (batteria) e si arricchisce in questo nuovo capitolo d’un illustre ospite in due tracce, la leggenda Nik Turner, tra i fondatori dei seminali Hawkwind.


"La chiave del giardino" completa la trilogia iniziata con gli eccelsi episodi precedenti, 'Better Than Jesus' e 'The Face Of Evil', confermando la bontà tecnica ed esecutiva della band ligure che, come un ricco giardino citato nel titolo, ci offre una vasta gamma d’umori, onirici ed introspettivi, tra psichedelia floydiana e progressive anni '70, come nelle lunghe e suggestive '1Q84', 'Suite No 5-Part I' e 'Holy Picture' ma anche passaggi più energici e dalle atmosfere quasi doom di pezzi come 'Demo-crazy' e 'Eternal Mind'.
L'alternarsi d’elementi più soffusi e parti più energiche rendono l'ascolto accattivante, aggiungendo un sapore speciale nella fruizione dell'album, con questo alternarsi tra tastiere e chitarra che ben traducono gli amori della band per il suono del passato.
Un tributo alle proprie influenze che si completa anche con due cover (non presenti nel vinile ma solo nell'edizione in cd), 'See Emily Play' dei primi Pink Floyd e 'The Weaver's Answer' dei grandi Family, proposte con devozione e gusto personale.

Particolarmente riuscita la cover art di Jessica Rassi del The Giant's Lab che riesce a descrivere perfettamente le sensazioni che questo disco ci regala, un caleidoscopio d’emozioni dal fascino arcano, presentate con una tale abilità esecutiva che ci conferma d’essere di fronte ad una realtà della scena psych/prog nostrana.
Uno dei dischi da inserire nella playlist di questo 2019.



lunedì 24 giugno 2019

PFM e Pete Sinfield il 24 giugno del 1973

Greg and Pete Sinfield live June 24, 1973 at the Sadler's Wells Theatre performing "Still"

PFM e Pete Sinfield in tour in UK nel giugno del '73.

Nella data del 24 giugno, al Sandler's Wells Theatre, si aggiunse un ospite speciale, Greg Lake...

Di tutto un Pop…
Wazza





Greg Lake and Pete Sinfield at Advision Studios 1973.

domenica 23 giugno 2019

Francesco di Giacomo finalista al Premio Tenco 2019

"Ieri è passato da poco ma è un passato remoto... ieri."
(Francesco Di Giacomo )

Con grande entusiasmo apprendo che il disco "La Parte Mancante", lavoro postumo di Francesco di Giacomo, è stato incluso come finalista nella categoria "Disco in Assoluto", del Premio Tenco 2019.

Non tutto è perduto... c’è ancora speranza per la bellezza.
A testimonianza di quanto ancora ti vogliono bene Francè!
Wazza


DANIELA BORGHI
SANREMO

Vinicio Capossela, Francesco Di Giacomo, Patrizia Laquidara, Nada e Pacifico: sono i finalisti per il «disco in assoluto» delle Targhe Tenco 2019, il «maggior riconoscimento della canzone dautore italiana assegnato dal 1984 ai migliori dischi italiani di canzone dautore usciti nel corso dellanno trascorso». Artisti e progetti discografici trasversali nei generi e votati dalla più ampia giuria in Italia composta da giornalisti musicali ed esperti di musica.

Le sezioni anche questanno sono sei: 4 riservate ai cantautori (canzone singola, disco in assoluto, disco in dialetto, opera prima), 1 riservata a interpreti di canzoni non proprie e 1 riservata agli album collettivi a progetto, ovvero compilation di vari interpreti costruite su un tema esplicito e dichiarato in grado di unire tutte le canzoni.

In questa prima fase la giuria ha votato i finalisti delle sei sezioni, di cui il dettaglio di seguito in ordine alfabetico. Le sezioni Miglior Album in dialetto e Opera prima contengono più nomination in conseguenza agli ex aequo, contro le tradizionali cinque delle altre categorie. Dopo la seconda votazione, che terminerà il 27 giugno, verrà proclamato il vincitore di ogni sezione. Non esistono candidature in quanto i giurati votano liberamente secondo quanto ascoltato nel corso dellanno.


 Ecco i finalisti:

DISCO IN ASSOLUTO: Vinicio Capossela (Ballata per uomini e bestie); Francesco Di Giacomo (La parte mancante); Patrizia Laquidara (C’è qui qualcosa che ti riguarda); Nada (È un momento difficile, tesoro); Pacifico (Bastasse Il Cielo).

MIGLIOR ALBUM IN DIALETTO: Francesco Di Bella (O diavolo); Enzo Gragnaniello (Lo chiamavano Vient e Terra); Elsa Martin e Stefano Battaglia (Sfueâi); Setak (Blusanza); Raffaello Simeoni (Orfeo incastastorie); Sollo&Gnut (Lorso nnammurato).

