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lunedì 10 febbraio 2020

Intervista in italiano ai Ningen Isu, di Enrico Meloni


Intervista ai Ningen Isu
Di Enrico Meloni
CLICCA QUI qui per la versione inglese




Quante volte, di recente, vi è capitato di farvi stregare da qualcosa che non conoscevate? Sì, è vero, è importante ascoltare nuova musica, sia che si tratti di nuove band o di album già usciti ma che non si conoscevano. Eppure…
Erano anni che non venivo investito da tanto entusiasmo per una band in attività che ancora non conoscevo. Si ascolta un sacco di roba nuova, si va ai concerti, ma raramente si provano quelle sensazioni primordiali che ciascuno/a di noi ha esperito “all’inizio”.
Come spesso accade, è stato il caso a portarmi qui: non sono un grande fan della cultura orientale, per cui non avrei avuto modo (o forse sì, chissà) di avvicinarmi a questa band se non “per scherzo”. E così è stato.
Un amico, all’interno di uno degli unici gruppi WhatsApp utili di cui faccio parte, ci manda il video di una canzone dal titolo “Heartless Scat”, di una band assolutamente sconosciuta ma che per qualche motivo ha milioni di visualizzazioni su YouTube, e dice: “toh, non fanno ridere le facce del bassista?
Due mesi dopo sono ancora in fissa totale per una band dalla carriera più che trentennale e che non ha mai mollato. No, non parlo degli Anvil (anche se nell’articolo che state leggendo vengono citati a un certo punto), ma dei giapponesi Ningen Isu.



Sì, vi ho sentiti dire “e ‘sti cazzi?”, ma andrò avanti lo stesso.
La band in questione balza agli onori della cronaca in realtà già nel 2013, quando partecipa all’OzzFest Japan (in qualità di “Black Sabbath giapponesi”, non poteva essere altrimenti). Ma ancora si tratta di un fenomeno locale, non internazionale. Il fatto di non cantare in inglese non aiuta in questo senso, ovviamente.
Ciò che porta me, il mio amico e altri milioni di appassionati di rock duro in direzione dei Ningen Isu è l’infamissimo algoritmo di YouTube che per una volta anziché consigliarci video orribili… ci prende in pieno. Se leggete i commenti al video “Heartless Scat”, canzone che è stata l’origine della mia infatuazione e che ancora mi fa venire la pelle d’oca quando la ascolto, tutti gli utenti dicono più o meno la stessa cosa: grazie, YouTube, per avermi portato/a qui.
Il video della canzone è stato pubblicato a maggio 2019 e ha quasi raggiunto i quattro milioni e mezzo di visualizzazioni.



E quindi, che ha di tanto speciale questa canzone? Intanto, parliamo di un power trio dedito all’hard rock ed heavy metal più viscerali e primordiali, non a caso più volte si sentono richiami diretti (a volte direttissimi: a fine canzone si sente chiaramente qualcosa di “Into the Void”) ai maestri assoluti Black Sabbath.
Non troverete, qui, derive stoner e psichedeliche, o contaminazioni più moderne di alcun tipo. I Ningen Isu sembrano catapultati a noi direttamente dal 1972 ma… non suonano né scontati né “vecchi”. Le loro canzoni sono piuttosto lunghe per una band che suona heavy rock classico: siamo spesso oltre i sei-sette minuti.
Come riescono a rimanere freschi e interessanti? Perché ciascuna canzone, in maggiore o minore misura, ha dei cambi di atmosfera imprevedibili e davvero ben calibrati per cui il tutto resta coinvolgente dall’inizio alla fine. I riff sono quasi sempre molto potenti e il groove è davvero d’impatto.
La mia prima reazione è stata di sorpresa continua: com’è possibile mettere dentro DUE assoli di chitarra in una canzone di otto minuti basata su tre-quattro riff, uno più spaccaossa dell’altro, con un cantato in giapponese (ovviamente incomprensibile) ma con un ritornello efficacissimo come sembra che vengano dette parole da bambini?
Ma soprattutto, com’è possibile fare tutto ciò e risultare credibili e non pacchiani nel 2019? Una sfida non da poco.
Non parliamo poi del video in sé: un’atmosfera davvero particolare per chi come me, come dicevo, non è particolarmente innamorato della cultura orientale. Abiti di scena semplici ma di grande effetto e un senso di straniamento gradevole accompagnano la visione del video.
Delle espressioni dei musicisti, e in particolar modo del bassista, avremo modo di parlare nell’intervista che segue, ma vi assicuro già da ora che uno dei video dei Ningen Isu più recenti (quelli girati dal 2015) non vi deluderà dal punto di vista visivo.
E visto che sono di recente approdato alla redazione di Mat2020, dove ho la fortuna di poter spaziare e trattare di vari generi musicali, interagire con le band che mi piacciono e soprattutto avendo constatato che non esisteva un’intervista in italiano ai nostri eroi giapponesi… li ho contattati e hanno accettato di essere intervistati: quella che segue è infatti la prima intervista in italiano ai Ningen Isu.
Spoiler: c’è una piccola chicca per i seguaci del prog rock italiano anni ‘70.
Chiudo questa (troppo) lunga introduzione dicendo che grazie al successo del video i Ningen Isu saranno in Europa per il primo tour al di fuori dei confini giapponesi per la prima volta a febbraio 2020 con tre date in Germania e Inghilterra.
Un piccolo grande traguardo per una band eccezionale, che non ha mollato mai e che ci insegna che essere tenaci e perseverare nel seguire il proprio cuore e i propri obiettivi, alla lunga, ripaga sempre.

