Il concerto
– Venerdì 5 Aprile 2013
Trovare il F.O.A. Boccaccio nell'iper-borghese Monza può essere
un'impresa, sappiatelo. Che poi a condurvi lì vicino siano un'assurda coppia
incontrata per strada, uno ultra-magro, l'altro obeso, il primo a parlare molto
lentamente, l'altro in panico completo e alla guida, credo non capiti spesso.
Salutati i due stralunati cocchieri probabilmente scappati dalle pagine di un
booklet dei Massimo Volume, vengo immediatamente accolto da gente del Centro,
assai gentile, che mi offre da mangiare e bere (non male eh?). M'imbatto presto
con la band alla fine del soundcheck. Con loro, un'elegantissima Femina Faber,
si discute a lungo, di due altri due dischi già pronti, di cosa io vedo nella
loro musica, ma che nessun dei miei interlocutori pare conoscere, il che mi
predispone anche meglio, annuso autenticità. A seguire performance cyberpunk
con bolle di sapone (!), un'ora d'attesa e un paio di birre perché il concerto
abbia inizio. Ovunque, per il Boccaccio, splendidi murales, sul soffitto è
talmente bello da far sembrare il posto, un'autentica Cappella Sistina
neo-espressionista e primitivista.
Poi il Babau dà suono al suo concerto.
Un trio che dispensa atmosfere lisergiche-ipnotiche (come per
incanto mi rivedo vent'anni prima al Leoncavallo nell'ascoltare gli Ozric
Tentacles), con suoni di tastiera analogici ma con riferimenti post-rock,
assoluta l'originalità della proposta che si presenta con una fantastica intro
dilatata e intervento di canto gregoriano di Femina Faber, sul palco con
pergamena e maschera. La vocalità dell'artista, mezzo-soprano di gran lirismo e
colore, è straordinaria, a seguirla in osmosi, gli interventi misurati della
band a creare inedite fusioni tra il percorso dei Dead Can Dance e dei Popol
Vuh di “Hosianna Mantra”.
Poi, la presentazione dell'album. Suoni naturali riprodotti in
tempo reale, crescendo ritmico, assoluta intesa musicale. Un suono capace di
accontentare tanto i seguaci dell'indie rock, quanto gli estimatori delle
avanguardie nuove e antiche.
Eccezionale il contributo ritmico netto, deciso di Andrea Dicò
(incredibile come l'assenza del basso non sia minimamente percepibile).
Notevole intervento di teatro danza con bellissimi costumi, qualcosa di
surreale, completamente distante da qualsiasi cosa possa accadere fuori. Il
recitativo di Franz Casanova, anche alle tastiere, ha grande potenza
comunicativa, la chitarra elettrica di Damiano Casanova disegna linee reiterate
quanto efficaci, quasi ragnatele a sostenere l'intero impianto musicale. Torno
a casa felicemente stordito.
Il disco
Parole d'ordine, ancora, teatro e visione, immediatamente
dichiarati con l'opener “Danza Macabra” e riproposizione di belati onomatopeici
a rendere una dimensione fortemente pastorale sostenuta da campanacci e un
cristallino arpeggio di acustica. La ritmica marziale che ne segue dà enfasi,
appoggiandosi ad un'elettrica dal suono sporco e marcatamente sixties. Così
anche le tastiere, minimali ma come detto, analogiche. Tutto assai retrò ma
gestito in maniera meticolosamente descrittiva e più che fiabesca, (come nella
tradizione “progressive”, rinnegata di fatto solo da certo Rock in Opposition e
qualche sparuto esempio) da cartoon direi. E' proprio questa caratteristica che
fa del Babau, qualcosa di “altro”. Ascoltarli è come sfogliare un fumetto di
pregio, dove è solo lo scenario a presentarsi talvolta “antico”, ma mai la
sostanza, essenziale, minimale quanto compiuta.