OPERA PRIMA: Sasà Calabrese (Conserve); Alessandro Centolanza e Gli Splendidi (Il giorno, poi la notte); Marta De Lluvia (Grano); Fulminacci (La Vita Veramente); Giulia Mei (Diventeremo adulti); Sale (Linnocenza dentro me).

INTERPRETE DI CANZONI: Roberto Michelangelo Giordi (Il sogno di Partenope); Ester Formosa & Elva Lutza (Cancionero); Alessio Lega (Nella corte dellArbat - Le canzoni di Bulat Okudzava); Olden (A60); Silvio Trotta (Confessioni di un musicante. Silvio Trotta canta Branduardi).

CANZONE SINGOLA: Ernesto Bassignano (Il mestiere di vivere); Motta (Dov’è lItalia); Nada (È un momento difficile, tesoro); Daniele Silvestri (Argento vivo); Gianmaria Testa (Povero tempo nostro).

ALBUM COLLETTIVO A PROGETTO: AdoRiza Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici; Capo Verde Terra dAmore Vol.8; Change your step. 100 artisti. Le parole del cambiamento; Faber Nostrum; Oniric Chopin ProsiMeloMetro N. 1.

Tutte le informazioni sulle Targhe Tenco si possono trovare allindirizzo: www.clubtenco.it
Le Targhe verranno consegnate durante ledizione della Rassegna della Canzone dautore (Premio Tenco 2019), in programma al Teatro Ariston di Sanremo dal 17 al 19 ottobre.



sabato 22 giugno 2019

Intervista a Vittorio Nocenzi + recensioni, di Gianluca Renoffio


Interessantissima intervista a Vittorio Nocenzi, rilasciata a Gianluca Renoffio per "Artist and Bands"
Cliccando i link, anche le recensioni di Transiberiana, sempre di Renoffio…
Wazza
Tripla recensione

conferenza stampa

Intervista Vittorio Nocenzi


Intervista realizzata da Gianluca Renoffio
Domande selezionate da Gianluca Renoffio e Gianluca Livi

- A&B - “Transiberiana”, un’idea che scorre, un viaggio… Quando hai iniziato ad intraprenderlo? Quanto deriva, questo disco, dalla necessità di riallacciare un discorso interrotto dalle tristi vicende degli scorsi anni?

- Vittorio Nocenzi - Questo nuovo viaggio del BMS nasce durante i lavori delle Legacy Edition dei primi tre album, il “Salvadanaio”, “Darwin” e “Io sono nato libero”, richiesteci dalla Sony. Nel curare queste edizioni speciali, ho dovuto per forza riflettere nel profondo al senso di questi eventuali lavori e al come farli, perché il materiale di cui si parlava (i primi tre album del Banco, appunto) è particolare, speciale: ognuno di questi tre album non è una semplice compilation di canzoni, ognuno dei tre è un album concept, cioè, i brani che li costituiscono sono come capitoli diversi di un unico libro. Insomma, sono tre racconti, tre narrazioni ampie, ognuna delle quali è diventata nel corso degli anni un riferimento baricentrico per le scale valoriali in essi sottintese. Voglio dire che certi concetti espressi dalle parole di questi album (ad esempio “Prova a pensare un po’ diverso…” da “L’Evoluzione” dell’Album “Darwin” e potrei farti altre decine di esempi) sono diventate negli anni riferimenti valoriali centrali per le scelte di vita di migliaia di persone dai ’70 in poi. Ecco che queste persone si sono trovate a fare scelte di vita che hanno condizionato poi il loro futuro, avendo per riferimento ideale questi lavori. Per tutto questo, nel progettare la loro rivisitazione artistica, non potevo pensare semplicisticamente che, avendone scritte io quasi tutte le musiche e (insieme a Francesco Di Giacomo) le parole, potevo rielaborarle come mi pareva. Sarebbe stato un errore grossolano: io avevo migliaia di “coautori” con i quali fare i conti.
Il privilegio che ogni artista ha nel ricevere la considerazione, il rispetto, l’affetto che migliaia di altre persone gli donano, aspetta sempre di essere ricambiato adeguatamente.
E’ stata proprio questa considerazione che mi ha spinto a salire sulla “Transiberiana”.
Negli ultimi anni, il Banco ha dato troppa importanza all’attività concertistica, a discapito di quella di recording e di composizione. Per rispondere adeguatamente a tutto l’affetto e alla considerazione che ci è stata espressa in modo inequivocabile da parte dei nostri fans, dovevamo prima possibile rispondere tangibilmente, facendo proseguire quest’idea che non puoi fermare che è il progetto artistico del Banco del Mutuo Soccorso, nel modo in cui lo fa un artista consapevole del privilegio che gli deriva dall’affetto e dalla considerazione di tante persone. Dovevamo cioè rispondere scrivendo nuovi lavori quanto prima.