Intervista ai Ningen Isu
(Shinji Wajima risponderà a tutte le domande di questa intervista)


Iniziamo col consueto giro di presentazioni. Chi sono i Ningen Isu?


Ningen Isu: Shinji Wajima, chitarra e voce. Kenichi Suzuki, basso e voce. Nobu Nakajima, batteria e cori.


Un altro classico: Cosa significa il nome della band, Ningen Isu, e cosa vi ha ispirati nella scelta?


Fin dal principio, abbiamo deciso che la band avrebbe dovuto essere una sorta di Black Sabbath con testi in giapponese. Volevamo usare parole giapponesi che evocassero terrore e paura, ma la nostra cultura non ha il concetto di Dio o di Satana, presenti invece nelle culture cristiane. Perciò abbiamo deciso di chiamare la nostra band con il titolo di un libro di Ranpo Edogawa che sia io che Suzuki abbiamo letto e apprezzato molto, chiamato “La poltrona umana”. Ranpo Edogawa è uno scrittore di libri di genere horror, fantasy e polizieschi. “La poltrona umana” parla di un uomo che si nasconde dentro a una poltrona per sentire i corpi degli altri umani su di sé.




Come avete imparato a suonare? Tutti e tre siete stati impegnati con la musica per la maggior parte delle vostre vite. Qual è stata la scintilla che vi ha fatto cominciare, e come avete continuato a perfezionarvi e tenervi aggiornati negli anni?


Siamo tutti autodidatti, quindi abbiamo imparato a suonare studiando ciascuno per conto proprio. All’epoca eravamo molto colpiti dalla musica rock di provenienza americana ed europea, quindi volevamo suonare come quelle band.
Ecco perché il nostro stile è assimilabile all’hard rock degli anni ‘70. Anche se la musica, in generale, è cambiata moltissimo da allora, siamo convinti che quelli fossero gli anni migliori, per cui continuiamo a suonare con quello stile.


I vostri testi sono importanti quanto la musica, e mi sembra di capire che sia proprio nei vostri testi che l’anima giapponese della band trovi il suo sfogo. Chi scrive i testi e di cosa parlano?


I testi li scriviamo io e Suzuki (basso e voce), anche se io me ne occupo maggiormente rispetto a lui. I nostri testi parlano della difficoltà ad adattarsi, il mal di vivere, e argomenti “extra-ordinari” in generale, cose che possono succedere nello spazio o all’inferno, ecc.
Ma invece di parlare di questi argomenti in una luce negativa, ne parlo per dar loro dignità e una nuova salvezza. Spesso nei nostri testi si trovano termini del Buddismo, dopo tutto la nostra cultura è asiatica.


Che studi hai compiuto nella tua vita? Si può quasi indovinare che i vostri testi abbiano un qualche aspetto spirituale.


Leggo un sacco di libri, ed è qualcosa, quasi una metodologia, che mi guida nella stesura dei testi. Inoltre, le esperienze vissute, della vita vera, forniscono sicuramente degli spunti. Quindi direi che sì, ci sono degli aspetti spirituali nei miei testi.
Ho anche avuto esperienze psichiche e con gli UFO in passato, e parlo anche queste tematiche più occulte. Gli studi sul Buddismo all’università probabilmente mi hanno influenzato.


