Anandammide – “Eura”
(2024)
Sulatron Records
di Alberto Sgarlato
Michele Moschini, polistrumentista
italiano che vive in Francia, ha da poco consegnato alle stampe un secondo
capitolo del suo progetto Anandammide, a
quattro anni di distanza dall’esordio “Earthly Paradise”, del 2020.
In realtà, la parola “esordio” in questo caso
è relativa esclusivamente agli Anandammide, appunto: perché il nome di
Moschini, sulla scena musicale italiana e internazionale più alternativa, è ben
noto da decenni.
L’ideatore e compositore definisce il genere
di questo secondo album, intitolato “Eura”,
come “folk psichedelico utopico”. E sinceramente ci permetteremmo di aggiungere
una ulteriore parola a questa definizione: ed è “cosmopolita”; sia per le
vicende personali, di italiano all’estero, di Michele Moschini, sia perché il
nutrito team di collaboratori conta attorno a lui musicisti e tecnici italiani,
inglesi, francesi e svedesi. E, in un periodo purtroppo tristemente buio,
drammatico e denso di tensioni internazionali come quello che il Pianeta Terra
sta vivendo in questi anni recenti, è bellissimo respirare veramente un’aria
“utopica e cosmopolita”, come quella che affiora dalle dieci, intense,
splendide tracce di “Eura”.
Esattamente: l’opera è concepita proprio come
un vinile di un tempo, con cinque tracce per facciata di varie lunghezze. E
tutto suona molto vintage, tra deliziosi intarsi di strumenti acustici, corpose
armonie vocali maschili e femminili, struggenti vagiti di sintetizzatori
analogici proto-progressivi e tremolanti tappeti di string-machines.
Il nostro Moschini si prodiga tra chitarre, tastiere d’epoca di vario tipo e batteria, oltre che al canto; ben coadiuvato da una formazione che (dato statistico interessante) annovera molteplici “quote rosa”: la cantante Lisa Isaksson, la flautista Audrey Moreau, la violinista Stella Ramsden. La “squadra” è completata da Sebastien Grignon (violoncello) e due bassisti che si avvicendano: Lelio Mulas e Pascal Vernin. Infine, Lorenzo Castigliego dona un cameo solista chitarristico alla title-track. Come si può capire da una line-up così variegata, non siamo di fronte a una vera e propria band, ma più a un “progetto modulare”, nel quale svariati ospiti sono funzionali alle esigenze creative di Michele Moschini e al suo cantautorato folk/psych/prog. Ovviamente, per questioni logistiche, le registrazioni sono avvenute in varie città europee e sapientemente amalgamate tra loro da David Svedmyr (mixaggio) e da Oscar Larizza (mastering finale).
E partiamo dunque con “Carmilla”:
un inizio tra il folk irlandese e il ricordo di autori come Donovan o Cat
Stevens sfocia, attorno al secondo minuto, in una affascinante e solenne
digressione tastieristica.
“A song of greed” è, per chi scrive questa recensione, uno dei picchi dell’album, con quella sua splendida, lunga introduzione strumentale canterburyana, mentre il cantato a due voci evoca certi Renaissance.
“Post atomic reverie”, caratterizzata da
un gran lavoro di flauto e violoncello, è – ancora una volta – in elegante
equilibrio tra folk e prog, grazie anche agli arpeggi e ai tappeti delle
tastiere, che restano più sulle retrovie.
I tappeti del Mellotron affiancato dal
violoncello e un basso energico e pulsante, fanno di “Phantom Limb”
uno dei capitoli più prog-rock dell’intera opera e, di nuovo, uno dei più
riusciti.
“I am a flower”, dopo un inizio
molto intimista e malinconico, ci porta verso un finale “cameristico” giocato
tra tastiere e strumenti ad arco, un ipotetico ponte attraverso la storia del
“dream rock”, tra il Robert Wyatt degli anni ‘70, i Mercury Rev di fine anni
‘90 e il Sufjan Stevens di oggi.
La title-track apre quella che possiamo considerare la seconda facciata dell’opera. E la partenza del brano è una delle più “orchestrali” di tutto il lavoro, tra archi, flauti e sintetizzatori. Il cantato femminile, unito a questi robusti arrangiamenti rock e barocchi allo stesso tempo, evoca remotamente i Curved Air, oltre ai già citati Renaissance. Meraviglioso, a due minuti circa dalla fine, l’intervento chitarristico di forte sapore hackettiano.
“The orange flood” è invece uno dei momenti più legati alla psichedelia più cupa, tra suggestioni barrettiane e pinkfloydiane degli esordi.
“Lullaby n.2”, con i suoi arpeggi di chitarra, sposta la bussola dal folk inglese a un sound da rock-ballad più a stelle e strisce, persino con impalpabili echi di Boston, Styx degli esordi e Pavlov’s Dog.
“Dream n. 1” è una traccia intrisa di grande malinconia, ancora con lievi sfumature legate al Canterbury sound nelle linee melodiche (Caravan, Hatfield & the North).
E ci salutiamo con “The
anchorite”, episodio profondamente intimista ma di grande potenza evocativa
che, in qualche modo, rappresenta un po’ la summa stilistica dell’album.
Concludendo: Michele Moschini è un autore
dalla penna decisamente raffinata. La padronanza di molteplici strumenti,
l’evidente preparazione musicale, non solo in termini tecnici ma anche di
conoscenza di tanti linguaggi diversi dagli anni ‘60 a oggi, e la capacità di
circondarsi di ottimi collaboratori per offrire arrangiamenti sempre variegati,
fanno sì che abbia saputo crearsi una sua cifra stilistica personalissima,
elegante e riuscita. E questo ottimo album ne è la prova.
TRACKLIST
01. Carmilla
02. A song of Greed
(secondo singolo)
03. Post-Atomic
Reverie
04. Phantom Limb
05. I am a Flower
06. Eura (primo
singolo)
07. The Orange Flood
08. Lullaby n.2
09. Dream n.1
10. The Anchorite
MUSICISTI
MICHELE MOSCHINI:
voce, chitarre, synth, organo, batteria
LISA ISAKSSON: voce
AUDREY MOREAU: flauto
STELLA RAMSDEN:
violino
SEBASTIEN GRIGNON: violoncello
LELIO MULAS: basso
PASCAL VERNIN: basso
LORENZO CASTIGLIEGO: assolo
di chitarra elettrica su Eura
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