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venerdì 28 giugno 2024

Zita Ensemble – “Zita Ensemble”, di Alberto Sgarlato



Zita Ensemble – “Zita Ensemble” (2024) 

di Alberto Sgarlato

 

Per chi ama le più evolute ed avanguardistiche frontiere del jazz-rock, Zita Ensemble è un nome ben noto e molto apprezzato. La loro carriera, seppur con qualche stop, qualche ripartenza e qualche progetto parallelo nel mezzo (come è normalissimo che sia nel variegato mondo della musica), dura ormai da vent’anni esatti. Ovvero da quel 2004, anno della loro formazione, fino a questo 2024 che vede l’ensemble consegnare alle stampe questo album omonimo formato da otto tracce.

“Musica strumentale post-moderna” potrebbe essere un termine bellissimo e onnicomprensivo per descrivere gli universi sonori di questa formazione, nei quali convergono il jazz-rock, il post-rock, il math-rock e suggestioni “cinematiche” da colonna sonora.

La opener “The wind” vede arpeggi di chitarra ridotti all’essenziale, dal suono pulito, appena riverberato, danzare leggeri su una sezione ritmica mixata in modo presente, che si snoda con la velocità tipica di generi come il drum’n’bass e con deliziosi accenti degli splash che fanno capolino qui e là, fino a un crescendo con un rullante turbinante.

Atlantico” si regge su un roccioso giro di basso che fa persino venire in mente certi brani dei Soft Machine (periodo “Seven”) o del Perigeo, sul quale ancora chitarre ora minimali, ora dal sapore “desertico” e drumming fantasioso costruiscono le loro trame sonore.

Black summer” ha un’introduzione che potrebbe persino far pensare all’Hendrix di “Little Wing” o all’Howe di “Roundabout”. Quando la band entra al completo si respira quasi un clima da “blues fusion del III Millennio” (pur non essendo, in realtà, affatto un blues nella struttura; semmai nel “mood”).

Accenti dispari introducono “Dance Tape”, brano che trova il suo punto di forza nelle stratificazioni dei vari temi, rapidamente cangianti, che ciclicamente ritornano.

Us” profuma di esotico, di Bossa Nova. Ma come avevamo detto per “Black Summer”, se quel brano tecnicamente non è un blues, questo di fatto non è una bossa nova. Ed è proprio da questi dettagli che si coglie la sottile intelligenza compositiva della band, capace di far “respirare” all’ascoltatore certi climi, certe atmosfere, certe suggestioni, ma facendo in realtà tutt’altro. Difficile da spiegare, più facile da capire ascoltando.

Amigos” è forse la traccia più assimilabile al classico concetto di ballad, per la sottile malinconia e per quel senso di struggimento che la pervade.

 “Musica per immagini”, si diceva all’inizio. Qui le note lasciano che ogni ascoltatore viva, chiudendo gli occhi, il suo “film personale”. E nei minuti conclusivi sembra quasi di scorgere remoti echi king-crimsoniani.

Lipstick”, dopo i languori della traccia precedente, torna a giocare con il groove in modo poderoso. Math-funk-jazz ai massimi livelli per un brano che svela tutta l’energia di cui è capace questa band.

Si conclude con “Sunday”… Quel raffinato lavoro di bacchette sul bordo del rullante che sorregge tutti gli intarsi tra chitarra e basso è qualcosa di delizioso. Ascoltare per credere. Siamo di fronte a un’altra traccia che, dietro al groove intelligente e raffinato, nasconde una vena di malinconia. Come forse un po’ tutto l’album.

Concludendo: un’opera in cui la perizia tecnica degli strumentisti, di altissimo livello, è messa sempre al servizio di una scrittura intelligente, raffinata, senza sterili prove muscolari o gratuite ostentazioni ma, al contrario, alla costante ricerca di un “mood” elegante e ricercato.

Sia che voi ascoltatori siate culturalmente “figli” del prog-rock e del jazz-rock degli anni ‘70, o della new-wave e del minimal degli anni ‘80, o del post-rock degli anni ‘90 o dell’eclettico mondo chillout, drum’n’bass, trip-hop dei primi 2000, qui troverete un gran lavoro di composizione capace di unire almeno quattro generazioni diverse.







giovedì 27 giugno 2024

Ricordando Chris Squire che ci lasciava nel 2015

Fuck the dead... sono immortale!

Il 27 giugno del 2015, a causa di un male incurabile, ci lasciava Chris Squire, bassista inglese e membro fondatore degli Yes.