- A&B - Dopo tanti anni, una nuova musica, un nuovo concept nel segno di una tradizione che solo il Banco ha saputo portare a livelli eccelsi in Italia … Cosa ti ha spinto a tornare alla composizione dopo tanto tempo?

- Vittorio Nocenzi - Una volta capito cosa dovevamo fare, era il momento di scegliere il “come farlo”. L’album concept mi è sembrato subito il modo più idoneo, per affermare sia la nostra identità che le nostre radici storiche. Oltre che un modo coerente di rispondere all’etichetta discografica che ci invitava a realizzare queste nuove registrazioni (cioè l’Inside Out, l’etichetta riferimento mondiale per questo stile di musica). Inoltre, debbo confessare che l’idea di scrivere una compilation di canzoni non mi avrebbe ispirato minimamente, mentre la possibilità di scrivere un album concept mi ha stimolato immediatamente! Il concept, attraverso l’uso delle metafore, ti permette una narrazione molto più ampia, su diversi piani narrativi, con immagini dirette ed indirette che ti stimolano anche a scrivere le musiche vere e proprie. Se ci aggiungi una sorpresa di cui ora ti parlerò più dettagliatamente, il gioco che mi serviva per rimettere in moto il mio entusiasmo ispirativo era fatto, era l’album concept!
La sorpresa determinante per il mio lavoro compositivo è stata quella di scoprire nel mio terzo figlio Michelangelo il mio Alter ego musicale! Lui è pianista e batterista, e questo lo sapevo. Ma non avevo ancora scoperto il suo talento compositivo. E quando veniva dicendomi “Papà, ascolta questo tema”, il risultato era quasi sempre il mio stupore, per il semplice fatto che l’ascolto del brano mi dava come l’impressione di averlo appena scritto io! E quindi mi veniva ogni volta spontaneo proporgli di elaborarlo qua, là, di ampliare così e così… Insomma, senza accorgercene, ogni volta ci siamo ritrovati a scrivere i brani di tutta la “Transiberiana” a quattro mani! E non credo che sia sbagliata la considerazione che ho fatto riguardo alla vita, che quando ti toglie brutalmente qualcuno o qualcosa, a volte può anche compensarti inaspettatamente donandoti qualcos’altro di altrettanto prezioso.
Tornare alla composizione dopo così tanto tempo è stata la cosa più naturale che potessi immaginare. Uscire dal mio studio dopo una giornata intensa di lavoro mentale faticoso, ininterrotto, con la sensazione di aver fatto un buon lavoro, è una emozione antica che mi ha riportato a molti anni prima, quando tornavo a casa dopo una giornata di intense prove musicali con la band nella mitica stalla di Marino, e per tutta la sera e le prime ore della notte con le nuove parti musicali che proseguivano ad intrecciarsi nella mente, fino al momento del sonno, ininterrottamente! E’ una sensazione che posso descrivere solo così: una testa calda, piena di colori e, soprattutto, riscaldata dall’idea di aver speso bene la giornata appena passata, appartenente all’unica vita che abbiamo in concessione momentanea!

- A&B - Ciò che hai vissuto ha cambiato il tuo approccio verso l’amicizia, verso la vita?

- Vittorio Nocenzi - Beh, sicuramente qualcosa è cambiata nella mia vita, l’idea di essere nella parte conclusiva è una sensazione ormai quotidiana, con la quale puoi convivere bene se fai le cose che ami, e provi a farle bene.
Il mio approccio alla vita e all’amicizia non è cambiato nei suoi punti cardinali che sono, per quello che mi riguarda, la correttezza, la passione, il coraggio, il non piegarti al servilismo o all’opportunismo scorretto. Penso che la propria dignità, personale e del proprio lavoro, sia un valore da difendere sempre. Alle domande tipo: - Chi te lo fa fare? - sinceramente non rispondo neanche più, non per superbia, semplicemente perché non appartengo ai presuntuosi saccenti sapientoni che si sentono depositari della verità dei valori della vita, dimenticandosi che proseguendo a deridere e disprezzare certi “vecchi” valori non si costruisce niente di buono. Il progresso non può essere quello di cancellare la bellezza, gli ideali, la solidarietà, il sentirsi disponibili a provare a cambiare le cose in meglio! Non si è cretini se non si hanno tanti soldi! Si può anche essere migliori di chi ce ne ha tanti!

