Ci lasciava il 9 agosto 1995 Jerry
Garcia, cantante chitarrista, fondatore dei “mitici” Greateful Dead, band di
punta della West Coast americana.
Per non dimenticare...
Wazza
Il 9 agosto del 1995, in quel di
Lagunitas-Forest Knolls in California, moriva Jerry Garcia, uno dei chitarristi
più importanti della storia del rock e fondatore dei Grateful Dead.
Forse oggi sono in pochi a ricordarsi
del musicista di Oakland, eppure per dare l’idea di quanto la sua opera fosse
fondamentale, basterebbe sapere che quel giorno il sindaco di San Francisco
volle che la bandiera americana rimanesse a mezz’asta e che fu addirittura Bill
Clinton a ricordarlo.
Anche la data che il destino scelse
per prendersi Jerry Garcia è, a suo modo, simbolica. Il 9 agosto fu infatti
anche il giorno – nel 1969 – dell’evento che aprì una profonda crepa nella
Summer of love californiana, la strage di Cielo Drive a opera della Family di
Charles Manson. È una data, quindi, che unisce due famiglie che più lontane non
potrebbero essere: i Deadhead, i fan dei Grateful Dead, dediti al lato più
libero e pacifico di quella breve età di pace e sperimentazione di fine anni
’60 e la Family di Manson, violenta espressione della stessa epoca (ARTICOLO)
Jerome John Garcia è figlio di un
immigrato spagnolo, a sua volta musicista jazz – tanto da battezzarlo Jerome in
onore di Jerome Kern – e di un’infermiera statunitense. L’infanzia è costellata
da gravi traversie; prima Jerry perde un dito in un incidente, poi il padre
annega mentre è a pesca. A 15 anni è l’incontro con la musica a salvarlo; prima
il piano, poi una fisarmonica che subito baratta con una chitarra: è il colpo
di fulmine che cambia la sua vita e la storia del rock.
Sono giorni di grande cambiamento e
creatività, la California è il centro del passaggio tra Beat Generation e l’Era
dell’Acquario. Jerry fa lega con Robert Hunter, poeta lisergico, e inizia a
proporre la sua musica. Incontra i Mother McCree’sUptown Jug Champions e ne
diviene chitarrista. In quella band militano Bob Weir e Ron McKernan, futuri
compagni nei Grateful Dead. Ispirato in parte dai Beatles, in parte
dall’esperienza come Merry Prankster, Garcia propone di trasformare il gruppo
di bluegrass in una rock band: nascono i Warlocks.
Jerry è noto per essere, appunto, un
Merry Prankster, ovvero un seguace di Ken Kesey e dei suoi acid test. Kesey è
l’autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo e ideale trait d’union tra poesia
beat e cultura lisergica. A La Honda, nella sua villa dove sono di casa
personaggi come Neal Cassady, Allen Ginsberg e Timothy Leary, si tengono feste
psichedeliche a base di LSD. Aprire la mente e superare i limiti umani a scopo
creativo e di conoscenza, sono gli obiettivi. La colonna sonora ce la mettono i
Warlock che di lì a poco diventeranno i Grateful Dead. Il cambio di nome fu
dovuto alla precedente esistenza di un’altra band omonima che cambierà nome a
sua volta e, in modo opposto, rivoluzionerà il rock: i futuri Velvet
Underground.
Jerry Garcia è l’antitesi dello
stereotipo della rockstar; paffuto e tutt’altro che attraente, indossa spessi
occhiali e non ha ansie da leader. Anzi, i Grateful Dead sono aperti alle
collaborazioni, tengono concerti a ripetizione, anche più di uno al giorno e in
strada. Per Jerry la psichedelia è stile di vita; gli acidi servono a far
volare la sua ispirazione e i leggendari live, opposti alle prestazioni in
studio che per anni rimarranno sotto le attese, sono occasioni di inventare un
modo nuovo di suonare la chitarra, completamente libero dalle regole e dai
tempi del rock’n’roll.
Jerry Garcia diventa il Captain Trip
di Haight Hashbury, il quartiere psichedelico di San Francisco dove hanno luogo
gli Human Be In, occasioni estemporanee dove tutti possono dare il proprio
contributo artistico: musica, poesia e performance in totale libertà. San
Francisco diventa la capitale del nascente rock psichedelico, guidata dal
triangolo costituito dai Dead, i Jefferson Airlplane – più schierati politicamente
– e dai Quicksilver Messenger Service, i più anarchici. È una stagione
brevissima e intensa.
Non c’è spazio qui per rievocare la
carriera dei Grateful Dead, ci limitiamo a consigliare il manifesto dell’era
psichedelica, Live/Dead e i loro cavalli di battaglia, le dilatate versioni di
St. Stephen e Dark Star e la seminale Viola Lee Blues, veri pezzi di storia e
testimonianze di un periodo irripetibile.
L’estate dell’amore però finisce
subito, aperta e chiusa da due festival storici: Monterey nel ’67 e Woodstock
due anni dopo. Jerry e i Grateful Dead sono sfortunati protagonisti di ambedue
le occasioni. A Monterey si esibiscono dopo Jimi Hendrix, rimanendo schiacciati
dalla sua personalità; a Woodstock il loro live coincide con la tempesta di
tuoni e fulmini che si abbatte sulla valle. A un certo punto Jerry, colpito da
una scossa, sviene sul palco. È il peggior concerto della loro carriera, tanto
che non finirà in nessuna delle testimonianze ufficiali.
Negli anni ’70 cambia tutto. Jerry ha
imparato da autodidatta a suonare la lap steel guitar; è diventato un virtuoso.
Come per molte band psichedeliche il suono dei Grateful Dead si sposta verso il
country rock, di cui sono tra i fondatori. Arrivano i primi successi
commerciali e il biasimo dei fan della prima ora; effettivamente da
Workingman’s Dead pare di sentire un altro gruppo. Garcia avvia anche una
dignitosa carriera solista.
Anche il suo chitarrismo ne risente,
il suo stile diventa molto più regolarizzato nei canoni country. Se cercate sul
web, la parola che troverete più spesso associata alla chitarra di Jerry sarà
liquida; come la società teorizzata da Baumann, la sei corde di Garcia è sempre
in trasformazione, a seconda dell’ispirazione e del feeling del momento e in
balia delle tante influenze, dal jazz al blues, passando per il country.
Influenze che però, almeno fino al ’69, non riescono a ingabbiare il
chitarrista in un genere; anzi, contribuisce a crearne uno, quello
psichedelico. Più che per la grande tecnica è forse proprio l’innovazione che
spinge Rolling Stone a inserirlo al tredicesimo posto tra i chitarristi rock di
ogni epoca.
Ma quello che non cambia è l’uomo.
Grande esempio di coerenza e meno di scelte di vita, Jerry continua a
sperimentare droghe sordo a ogni tentativo di farlo disintossicare, fino al
buco nero dell’eroina negli anni ’80. Ha scelto come vivere e nessuno può
dissuaderlo; continua così a suonare le sue amate chitarre, a demolire record
di concerti – si contano a migliaia – e a fare lo stesso con la sua salute.
Quando il 9 agosto del 1995 la morte
lo coglie nel sonno si trova al Serenity Knolls, un centro riabilitativo. È
pronto a pagare il conto che le sue scelte gli impongono, alla fine di quello
che è stato un lungo e strano viaggio.
Come titolava la raccolta dei
Grateful Dead, What A Long Strange Trip It’s Been.
Andrea la Rovere - Onda Musicale
Grateful Dead e Bob Dylan nel 1987
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