Across The Beatles:
Satisfaction Guaranteed @ Teatro Olimpico – 05 01 2016
Live Report a cura di Glauco Cartocci
Foto di Giampiero Frattali
Articolo già apparso sul portale Rock by Wild:
“Abbiamo tutto ciò che necessitate – soddisfazione
garantita”
(da “Magical Mystery Tour“)
Secondo concerto “Sergeant Pepper’s” degli Across The Beatles al teatro Olimpico di Roma, dopo la serata di fine maggio 2015. La
formula è semplice ma efficace: la prima parte dello spettacolo è sostanzialmente
identica al precedente, mentre il secondo tempo è incentrato sul resto
della produzione dei Beatles dell’anno di grazia 1967, ovvero quel Magical
Mystery Tour che (nella versione LP) conteneva anche le numerose perle uscite su singolo. Una produzione
di qualità incredibile, se si considera come fosse concentrata
nell’arco di tempo di soli 12 mesi.
Nonostante io avessi assistito alla loro esecuzione di “Sgt.Pepper’s Lonely
Hearts Club Band”, e quindi fossi immune dall’effetto-sorpresa, i brividi
non sono mancati neanche questa volta. Come dissi a suo tempo, nel 1967
questo album fu un’operazione prettamente da studio, impossibile da rendere “Live“, tanto le sonorità erano complesse
e impegnative, anche considerando il notevole numero di musicisti che sarebbero
stati necessari.
I Beatles rinunciarono ai tour, un po’ per motivi personali, un po’ perché la cosa concedeva loro maggiore libertà creativa, sapendo che tanto non avrebbero dovuto portare
in scena un repertorio così complesso.
Oggi, con mutate tecniche di palco, e anche con la consapevolezza di poter
investire su quello che oramai è un mito, coraggiosi musicisti ci regalano
quello che al tempo sembrava un sogno.
Un aspetto altrettanto imprevedibile, nel 1967, era l’integrazione dell’aspetto
musicale con quello teatrale. La celebrazione odierna travalica i limiti di una
semplice riesecuzione concertistica: I Beatles vengono ricreati in quattro
ruoli, esattamente come personaggi di una commedia o di un film, con costumi e
strumenti vintage. Alcuni puristi storcono il naso davanti a trucchi e
parrucche, obiettando che chi esegue Mozart non si traveste da Wolfgang
Amadeus, costoro – secondo me – non percepiscono lo spirito della cosa. Qui non
si tratta solo di ascoltare buona musica, ma di rivivere per due ore un periodo
della storia recente, un momento di crescita fondamentale della società del secondo dopoguerra, che i Beatles hanno assolutamente
incarnato e, per molti versi, pilotato.
Cosa sarebbe un’esecuzione dell’Aida senza l’apparato scenico, senza la
finzione che ricrea quel tempo remoto in cui si svolge l’Opera Verdiana? Nel
nostro caso, con le opportune differenze, abbiamo la ricostruzione di un’epoca
non remota, vicina, ma certamente perduta: il che rende la cosa affascinante,
molto al di là di una mera operazione nostalgica.
Across The Beatles –
Magical Mystery Tour @ Teatro Olimpico – il report
Prima di narrare la serata, ve li presento:
Across The Beatles è un gruppo che nasce dalla fusione di 4 componenti di
importanti Beatles tribute band italiane. I quattro “ruoli” sono:
Paolo Angioi – John Lennon;
Mario Lucchesi – Paul McCartney;
Sebastiano Forte – George Harrison;
Alberto Maiozzi – Ringo Starr;
con l’aggiunta di Simone Temporali alle tastiere, il “Quinto Beatle” (direi George Martin, visto che sua è anche
la Direzione musicale).
La vera “ghiottoneria” per gli appassionati è l’aggiunta di
elementi fondamentali per riprodurre i due album. Un quartetto d’archi, tre
sezioni di fiati e – rarità quasi assoluta – un ensemble di strumenti tradizionali indiani.
ARCHI: “Quartetto Sharareh” composto da Marzia Ricciardi – violino,
Farfuri Nuredini – violino, Roberta Pumpo – viola, Federica Vecchio – violoncello.
FIATI: Mario Caporilli – tromba, Luciano Orologi – sax tenore/clarinetto,
Maurizio Leoni – sax alto/clarinetto, David Cerasuolo – sax baritono/clarinetto
basso, Luca Risoli – corno Giacomo Bianchi – corno, Giovanni Piacente – corno
ENSEMBLE INDIANO diretto dal Maestro Pejman Tadayon (kamancia), con Sajay
Kansa Banik (tabla) e Gabriele Caporuscio (sitar).