- A&B - Quanto ti mancano Francesco e Rodolfo?
- Vittorio Nocenzi - Mi mancano quanto possono mancarti due persone con le quali hai vissuto intensamente tutti i tuoi primi sessant’anni di vita. Con loro ho vissuto illusioni, risultati importanti, esperienze interiori fortissime, piccole esperienze quotidiane, come spartire una stanza di albergo e fare colazione insieme o vedere la bellezza di un paesaggio o di un monumento, gustare insieme un bellissimo pranzo e ridere fino a stare male, migliaia di viaggi interminabili in lungo ed in largo in Italia ed in Europa. Con Rodolfo, poi, anche altre connessioni che ci hanno legati per tutta la vita in modo profondo, come il fatto che lui, appena entrato nel Banco, si trasferisce a Marino, la mia città, e va ad abitare nella mia casa natale da sposino, dove crescerà i suoi quattro figli, e poi l’amore comune per la storia dell’arte e quindi l’infinità di monumenti visitati e commentati insieme in Italia ed all’estero, il comune amore per l’armonia musicale, di cui Rudy era un vero cultore e tanto altro ancora. E’ tutta la mia vita questo, quindi, per me, indimenticabile.
Sono già passati anni, ormai, eppure le ferite non riescono a rimarginarsi ancora.

- A&B - Mi piacerebbe darti l’occasione di smentire (o dire la tua) circa il comunicato stampa della presentazione dell’album postumo di Di Giacomo che riporta la notizia della fuoriuscita dal Banco nel 2013 di Francesco … Che senso ha affermare certe cose a distanza di anni?

- Vittorio Nocenzi - Il senso che hanno queste affermazioni devi chiederlo a chi le ha fatte. Io non lo avrei fatte, semplicemente perché per molti di quelli che lo hanno amato, Francesco è un tutt’uno con il Banco, senza il quale non sarebbe sicuramente stato quello che è ancora oggi, per tutti, Francesco di Giacomo, come Vittorio Nocenzi non sarebbe Vittorio Nocenzi senza il Banco e così Rodolfo Maltese e così ognuno di noi. Quindi trovo cinico, strumentale a fare una dubbia buona pubblicità al nuovo disco solista, anche perché è già il secondo, considerato “Non mettere le dita nel naso”, il primo album solista di Francesco, che risale a qualche anno fa e di cui sono stato io il produttore artistico.
Chi ha scelto di dare la notizia della sua fuoriuscita dal Banco nel 2013 forse aveva in testa l’idea di promuovere il disco, rendendolo particolare…
Non so, francamente non so cosa pensare, se non che mi sembra poco rispettoso dei sentimenti della maggior parte dei fans, raccontare queste cose, che attengono secondo me più alla privacy umana di un artista che non alla sua dimensione pubblica.
La verità è che Francesco, negli ultimi tempi, non si sentiva più di proseguire l’attività concertistica con la band, perché stava poco bene ed il lavoro concertistico è molto faticoso, esige un utilizzo massiccio di energie fisiche e mentali, e Francesco non se la sentiva più, visto anche il livello culturale della nostra nazione che non incoraggia certo gli artisti in genere a proseguire nel loro lavoro.
Ma questo non significava voler interrompere i nostri rapporti artistici e creativi. Anzi, avevamo un progetto in comune che non vedevamo l’ora di realizzare: l’“Orlando” ispirato dal capolavoro di Ariosto. Dopo aver ascoltato il brano conduttore scritto da mio figlio Michelangelo, Francesco era entusiasta dell’idea di scrivere i testi per quest’opera. Era il nuovo progetto che volevamo condividere, era come tornare a fare insieme gli autori, scrivere le parole per questa nuova musica, indipendentemente dal fatto che poi sarebbe stato realizzato dal Banco o da altri artisti. E l’ultimo giorno della sua vita, Francesco l’ha passato a casa mia, insieme a me, davanti al pianoforte, come quando eravamo ragazzi, a scrivere un nuovo brano sulla libertà, che avremmo voluto registrare e inserire nella legacy edition di “Io sono nato libero”. E quel maledetto pomeriggio, alle 17.00, quando è uscito da casa mia per tornare a casa sua, ci siamo dati appuntamento per dopo tre giorni, sarebbe stato un venerdì, per scrivere un altro brano di cui avevamo concordato l’argomento: la povertà. E sulla sua macchina, quella dell’incidente mortale, sui sedili posteriori, c’era il Cd su cui gli avevo registrato il nuovo brano in attesa del nuovo testo.
Ma tutto questo non esclude la voglia di sperimentare altre strade, come il suo album solista uscito in questi giorni dimostra. Anch’io avevo fatto un album solista per solo pianoforte e lui stesso, come detto, ne aveva già fatto un altro.
Le dinamiche interne ad una band sono tante e varie: una di queste è uscire momentaneamente per fare un’esperienza fuori dalla formazione storica in cui lavori, per prendere spunti diversi dal solito, per fare altre esperienze. Insomma, è una curiosità così lecita che succede in tutte le band, soprattutto quelle che stanno insieme tanti anni e che quindi corrono il rischio di rendere ripetitive le esperienze creative. Allora si esce per un po’ a prendere altra aria e, quando ritorni, porti con te nuovi stimoli che fanno sempre bene a tutta la band.

