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venerdì 26 settembre 2025

John Strada - Basta Crederci Un Po’, di Luca Paoli



John Strada - Basta Crederci Un Po’

 (Crinale, 2025)

di Luca Paoli

Undici canzoni come specchi incrinati, dove la vita si riflette senza filtri


Release album: venerdì 7 novembre 2025


A volte ascoltare un disco è come aprire un quaderno che non ti aspetti: pieno di scarabocchi, note a margine, emozioni che ti colpiscono senza chiedere permesso. Così è stato per me con Basta crederci un po, il nuovo lavoro di John Strada

C’è sempre un confine sottile tra il bisogno di raccontare e quello di salvarsi, e qui quel confine diventa il filo invisibile che attraversa ogni brano: tra la vita quotidiana, le illusioni, la rabbia e le piccole speranze che ci portiamo dentro.

Il disco respira tra l’Emilia e l’America, tra la canzone d’autore italiana e le radici rock’n’roll che da sempre accompagnano Strada. Ma c’è qualcosa in più questa volta: come racconta lo stesso Strada, c’è stata una svolta nel suo modo di scrivere, guidata da nuove ispirazioni, letture e ascolti. Ha scritto, distrutto, rivisitato, e solo quando si è reso conto di avere del buon materiale ha deciso di affidarsi a Don Antonio Gramentieri, un vecchio amico e produttore artistico, per trasformare quelle canzoni in un percorso coerente. Ascoltarlo è come entrare in quel percorso: tra familiarità e sorpresa, ogni canzone diventa un piccolo diario che non smette di parlare.

Attorno alla voce e alle chitarre di Strada si muovono la batteria di Diego Sapignoli, le tastiere di Nicola Peruch, le percussioni di Denis Valentini e i cori di Daniela Peroni e Laura Zoli. Un suono curato, essenziale, registrato a La Casina di Modigliana e rifinito da Ivano Giovedì al Waveroof di Castel Bolognese.

Ogni tappa della carriera di Strada sembra un tassello di un mosaico più grande. Dal progetto multidisciplinare di Dalla periferia dell’anima (2008), dove musica, racconti di Gianluca Morozzi e fotografie dipinte da Andrea Samaritani si intrecciavano in un’unica esperienza, fino al dvd live del 2010, che catturava l’energia dei concerti. Poi Live in Rock’a (2012), con la sua forza immediata, e Sangue e polvere, che ha raccontato il dolore e la resilienza dopo il terremoto emiliano. Non si può dimenticare il riconoscimento europeo per Meticcio (2014), l’apertura internazionale di Mongrel (2016), fino alla delicatezza acustica di Fra Rovi & Rose (2020). Ogni disco ha lasciato un segno diverso. Come se Strada stesse scrivendo un unico diario: corde di chitarra, parole, inchiostro. Ogni capitolo racconta un pezzo della sua vita e del nostro tempo.

I brani scorrono come pagine di un diario imperfetto, pieno di spigoli e annotazioni a margine. Basta crederci un po’ mi ha colpito subito. Un elettro-blues ipnotico che mette a nudo la finzione dei social: vite curate a tavolino, sorrisi costruiti. Ascoltandolo, ho pensato alle persone che conosciamo ogni giorno e a quanto ci raccontiamo versioni di noi stessi che non esistono davvero.

Ballando in città è un respiro leggero nel disco. Ti fa scivolare in un mondo sospeso, dove tutto sembra possibile e nessuno riesce davvero a rovinare i sogni. Mi ha fatto sorridere, e per un attimo ho dimenticato la gravità dei temi del disco.

Parlavo da solo è quasi un monologo interiore. Entrare in quella testa significa seguire dubbi, rimpianti, scoperte improvvise. Non è facile da seguire, ma ogni ascolto rivela piccole verità, frammenti che cercano una conclusione sempre in sospeso.