Ho letto che cantate in “Tsugaru”, un dialetto giapponese. Qual è la ragione? Come mai avete deciso di allontanarvi dal giapponese “standard”? Con questa scelta, siete ancora più “diversi” (persino all’interno del Giappone stesso).


Innanzitutto, ho deciso di non cantare in inglese perché credo di essere più convincente nella mia lingua madre. Il sentimento che esprimiamo è più sincero. Poi, credevo anche che fosse più interessante usare lo “Tsugaru”, anche se abbiamo una specie di complesso di inferiorità al riguardo, temendo di essere etichettati come una band “country folk”. Diciamo che usare questo dialetto nella quotidianità potrebbe essere qualcosa di cui vergognarsi, ma sposarlo alla musica rock, beh, è molto bello e interessante. In altre parole, è anche un modo per rendere omaggio alle nostre radici.
La maggior parte delle canzoni sono in giapponese, e alcune sono in “Tsugaru”.


La voce di Shinji Wajima è davvero unica. Non siamo davanti al classico cantante metal, eppure il modo in cui canta e la sua estensione danno quel tocco speciale alle canzoni. Cosa ci dici del tuo modo di cantare?


Grazie per aver definito la mia voce unica. Non sono affatto un bravo cantante, ma canto col cuore. Solitamente, i cantanti rock giapponesi che cantano in giapponese imitano l’accento inglese o parlano molto velocemente, mentre io cerco di attenermi a un modo di parlare e cantare in giapponese più “autentico”. Inoltre, evito di inserire termini troppo colloquiali nei testi, perché diventano obsoleti abbastanza in fretta.


Shinji non è l’unico cantante della band. Qual è il ruolo di Kenichi (basso) and Nobu Nakajima (batteria) quando si parla di cantanti?


Chiunque abbia avuto l’idea per la canzone finirà per cantarla. Questo perché ciascuna canzone è il pianto del cuore di chi l’ha scritta, per cui la cosa più naturale è che chi l’ha scritta la canti.


Se è vero che i vostri testi sono influenzati dalla cultura giapponese, così come i vostri costumi di scena (su cui ritorneremo), la vostra musica sembra non contenere tanti aspetti tradizionali giapponesi o folk. Si tratta piuttosto di heavy-rock-proto-metal all’ennesima potenza, qualcosa di molto occidentale (insomma, quello che veniva definito semplicemente hard rock prima che comparissero tutti i vari generi e sottogeneri…). Non voglio dire che non sia un bene, al contrario: evidenzio però che la musica non fa pensare in particolar modo a nulla di giapponese. Avete mai pensato di aggiungere qualche elemento più tradizionale o folk anche alla vostra musica?


In generale, il sound della nostra musica è rock, il che non è affatto autoctono. Ma a volte, se troviamo uno strumento giapponese che sappiamo suonare, lo inseriamo nelle canzoni. In passato ho utilizzato il yokobue (flauto traverso), il taishogoto (arpa giapponese a tre corde), il mokugyo (una specie di campana di legno a fiato), e così via. Il taishogoto è simile a una specie di sitar ma in chiave giapponese, e mi piace usarlo di tanto in tanto.


Avete mai pensato di cantare i vostri testi in inglese? Accadrà mai in futuro? 


Ho deciso che avremmo cantato in giapponese fin dall’inizio, come dicevo anche prima. Non penso che i nostri testi saranno mai cantati in inglese, è molto naturale per noi scrivere e cantare in giapponese.


Come scrivete le vostre canzoni? Qual è il processo creativo e di scrittura? È cambiato negli anni o è rimasto invariato col tempo?


Crediamo che la nostra musica sia hard rock tradizionale. Ovviamente sono felice e onorato se questa viene definita heavy metal. Ciascuna canzone parte da un riff, e poi da lì sviluppiamo il resto della canzone, la melodia, e infine il testo. Circa dieci anni fa ho iniziato a scrivere le canzoni avendo già un’immagine ben chiara di che tipo di canzone avrei voluto cantare e suonare, oltre che di quale argomento avrei voluto parlare. In questo modo non mi perdo nel corso del processo compositivo. Ho anche iniziato a metter da parte pezzi di testo mentre scrivo, non si sa mai che possano tornare utili. Ciò che è certo è che la tendenza ad aggiungere i testi una volta che la musica è finita non è mai cambiata negli ultimi anni.