La sua eredità come uno dei più grandi bassisti nella storia del rock progressivo vive ancora oggi attraverso la sua musica e il suo impatto duraturo sulla scena musicale.

Chris Squire nacque il 4 marzo 1948 a Kingsbury, nel Middlesex, in Inghilterra. È diventato famoso come bassista principale e voce di supporto degli Yes, una delle band più influenti nel genere del rock progressivo. Squire è stato uno dei membri fondatori della band nel 1968 insieme a Jon Anderson, Peter Banks, Bill Bruford e Tony Kaye.

Il suono distintivo di Squire al basso è stato un elemento chiave nel suono unico della band. Utilizzava un basso Rickenbacker 4001, che gli conferiva un suono ricco e profondo. Oltre a suonare il basso, Squire ha contribuito significativamente alle armonie vocali del gruppo.

Durante la sua carriera con gli Yes, Chris Squire ha partecipato alla creazione di album di grande successo, come "The Yes Album" (1971), "Fragile" (1971), "Close to the Edge" (1972) e "90125" (1983), tra molti altri. Il suo stile di basso innovativo e la sua presenza scenica magnetica hanno reso Squire un'icona nel mondo del rock progressivo.

Squire ha anche lavorato su alcuni progetti solisti nel corso degli anni, pubblicando l'album "Fish Out of Water" nel 1975 e collaborando con altri artisti.

La sua eredità come uno dei più grandi bassisti nella storia del rock progressivo vive ancora oggi attraverso la sua musica e il suo impatto duraturo sulla scena musicale.



Racconti sottoBanco: il 27 giugno 2009 il Banco del Mutuo Soccorso esegue dal vivo e per intero l'album "Darwin!"

Darwin, Frascati 2009

Racconti sottoBanco

Nella villa Torlonia di Frascati, il 27 giugno 2009 il Banco del Mutuo Soccorso esegue dal vivo, per intero l'album "Darwin!".

Per ricordare quella memorabile giornata ho scelto questo bellissimo articolo di Teo Orlando, che fa rivivere a chi c'era quelle inconfondibili sensazioni.
Wazza



Articolo di Teo Orlando

Il Banco del Mutuo Soccorso ha suonato lo scorso 27 giugno a Frascati a Villa Torlonia presentando l'opera Darwin! Alla voce Francesco Di Giacomo per una rentrée di tutto rispetto e del tutto progressive.
Quando l’autorevole rivista inglese Gnosis stilò una sorta di graduatoria dei migliori album del genere progressive, molti appassionati del genere non credettero ai loro occhi vedendo che il primo posto non era occupato da uno dei capolavori di una band britannica.
Né il seminale In the Court of the Crimson King degli insuperabili King Crimson del geniale Robert Fripp o il leggendario Pawn Hearts degli immensi Van Der Graaf Generator con la stratosferica voce di Peter Hammill, o il cesellato Selling England by the Pound dei migliori Genesis di Peter Gabriel (che si classificò al secondo posto di stretta misura) o l’irriverente Aqualung dove Ian Anderson guidava i Jethro Tull verso rotte blasfeme; e neppure qualcuna delle sofisticatissime opere dei sottovalutati bardi della sperimentale scuola di Canterbury, dai Caravan agli Henry Cow fino ai Gong.

A guidare la classifica e a surclassare cotanta concorrenza fu un disco di un gruppo italiano, e d’origine romana, per giunta. Siamo nel 1972 quando il Banco del Mutuo Soccorso pubblica Darwin!, forse il primo concept album compiuto concepito da una band italiana. Tema e testi di notevole complessità, con l’intreccio di argomenti biologici, cosmologici e filosofici, e con un tasso di irriverenza che all’epoca fece gridare allo scandalo.
Per nulla invecchiati se non anagraficamente i musicisti e la musica, e di sorprendente attualità i testi, in quest’anno dedicato ai 200 anni dalla nascita di Charles Darwin e ai 150 dall’apparizione del suo capolavoro, ossia Sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita (1859): abbiamo così assistito alla riproposta in concerto di questo capolavoro del progressive italiano.

La performance ha avuto luogo nella suggestiva cornice di Villa Torlonia a Frascati, il 27 giugno scorso, e ha visto il Banco nella formazione originale, con l’aggiunta di una recitazione affidata all’attore Alessandro Haber, preceduta da un’introduzione quasi teatrale ad opera del cantante del gruppo, Francesco Di Giacomo, che in modo semiserio ha cercato di ammaestrare” il pubblico sulle teorie di Darwin.

