Sigmund Freud – Risveglio
(Black Widow Records, 2025)
Di Luca Paoli
Ci sono album che nascono con decenni di ritardo, ma che
sembrano parlare come se non fosse passato neanche un giorno. Risveglio, dei Sigmund
Freud è uno di questi. È il primo
album ufficiale di una band che vide la luce nell’estate del 1972 nei Castelli
Romani, tra il profumo dei pini e il calore di un’Italia che stava vivendo i
suoi anni più creativi e ribelli. Ascoltarlo oggi è come aprire una capsula del
tempo: ogni nota ti riporta indietro, ma con una freschezza sorprendente.
I Sigmund Freud nacquero come tanti gruppi di quegli
anni, ma con una personalità propria, un’intenzione chiara: fare musica che
fosse viva, originale, senza compromessi. Pochi effetti, tanta sostanza, ogni
musicista con il suo strumento, la sua voce nel tessuto sonoro della band. Nel
corso degli anni la formazione ha visto susseguirsi diversi musicisti, tra cui:
Claudio Ciuffa (chitarra, flauto), Marco Cavaterra (basso, voce),
Fabio Tata (tastiere), Dario Masani (batteria), Dino Pacini
(chitarra), Caterina Russo (voce), Robin Taylor (violoncello e
piano), Luca Allori (voce, chitarra), Evandro Gabbiati (batteria)
e Claudio Carbonetti (tastiere). Ciascuno di loro ha contribuito a
tessere un arazzo sonoro ricco di colori, dove ogni strumento trova il proprio
spazio in armonie mai banali.
Cinque brani di Risveglio sono stati registrati
ex novo dall’attuale formazione, con cura maniacale per i dettagli: Hammond,
Mini Moog, Mellotron, suoni vintage che avvolgono l’ascoltatore in un abbraccio
sonoro caldo e avvolgente. E poi c’è il pezzo tratto direttamente dalle session
originali, rimasterizzato con rispetto e delicatezza, un piccolo miracolo che
unisce passato e presente.
I Sigmund Freud esplorano spazi melodici accessibili
senza mai perdere di vista la struttura dei brani, inserendo con eleganza quei
cambi di tempo che rendono il progressive così sorprendente. Il flauto di
Claudio Ciuffa emerge come una guida: con le sue note trasporta subito
l’ascoltatore negli anni ’70, facendolo scivolare in un universo di emozioni e
colori che, in dodici minuti, raccontano con forza l’essenza del Progressive
Rock italiano.
Il primo brano, Fiori di Polvere Bianca, apre
l’album con un senso di attesa e mistero. Sin dalle prime note emerge
un’atmosfera tipica del prog italiano classico, quella capacità di fondere
melodia e sperimentazione in modo naturale. L’ascoltatore si ritrova subito
immerso in un mondo sonoro sospeso tra sogno e realtà, con melodie delicate che
lasciano spazio a improvvise esplosioni strumentali, dove il flauto e le
chitarre creano un dialogo suggestivo. È un’apertura che stabilisce subito il
tono dell’album: elegante, originale, in bilico tra immediatezza melodica e
profondità compositiva.
La successiva Giochi d’Ombre è un’altra
mini-suite in cui la ritmica, sostenuta dalle tastiere, crea un’atmosfera
sospesa e magica. Il brano mostra il carattere distintivo del prog italiano,
con alternanze tra momenti narrativi e strumentali. Le fughe strumentali,
sempre attente alla tecnica e alla creatività, catturano immediatamente
l’orecchio dell’ascoltatore.
In Palla di Neve la chitarra apre con note dal
sapore antico, mentre il flauto accompagna con leggerezza, creando un paesaggio
sonoro sospeso. Man mano che il brano prende forma, le voci e gli altri
strumenti entrano con naturalezza, aggiungendo slancio e trasformando la
melodia in un flusso vivo e avvolgente.
La Quiete dopo la Tempesta si sviluppa come una lunga mini-suite
di dieci minuti, in cui si percepisce subito l’influenza degli anni ’70: ogni
musicista trova il suo spazio, contribuendo a un insieme armonico ricco e
curato nei dettagli.
Epilogo prosegue sulla stessa scia, accompagnando l’ascoltatore
in un viaggio che alterna momenti sospesi e riflessivi a passaggi più intensi,
lasciando libero lo sguardo interiore di vagare tra immagini sonore sospese tra
realtà e immaginazione.
A chiudere l’album, Freud 70’s Medley è un
viaggio attraverso sedici minuti di registrazioni storiche che catturano
l’essenza del gruppo in quegli anni. È come sfogliare un album di ricordi
sonori, in cui i suoni del passato prendono vita con intensità: tastiere,
chitarre e fiati si intrecciano creando paesaggi musicali affascinanti, capaci
di restituire il carattere e l’energia di una band che ha saputo trasformare
ogni nota in esperienza emotiva.
Dopo aver ascoltato Risveglio, rimane una sensazione
che va oltre la musica: un coinvolgimento autentico che ti fa sentire parte di
quell’energia creativa degli anni ’70. Non è soltanto progressive, né semplice
nostalgia: è una musica che pulsa, viva, capace di emozionare ancora oggi. Ogni
strumento ha il suo carattere, ogni dettaglio negli arrangiamenti racconta
qualcosa, sorprendendo e accompagnando chi ascolta in un viaggio che sembra
cominciare in quella lontana estate del 1972.
Per chi ama il prog italiano, questo album è un piccolo tesoro: riesce a far sentire il fascino di un’epoca passata senza appiattirsi nel ricordo, trasformando l’ascolto in un’esperienza viva, intensa, quasi tattile. E mentre immagini la possibilità di un vinile che restituisca anche sul piano estetico la magia di quegli anni, resta chiaro che Risveglio non è solo un ricordo musicale: è un percorso emotivo da assaporare, nota dopo nota, respiro dopo respiro.
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