Entity – “Il
naufragio della speranza” (2024)
di Alberto Sgarlato
Mauro Mulas è un tastierista che ha studiato
elettronica e composizione presso il Conservatorio di Cagliari e che, nella sua
carriera di musicista, vanta collaborazioni con diversi grandi del jazz
(citiamo qui per brevità solo i nomi più noti: Dave Liebman, Paolo Fresu, Steve
Lacy, Frank Gambale) e artisti di rilievo della musica italiana (anche qui in
svariati ambiti, da Antonella Ruggiero a Tony Esposito).
Parallelamente a tutto ciò, però, ha
“spalmato” nell’arco di tre decadi la scrittura dei brani dedicati al suo
progetto denominato Entity. La
composizione, infatti, è avvenuta tra il 1994 e il 1997, mentre il primo
capitolo della saga ha visto la luce ormai oltre 10 anni fa, nel 2013.
Entity è un viaggio nella mente umana con
particolare attenzione ai suoi risvolti più irrazionali, dall’attività onirica
fino ai labirinti della follia.
Il concept si snoda, appunto, in due album: il primo, del 2013, intitolato “Il falso centro”, mentre in questo 2024 esce il seguito, “Il naufragio della speranza”, il cui titolo è ispirato a un dipinto di Caspar David Friedrich (noto anche come “Il mare di ghiaccio”).
Si comincia con i 9 minuti di “Derealizzazione”,
il brusio della gente, già di per sé evocativo di un senso di malessere,
confusione, disorientamento, viene presto sommerso da un suggestivo riff
chitarristico su tempo dispari. Appena entrano i pad delle tastiere e gli
arpeggi di organo la prima suggestione è quella di un’atmosfera profondamente
debitrice della lezione genesisiana. Ma è incredibile come, nel giro di un paio
di minuti, il brano cambi aspetto almeno tre volte, passando da una serie di
“duelli” tra chitarra e organo degni degli Yes, fino a momenti più languidi,
con chitarre dalle note lunghe e tappeti di Hammond e String-machines che
richiamano invece ai Camel e, più in senso lato, alla scuola di Canterbury.
Ma è al pianoforte che Mulas rivela tutta la
sua maestria di provenienza chiaramente jazzistica (come del resto anche il suo
curriculum rivela).
Il tema iniziale viene ripreso al quinto
minuto, riportando l’ascoltatore a quella percezione di disagio primordiale,
ulteriormente alimentata dalle note acide di un Moog. E in questa traccia è già
chiaro tutto il messaggio del disco: in queste situazioni così altalenanti, tra
momenti molto soft e molto cupi, ci siamo noi, tutti noi, con le nostre paure,
le nostre ansie, il perenne malessere esistenziale che attanaglia la nostra
epoca.
Il cantato entra solo dopo il sesto minuto e
i versi sottolineano tutto quanto appena detto: un testo fatto di paura e di
isolamento, eppure cantato con la soavità di chi sembra non temere il proprio
destino e di saper giungere a patti con esso. Splendida, sia detto,
l’interpretazione vocale di Sergio Calafiura, intensa, teatrale, personale, mai
debitrice di modelli preesistenti.
“Inettitudine” inizia affidata
alle note del piano, presto sorretta da avvolgenti tappeti orchestrali. La
voce, presente sia nei momenti più rock, sia in quelli più intimisti, è usata
come uno strumento. L’esuberanza dell’Hammond e dei sintetizzatori richiamano a
tratti, seppur in modo remoto, il ricordo di Emerson, anche se il brano nella
sua interezza potrebbe evocare certe atmosfere del Banco del Mutuo Soccorso
nella sua commistione tra classica e jazz.
Dopo queste due tracce, che insieme ci
portano già a oltre 18 minuti di musica complessivi, iniziano vari momenti di
svariate lunghezze, alcuni più articolati, altri più brevi e compatti.
L’indiscussa maestra chitarristica di Marcello Mulas, qui alle prese con una
toccante introduzione acustica, ci porta per mano dentro le dolci atmosfere di
“Cristallo”, dove Calafiura sfoggia un falsetto dolcissimo,
ineccepibile, perfettamente centrato nella sua esecuzione.
Siamo di fronte a un grande esempio di
prog-ballad, che dopo il quinto minuto cresce, verso il finale, in un continuo
aumentare di intensità. Marcello Mulas passa con disinvoltura dall’acustica
all’elettrica regalando sempre prestazioni eccellenti.
“Osservatorio” si apre con
atmosfere gelide, che richiamano realmente alla mente quel quadro di Friedrich
omaggiato nel titolo dell’album. Qui l’autore dei brani si cimenta anche alle
percussioni, creando con il validissimo batterista Marco Panzino un solido e
ipnotico tessuto ritmico, perfetta introduzione per una “cavalcata” di
hard-prog ben giocata tra chitarra ed Hammond. Se amate band come Uriah Heep,
Atomic Rooster e Kansas qui troverete pane per i vostri denti.
Dal terzo minuto e mezzo entra il cantato,
mentre il basso di Gianluigi Longu richiama, in un raffinatissimo lavoro di
arrangiamento, i temi già enunciati da tastiere e chitarre nell’introduzione.
Un brano intenso, suggestivo, che si lancia in un finale parossistico prima di
ritornare, secondo uno schema circolare, a una chiosa di batteria e percussioni
(e quell’immancabile vociare che simboleggia l’inquietudine della società che
ci circonda).
Nel brano “Fuori dalla realtà”
a Mauro Mulas basta meno di un minuto e mezzo per dimostrare, in assoluta
solitudine, tutta la sua maestria pianistica.
I due brani intitolati “Risveglio”,
il primo con il sottotitolo di "Tango" e il secondo di "Fuga", vanno
a formare un’unica mini-suite in un vero tripudio di stili nei quali jazz,
classica, world-music e prog-rock si sposano con una continuità e un’eleganza
ineffabili.
“Un volto senza nome” è una
reprise in cui il cantato di Calafiura, accompagnato dal solo pianoforte, ci
racconta tutto il suo disagio e smarrimento, tornando sul tema melodico che era
dell’iniziale “Derealizzazione”.
Dopo una breve parentesi così intimista parte
invece una delle tracce più hard-prog dell’intero disco, ed è “Enigma”:
momenti marziali, affidati a riff e tappeti di Mellotron, si alternano ad altri
più barocchi, nei quali chitarre e Moog danno sfogo alle loro capacità.
All’ingresso del cantato, a metà brano, l’ottimo lavoro di supporto ritmico di
Longu e Panzino è roccioso, pulsante, mentre Calafiura ci regala vette vocali
in una delle sue interpretazioni più struggenti.
“E sarà domani”: con questo
titolo Entity si congeda. L’esecuzione pianistica è deliziosamente in
equilibrio tra musica contemporanea e jazz, con orchestrazioni da colonna
sonora. Il brano, per sole tastiere, lascia presagire un barlume per un domani
di speranza in un mondo difficile.
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