Le premesse ideologiche del disco del Banco sono in effetti ispirate al darwinismo e alle sue conseguenze: in particolare, viene pienamente accolta l’idea per cui le teorie di Darwin abbiano inferto un colpo mortale alla credenza nella creazione divina dell’uomo e nell’ordine finalistico della natura, voluto dall’intelligent design di un’entità provvidenziale e orientato verso una tendenza intrinseca all’armonia.


Secondo Darwin, infatti, tutte le specie viventi e la loro evoluzione sono determinate da tre fattori principali: 1) La variabilità spontanea delle popolazioni, sia vegetali, sia animali: ciò vuol dire che le variazioni genetiche che spiegano le differenze tra gli individui di una stessa specie sono assolutamente fortuite; 2) la selezione naturale prodotta dall’ambiente, in base alla quale gli individui che meglio si adattano alle condizioni ambientali appaiono anche più favoriti nella lotta per l’esistenza e nelle contese sessuali; 3) la trasmissione ereditaria dei caratteri, sviluppati liberamente e selezionati dall’ambiente, a un numero sempre più ampio di discendenti, finché non si forma una nuova specie.
Il ruolo cruciale delle variazioni fortuite rendeva superflua ogni ipotesi di un’autoregolazione finalistica della natura e permetteva di spiegare l’evoluzione biologica unicamente sulla base di cause meccaniche e naturali. Tuttavia, dato che, secondo Darwin, l’adattamento all’ambiente non produce direttamente caratteri nuovi, ma si limita a favorire la permanenza di alcuni caratteri rispetto ad altri, il modello darwiniano è meno rigido e deterministico di quanto si pensi: sono i caratteri genetici intrinseci dell’individuo a essere prioritari, ma essi sono frutto di una variazione casuale di partenza che non si combina agevolmente con previsioni ferree e necessitate.

Così, l’evoluzione biologica non può essere rappresentata come una linea retta che dalle forme più elementari di vita condurrebbe fino alle scimmie antropomorfe e all’homo sapiens. È più corretto dire che l’evoluzione è un processo aperto, costituito da salti e deviazioni impreviste, da tentativi ed errori, da rami secchi e discendenze interrotte fino a possibili regressioni a forme di vita più primitive.
Qualcuno potrebbe obiettare che i temi darwiniani non si prestano particolarmente ad una trasposizione musicale e poetica, in nome di un’astratta separazione tra la creatività artistica e i risultati delle scienze. Ma si tratterebbe di un giudizio erroneo ed affrettato. Il connubio tra poesia e concetti scientifici risale almeno al De rerum natura di Lucrezio e, quanto al darwinismo, esso trovò una notevole trasposizione nella visione pessimistica e agnostica di Thomas Hardy, che ci sembra molto vicino alle liriche del Banco
Il grande scrittore inglese obliterò ogni visione provvidenziale dietro lo spettacolo della pena di vivere e dello struggle for life, come si evince dalla poesia Hap (Il caso, 1898): “Crass Casualty obstructs the sun and rain,/And dicing Time for gladness casts a moan” (La fortuna balorda ostruisce il sole e la pioggia,/E il Tempo biscazziere per allegria getta i dadi di un lamento). L’idea centrale di Hardy, che fonde abilmente il Darwin di On the Origin of Speciescon lo Schopenhauer di Die Welt als Wille und Vorstellung (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1818-19) e la sua concezione della volontà ciecamente operante, è forse espressa nella maniera più pregnante da Sue Bridehead, una delle protagoniste del romanzoJude the Obscure (1895): “Il mondo somigliava a una stanza o a una melodia composta in un sogno; si presentava come mirabilmente eccellente per un’intelligenza semi-desta, ma irrimediabilmente assurdo allorché ci si è completamente svegliati. La Causa Prima aveva lavorato automaticamente come un sonnambulo, e non riflessivamente come un saggio.
Temi analoghi presentano appunto i testi del Banco, che non a caso vennero percepiti all’epoca come provocatori e rivoluzionari. E questa carica dirompente si è mantenuta intatta e vitale anche durante il concerto, che ha seguito fedelmente la tracklist dell’album originario.


Stupefacente ancora oggi la possente voce di Di Giacomo, quasi da baritono, che senza il benché minimo tremolio ha accompagnato le tastiere di Vittorio Nocenzi, le chitarre di Rodolfo Maltese e Filippo Marcheggiani, il basso di Tiziano Ricci, la batteria di Maurizio Masi e i fiati di Alessandro Papotto. E questa voce ha cominciato a cantare le liriche all’interno del primo brano, dopo qualche minuto di introduzione strumentale. Brano che si intitola significativamente L’evoluzione. Evoluzione della musica come emblema del progressive ed evoluzione dell’universo senza necessità di postulare una Causa Prima: “Prova, prova a pensare un po' diverso/niente da grandi dèi fu fabbricato/ma il creato s'è creato da sé.