- A&B - E come ti trovi con i nuovi compagni di viaggio?  Il disco dà la sensazione di una band affiatatissima ed ispiratissima (grande vocalist tra l’altro). Fortuna o capacità di giudicare e scegliere le persone?

- Vittorio Nocenzi - Entrambe le cose. Senza fortuna non vai da nessuna parte, ma aiutati che Dio ti aiuta. Intendo dire che la selezione ha avuto un paletto centrale ben piantato in terra: dovevano essere anzitutto “belle” persone, prima ancora che bravi musicisti. Perché se non c’è un comune riferimento a valori ideali ed umani, quando poi la musica ti porterà alla condivisione di emozioni interiori molto forti, se non c’è anche una condivisione culturale ed ideale, non ci sarà una performance profonda ed emozionante anche per l’ascoltatore. La musica è una specie di cartina tornasole di chi siamo veramente, ed ecco che allora possono uscire fuori conflittualità critiche ed inconciliabili.
La formazione della band che ha realizzato “Transiberiana” si avvale alla batteria di Fabio Moresco (ex “Metamorfosi” storica band progressive romana), al basso elettrico di Marco Capozzi (ex bassista del “Balletto di Bronzo”). Una base ritmica formidabile, dove il sound worm del drumming dialoga con il suono del basso di Marco particolarmente presente e profondo allo stesso tempo. Marco ha davvero un bellissimo tocco sul suo strumento, che gli conferisce una voce bellissima, e che ben sostiene la ritmicità particolarmente calda ed incisiva di Fabio. Su questo binario solido e potente si poggiano le due chitarre, quella di Filippo Marcheggiani, ormai da 25 anni con me nel Banco, e quella di Nicola Di Già (ex Balletto di Bronzo). Due ruoli diversi ma magicamente in sintonia: Filippo alle chitarre soliste, con le quali ha firmato una serie di assoli bellissimi e di parti chitarristiche che non si sono mai aggiunte passivamente ai brani, ma ne hanno sempre preso fra le mani accordi e frasi per rilanciarle potenti ed incisive: Nicola si è occupato delle seconde chitarre elettriche e delle acustiche, oltre a suonare splendidamente la balalaika mandolinata che, quando appare, durante i brani, ti arriva dritta dentro il cuore, commuovendoti, ogni volta, in modo struggente.
E poi la voce di Tony D’Alessio che non è solo potente (non poteva non esserlo, dentro il Banco), tenorile, ma è così ricca di timbri e colori da prendere le linee melodiche e le parole dei brani e farle incendiare di emozioni.
Fin dal primo momento la cosa principale è che il progetto è stato condiviso da tutti con pari entusiasmo. I brani scritti con Michelangelo, letti dai musicisti della band, si sono esaltati, riuscendo a convincere al primo ascolto: tutti i fans che ho coinvolto durante le registrazioni per chiedere le prime impressioni di ascolto, sono stati concordi nel dire che si riconosce immediatamente il Banco, ma con suoni nuovi, contemporanei.
Era proprio questa l’idea: con la struttura dell’album concept, la scrittura era tipicamente Banco, ma l’inserimento di nuove sonorità ed un uso più diffuso delle chitarre elettriche da al tutto un suono di oggi: insomma, guardi al passato per confermare la tua identità ma pianti bene i piedi nell’oggi per guardare avanti, nel futuro.

- A&B - Conosco il tuo affetto per i tuoi vecchi compagni di viaggio, che hanno fatto con te la storia della musica italiana. Ti sono stati “ancora” vicini nella nuova avventura?

- Vittorio Nocenzi - In questa ripresa del viaggio della vita, i miei compagni storici mi sono sempre vicino, e come potrebbe essere diversamente? Potrei raccontarti ancora tante di quelle cose a tale riguardo… Ma sono sempre stato pudico e non ho mai amato dare materiale per il gossip o la curiosità morbosa, e non mi piace fare spettacolo col dolore e la vita privata. In questo, non sono uno del mio tempo, assolutamente no.

- A&B - Il cambio di formazione e l’importanza di Michelangelo: quanto ha influito tutto ciò sul processo creativo? Puoi darci qualche dettaglio? E’ nata prima la musica e poi il testo o viceversa?

