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martedì 24 dicembre 2024

RocKalendario del secolo scorso – Dicembre-Di Riccardo Storti

 


RocKalendario del secolo scorso – Dicembre

Di Riccardo Storti


1954 – Parigi, 2 dicembre, presso il Théâtre des Champs-Élysées, sotto la direzione di Hermann Scherchen, alla testa dell’ORTF, viene eseguita Déserts, composizione per orchestra e nastro magnetico di Edgar Varèse. L’idea di proporre questa pagina d’avanguardia in un repertorio classico non fu compresa dal pubblico in sala, che si vide rovinare una bella serata iniziata con la Grande Ouverture in Si bemolle maggiore di Mozart (K. 311a) e conclusa con la Sinfonia n. 6 detta Patetica di Tchaikovsky. Eppure Stravinsky, presente in sala, apprezzò parecchio. Ma che c’entra tutto ciò con il rock? C’entra, perché dall’altra parte dell’Oceano, in quel di Lancaster (a due passi dal deserto californiano del Mojave), un ragazzino di 14 anni avrebbe fatto carte false per esserci: Frank Zappa. A 12 anni venne colpito da Ionisation e a 15 lo avrebbe chiamato al telefono per fargli delle domande mentre il musicista continuava a lavorare su Déserts.

Consigliamo la lettura del testo di Zappa Edgard Varèse - The idol of my youth (1971), nella traduzione italiana a questo link.

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1964 – La copertina sembra suggerire che qualcosa stia per cambiare: ambientazione autunnale, i Beatles non sembrano affatto allegri, non proprio tristi ma piuttosto ombrosi: malinconico George, disincantato John, inquieto – se non spaventato – Ringo, enigmatico Paul. Così si mostra Beatles for Sale, quarto album dei Fab Four, uscito il 4 dicembre del 1964. Cosa ci vogliono comunicare i quattro ragazzi di Liverpool? Che, forse, si sono anche un po’ stufati delle fughe dai fan immortalate nella recente pellicola di Hard Day’s Night? Oppure è arrivato il momento di offrire maggiore spessore alle loro canzoni? Beatles for Sale è sicuramente un album di transizione verso il più innovativo Rubber Soul, però, nonostante il profilo da nota di passaggio, l’album offre momenti di rilievo come le ballad autobiografiche I’m a Loser di John Lennon (già un omaggio a Dylan) e Baby’s in Black (il lutto dell’amica Astrid Kirchherr, compagna del bassista dei Quarrymen Stu Sutcliff). 

Per il resto tanto rock’n’roll e omaggi a chi glielo ha insegnato a suonare (Carl Perkins, Little Richard, Chuck Berry e Buddy Holly).     

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1974 – È il 2 dicembre e dalla Numero Uno esce l’ultima fatica di Lucio Battisti: Anima latina. Si tratta di un album di rottura, rispetto agli ultimi lavori tanto che, a livello di memoria collettiva, nel disco non emerge alcuna canzone capace di entrare nell’immaginario battistiano. Sì, un 45 giri è stato pubblicato, ma quanti ricordano Due mondi alla stregua di Il mio canto libero o La canzone del sole. E, all’epoca, Anima latina venne stroncato proprio perché il musicista Lucio Battisti (e non il cantante…) ebbe il coraggio di mostrare i suoi appunti di ricerca attraverso un’opera che, a distanza di 50 anni, si sarebbe imposta come una pietra miliare del repertorio anni Settanta. La penna di Mogol offre testi criptici e complessi, così come complesso e raffinato è l’ordito sonoro. Ecco: il suono al centro. Abbassiamo la voce affinché l’ascoltatore si sforzi per lasciarsi coinvolgere, se no, meglio perderlo. Un Battisti quasi radicale che si diverte a fare quel dispetto in Abbracciala, abbracciali, abbracciati e Macchina del tempo, in cui il canto è quasi sussurrato. Altro che le dinamiche a mille di Un’avventura

Ulteriore valore aggiunto, la ricchezza di stili: musica latino-americana, suggestioni jazz, fiati Philly Sound, elettronica, folk mediterraneo, imprevisti bandistici. Praticamente progressive.

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1984 – Un disco live. Lo si chiedeva a gran voce da anni, perché, da quando Pino Daniele aveva esordito nel 1977, non erano mancati concerti in lungo e in largo per la penisola e chi ebbe modo di parteciparvi, ancora oggi racconta con dettagli quasi agiografici le performance del cantautore e dei partner in tour. Oggi, per fortuna, c’è Youtube; oltre quarant’anni fa, c’era solo la Rai che, ogni tanto, regalava qualche chicca, destinata poi all’oblio degli archivi. Così, finalmente, a dicembre del 1984 uscì il doppio album dal vivo Sciò, collezione del meglio sui palchi italiani degli ultimi due anni, nonostante le resistenze dello stesso Daniele che, da buon perfezionista, aveva affermato: “È stato il mio primo disco live, un doppio album ricco di ricordi e di incontri musicali d'eccezione, io non volevo che quest'album uscisse perché non ero soddisfatto delle registrazioni (… ma io non sono mai soddisfatto delle registrazioni).” 

Al di là delle comprensibili remore dell’artista, Sciò è una bellissima fotografia di famiglia con gli immancabili De Piscopo, Marangolo, Esposito, Zurzolo, Amoruso oltre ai preziosi (e nobili) sax di Bob Berg, Larry Nocella e Gato Barbieri.  

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1994 – New York, presso il Mount Sinai Hospital, a seguito di un arresto cardiaco, dovuto a svariate complicanze, se ne va O Maestro ovvero Antônio Carlos Jobim. Con composizioni intramontabili, come Garota de Ipanema e Chega de Saudade, ha saputo unire ilsamba tradizionale brasiliano con influenze jazz, creando un genere musicale che ha conquistato il mondo ovvero la bossa nova. La sua abilità nell’arrangiare melodie sofisticate e testi poetici – soprattutto quelli scritti da Vinicius de Moraes - ha portato la musica brasiliana sulla scena globale negli anni '60. Jobim ha collaborato con artisti leggendari come João Gilberto, Stan Getz e Frank Sinatra, consolidando la sua eredità come innovatore della scena musicale carioca.

Quando la morte lo colse, stava per dare alle stampe il suo quindicesimo album (Antônio Brasileiro), completato quasi un anno prima; venne pubblicato postumo l’11 dicembre.

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