La visione è senz’altro orientata verso un deciso materialismo: sono solo cellule, fibre, energia e calore”ciò che spiega la genesi del cosmo e della vita. Ogni creazionismo di matrice biblica viene apertamente contestato: “E se nel fossile di un cranio atavico/riscopro forme che a me somigliano/allora Adamo non può più esistere/e sette giorni soli son pochi per creare/e ora ditemi se la mia genesi/fu d'altri uomini o di quadrumani.
E come il cosmo si è originato da pochi elementi, così il progressive ha dilatato i confini del rock ampliando la base blues, aprendosi al jazz e alla musica classica, utilizzando i cosiddetti metri additivi (ossia i tempi dispari), che caratterizzano questo brano e tutti gli altri dell’album. Notevolissimo l ’uso dei sintetizzatori che richiamano alla mente il dispiegarsi dell’universo dal caos originario, scene di origini primordiali e vulcani in eruzione.
Dopo i 20 minuti del primo brano, che si chiude con una polifonia strumentale memore degli impasti sonori dei Gentle Giant, si viene proiettati ex abrupto nell’evoluzione della specie umana: La conquista della posizione eretta ci ricorda irresistibilmente la scena iniziale di 2001: Odissea nello spazio, nella quale il genio di Stanley Kubrick aveva messo in scena una tribù di australopitechi che si ergevano trionfanti, dopo aver conquistato la capacità di camminare come bipedi eretti, brandendo un osso d’animale trasformato in arma offensiva. Prima di trasformarsi in ominide, la scimmia antropomorfa cammina a quattro zampe, inseguendo l’odore di bestia” e l’orma di preda. Poi, provando e riprovando (il trial and error, che daDarwin stesso a Karl R. Popper caratterizza così tanto l’intelligenza umana!), ergendosi e cadendo ripetutamente, si avvierà verso la definitiva emancipazione dal mero stato animale, proiettandosi verso traguardi infiniti: “E dove l’aria in fondo tocca il mare/lo sguardo dritto può guardare.


Segue poi a mo’ di intermezzo la Danza dei grandi rettili: il mellotron e le chitarre intrecciano una sorta di ballo funky-progressive. Poco importa che cronologicamente questo brano avrebbe dovuto precedere il secondo: come è noto, infatti, i dinosauri si sono estinti molti milioni di anni prima della comparsa dei primi ominidi. Ma l’anacronismo serve anche a sottolineare la dimensione profondamente “preistorica” in cui si muove tutto l’album e la performance che ne deriva.
Dalla preistoria si passa comunque alla protostoria con Cento mani e cento occhi. Siamo immersi in una dimensione hobbesiana, dove cominciano a formarsi i primi consorzi sociali, seppure finalizzati alle battute di caccia: “Laggiù altri ritti vanno insieme/insieme stan cacciando carni vive/bocche affamate braccia forti/scagliano selci aguzze con furore. Si pone però il dilemma all’incerto ominide: unirsi alla forza di cento mani e alla vigilanza espressa da cento occhi, propri di esseri che diventeranno da branco una tribù e costituiranno prima villaggi e poi città? Oppure fuggire dagli altri uomini, praticando un solitario bellum omnium contra omnes?
Il vero culmine poetico viene però toccato con 750.000 anni fa ... L'amore, forse la canzone più celebre del disco. Il sentimento dell’amore viene espresso con gesti delicati, che precedono addirittura l’elaborazione di un vero e proprio linguaggio verbale: “Se fossi mia davvero/di gocce d'acqua vestirei il tuo seno/poi sotto i piedi tuoi/veli di vento e foglie stenderei. Ma “il labbro inerte non sa dire niente” e quindi nella mente dell’ominide si mescola l’istintiva brama di possesso con un’oscura consapevolezza dell’impossibilità di possedere una donna che non è stata prima gentilmente corteggiata. Sembra di sentire il poeta statunitense Langdon Smith (1858-1908), che nella celebre poesia Evolution, quasi immedesimandosi in esseri primitivi, dice che “Mindless we lived and mindless we loved” (Dimentichi abbiamo vissuto e senza pensieri abbiamo amato).