Le vostre canzoni sono composte da una molteplicità di riff o “temi” che sembrano essere disconnessi l’uno dall’altro, eppure questo mix letale mantiene chi vi ascolta bene all’erta e incuriosito/a fino alla fine, proprio come succede con la musica prog. Mentre le ascolto mi ritrovo a pensare “e ora cosa succederà?”, mi aspetto una sorpresa da un momento all’altro e so che qualcosa di meraviglioso sta per investirmi.


Ciascuna canzone, dicevamo, contiene al suo interno materiale per almeno tre-quattro canzoni scritte da un gruppo “medio”. Da rimarcare anche la presenza, spesso, di più di un assolo di chitarra, qualcosa che non si sente di frequente ai giorni nostri. Eppure, non si tratta di assoli tanto per sciorinare la tecnica… Ciascun assolo è calato perfettamente nella canzone ed è ricco di sentimento più che di sterili tecnicismi.


Non ho potuto fare a meno di notare che quanto appena descritto non è cambiato troppo dal vostro primo album, l’eponimo “Ningen Isu” del 1989 (!). Immagino sia una caratteristica di tutta la vostra musica (i Ningen Isu hanno pubblicato 11 album in studio in totale, nda).
Come viene sviluppata la struttura di una vostra canzone? Cosa viene prima, e come decidete quali riff diventano parte del brano (e quali no)?


Ho dato vita a una band influenzata dall’hard rock inglese, per cui è naturale che il riff sia il punto di partenza. Una volta che ho scritto un riff cazzuto, ci scriviamo il resto della canzone attorno. Facendoci guidare dall’idea di una musica potente e terremotante, scriviamo cambi di tempo, cambi di accordi, ecc.
È molto importante non sentirsi mai a disagio con la musica che si sta scrivendo, non bisogna appiccicare le cose l’una all’altra e basta. Una volta che il concetto è chiaro nella nostra mente, lo esprimiamo da una serie di diverse angolazioni.
Quando scriviamo, la seconda cosa più importante dopo la canzone stessa sono gli assoli. Ma questi non vengono composti pensando alla necessità di fare esibizionismo della mia tecnica, cerco sempre di far sì che si integrino con la musica.
Qualche tempo fa gli assoli erano spariti dalla musica rock, ma noi invece ne suoniamo uno in ciascuna canzone.


Mi viene in mente almeno un’altra band che ha un approccio alla composizione simile al vostro. Sto parlando dei leggendari Holocaust, band NWOBHM scozzese, autori dell’inno “Heavy Metal Mania” e famosi per la cover di “The Small Hours” fatta dai Metallica, gli Holocaust, guidati fin dal principio dal granitico John Mortimer, negli anni ‘90 e primi 2000 hanno realizzato una serie di album non troppo conosciuti ma davvero interessanti, album dalle sonorità oscure e a tratti simili alle vostre.
Gli album in questione sono “Hypnosis of Birds”, “Covenant”, “The Courage To Be” and “Primal”. Gli Holocaust sono una delle mie band preferite di tutti i tempi e sono ancora in attività (lo splendido “Elder Gods”, uscito nel 2019, è una vera chicca. Qui potete trovare il profilo Spotify della band:


Entrambi avete una certa libertà e attitudine verso la composizione delle canzoni, un atteggiamento di gran libertà, che non è così facile da incontrare nel metal classico e tradizionale.
Un’altra similitudine riguarda la voce. In entrambi i casi siamo dinanzi a un cantato davvero unico e particolare, a tratti sgraziato. Non si tratta delle voci più memorabili per estensione, eppure si tratta delle uniche voci che possano completare la vostra musica in quel modo così particolare.
Altro aspetto peculiare è la presenza di molteplici e inaspettati cambi di tempo e atmosfera nelle vostre canzoni.
Anche gli Holocaust suonano musica davvero pesante e cazzuta, con bei riff doomeggianti e ricchi di groove che invitano all’headbanging immediato.
Inoltre, sia voi che gli Holocaust non temete le scelte inusuali, quali una struttura della canzone non di facile presa o una lunghezza dei brani non convenzionale. Un modo di rapportarsi alla musica davvero libero.
La domanda quindi è: conoscete gli Holocaust? Potreste elencare altre band che ritenete simili alla vostra (oltre agli ovvi Black Sabbath, Budgie, ecc)?