- Vittorio Nocenzi - Entrambe le cose hanno influito tantissimo sul processo creativo. La collaborazione nella scrittura con Michelangelo è stata davvero la molla che ha riacceso in me l’entusiasmo e la voglia di continuare a scrivere.
Essendo nato, come musicista, in una band, ma anche per come sono fatto emotivamente proprio io, mi risulta assolutamente innaturale non condividere il piacere di un’emozione: se scrivo qualcosa di nuovo la prima cosa che mi viene spontanea è condividerla con gli altri musicisti con cui suono, è come assaggiare qualcosa di buono e non commentarlo con qualcun altro, o vedere qualcosa di bellissimo e condividerlo con altri: è un modo di assaporare emozioni e vivere, rendendo partecipi anche chi ti sta vicino, per averne le impressioni, i commenti, le considerazioni, e confrontarti. E’ una delle cose più ricche di esperienze e feedback interessanti che un uomo possa provare. Il timing del lavoro è stato più o meno questo: dopo aver individuato il titolo (“Transiberiana”) la prima cosa che ho scritto non è stata la musica ma lo storyboard del racconto, la partenza del treno con tutte le aspettative che un viaggio del genere poteva suggerire ai viaggiatori: aspettativa di sorprese, di meraviglie, ma anche di possibili pericoli, ecc.
Essendo la Transiberiana la metafora del viaggio della vita, ecco le sorprese che non mancano mai: un branco di cavalli allo stato brado corre libero nella tundra sfidando la corsa del treno. Poi l’imprevisto: il ghiaccio invade i binari ed il treno è costretto a fermarsi nella tundra ghiacciata. Non potendo andare più avanti, i passeggeri impauriti decidono di scendere dal treno e di cercare di arrivare al villaggio più vicino in cerca di soccorso. Scendono dal treno e si trovano dentro questo nulla bianco e nebbioso, disorientati ed incerti sul da farsi. Ed allora vengono assaliti da un branco di lupi.
Come succede appunto nella vita, quando spesso piove sul bagnato …
Riescono a scampare all’assalto e a risalire sul treno. Il viaggio riprende ma nel cuore dei passeggeri ora c’è un’altra consapevolezza, ed allora, come succede sempre nella vita quando sei scampato ad un serio pericolo, tutto quello che li circonda assume più significato, più valore… cominci a vedere in modo diverso i compagni di viaggio e tra questi c’è uno sciamano siberiano che racconta la propria vita. E poi un altro viaggiatore, che viene colto mentre sta affacciato al finestrino e, guardando fuori, respira l’aria che pare portare con sé l’odore del mare, quel mare che sta alla fine del viaggio, le coste del mar del Giappone … Ma quando il treno arriva sulla costa del mare, i viaggiatori scopriranno che non è l’Oceano, la meta del viaggio, ma è il viaggio in sé, e davanti all’oceano si cambierà solo il treno con la nave e si ripartirà sulle correnti marine… strade di sale: il viaggio proseguirà.
E’ stata la prima volta che ho scritto la musica dopo lo storyboard, ma in questo modo ogni stazione del racconto diventava uno stimolo alla composizione musicale formidabile. Poi, dopo la musica, i testi. Li ho scritti insieme a Paolo Logli, un vecchio amico del Banco da tanti anni; è stato lui il regista dell’unico videoclip ufficiale della band, “Ciò che si vede è”, profondo conoscitore dei brani del BMS, amico personale di Francesco, di Rudy e mio, con il quale è stato sorprendentemente naturale scrive i testi dei brani di “Transiberiana”, e scriverli nella stessa direzione in cui li ho sempre scritto con Francesco, trovando meravigliosa disponibilità e preziosa creatività che, unite alla cultura, fanno davvero un bel mix per lavorare nel migliore dei modi.
Finito il lavoro di scrittura di testi e musica, è arrivato il momento di coinvolgere i musicisti della band nel fare proprio tutto il materiale. E devo dirti che, finché non ci ho sentito sopra le chitarre e il basso con la batteria, non sapevo se il risultato finale della fase di scrittura fosse giusto o no. È come il lavoro di un sarto che deve fare un abito ad una persona precisa: può aver disegnato il modellino più bello del mondo e scelto la stoffa più pregiata possibile, ma finché la persona per cui ha cucito e tagliato l’abito non lo indossa, il sarto non potrà mai sapere se ha fatto un buon lavoro o no.
Ecco allora il momento delle chitarre, il momento in cui il Banco indossa il nuovo abito! Ed è stato subito amore a prima vista: sia per i sarti, che per gli indossatori!!! Filippo Marcheggiani è entrato così in profondità nel materiale musicale con le sue parti di chitarra, che ne ha esaltato la emotività e l’incisività, e così Nicola con i suoi strumenti, e Marco col basso e Fabio con la batteria.
E poi, dulcis in fundo, le interpretazioni vocali di Tony, ricche di sfumature timbriche che hanno sostenuto immagini e concetti delle parole al di là di ogni migliore aspettativa.
Ed era quello che aveva l’eredità più pesante da gestire, quella di Francesco, un artista così carismatico da far tremare i polsi a chiunque fosse stato chiamato a sostituirlo.
Invece Tony è entrato nella sua parte con molta umiltà ed amore, con passione, con talento, ed il risultato ha messo d’accordo tutti, Michi, Paolo, io, i ragazzi del Banco ed i fans.

