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giovedì 6 febbraio 2020

Rubare è un reato, ma non nella musica rock. Il caso "Bombay Calling", di Innocenzo Alfano


Rubare è un reato, ma non nella musica rock. Il caso "Bombay Calling"
di Innocenzo Alfano
articolo del sabato 27 novembre 2010

Nelle sacre scritture, come si sa, c’è scritto, in varie forme, che non bisogna rubare, perché chi ruba commette un peccato, del quale dovrà poi rispondere alla propria coscienza ma soprattutto a Dio. Nei dieci comandamenti della tradizione cattolica e luterana il divieto di rubare si trova al settimo punto, subito dopo quelli di “non uccidere” e di “non commettere atti impuri”. Anche le leggi di tutti gli Stati avvertono che rubare non è permesso; chi lo fa e viene poi scoperto sarà costretto a trascorrere un periodo più o meno lungo di reclusione dentro un istituto di pena. Naturalmente pure nella musica rock un siffatto divieto ci sarebbe, in modo specifico il divieto di appropriarsi illecitamente di brani altrui, solo che farlo rispettare non è (mai stato) affatto semplice.

I furti nella musica rock, documentati e non, sono numerosissimi. Sono così tanti che ormai la prassi viene considerata “normale” – nel rock sono in effetti considerate normali cose che in tutti gli altri campi dell’agire umano sarebbero ritenute disdicevoli – e perciò molti casi di plagio non vengono neanche più notati, oppure, appunto, si fa finta di nulla. Qualche volta però i plagi fanno ancora scalpore, in particolare se coinvolgono musicisti o cantanti famosi: molti senz’altro ricorderanno la vicenda giudiziaria che vide protagonisti, nella seconda metà degli anni ’90, il nostro connazionale Albano Carrisi e il “re del pop” Michael Jackson, accusato da Carrisi di aver rubato melodia e ritmo di una sua canzone intitolata I cigni di Balaka al fine di costruirci un pezzo di successo come Will You Be There. L’episodio, visti i nomi dei personaggi coinvolti, suscitò in Italia parecchio clamore, e di conseguenza se ne parlò molto. Ma facciamo ora un salto nel tempo di ben 41 anni, e vediamo che cosa combinarono gli ormai dimenticati It’s A Beautiful Day alle prese con una melodia orientaleggiante chiamata Bombay Calling.

Bombay Calling è il titolo di un brano strumentale che gli It’s A Beautiful Day sistemarono in apertura del lato B del loro omonimo ed affascinante 33 giri d’esordio, edito dalla Columbia Records nella primavera del 1969. Gli It’s A Beautiful Day erano un sestetto misto (quattro uomini e due donne) formatosi nella città di San Francisco nel corso dell’estate del 1967. Godettero di una discreta popolarità a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, più che altro negli Stati Uniti e principalmente grazie ai brani di questo notevole disco, tra i quali figura anche, appunto, Bombay Calling. E fin qui nessun problema. Il guaio è che il tema di Bombay Calling, cioè in pratica la sua struttura portante, sia melodica che ritmica, non venne composto da nessuno dei membri del gruppo rock californiano bensì, all’inizio degli anni ’60, dal musicista jazz, anch’egli californiano, Vince Wallace. Sul retro della vecchia copertina del long playing il nome di Wallace compariva infatti accanto a quello di David LaFlamme, violinista e cantante del gruppo, precedendolo. Come mai? Beh, era semplicemente accaduto che Wallace e LaFlamme, che si conoscevano ed a volte suonavano assieme a casa dell’uno oppure dell’altro, un giorno avevano trascorso un po’ di tempo a discutere di musica e a provare delle nuove melodie nell’abitazione di LaFlamme, a San Francisco. In quella circostanza – era il 1966 – Wallace insegnò a LaFlamme il tema di Bombay Calling, che a LaFlamme piacque così tanto da trasferirlo, così com’era, nella musica degli It’s A Beautiful Day. In concerto il brano veniva di conseguenza presentato, nei primi tempi di vita della band, come una composizione del solo Wallace. Nel corso degli anni ’70, però, LaFlamme decise di registrare il brano a suo esclusivo nome presso l’ente governativo Usa preposto alla tutela del copyright, cancellando ogni riferimento a Vince Wallace (nel frattempo, in Inghilterra, i Deep Purple avevano sfruttato la composizione di Wallace per dare vita alla celebre Child In Time, anche in questo caso senza citare il musicista californiano). Da allora Vince Wallace non ha più ricevuto neppure un centesimo per i diritti d’autore di Bombay Calling, né dalle case discografiche e né tanto meno da David LaFlamme. Ricordiamo a questo proposito che le vendite del primo lp degli It’s A Beautiful Day furono più che buone, tanto che il 33 giri venne ad un certo punto proclamato disco d’oro in seguito al raggiungimento della soglia delle 500.000 copie vendute. Dunque, di soldi da spartire ce n’erano parecchi…

Com’è ovvio, da tutto ciò non poteva non scaturirne una spiacevole polemica, nella quale la parte lesa, cioè Wallace, ha spesso accusato pubblicamente LaFlamme di essere una persona priva di scrupoli, riconoscendogli soltanto la sua bravura come violinista. In una simpatica “dedica” scritta col pennarello nero sul retro di copertina di una copia in vinile del primo album degli It’s A Beautiful Day (vedi foto), Wallace definisce LaFlamme, nell’ordine, «plagiarist, scoundrel, good singer, wonderful violinist, needs work on character», cioè plagiario, mascalzone, ottimo cantante, meraviglioso violinista, uno che deve ancora lavorare molto sulla propria personalità.

In una lettera aperta datata 16 ottobre 2001 Vince Wallace affronta l’argomento del furto di una sua creazione musicale con veemenza. Traduco, a seguire, la prima pagina (di 5) della missiva: «Salve, mi chiamo Vince Wallace. Sono un compositore di musica jazz, registro dischi e suono il sassofono tenore. La mia missione è quella di portare amore e buone vibrazioni in tutto il mondo, nel solco di quella grande forma d’arte tradizionale propria degli Stati Uniti d’America che è il Jazz. Io sono l’unico autore del brano intitolato Bombay Calling, che si trova sull’album “It’s A Beautiful Day” edito dalla Columbia. Io credo che la mia carriera sia stata seriamente danneggiata dalle azioni congiunte di David LaFlamme, Columbia/Sony Records, Deep Purple, Matthew Katz e da tutti quei loschi avvocati con le loro avide dita infilate nella grande torta di San Francisco». Beh, dire che Vince Wallace è molto arrabbiato per ciò che gli è successo è dire poco.

Nota Bene L’articolo è stato pubblicato su “Apollinea”, Rivista bimestrale del territorio del Parco Nazionale del Pollino, Anno XIV – n. 6 – novembre-dicembre 2010, pag. 32.

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