Non conosco gli Holocaust, ma li ascolterò, sembra una band davvero interessante.
Ti ringrazio per aver definito la nostra musica “unica”. In buona sostanza, l’espressione è qualcosa di libero, e ciascuna persona può esprimersi in una certa maniera e in quel modo unico e personale. Per esempio, un quadro può essere dipinto in un certo modo solo da un determinato artista, e se qualcun altro volesse dipingere la stessa immagine, ne verrebbe una copia, e non la stessa cosa. Sarebbe un’imitazione.
La musica rock è una forma espressiva davvero flessibile e versatile. Il vero valore della musica rock non è nel suonare cover, ma nel comporre e suonare musica unica, che può essere suonata e composta unicamente dalla persona che la compone e suona.
Noi puntiamo a creare un sound che sia simile a quello dei Black Sabbath e dei Led Zeppelin pur mantenendo la nostra unicità in quanto individui.


Negli ultimi anni siete diventati sempre più famosi. Questo fatto è dovuto a qualche avvenimento in particolare?


Credo che la nostra partecipazione all’OzzFest Japan nel 2013 e 2015 ci abbia aiutato molto. Da non sottovalutare il fatto che ora la nostra musica e i nostri video sono disponibili su YouTube. Sono davvero felice che ci sia uno strumento del genere e che il suo impatto sia globale.




Come sono cambiate le vostre vite da allora?


Da allora sono in grado di vivere grazie alla musica. Sono davvero felice che questo sia accaduto, e sono felicissimo di vedere così tante persone ai nostri concerti. Ora la gente mi riconosce per strada! Ma cerco comunque di restare umile e non dimenticarmi da dove arrivo.


Il fatto che siate diventati famosi al di fuori dei confini nazionali ha comportato anche una maggiore fama in Giappone, o eravate già famosi in patria?


Siamo stati famosi all’inizio, quando abbiamo debuttato, poi siamo stati dimenticati. Negli ultimi anni la nostra fama ha continuato e continua a crescere. Non siamo famosi come una band di musica pop, ma penso che chi conosce la musica rock conosca il nostro nome ora.


Come già detto, avete partecipato all’OzzFest 2013 (ecco il video del concerto: https://youtu.be/c0a-U94x6EU). Immagino che questo sia stato molto importante per la vostra carriera. Come siete riusciti a farne parte? Sapete per caso come Ozzy abbia deciso di avervi sul palco?

Forse Ozzy ha saputo della nostra esistenza grazie al suo coordinatore giapponese. In Giappone, siamo riconosciuti in qualità di band dal suono molto simile ai Black Sabbath, quindi credo che la chiave di volta sia stata quella.

Con chi avete condiviso il palco? Hai qualche aneddoto interessante da condividere?


All’OzzFest 2013 ho suonato con le Momoiro Clover Z, una band giapponese idol. Inoltre, ero molto contento di aver ricevuto i complimenti degli Slipknot dopo il nostro concerto!


I vostri video musicali sono sempre più conosciuti. Io stesso vi ho conosciuti così: un amico mi ha passato il link al vostro video di “Heartless Scat”, e così sono entrato in fissa (il video ha raggiunto quasi 4 milioni e mezzo di visualizzazioni ad oggi. Si tratta di qualcosa che sta succedendo anche con altre persone?
Credo che internet vi abbia aiutato tantissimo, il che è un bene: solitamente i musicisti si lamentano molto dei servizi di streaming musicale, ma qui è quasi il contrario!


Ero molto stupito dal numero di visualizzazioni per “Heartless Scat”. È la prima volta che ci accade qualcosa di simile. Sono davvero felice che gli amanti del rock da tutto il mondo ci possano conoscere. Finalmente quest’anno suoneremo al di fuori del Giappone per la prima volta, sicuramente il video ci ha aiutati parecchio!