- A&B - I testi sono una sorpresa, un po’ ermetici in certe parti, ma anche con aperture liriche ed evocative in linea con lo stile classico del Banco (il branco di lupi mi ha ricordato la voglia e la necessità di vivere in branco di “Cento mani e cento occhi” da “Darwin”). Come sono nati? Quanto hai contributo?

- Vittorio Nocenzi - Te l’ho già detto in parte. Per me i testi sono sempre stati molto importanti, importanti quanto la musica, ed ho passato giornate intere con Francesco a limare, trovare alternative di suono e di metrica per i versi dei nostri testi affinché suonassero giusti oltre che ricchi di suggestioni e di concetti. Certo la polisillabicità della lingua italiana non aiuta a stendere parole su melodie spesso molto ritmiche, sincopate, sulle quali l’italiano risulta agli antipodi; molto meglio lingue dotate di tante parole tronche, monosillabiche, come l’inglese. Risulterebbe un lavoro molto più facile. Però la nostra lingua è così bella, perché ricca di infinite sfumature, che alla fine merita il lavoro supplementare e la faticaccia da fare.
Con Paolo i testi sono usciti con una sinergia miracolosa: si passava dal raccontarci oralmente le cose da poter dire sull’episodio dello storyboard in questione, al metterle in metrica sule note della melodia, in un continuo fuori e dentro la specificità del lavoro, a volte piegando le parole alle note, altre volte il contrario, le note alle parole, cercando ogni volta di salvare entrambi i momenti, quello melodico musicale e quello poetico dei versi.

- A&B - Cosa significa oggi per te fare un concerto? So cosa sei in grado di dare, ma cosa riesci a ricevere ancora dal pubblico?

- Vittorio Nocenzi - Significa ancora vedere la gente entusiasmarsi con la mia musica, sentire l’energia formidabile sprigionata dai musicisti con me sul palco e ricevere quindi una scarica di adrenalina incredibile! Il concerto è sempre un incontro dirompente, travalicante la dimensione singola. E finché sarà così è insostituibile.
È una cosa diversa dall’ascolto discografico. È come andare allo stadio (il concerto) e l’ascolto discografico è vedere la partita in tv. Due cose diverse e preziose entrambe: l’ascolto discografico serve ad esaltare i contenuti musicali ed è solo ascoltando con una buona cuffia le registrazioni di un bel disco che tu puoi davvero entrare in profondità nella composizione. Ma ascoltare dal vivo quella musica, insieme a tante altre persone, è la condivisione collettiva che ti esalta e niente come la musica può mettere in sintonia fra loro migliaia di persone mai viste prima.
Quindi, quando si riesce a creare quel feedback tra stage e pubblico, il concerto è uno scambio energetico miracoloso e indescrivibile.
Ed ogni volta, la musica si rinnova, anche un brano che esegui da decine di anni, acceso dall’attenzione del pubblico per l’ennesima volta, riemerge e risalta ancora come nuovo.
E’ tutto questo che riesco a ricevere ancora dal pubblico. Il concerto è una specie di rito laico, in cui si celebra l’umanità e la sua impalpabile ma incredibile luminosità. Ti puoi commuovere da solo, ed è una cosa, ma se ti capita di commuoverti insieme a migliaia di persone nello stesso momento, capirai di cosa sto parlando.

- A&B - Ti senti soddisfatto musicalmente parlando? O hai ancora “fame”, ancora voglia di sperimentare?

- Vittorio Nocenzi - Ho una fame atavica, sono nato affamato della vita, della bellezza. Ogni giorno in cui ho scoperto qualcosa che non sapevo, per me è stata una festa. Quindi, come posso sentirmi soddisfatto musicalmente parlando? Non vedo l’ora di iniziare il lavoro dell’Orlando: ci sono già due ore di musica inedita, ma ora bisognerà iniziare a selezionare le voci per i vari personaggi, fare gli arrangiamenti per la band, l’orchestrazione sinfonica per i contributi orchestrali e quelli etnici per il gruppo etnico, le partiture per il coro di 20 persone.
Insomma, sarà un lavoro massacrante, ma piano piano arriveremo a dama, come sempre.
E ci sarà quindi tanto spazio per continuare a sperimentare, come piace a me.

