John Strada - Basta Crederci Un Po’
(Crinale, 2025)
di Luca Paoli
Undici canzoni come specchi incrinati, dove la vita si riflette senza filtri
Release album: venerdì 7 novembre 2025
A volte ascoltare un disco è come aprire un quaderno che non ti aspetti: pieno di scarabocchi, note a margine, emozioni che ti colpiscono senza chiedere permesso. Così è stato per me con Basta crederci un po, il nuovo lavoro di John Strada.
C’è sempre un confine sottile tra il
bisogno di raccontare e quello di salvarsi, e qui quel confine diventa il filo
invisibile che attraversa ogni brano: tra la vita quotidiana, le illusioni, la
rabbia e le piccole speranze che ci portiamo dentro.
Il disco respira tra l’Emilia e l’America, tra la canzone
d’autore italiana e le radici rock’n’roll che da sempre accompagnano Strada. Ma
c’è qualcosa in più questa volta: come racconta lo stesso Strada, c’è stata una
svolta nel suo modo di scrivere, guidata da nuove ispirazioni, letture e
ascolti. Ha scritto, distrutto, rivisitato, e solo quando si è reso conto di
avere del buon materiale ha deciso di affidarsi a Don Antonio Gramentieri,
un vecchio amico e produttore artistico, per trasformare quelle canzoni in un
percorso coerente. Ascoltarlo è come entrare in quel percorso: tra familiarità
e sorpresa, ogni canzone diventa un piccolo diario che non smette di parlare.
Attorno alla voce e alle chitarre di Strada si muovono la
batteria di Diego Sapignoli, le tastiere di Nicola Peruch, le
percussioni di Denis Valentini e i cori di Daniela Peroni e Laura
Zoli. Un suono curato, essenziale, registrato a La Casina di Modigliana e
rifinito da Ivano Giovedì al Waveroof di Castel Bolognese.
Ogni tappa della carriera di Strada sembra un tassello di un
mosaico più grande. Dal progetto multidisciplinare di Dalla periferia
dell’anima (2008), dove musica, racconti di Gianluca Morozzi e fotografie
dipinte da Andrea Samaritani si intrecciavano in un’unica esperienza, fino al
dvd live del 2010, che catturava l’energia dei concerti. Poi Live in Rock’a
(2012), con la sua forza immediata, e Sangue e polvere, che ha
raccontato il dolore e la resilienza dopo il terremoto emiliano. Non si può
dimenticare il riconoscimento europeo per Meticcio (2014), l’apertura
internazionale di Mongrel (2016), fino alla delicatezza acustica di Fra
Rovi & Rose (2020). Ogni disco ha lasciato un segno diverso. Come se
Strada stesse scrivendo un unico diario: corde di chitarra, parole, inchiostro.
Ogni capitolo racconta un pezzo della sua vita e del nostro tempo.
I brani scorrono come pagine di un diario imperfetto, pieno
di spigoli e annotazioni a margine. Basta crederci un po’ mi ha colpito
subito. Un elettro-blues ipnotico che mette a nudo la finzione dei social: vite
curate a tavolino, sorrisi costruiti. Ascoltandolo, ho pensato alle persone che
conosciamo ogni giorno e a quanto ci raccontiamo versioni di noi stessi che non
esistono davvero.
Ballando in città è un respiro leggero nel disco. Ti fa
scivolare in un mondo sospeso, dove tutto sembra possibile e nessuno riesce
davvero a rovinare i sogni. Mi ha fatto sorridere, e per un attimo ho
dimenticato la gravità dei temi del disco.
Parlavo da solo è quasi un monologo interiore. Entrare in quella
testa significa seguire dubbi, rimpianti, scoperte improvvise. Non è facile da
seguire, ma ogni ascolto rivela piccole verità, frammenti che cercano una
conclusione sempre in sospeso.