I vostri video musicali più recenti, diciamo quelli dal 2015 in poi, sono tutti molto simili: ci siete voi tre che suonate e di volta in volta cambia lo sfondo. A volte qualcuno di voi fa qualche azione. Molto semplici ma anche ipnotici.
Quando li guardo attendo sempre la prossima mossa o faccia che farete il che, insieme alla vostra ottima musica, mi fa rimanere attaccato allo schermo (stessa cosa che accade ad altri utenti su YouTube, se si leggono i commenti ai vostri video) per oltre 5 minuti di volta in volta, che è la durata media delle vostre canzoni. Un traguardo notevole, in questi tempi di riduzione della soglia di attenzione!
Come vengono strutturati i vostri video? Da quale idea partono?


Abbiamo girato i nostri video con lo stesso regista a partire dal 2015. È molto bello che te ne sia accorto! Comunichiamo al regista la nostra idea a livello di musica e poi ci sono diverse riunioni. Che si tratti di un video in un luogo chiuso o all’aperto, facciamo molta attenzione a non scegliere sempre lo stesso sfondo. Il regista è sempre alla ricerca di nuove immagini, per cui ci piace molto lavorare con lui.


La vostra presenza scenica è molto differente da quella classica delle band heavy metal occidentali. Si vede che vi divertite molto mentre suonate, tuttavia c’è qualcosa di diverso nel modo in cui state sul palco se si vuole fare un paragone. Sembra quasi che siate molto seri, ma ho anche il sospetto che ci sia molta auto-ironia.
È qualcosa di ragionato ed è parte dei vostri personaggi?


Amo l’heavy rock e quindi è ciò che faccio, ma siamo complessati in un certo modo. Il che vuol dire che non puoi essere simile alle band occidentali, in quanto queste band sono formate da persone che hanno un aspetto e un look differenti. Gli orientali hanno le gambe più corte in generale, quindi un abbigliamento prettamente heavy metal sarebbe inopportuno. Anche quando gli asiatici si vestono seguendo la moda heavy metal… c’è qualcosa che non va. Per cui abbiamo deciso di suonare indossando i costumi tipici giapponesi.


Descrivete i vostri personaggi, e qual è la loro origine?



Innanzitutto, l’idea che sta dietro alla band è puramente giapponese. Ho deciso di indossare l’abito più tradizionale e comune: il kimono. Eppure, dato che i giapponesi non lo indossano più nella loro vita quotidiana, sembra che sia un costume di scena!
Kenichi Suzuki, basso e voce, è un monaco malefico. Un prete depravato. 
Nobu Nakajima, batteria e cori, indossa camicie di seta stile Koikuchi e pantaloni larghi, gli stessi indossati dagli artigiani ai festival in Giappone.
A lui piace indossare qualcosa il cui design sia giapponese al 100%, e quando lo guardo penso a uno di quegli uomini che si vedono ai festival in Giappone. Ciuffone e occhiali: il suo stile preferito.


Il kimono: parliamo di un capo d’abbigliamento che i giapponesi usano nella loro vita quotidiana? Che ne pensa il vostro pubblico giapponese del fatto che proprio il kimono sia parte dei vostri costumi di scena?


Da quando in Giappone è stata introdotta la cultura occidentale, parliamo di circa 150 fa, i giapponesi hanno gradualmente smesso di indossare il kimono. Oggi non vedi nessuno indossare il kimono, eccezion fatta per chi ha dei lavori particolari. Credo che la maggior parte della gente neanche abbia più un kimono a casa. Questo poi viene indossato raramente, per esempio a Capodanno, durante la cerimonia per festeggiare il raggiungimento dell’età adulta o ai matrimoni, ma si tratta comunque di una minoranza, e spesso il kimono è noleggiato.
Per farla breve, oggigiorno il kimono è un qualcosa di speciale. Dato che svolazza, poi, luccica sul palco, e non è molto comodo quando stai suonando uno strumento, per cui cerco di legarlo in qualche modo.


Sono davvero innamorato delle espressioni e delle facce che Kenichi Suzuki fa quando suona. Mentre guardo i vostri video attendo impazientemente la prossima mossa. C’è un significato dietro alle sue smorfie? Solitamente sono i batteristi a fare le facce strane, ma qui non c’è battaglia.


Kenichi Suzuki è un grandissimo fan dei Kiss, e il suo modo di suonare è molto influenzato da Gene Simmons. Aggiungiamo che cerca sempre di fare movimenti raccapriccianti ed espressioni che possano incutere terrore. Credo voglia esprimere un qualcosa di spaventoso tanto nella musica quanto… nell’esecuzione.
(Nella foto che segue: Una panoramica di alcuni dei momenti migliori di Kenichi tratti dai video di “Heartless Scat” e “The Colour out of Space”... Avete trovato la sua fonte di ispirazione?)