- A&B - C’è ancora un ruolo per una musica di qualità? O l’ingorgo di talenti “quotidiani” che creano caos, imponendo “arte che vive e muore” in un giorno, sta rovinando tutto? Come potremmo operare per riportare valore nella musica (e quindi nella vita…)?

- Vittorio Nocenzi - Io credo che sì, ci sia ancora un ruolo per la musica di qualità. Certo, per il pubblico è più difficile cogliere le differenze fra la pancottiglia dell’usa e getta e la qualità, perché questa globalizzazione grigia e mediocre fatta da gente di low profile, che è preoccupata solo di farci consumare tutto e comunque, rende le scelte più difficili.
Siamo tutti più disorientati da un’offerta infinita di cosine e cosucce come in un gigantesco bricabrac.
Ma poi, però, la gente quando ha bisogno di stare con sé stessa, di raccogliersi in sé, in un’intimità umana sentita e non ostentata, insomma quando la parte spirituale di noi ci chiama per qualunque cosa minimamente più importante della fiera della vanità quotidiana, allora ecco che magicamente si ricrea lo spazio per la poesia, per la musica ed il cinema di qualità, ecc.
Possiamo far finta di niente, e proseguire sballottolati dalla corrente della superficialità e del grossolano quotidiano, ma nel momento in cui riaffiora in noi o intorno a noi qualcosa che abbia a che fare con i sogni, con le idee, con gli ideali, con il bello, con il vero, ecco che allora lo spazio per quella che chiami qualità si apre immediatamente, perché noi siamo non solo corpo ma, anzi, soprattutto spirito, e l’arte parla con la nostra dimensione spirituale.

- A&B - Ti ho sempre considerato un artista “crossover”, che produce arte a 360°, unendo musica, pittura, poesia, teatro, letteratura … Quanto di questo approccio è ancora presente nel Vittorio odierno? Quanto desiderio hai di tornare anche alla parte progettuale di esperienze fondamentali come “le chiavi segrete della musica” e gli altri che hai prodotto negli anni? C’è ancora tempo per cercare di promuovere gli “strumenti logici” per discernere tra valori e massificazione?

- Vittorio Nocenzi - Il tempo per cercare di promuovere gli “strumenti logici” per discernere tra valori e massificazione, oggi, ne ho di meno, perché tutto quello fatto negli anno scorsi ha tolto molto tempo alla scrittura di nuova musica, ed oggi, come già detto, sento la necessità di recuperare il tempo perduto in questo senso. Ho bisogno di scrivere nuovo materiale e, siccome non so fare le cose superficialmente, si devono scegliere le priorità e la mia, in questa stagione della vita, è quella di tornare alla scrittura prima di tutto.
Certamente tu sai con quanta passione mi sono dedicato al promuovere gli “strumenti logici” per distinguere tra valori e massificazione, “le Chiavi segrete della musica” è stata un’esperienza che mi ha nutrito interiormente in modo eccezionale, perché mi ha permesso, sia pure con scopo di divulgazione didattica, di percorre per qualche tempo i sentieri del sogno dell’”arte totale”, questa chimera inseguita da artisti di tante epoche che intendeva abbattere gli ostacoli e i recinti fra un’arte e l’altra. Lavorare sulla concezione e realizzazione di video in cui testo poetico ed immagine si fondevano in un’unica partitura con la musica, creando una specie di neolingua, è stato bellissimo e creativamente lo rifarei domattina, ma mi sono imposto un appuntamento con Orlando e stavolta non gli dirò di mettersi da parte ed aspettare ancora. L’Ippogrifo ha voglia di volare e sta scalpitando.

- A&B - Lo hai nominato ancora una volta… A che punto è l’ “Orlando”? Sarà inserito nel progetto Banco, oppure sarà un’esperienza personale da condividere appieno con tuo figlio Michelangelo?

- Vittorio Nocenzi - Nella mia testa, l’Orlando l’ho sempre pensato per il Banco. Esattamente come “Transiberiana”, la musica è scritta a quattro mani con Michelangelo e i testi con Paolo Logli. Sono già quattro anni che ci stiamo lavorando. Ed in questo momento sono pronte due ore di musica e relativi testi.
Siamo in fase di preproduzione molto avviata, intendendo dire che le due ore di musica sono già registrate su hard disc. Ora bisognerà iniziare le registrazioni acustiche degli strumenti della band, di tutte le voci soliste, circa 6, quanti sono i personaggi principali. Ci saranno anche voci femminili (Angelica e Bradamante), ma mi fermo qua, è ancora troppo presto e ora è il momento della Transiberiana: facciamola viaggiare forte e spedita come un missile. E poi Orlando la inseguirà.
Mi piace molto l’idea che sia una band rock a proporre un’opera contemporanea, come ai tempi di ”Tommy” degli Who. E’ inusuale e quindi mi affascina molto.