Non ti dirò ti amo parte ruvida, quasi a voler
respingere, e poi sboccia in un ritornello fresco e luminoso. Non è mai
sdolcinata. Parla di un amore imperfetto, fatto di gesti e dettagli, fragilità
e onestà. L’ho percepita come una carezza inattesa, tra parole e silenzi.
Manca il respiro ti prende allo stomaco. È un pugno lento e
inesorabile. Strada racconta la frustrazione di non essere diventati ciò che
sognavamo da ragazzi, senza indulgere nel vittimismo. Rabbia e tenerezza si
mescolano: la consapevolezza dei propri limiti diventa un sentimento vero,
tangibile.
Girasoli è un brano silenzioso e pesante, che prende le mosse dalla
storia di Federico Aldrovandi, il diciottenne ferrarese morto nel 2005 durante
un controllo di polizia. John Strada sceglie di raccontarla con delicatezza e
rigore, senza indulgere ma senza nemmeno trasformarla in slogan: la voce resta
ferma, il dolore non viene attenuato, e la musica diventa un’ombra discreta che
accompagna l’ascoltatore, costringendolo a riflettere sulla violenza, sulla
paura e sull’ingiustizia che possono ancora attraversare le nostre vite.
La scuola è finita esplode in energia e leggerezza. I
cori di ragazzi e ragazze portano il brio della gioventù, la voglia di libertà,
di non piegarsi al mondo degli adulti. Ti fa battere il cuore e ricordare
l’euforia di quei momenti in cui tutto sembrava possibile.
Amore social racconta delusione e attesa che non viene ricambiata.
Lui aspetta, lei non arriva. Nella voce di Strada c’è tutta la fragilità e la
speranza di chi si affida a un legame costruito a distanza. Ti fa sentire amore
e vuoto nello stesso istante.
La vita va restituisce una sensazione di sospensione. Giorni uguali,
promesse non mantenute, routine che non lascia scampo. È il racconto di un
disadattato che osserva il mondo dalla sua finestra, senza illusioni, e ti
porta con sé nel suo piccolo universo.
Giocattoli rotti è la ballata più dolorosa del disco. Rimpianti,
ricordi, tentativi di aggiustare ciò che ormai è spezzato. Ogni ascolto lascia
un peso, un’amarezza sottile, che si mescola alla bellezza della melodia.
Infine, “La tygre e l’agnello” chiude l’album con un colpo secco.
Il ritmo incalzante e la voce parlata disegnano immagini forti. Il titolo
richiama le poesie di William Blake (The Tyger e The Lamb), che
interrogavano la doppia natura dell’essere umano, tra ferocia e innocenza. Qui
quell’immaginario viene spostato nel presente: un racconto crudo sul
femminicidio, senza risposte rassicuranti, solo un’inquietudine che resta
addosso.
Basta crederci un po’ è un disco che guarda la realtà senza filtri, senza paura di
alternare leggerezza e dolore. John Strada ci accompagna in un mondo che
conosciamo bene: fragilità e illusioni, ma anche resistenza e speranza. Basta
davvero crederci un po’? Forse sì. Almeno nella musica che non smette di
raccontarci chi siamo.
E in quel racconto c’è qualcosa che va oltre le parole e le
note: c’è lo spazio per fermarsi un attimo, per riflettere sulle nostre
giornate, sui gesti imperfetti, sulle emozioni che cerchiamo di nascondere.
Ascoltando questo album, ti accorgi che credere non è solo un atto di fiducia o
ottimismo: è un modo di restare presenti, di continuare a osservare, amare e
sorprendersi. In ogni canzone c’è la pazienza della vita che scorre, e la forza
gentile di chi, come Strada, sceglie di raccontarla senza filtri, con
sincerità, senza mai scadere nel semplice buonismo. Alla fine, Basta
crederci un po’ ti lascia con la sensazione di aver percorso insieme un
piccolo viaggio intimo, fatto di luci e ombre, di dolore e di dolcezza, un
viaggio in cui riconosci te stesso ad ogni passo.
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