Il concerto volge alla conclusione con un’accorata meditazione sul destino dell’umanità. È Miserere alla Storia, dove i versi “Quanta vita ha ancora il tuo intelletto/se dietro a te scompare la tua razza?, alludono sinistri alla possibile autodistruzione del genere umano. E in effetti, l’ultimo brano dal disco, Ed ora io domando tempo al Tempo, ed egli mi risponde…non ne ho! sembra scandire le eterne domande che assillano gli uomini dai loro albori: qual è la nostra vera origine e quale sarà la nostra fine? Qual è il senso del tempo?
“Ruota eterna, ruota pesante/lenta nel tuo cigolio/stai schiacciando le mie ossa e la mia volontà: è la ruota del Mulino di Amleto, per usare il titolo di un libro di Giorgio De Santillana ed Hertha von Dechend, che coincide con il tempo ciclico e qualitativo, ritmato da scansioni scritte nel cielo, fatali perché si identificano con il Fato stesso.

A questo punto, conclusa l’esecuzione del disco, tocca ad Alessandro Haber riprendere alcuni brani leggendone i testi senza accompagnamento musicale e dando una veste teatrale a quella che Darwin chiamava The Descent of Man (l'origine dell'uomo).

Il concerto continua ancora con la ripresa de L’evoluzione e con due altri brani dalla produzione del Banco, la pacifista R.I.P. e Non mi rompete: una conclusione perfetta per un connubio tra il progresso nella scienza e il progressive nella musica.




mercoledì 26 giugno 2024

I Beatles a Roma nel 1965 (reportage fotografico fornito da Wazza)


The Beatles a Roma per due concerti

27/28 giugno 1965 al Cinema Teatro Adriano

A leggere le cronache dell'epoca fu un mezzo fiasco! 

Photo gallery by kind permission of Wazza



























 

Gli Who su CIAO 2001 nel giugno del 1969


Ciao 2001 giugno 1969 articolo sugli "Who"

By kind permission of Wazza




 


ANNIE BARBAZZA -"Annie’s Playlist 3 the streaming concerts", di Andrea Pintelli


ANNIE BARBAZZA
Annie’s Playlist 3-
the streaming concerts


“Annie’s Playlist, e di conseguenza le testimonianze discografiche, qui giunte al terzo appuntamento, nascono da un invito che, ormai più di dieci anni fa, mi rivolse Greg Lake, con lo scopo di affinare la mia tecnica vocale, il mio modo di suonare e la pronuncia inglese. “Agli inizi della mia carriera” - mi diceva Greg Lake - “con gruppi come gli Unit 4 e gli Shy Limbs suonavamo cover: è un esercizio che qualsiasi musicista professionista ha nel suo background”. Naturalmente i consigli tuonati da Greg non lasciavano molto spazio ai “se” e ai “ma”. Col tempo, l’occasione di condividere con il mio pubblico e i miei amici le canzoni che hanno segnato la mia vita è diventato un piacere, non più un esercizio. Sono canzoni che hanno lasciato non solo un segno indelebile nella mia anima, ma mi danno la forza, lo stimolo, l’orgoglio di sentirmi parte di un’accolita di estimatori di qualcosa di più grande non solo di noi, ma forse degli autori stessi. Con umiltà e devozione, eccomi a proporvi il terzo volume, con l’aggiunta di qualcosa di mio.”