Non ti dirò ti amo parte ruvida, quasi a voler respingere, e poi sboccia in un ritornello fresco e luminoso. Non è mai sdolcinata. Parla di un amore imperfetto, fatto di gesti e dettagli, fragilità e onestà. L’ho percepita come una carezza inattesa, tra parole e silenzi.

Manca il respiro ti prende allo stomaco. È un pugno lento e inesorabile. Strada racconta la frustrazione di non essere diventati ciò che sognavamo da ragazzi, senza indulgere nel vittimismo. Rabbia e tenerezza si mescolano: la consapevolezza dei propri limiti diventa un sentimento vero, tangibile.

Girasoli è un brano silenzioso e pesante, che prende le mosse dalla storia di Federico Aldrovandi, il diciottenne ferrarese morto nel 2005 durante un controllo di polizia. John Strada sceglie di raccontarla con delicatezza e rigore, senza indulgere ma senza nemmeno trasformarla in slogan: la voce resta ferma, il dolore non viene attenuato, e la musica diventa un’ombra discreta che accompagna l’ascoltatore, costringendolo a riflettere sulla violenza, sulla paura e sull’ingiustizia che possono ancora attraversare le nostre vite.

La scuola è finita esplode in energia e leggerezza. I cori di ragazzi e ragazze portano il brio della gioventù, la voglia di libertà, di non piegarsi al mondo degli adulti. Ti fa battere il cuore e ricordare l’euforia di quei momenti in cui tutto sembrava possibile.

Amore social racconta delusione e attesa che non viene ricambiata. Lui aspetta, lei non arriva. Nella voce di Strada c’è tutta la fragilità e la speranza di chi si affida a un legame costruito a distanza. Ti fa sentire amore e vuoto nello stesso istante.

La vita va restituisce una sensazione di sospensione. Giorni uguali, promesse non mantenute, routine che non lascia scampo. È il racconto di un disadattato che osserva il mondo dalla sua finestra, senza illusioni, e ti porta con sé nel suo piccolo universo.

Giocattoli rotti è la ballata più dolorosa del disco. Rimpianti, ricordi, tentativi di aggiustare ciò che ormai è spezzato. Ogni ascolto lascia un peso, un’amarezza sottile, che si mescola alla bellezza della melodia.

Infine, “La tygre e l’agnello” chiude l’album con un colpo secco. Il ritmo incalzante e la voce parlata disegnano immagini forti. Il titolo richiama le poesie di William Blake (The Tyger e The Lamb), che interrogavano la doppia natura dell’essere umano, tra ferocia e innocenza. Qui quell’immaginario viene spostato nel presente: un racconto crudo sul femminicidio, senza risposte rassicuranti, solo un’inquietudine che resta addosso.

Basta crederci un po’ è un disco che guarda la realtà senza filtri, senza paura di alternare leggerezza e dolore. John Strada ci accompagna in un mondo che conosciamo bene: fragilità e illusioni, ma anche resistenza e speranza. Basta davvero crederci un po’? Forse sì. Almeno nella musica che non smette di raccontarci chi siamo.

E in quel racconto c’è qualcosa che va oltre le parole e le note: c’è lo spazio per fermarsi un attimo, per riflettere sulle nostre giornate, sui gesti imperfetti, sulle emozioni che cerchiamo di nascondere. Ascoltando questo album, ti accorgi che credere non è solo un atto di fiducia o ottimismo: è un modo di restare presenti, di continuare a osservare, amare e sorprendersi. In ogni canzone c’è la pazienza della vita che scorre, e la forza gentile di chi, come Strada, sceglie di raccontarla senza filtri, con sincerità, senza mai scadere nel semplice buonismo. Alla fine, Basta crederci un po’ ti lascia con la sensazione di aver percorso insieme un piccolo viaggio intimo, fatto di luci e ombre, di dolore e di dolcezza, un viaggio in cui riconosci te stesso ad ogni passo.


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