Con il secondo episodio, “La pestilenza”, ancora onomatopee, i
readings di Franz Casanova sono fascinosi come pochi nell'impiego delle corde
vocali false ed accentuata iperventilazione nell'aspirare aria quasi a voler
consumare il fiato di chi ascolta. A sostenerlo una meravigliosa litania
sussurrata dai cori di Dicò, abilissimo nel colorare di sfumature percussive
assortite il variopinto quadro speziato di ossessione per il sublime neo
gotico. Fiabe per adulti svezzati, ma anche per bambini educati alla
consapevolezza.
Chi l'ascolterà all'estero avrà idea di un disco che affianca la
tradizione di dischi come “Concerto delle Menti” dei Pholas Dactylus, i dischi
dei Fiaba, quel “De la Tempesta l'oscuro Piacere” degli Aufklärung che tanto
fece parlare di sé nei primi '90 e soprattuto “Trans Vita Express (Racconto
Psicofonico dall'Aldilà)” di Marcello Giombini, in una tradizione avant folk
gotica, ben espressa in “Il Ballo Mascherati”. Paul Roland ne sarebbe davvero
invidioso, lo sentisse di sfuggita. Chi l'ascolterà in Italia invece, non potrà
non trovare elementi di quella teatralità incantata di Alessio Bonomo (chi lo
ricorda a Sanremo con “La Croce”, Fausto Mesolella alla chitarra e video di
Oliviero Toscani?), felicemente riemersa con Vito Antonio Indolfo degli
AcomeandromedA, più apprezzata nella ben più banale (e dunque leggibile a forza
di sottotitoli in bella evidenza) teatralità di Tre Allegri Ragazzi Morti e
Teatro degli Orrori. Questo è si indie performativo, ma di lusso...
E' sempre in presenza del racconto che la musica si fa
irresistibilmente fascinosa, in “Dodici i Rintocchi” con impianto rumoristico
di percussioni, sostenuto da un'efficace elettrica in reverse, bordone di
synth, analogico of course. Splendido momento che collassa direttamente nella
successiva “La Morte Rossa” e “Dissoluzione Finale” compendio ben più mesto a chiudere
in modo inquieto (fantastici qui gli effetti su piatti, cassa - quasi grancassa
- e voci).
L'intero racconto, o “fonodramma”, come sottolineato dalla band,
va ascoltato d'un fiato, lungo i 24 minuti che lo definiscono. Non un EP, per
carità, una performance non si definisce sulla base della durata, ma sulla base
del suo essere compiuta e questo lavoro è assolutamente compiuto. Si può
scegliere o meno di farsi suggestionare dalle meravigliose tavole di Siro
Garrone che accompagnano il libro accluso come in una globale manifestazione
felliniana traslata in un cupo Ottocento, oppure, di goderne a sé, perché i
semi della visione sono parte attiva e costituente del suono, ma bisogna avere
l'oggetto per assaporarlo, annusarlo, viverlo come in un teatro a portata
propria e gelosamente esclusiva di ogni senso. Assoluto rispetto anche al Dr
Mattia Scheller per aver investito nel progetto, non solo in termini di
produzione, ma anche con una bizzarra quanto godibile prefazione e alla
produzione artistica di Roberto Rizzo.
Per chi scrive, il disco italiano più interessante dello scorso
anno assieme al triplice atto dei Deadburger. Ecco, una sola cosa mi resta da
dire, che pur trattandosi di una fiaba noir, nel racconto del Babau, questo
Poe, fa paura lo stesso tanto più suona come strana metafora dei giorni
nostri...
Artista: Il Babau e i maledetti cretini
Titolo: La Maschera della Morte Rossa –
Trilogia del Mistero e del Terrore – Fonodramma I
Etichetta: Vololibero Edizioni/BTF
Anno: 2013
Genere: Teatro musicale
Durata: 24'45”
Nazionalità: Italia
Formazione
Damiano Casanova / guitars
Franz
Casanova / voice, keyboards
Andrea
Dicò / drums, background vocals
Tracklist:
1 Danza Macabra (5:10)
2 La Pestilenza (3:35)
3 Il Ballo Mascherato (3:38)
4 Dodici I Rintocchi (5:43)
5 La Morte Rossa (1:58)
6 Dissoluzione Finale (4:37)
Voto: 8,5
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