Direttamente dalle parole della stupendamente brava Annie Barbazza, ecco l’introduzione al suo terzo volume della serie “Annie’s Playlist”. Come al solito prodotto dalla Dark Companion Records di Max Marchini, è uscito lo scorso maggio questo generoso, notevole, coloratissimo lavoro dell’artista piacentina che sta pian piano conquistando il pubblico europeo grazie al suo innegabile talento. La sua crescita professionale, nel tempo, è andata incrementandosi tramite illustri collaborazioni con musicisti di fama mondiale (sia in studio, sia live), nonché per meriti ottenuti durante i suoi illuminati concerti, nonché grazie al suo “Vive”, disco incredibilmente meraviglioso (da me commentato alla sua uscita nel Febbraio 2020), ristampato poco tempo fa. A tal proposito Max Marchini spiega meglio questa situazione: “La fortunata serie “Annie’s Playlist”, da sempre un best seller ai concerti, qui giunta al terzo appuntamento è stata concepita da Greg Lake quando, a partire dal 2012, scoprì il talento di Annie Barbazza e al quale si dedicò. Una specie di compito delle vacanze che iniziò con Lake che “commissionava” ad Annie di registrare un certo brano, da lui stesso scelto - suonando tutti gli strumenti - per poi spedirglielo sottoponendolo ai suoi famosi severissimi giudizi e, successivamente, ai paterni insegnamenti e consigli. Visti gli eccellenti risultati di questi esercizi, Greg suggerì infine di costruire degli spettacoli principalmente di cover, per prendere confidenza con la propria voce, cimentarsi con i tanti strumenti che Annie suonava già. In effetti, come sempre, i consigli di Greg Lake si rivelarono vincenti: nel 2015 Annie pubblicò la prima raccolta “Annie’s Playlist” (nome suggerito sempre da Lake), alla quale fece seguito nel 2017 “Annie’s Playlist 2”, entrambi pubblicati dalla nostra Unifaun Productions e che vedevano, così come gli spettacoli del tempo, la Barbazza accompagnata da Lorenzo “Trek” Trecordi alla seconda chitarra e flauto. È interessante osservare come vi sia una sorta di evoluzione artistica in questi album, tutti rigorosamente registrati live, oltre che una rappresentazione dei gusti eclettici di Annie che dal rock progressivo, si muovono verso il folk, la psichedelia, gli adorati Beatles, ma già arrivano a Captain Beefheart e ai Residents. Questo terzo volume vede rappresentato l’enorme salto compiuto dalla giovane musicista in questi ultimi anni, i quali l’hanno catapultata verso le vette dell’avant/prog internazionale: l’uscita nel 2020 del suo primo album solista, “Vive” (nel quale hanno partecipato amici come Daniel Lanois, Fred Frith, Lino Capra Vaccina, Paolo Tofani, Greg Lake, John Greaves, Olivier Mellano, Michael Tanner e altri ancora), la collaborazione stabile come

bassista, vocalist e batterista con Paul Roland, il sodalizio artistico con l’ex Henry Cow John Greaves con il quale si esibisce regolarmente dal vivo, sia in duo (dello scorso anno l’album “Earthly Powers”), che con la nuova band del musicista gallese che comprende, tra gli altri, gli ex King Crimson Mel Collins e Jakko Jakszyk; i diversi concerti in solo, il progetto di grande successo (ancora sotto la produzione di Greg Lake) del duo Moonchild con il pianista Max Repetti, con il quale ripercorre in chiave minimalista e contemporanea i brani più importanti del repertorio di Lake. Inoltre, Annie è entrata a far parte della North Sea Radio Orchestra, con la quale ha registrato l’album “Folly Bololey”, che rivisita il capolavoro “Rock Bottom” di Robert Wyatt (il quale la ha ringraziata e incoraggiata di persona), e del Michael Mantler’s New Songs Ensemble, con cui ha tenuto diversi concerti e ha un album in uscita questa estate. Poi come non citare le collaborazioni con gli Henry Cow, Fred Frith (con cui sta registrando), l’orchestra di percussioni Tempus Fugit, Giorgio “Fico” Piazza e tanto altro ancora. Questo nuovo capitolo rispecchia i nuovi spettacoli di Annie, per i quali ha preferito una dimensione intima, suonando da sola e alternandosi ai vari strumenti e inserendo proprie composizioni. Le registrazioni sono prese da due spettacoli in streaming tenuti da Annie durante il lockdown dallo studio Elfo di Tavernago (PC); altri da uno spettacolo sempre in streaming causa lockdown che ha tenuto Eugenio Finardi dal Teatro Manzoni di Monza, al quale Annie ha partecipato e aperto, appunto, in solo.”  