L’aspetto più propriamente teatrale è sottolineato dalla presenza di Mirko
Dettori che funge da collegamento, e si presenta come Mr.Kite (personaggio
Beatlesiano fra i più noti, presente anche nel film Across The Universe di
Julie Taymor).
Come già detto, si inizia con l’esecuzione integrale di “Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band“. (La sequenza dei brani è nota, mi rifiuto di elencarla…).
Al di là della bravura dei 4+1 “Beatles-cloni“, il punto di forza è l’integrazione del sound con archi e ottoni.
Ascoltare brani come “When I’m 64” o “She’s Leaving Home” così come furono concepiti è davvero entusiasmante. Per
me, anche se so di essere in minoranza, i veri brividi arrivano nell’esecuzione
della meravigliosa “Within You
Without You“, con l’ensemble indiano che dialoga con il quartetto d’archi.
Questo brano è una vetta assoluta della produzione di Harrison, troppo spesso
dimenticata dagli stessi estimatori.
Riascoltando la sequenza dei brani dal vivo, ancora una volta mi colpisce
la fusione fra brani di atmosfere diversissime fra loro, una sequenza magica in
cui nessun “pezzo” può essere spostato, come un puzzle. Sgt. Pepper’s NON nacque come un LP da cui trarre singoli brani di
successo, come era in uso fino ad allora. Si tratta piuttosto di un continuum,
da apprezzare sempre e solo nella sua interezza. Non è un Concept Album, ma è come
se lo fosse, per la maestria con cui ogni brano fu inserito al punto giusto,
con la giusta forma e durata.
L’apice assoluto del primo tempo si raggiunge con la conclusiva “A Day In The Life“, dove l’orchestra ha una parte preponderante.
Il famosissimo, impressionante crescendo finale viene allungato, nel buio,
per permettere il “colpo di teatro”,
al riaccendersi delle luci: la ricreazione, con sagome, musicisti e figuranti,
della mitica copertina. Gli applausi (meritatissimi) hanno sovrastato la
riproduzione dell’inner groove finale, una chicca per Beatleofili.
La seconda parte dello spettacolo degli Across The Beatles presenta il
lavoro con cui i Quattro di Liverpool conclusero il loro anno più creativo: “Magical Mystery Tour“.
Anche questo repertorio non venne mai eseguito “live”. I primi 6 brani costituirono la
colonna sonora di un film concepito e diretto dagli stessi Beatles (allora fu
un mezzo passo falso, ma questa è un’altra storia…), uscito dapprima su doppio
EP, poi ne venne fatta una versione LP inserendo sulla facciata B i numerosi
singoli dell’epoca.
Qui sarò più buono ed elencherò la “scaletta”.
Si inizia con la title track, “Magical Mystery Tour“, impreziosita da energici fiati. Segue “The Fool on the Hill“, struggente opera di McCartney, dove Lucchesi evita la
tentazione (comune a molti interpreti italiani) di fare del “bel canto” e rendere retorico il brano.
Ecco poi lo strumentale “Flying” che si lega alla cupa e misteriosa “Blue Jay Way“, composizione di Harrison (anch’essa estremamente sottovalutata da critici
e pubblico).
“Your Mother Should Know” alleggerisce la tensione: i
Beatles erano maestri nella creazione di una sequenza drammatica, per poi
spezzarla improvvisamente con una parentesi lieve. Passato il breve momento
allegro, tuttavia, ecco arrivare il pugno nello stomaco con la sconvolgente,
sublime “I Am the Walrus“, capolavoro di Lennon. Un patchwork di effetti sonori, ritmo incalzante,
armonizzazioni inedite nel loro accostamento. Una vocalità da brivido, alle prese con un testo surreale e complesso.
Cimentarsi con questo brano farebbe piegare le ginocchia a chiunque, ma questi
bravi interpreti, aiutati non poco dagli orchestrali, riescono a uscirne
splendidamente.
Al confronto, la seguente “Hello Goodbye” è una passeggiata. Ma subito dopo, con la gloriosa coppia “Strawberry Fields Forever” – “Penny Lane” tornano archi, fiati e campionamenti, e si sta col
fiato sospeso, in attesa di alcuni passaggi che hanno fatto la storia: il
finale di “Strawberry Fields“, con nastri alla rovescia e impossibili “fill” di batteria, il mitico “a solo” di trombino in “Penny Lane“.
Altro brano “minore”, ma secondo me entusiasmante, è “Baby You’re a Rich Man” (con un paio di armonizzazioni cambiate, ma efficaci),
dopo il quale il palco si chiude per permettere la preparazione scenica per “All You Need Is Love“. Viene ricreata la magia della storica trasmissione in
Mondovisione, con cartelli, palloncini e hippy festanti.