Come abbiamo già evidenziato, avete raggiunto una certa fama negli anni più recenti, ma dato che la band esiste dal 1987, non si può non pensare a un’altra grande band che ha ottenuto la meritata notorietà abbastanza tardi. Parlo ovviamente dei pionieri canadesi Anvil. E, ancora una volta, tutto merito di una cinepresa: l’ex roadie degli Anvil, Sacha Gervasi, ha girato un documentario sulla band, ora famosissimo, e sembra che YouTube e i vostri video abbiano avuto lo stesso ruolo nell’aiutarvi a diventare famosi.
Avete pensato a questo parallelismo? Cosa vi rende simili agli Anvil secondo voi?
Ma soprattutto: vedremo mai un documentario sui Ningen Isu?


La nostra storia è simile a quella degli Anvil. Anche se non vendevano molto, hanno continuato ad ascoltare musica e suonare, facendo lavori part-time pur di poter continuare a suonare. Quel film ha incoraggiato una band come la nostra, ormai in giro da un pezzo (un video dei giovanissimi Ningen Isu nel 1991: https://youtu.be/jMfxLEqiJ3w)

Anche noi abbiamo in mente di fare un film. Non sarà un documentario, bensì il filmato di un concerto che si è tenuto in una sala concerti in Giappone alla fine del 2019, e che diverrà parte di un film. Non perdetevelo quando uscirà.


Pare sia molto difficile per i musicisti potersi dedicare alla musica a tempo pieno e guadagnare da questa attività, immagino sia lo stesso per voi tre. Di cosa vi occupate nella vostra vita “normale” una volta scesi dal palco?


Negli ultimi anni sono stato in grado di mantenermi solo con la mia attività di musicista. Il che non vuol dire che sia ricco, tutt’altro, ma sono davvero felice di poter vivere facendo solo il musicista. Non posso che ringraziare tutti coloro che mi seguono e mi supportano.


La formazione dei Ningen Isu è sempre rimasta la stessa… a parte il batterista. Qual è il segreto di un’amicizia così duratura come quella che lega Shinji e Kenichi Suzuki (basso e voce)? So che siete amici fin dai tempi della scuola. Che dire… WOW!


Io e Kenichi ci conosciamo da quando eravamo studenti alle scuole medie. Andavo in un’altra scuola in realtà, e ci siamo conosciuti perché anche a lui piaceva il rock. Poi siamo diventati compagni di classe al liceo. Insomma, la solita storia. Suonare con lui mi riporta indietro alla freschezza dell’adolescenza. Abbiamo personalità diverse, ovviamente, ma grazie al fatto che suoniamo nella stessa band, sembra che la giovinezza stia continuando.


Cosa vi ha portati a scegliere un nuovo batterista così tante volte?


Ho conosciuto Nakajima Nobu a un concerto. Ho pensato che fosse un buon batterista perché teneva un buon groove in un pezzo in 4/4. Anche la nostra musica si basa sulla ripetizione di uno stesso riff (alla volta), per cui ho pensato che il suo stile fosse adatto a quello della band. E poi sia io che Suzuki viviamo vicino a lui!


Sarete in Europa a febbraio 2020 per un tour di tre date, due in Germania a una a Londra (ecco il video promozionale dell’evento: https://youtu.be/OOnm8ognESU). Mi avrebbe fatto molto piacere volare a Londra per vedervi suonare in una delle mie venue preferite: l’Underworld di Camden Town, ma sarò in viaggio in quel periodo.
Siete contenti di intraprendere questo minitour? Credo di dire il vero: è la prima volta che suonate in Europa? Quali sorprese avete in serbo per queste tre date? Avete pensato di filmare i concerti o registrare un disco per questa occasione, che coincide anche col trentennale della band?


È la prima volta che vado in tour fuori dal Giappone, e quindi è anche la prima volta che suoneremo in Europa. Per noi è molto eccitante, andremo a suonare nella patria della musica rock. Vogliamo che i fan europei ascoltino la nostra musica, un hard rock in salsa giapponese. Registreremo i filmati dei concerti. Stay tuned!