Les Ruines du Sommeil apre il disco, voce e chitarra, ed è subito grande musica; la propria. Annie ha feeling da vendere, fin da subito l’emozione è veramente tanta mentre la si ascolta. Ti entra dentro per regalare brividi di beltà. E ogni volta è un’esperienza straniante: non ha alcun termine di paragone. Jumbee, targata Paul Roland, fa capire quante capacità d’interprete ha accumulato la nostra artista nel corso del tempo. Vestita di solennità e profondità, la canzone aumenta come non mai. Carezza d’anima. By This River: voce e piano, delicatezza e grandiosità; come scrutare l’infinito e venirne a contatto.  Brian Eno e Hans-Joachim Roedelius ringraziano. Frame By Frame dei King Crimson (of course), apre la strada al ritmo ora più sostenuto, dove Annie si ritrova con apparente disinvoltura. In realtà per arrivare ad un risultato simile, bisogna sentire dentro di sé quel qualcosa che pochi sanno di avere e pochissimi riescono a trovare. A questo “qualcosa” dategli pure il nome che volete, ma sarà sempre sbagliato, siccome, noi ascoltatori, possiamo solo captarlo. E sarebbe già tanto. Children Of The New World, del geniale Daevid Allen, soave e giocosa già di suo, è qui reinterpretata con notevole bravura, in un non facile esercizio partecipativo. Difficile far scendere lacrime trasformandole in sorrisi. Già, molto difficile. Phantoms, della stessa Barbazza, rende chiaro quanto lavoro su sé stessa abbia fatto durante questo tempo, innalzandosi ad autrice di ricca sostanza. Cattura e coccola. June, di nuovo dal suo carnet di composizioni, è fresca come l’aria di questo splendido mese. Soffice come un petalo portato in giro dalla brezza, che arriva fino al cuore di chi la sta vivendo. Sorprendente la ragazza, ogni volta di più. Time Has Told Me, del mai troppo osannato Nick Drake, voce e piano, è commovente e tenera allo stesso tempo. Annie ne fornisce una versione di un’intensità che mette quasi soggezione. Heaven, by Robyn Hitchcock, per chi scrive è una delle più riuscite canzoni degli anni ’80, no doubt. Preziosa e rara, è qui presentata con magia riconducibile all’originale. Sea Song, di quel Robert Wyatt che Annie ama tanto, con pochi rintocchi di piano e parecchia suggestione, è portata ad un livello superiore. Permettetemi di pensarlo e scriverlo. Volo Magico, del compianto Claudio Rocchi, eroe degli anni ’70, è ora stravolta dalla carica emotiva della nostra. Si sta parlando di una delle canzoni simbolo di quel tempo, un tempo che tanti rimpiangono (pur con i vari problemi che ne costellavano la quotidianità): riproporla è già fuori dall’ordinario, renderla così singolare quasi un miracolo. Nebulae, di Annie stessa, viaggia fra l’oggettiva eccellenza e l’inaudito: chi fa Musica simile in Italia nel 2024? Chi ha in sé tutta questa arte per riuscirci? Chi va assolutamente contro le attuali tristissime mode? Purtroppo, solo lei. Onori e meriti, quindi. Lotus Flower, sempre uscita dal suo cilindro, porta in una dimensione parallela, dove il turbamento va a braccetto con la gigantografia della propria passione, che ascoltando questa canzone cresce di secondo in secondo. Anatomy Of Love, portata al successo dal duo Shelleyan Orphan, è densa e abbagliante, per continuità di gioia donata dalla voce di Annie. O meglio, quella voce, la sua voce, è lo strumento musicale che permette alla sua interiorità di arrivare fino a noi: unica. Islands, ancora King Crimson, altro amore di Annie, veleggia impetuosamente come un galeone nell’oceano. La poesia che ne è tratta resta uno degli esempi di maggior presa del repertorio della nostra, assolutamente matura e professionale, la cui estrema bravura è giustamente riconosciuta a livello europeo. In Te, creata da Annie insieme al grande John Greaves ed a Max Marchini, permette ancora di notare e apprezzare le pressoché infinite sfumature della vocalità della Barbazza. Singolare e incantevole canzone. Boĭte A Tisane, by Annie: sublime, affascinante, adorabile. Senz’altro uno dei pezzi migliori di questa raccolta di emozioni in Musica. Ys, chiude in maniera magniloquente il disco, essendo dedicata all’isola scomparsa al largo delle coste bretoni, essendo che Annie è una vera e propria isola che brilla di luce propria, nel bel mezzo di un mare pieni di rifiuti, decadenza e banalità.

Non lasciatevi sfuggire l’occasione di vivere bene: ascoltando Annie Barbazza molti dei vostri dubbi in merito, spariranno, lasciando spazio alla serenità.

Abbracci diffusi.

 


Tracklist:

01. LES RUINES DU SOMMEIL (Barbazza) 2:38

02. JUMBEE (Roland) 3:59

03. BY THIS RIVER (Eno/Roedelius) 2:56

04. FRAME BY FRAME (Belew/Fripp/Levin/Bruford) 2:36

05. CHILDREN OF THE NEW WORLD (Allen) 3:19

06. PHANTOMS (Barbazza) 1:55

07. JUNE (Barbazza) 3:19

08. TIME HAS TOLD ME (Drake) 4:13

09. HEAVEN (Hitchcock) 4:16

10. SEA SONG (Wyatt) 3:59

11. VOLO MAGICO (Rocchi) 4:00

12. NEBULAE (Barbazza) 1:44

13. LOTUS FLOWER (Barbazza) 2:56

14. ANATOMY OF LOVE (Tayle/Crawley) 4:12

15. ISLANDS (Sinfield/Fripp) 3:29

16. IN TE (Greaves/Marchini/Barbazza) 3:08

17. BOÎTE À TISANE (Barbazza) 3:25

18. YS (Barbazza) 2:27

 

Annie Barbazza: electric and acoustic guitars, piano, indian harmonium and vocals

Recorded, mixed and mastered by Alberto Callegari

Produced by Max Marchini

 

Recorded live, Mixed and Mastered at Elfo Studios by Alberto Callegari 2020-2024, No overdubs.