Lo spettacolo potrebbe finire qui, e già basterebbe. Ma c’è tempo per i bis.
L’intro di “Blackbird” (in linea con la versione “Love“) conduce a “Yesterday“; qui le precise partiture per archi rendono giustizia a questa splendida
canzone, troppo spesso ridotta a voce e sola chitarra acustica (anche dallo
stesso McCartney!). “Yesterday” è certamente
una delle canzoni più famose del mondo, decisamente usurata dalle tante
(troppe) cover di altri, talora anche fuorvianti, ed è difficile riascoltarla
con animo “vergine”. Il modo migliore è riviverla così come fu
concepita, con fedeltà e rispetto.
Segue “Let it Be“, occasione per accogliere un ospite, Luca Biagini, fondatore degli Apple
Pies, caro a tutti i Beatlesiani, specialmente nella città di Roma.
Una piacevolissima versione dell'”Abbey Road Medley-final section“, con il fondamentale ausilio dell’orchestra, conclude lo
spettacolo. Approvo incondizionatamente la scelta, preferendola a “Hey Jude“, per i miei gusti troppo abusata, con l’inevitabile coinvolgimento del
pubblico.
Mi corre l’obbligo di aprire una sezione che chiamerò “Pelo nell’uovo”.
Questo resoconto, come del resto il precedente del maggio scorso, può risultare eccessivamente entusiastico; quindi, per
dovere di cronaca, andiamo a parlare di qualche minimo difetto, precisando che
sono davvero piccolezze in uno spettacolo assolutamente riuscito.
Ho notato (come in passato) qualche verso non esatto, spesso ripetizioni di
un verso precedente (es. “… tonight Mr.Kite will challenge the word” al posto
di “topping the bill“) e qualche pronuncia qua e là non totalmente fedele. Ovviamente sono peccati assolutamente veniali, gli
interpreti hanno già il loro bel da fare
a cimentarsi con le vocalità dei Beatles… però si sa, noi “cultori” siamo incontentabili, dei veri maniaci (anche un po’ rompipalle)
e i testi sono per noi come il monologo di Amleto, intoccabili.
Un aspetto che non si può evitare di considerare, e che riguarda un po’ tutte
le Tribute Band, ma direi specialmente chi fa i Beatles, è sempre e comunque l’irraggiungibilità delle voci soliste. Per quanto dotati siano i musicisti,
sarà sempre inevitabile il confronto con la timbrica di Paul,
o di John, cui siamo tutti abituati; la cosa incide molto di più del fattore
meramente strumentale.
Nella fattispecie, le voci di tutti erano abbastanza convincenti, anche se
ovviamente meno potenti degli originali. Ho notato un certo “timore reverenziale” come se nel cantare (più che nell’esprimersi
con gli strumenti), i musicisti sentissero il peso di cimentarsi con un
repertorio così glorioso. Per capirci: ho visto cantanti di tribute band molto
meno bravi di loro, con più “faccia tosta”, magari stonare, ma darci dentro con
maggiore convinzione. La cosa però è perfettamente comprensibile, ed
apprezzabile: gli Across The Beatles sono bravi professionisti, si trovano in
un teatro importante della Capitale, e “sentono” l’importanza del momento, mentre magari il ragazzotto che canta “Get Back” davanti al pubblico del suo paese si esprime
con minori freni inibitori, ha meno paura del passo falso.
Di tutti e tre i cantanti ho apprezzato il fatto che non abbiano “melodicizzato” alcune interpretazioni, come ad esempio
quella di “She’s Leaving Home“, dove il pericolo di vocalizzi retorici “stile Sanremo” è sempre in agguato. Bene così.
Non dimentichiamo Alberto-Ringo, ottimo nella riproduzione coscienziosa
delle partiture per batteria originali, che furono ricercatissime e spesso imprevedibili.
Come disse Phil Collins (che di batteria se ne intende un pochino…) ”i fraseggi
di Ringo sono inimitabili, li puoi rifare, studiare, ma non escono mai fuori
uguali“. Onore al merito.
Aspettiamo “Revolver” + “Abbey Road“, sappiatelo.
Line Up – Across The Beatles e ruoli interpretati
Paolo Angioi – John Lennon (che cantava e “suoneggiava” la chitarra – NdR)
Mario Lucchesi – Paul McCartney (chiunque sia dei due, canta e suona il
basso – NdR)
Sebastiano Forte – George Harrison (dovrebbe essere stato IL chitarrista
del gruppo e ogni tanto lo facevano cantare – NdR)
Alberto Maiozzi – Ringo Starr (suonava la batteria per i Beatles quando
esistevano – NdR)
Simone Temporali: Tastiere e Direzione musicale.
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