L’influenza dei Black Sabbath nella vostra musica è fuori discussione, fermo restando che ciò che proponete va oltre i Sabbath, ovviamente. Anche io sono un grande fan dei Black Sabbath, e mi sono chiesto: qual è il vostro album preferito, e perché?


 “Master of Reality”. Il motivo? A parte la musica, stupenda, è il primo album nel quale hanno provato un’accordatura diversa: un tono e mezzo sotto.


Il Giappone è sempre stato molto benevolo nei confronti di un certo tipo di musica che viene prodotta in Italia: parlo ovviamente del progressive rock degli anni ‘70. Si tratta di un periodo storico in cui l’Italia non aveva rivali dal punto di vista musicale.
Conoscete qualcuno dei grandi gruppi prog italiani?


Certo, conosco la musica prog italiana. PFM, Banco, Goblin... I Goblin sono una delle mie influenze. L’intro di "Heartless Scat" è un omaggio ai Goblin.





Siete stati influenzati da altre band metal (o rock, o di altri generi) giapponesi?


No, non credo. Siamo abbastanza unici. Ma ovviamente ho molti amici tra i musicisti giapponesi. Le band Outrage e Kinniku Shōjo Tai, per esempio.


Se penso alle band metal giapponesi, mi vengono in mente almeno tre nomi: Loudness, X-Japan e BABYMETAL. Cosa pensate di queste band?


I Loudness sono una band di cui il Giappone va fiero. Hanno incoraggiato un sacco gli altri musicisti, anche per quanto riguarda il farsi strada al di fuori del Giappone. Ho avuto l’onore di stare sul palco con i Loudness una volta. Quella notte ho potuto ammirare coi miei occhi lo stile di Takasaki Akira… che roba. Non ho mai visto un chitarrista giapponese suonare in modo così preciso, efficace e rock.


Heavy metal e Giappone: qual è lo stato dell’arte? Qualche band da non perdere?


Il successo delle BABYMETAL è davvero notevole. Si può parlare del fatto che possano essere definite “vero” heavy metal o no, ma non si può certo negare che abbiano ravvivato la scena heavy metal giapponese. Penso che le band metal composte da donne siano davvero potenti.


Negli ultimi anni avete fatto davvero un sacco di interviste, disponibili online, e in tutte vi vengono fatte, chi più chi meno, hanno più o meno le stesse domande (questa intervista non fa eccezione!), quindi mi chiedo: qual è la domanda a cui avreste sempre voluto rispondere ma che non vi è mai stata posta? È il vostro momento!


Se vuoi chiederci qual è il nostro cibo preferito… a tutti e tre piace molto il riso.


Avreste mai pensato che la band sarebbe durata così a lungo quando avete iniziato?


Ho sempre voluto vivere facendo ciò che amavo di più, ma non avrei mai pensato di arrivare fin qui. Scrivere e suonare la mia musica è ciò che amo di più.


Quale potrebbe essere il coronamento della vostra carriera?


Siamo stati famosi per circa due anni, dopo il nostro debutto, e poi le cose si sono fermate. Sono stato povero per 20 anni, e le vendite andavano male.
Il numero dei fan è iniziato a crescere nel 2013, e finalmente siamo tornati in pista, tutto d’un tratto. Negli ultimi anni abbiamo avuto una carriera davvero impegnativa e appagante.


Quale credete sia il vostro album migliore? Quello di cui siete più soddisfatti?


Il primo album, "Ningen Shikkaku", e "Sin Seinen", uscito nel 2019. Quest’ultimo è quello di cui sono più soddisfatto.


L’ultima domanda: Cosa vuol dire “shabadabadia shabadabadia babababa”? Scusate se lo scrivo male, mi sto fidando della traduzione di YouTube!


Nella canzone “Heartless Scat”, ho voluto cantare i sentimenti delle persone che non hanno alcuna soddisfazione. Quando una persona è in uno stato di angoscia non parla e non fa altro che piangere e singhiozzare. Ho usato la parola “scat” (escremento) per esprimere una situazione in cui non ci sono parole. E la musica, invece, è una speranza. Una persona canticchia e mormora (anche cose come “shabadabadia” e “lululu”, nda) quando fa qualcosa, e questa è una testimonianza di vita.
In “Heartless Scat” “io” ho voluto cantare una canzone sulla volontà di vivere anche quando sono rimasto senza parole.

Grazie infinite, Ningen Isu!


(Credits foto: http://ningen-isu.com)



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