Volo Magico recorded live in streaming at Teatro Manzoni, Monza on November 15, 2020.

All Photographs by Franz Soprani except album and booklet cover photos by Francesco Renne.

Graphic design by Max Marchini.

© 2024 Dark Companion Records - Ephemerals #6.





martedì 25 giugno 2024

Nel ricordo di Ian McDonald


Avrebbe compiuto gli anni il 25 giugno Ian McDonald, polistrumentista.

Dopo varie esperienze giovanili, nel 1969 fondò insieme a Robert Fripp, Greg Lake, Michael Giles e Pete Sinfield, i King Crimson: il loro primo album rivoluzionò il mondo della musica.

Insieme al batterista Mike Giles realizzò un altro piccolo capolavoro, l'album "Mc Donald and Giles".

Ma fu con i Foreigner, gruppo americano, che risollevo le sue finanze!

Successivamente tornò nel giro prog con i Tokio Tapes di Steve Hackett, e per un po’ di tempo rimise su la band di amici, i "21st Century Schizoid Band".

È mancato il 9 febbraio del 2022.
Wazza

King Crimson

Mc Donald & Giles

Foreigner





Il compleanno di Agostino Marangolo


Compie gli anni Agostino Marangolo, batterista, nato in una famiglia di musicisti.. anche il fratello Antonio è un famoso sassofonista.

Inizia con i Flea on the Honey, poi gli Etna e fa il "alto di qualità entrando nei Goblin. Importante la sua collaborazione con Pino Daniele.
Turnista richiestissimo, ha suonato con molti artisti, tra cui Antonello Venditti e Angelo Branduardi.

Happy Birthday Agostino!
Wazza

      
Le sue partecipazioni discografiche

·         1976: Roller dei Goblin

·         1976: Mattanza dei Napoli Centrale

·         1977: Suspiria dei Goblin

·         1978: Giorgio di Johnny Dorelli

·         1978: Zombi dei Goblin

·         1979: Pino Daniele di Pino Daniele

·         1979: Buona domenica di Antonello Venditti

·         1979: Maida Vale di Stradaperta

·         1980: Nero a metà di Pino Daniele

·         1980: Sulla terra sulla luna di Teresa De Sio

·         1981: Uh, mammà! di Mimmo Cavallo

·         1981: Difetti e virtù di Don Backy

·         1982: Amico che voli di Eduardo De Crescenzo

·         1983: De Crescenzo di Eduardo De Crescenzo

·         1984: Colore/Belle le tue labbra di Luca Barbarossa (45 giri)

·         1984: Musicante di Pino Daniele

·         1984: Sció live di Pino Daniele

·         1985: Features di Mike Francis

·         1986: Quando si vuole bene di Riccardo Cocciante

·         1986: Mike Francis di Mike Francis

·         1987: Zero di Renato Zero

·         1988: Schizzechea with Love di Pino Daniele

·         1988: Rettoressa di Donatella Rettore

·         1988: Flashes of Life di Mike Francis

·         1988: Una città tra le mani di Nino Buonocore

·         1990: Il ladro di Angelo Branduardi

·         1992: Il dorso della balena di Bruno Lauzi

·         1992: Teatrino meccanico di Riccardo Fogli

·         1993: Un po' di più di Nino Buonocore

·         1993: Cantautori di Anna Oxa

·         1995: Le ragazze fanno grandi sogni di Edoardo Bennato

·         2000: Quando la mia vita cambierà di Gigi D'Alessio

·         2003: La cura del tempo di Niccolò Fabi

·         2004: L'attesa di Bungaro

·         2005: Back to the Goblin dei Goblin

·         2006: Novo Mesto di Niccolò Fabi

·         2007: Controvento di Roberto Tardito

·         2011: Retrospettiva di Roberto Tardito

·         2013: Tutta n'ata storia - Vai mo' - Live in Napoli di Pino Daniele


Con i Goblin


Agostino Marangolo, Pino e Rino Zurzolo in pausa durante il “Musicante Tour’84”