Ci
provo. Metto le dita sulla tastiera e aspetto. Ma non succede. Aspetto che le
dita inizino a muoversi indipendentemente dagli impulsi del cervello. Ma non
succede. Devo pensare perché le mani si muovano, perché l’dea scorra attraverso
il mio corpo e trasportata dal sangue attraversi cuore, polmoni, stomaco,
diventi viscerale e si trasformi in parole attraverso il battere delle dita sui
tasti della tastiera. Ma non succede se non penso. E per pensare ho bisogno di
stimoli, perché ho un grande talento quando si tratta di pigrizia ed apatia.
Respiro e ho gli occhi aperti, ma questo non vuol dire che io stia vivendo. Il
cervello è spento, soffocato in una scatola cranica senza ossigeno, materia
grigia e gelatinosa priva di qualsiasi scarica elettrica e contagia col suo
gelo mortale il resto del corpo. Il cuore riduce i battiti al minimo,
ecoscandaglio di un irraggiungibile fondo marino e l’unica rimembranza di vita
è l’impercettibile e involontario movimento delle palpebre, che alla fine
chiudo, per dimenticare. La Pigrizia si gode il suo trionfo e fiera alza al
cielo la sua spada, bagnata dal rosso del mio sangue. Poi annuso l’aria a
caccia di un odore, di nascosto, ho paura che Lei possa accorgersene. Ho
bisogno di stimoli per pensare. Il cuore batte un po’ di più, poco di più, ma
un po’ di più. Gli odori sono però troppo familiari per sciogliere il gelo
della mente, devo riempire l’aria di qualcosa di più forte, più potente, se
voglio uscirne vincitore. C’è solo una cosa che può aiutarmi, l’arma emozionale
più potente di tutte, l’unica all’altezza del mare. Apro gli occhi e fisso il
mio braccio destro, che sembra non volerne sapere di muoversi. “Ci vorrebbe lo Svitol” penso. Cazzo,
penso! Qualcosa sta succedendo. Il braccio finalmente risponde e non senza fatica
accompagna la mano sul mouse. Ci sono quasi. La fatica è tanta, ma ci sono
quasi. Devo resistere. Clicco, clicco ancora. Coraggio, resisti, è quasi fatta,
ancora un click e… è fatta! La Musica è libera e riempie l’aria e spazza via la
Pigrizia, che si accascia sconfitta, come un mostro di Vega colpito dal doppio
maglio perforante di Goldrake. La musica vince, vince sempre. Lentamente butto
giù dal letto le mie assopite facoltà e ascolto. È una musica nuova, nel senso
che è un pezzo che non avevo mai sentito. È un album che mi ha passato Athos,
il mio pusher di musica. Mi si materializzano davanti agli occhi le basette di
Neil Young ascoltandolo. Allora apro la cartella e leggo. Il titolo dell’album
è Muda è lui è Davide Solfrini.
Leggo la sua biografia (che potete trovare qui www.newmodellabel.com) e
scopro che Davide è giovane, è del ’81, ma la sua musica, pur mantenendo il
fresco della gioventù, ha anche quel sapore di vissuto dovuto, secondo un mio
parere personale, ad un bagaglio musicale bello ricco. Il brano che sto
ascoltando dà il titolo all’album e sa di folk rock, ispirata, per stessa
ammissione dell’autore, da Mighty Joe
Moon, capolavoro dei Grant Lee Buffalo. È la sconfitta della logica del
presente per mano del frammento del passato, o del futuro. È la vittoria del
flashback, o del flashforward. La melodia introspettiva di Binari fa vivere momenti di riflessione a chi ha visto passare
treni che scorrono veloci davanti agli occhi e a chi di quei treni ha visto
soltanto la coda andare via. Marta al
Telefono è una canzone la cui melodia e le immagini che evoca scivolano via
con la semplicità dell’acqua che scorre, fresca come un torrente di montagna. Un gorgogliare che
resta nella testa. Con l’interrogativa Ti
Piace Quello Che Mangi?
Davide sposta i riflettori sul livello di
soddisfazione che ognuno ha della
propria vita, senza pretese di avere risposte, con una leggerezza che invoglia
alla riflessione più di qualunque pedante sermone. L’egoismo intrinseco
dell’uomo ci porta a valutare l’amore, a tentare di classificarlo, quando
invece andrebbe semplicemente vissuto. Non esiste una qualità d’amore, esiste
soltanto l’amore. Ne La Vita Degli Altri
si nuota in questa confusione, fino a confondere “la posta in arrivo con l’amore di Dio”. Il ritmo incalzante di Domenica mi ha fatto venire in mente Max
Gazzè, anche per l’impostazione vocale, fatta d’improvvise accentuazioni. Una
canzone dall’arrangiamento musicale semplice ed essenziale e proprio per questo
molto efficace. L’umidità della malinconia impregna le pareti della casa
musicale di Cristallo ed è linfa
vitale per immagini fatte di ricordi, amori, depressioni, promesse e speranze,
con un intermezzo di pianoforte che cancella i rumori di sottofondo e il
cervello viene attraversato da brividi di vitale malinconia. Sonorità R.E.M.
accompagnano in tutto il suo scorrere Equilibrio.
Amore cercato, amore perduto, il perdono malgrado il rancore, storie di vita di
sempre che Davide racconta con una semplicità che lo fa grande. Chiude l’album La Mia Bambina, canzone molto americana,
molto on the road, fatta di immagini,
di momenti. È un lungo rettilineo nel deserto che si perde in un orizzonte
tremolante di calore. Davide Solfrini
ha tirato fuori dalla sua chitarra, dal suo mandolino, dal suo cervello e dal
suo cuore un album semplice, quindi bello. La complessità di rendere la
semplicità è la vera genialità. Muda
allora, ovvero, nel lessico tecnico aziendale giapponese “spreco,
improduttività, perdita di tempo”. Cose che superficialmente potrebbero
sembrare negative senza scampo, ma le parole vanno oltre la loro apparenza. Lo spreco è una conseguenza dell’abbondanza
e l’abbondanza è bella, l’improduttività
è smettere di produrre, quindi avere la mente libera, quindi avere tempo per
pensare e poi l’ultima la mia preferita, la perdita
di tempo. Il tempo sembra essere padrone della nostra vita, col suo
scorrere inesorabile, ma in realtà è lui ad essere al nostro servizio, perché
siamo noi che possiamo scegliere se usarlo o perderlo e avere il coraggio di
perderlo rende l’uomo libero. Il tempo è sopravvalutato! Tutto il resto è Muda.
"Muda"
è il suo ultimo lavoro, un album intenso, in cui
la canzone d'autore incontra sonorità rock
ed "Americana", secondo la lezione
di artisti come Neil Young o REM.
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