Lo scrigno dei segreti
di Nick Mason
di Mirco Delfino
Ricordo che da adolescente conversavo con una ragazza che mi
attraeva molto, lei mi disse che le piacevano i Pink Floyd, al che penso che mi
si fosse illuminato il viso, le risposi: “Piacciono
molto anche a me, soprattutto quelli del primo periodo, con Syd Barrett”. “Syd
chi?”, fu la sua replica. Nell’intransigenza tipica di quell’età ci rimasi
malissimo, in seguito le cose fra noi non ingranarono proprio e nulla mi tolse
dalla testa che in quel precoce fraintendimento si potessero già ravvisare i
segni della nostra incompatibilità.
I fan dei Floyd si dividono grosso modo in due schieramenti:
quelli che considerano i primi anni di attività della band come una fase acerba
e naif, propedeutica all’avvento degli ambiziosi concept album e dei concerti faraonici,
che hanno consegnato al mito i musicisti britannici, e coloro che identificano
il periodo psichedelico come il vero ed irripetibile momento creativo. Io
appartengo al secondo gruppo di “tifosi” e con gioia ho constatato che Nick Mason,
a quanto pare, la pensa come me. Mentre il suo ex “capo” non si stanca di
replicare The Wall, l’umile
batterista ha deciso di mettere insieme una banda per celebrare quegli Early Years ampiamente documentati nel
mastodontico cofanetto di recente pubblicazione. Magari in lui c’è anche un po’
di nostalgia per gli anni della gioventù, in cui i Floyd erano un gruppo di
amici non ancora divisi da dissidi e rancori. Nick è forse l’unico a cui
piacerebbe tornare a suonare con gli ex compagni, ma dal momento che
l’eventualità è sempre più improbabile, ha voluto fare di testa sua.
I musicisti scelti per assemblare i Saucerful of Secrets, che hanno
girato in tournèe l’Europa a settembre, hanno età e storie molto diverse fra
loro e questo spiega bene quanto sia trasversale e omnipervasiva l’influenza
dai Floyd (ricordiamo che, fra gli altri, Mason ha prodotto anche il gruppo
punk The Damned). Oltre al fido Guy Pratt, bassista dei Pink Floyd post-Waters,
ci sono Lee Harris dei Blockheads, band nata per accompagnare Ian Dury, alla
chitarra e voce, alle tastiere Dom Beken, esperto produttore ed arrangiatore,
con all’attivo un periodo di militanza negli Orb, ed alla seconda chitarra e
voce Gary Kemp, già con gli Spandau Ballett. Quest’ultimo nome in particolare
avrebbe negli anni ’80 sconcertato l’intransigente adolescente di cui ho
scritto sopra, che disprezzava profondamente certi “damerini”; ad un più maturo
esame riconosco che gli Spandau sono stati capaci di un pop molto edulcorato ma
raffinato e sufficientemente curato nei suoni e negli arrangiamenti. Di Kemp è
una delle più efficaci descrizioni che io abbia mai letto del songwriting di
Barrett: una macchina in cui alcuni degli ingranaggi non si toccano, sembra che
debba cadere a pezzi ma funziona perfettamente.
La tappa italiana di Nick e dei suoi sodali è fissata per il
20 settembre, in una Milano ancora afosa. Arrivo con un’ora e mezza di
anticipo, la piazza davanti al Teatro degli Arcimboldi (una struttura moderna,
di media capienza, perfetta per eventi di questo tipo) è già affollata di fans
che gironzolano intorno ai consueti banchetti di t-shirt e merchandising, non
mancano i solti bagarini che si aggirano in cerca di prede. A cinquant’anni
suonati io mi sento un po’ vecchio per le magliette rock, ma vedo persone anche
più attempate di me che sfoggiano vistose t-shirt su pance più voluminose della
mia, allora decido di cercarne una con l’effigie di Syd Barrett, ma purtroppo
non la trovo. I Floyd hanno generato un “indotto” imponente, tutto quello che
ha che fare con loro si vende sempre benissimo, è una delle rare boccate
d’ossigeno per un’industria musicale in agonia.
La strumentazione sul palco è molto essenziale se paragonata
a ciò a cui ci aveva abituato il gruppo-madre, stessa cosa dicasi per la
scenografia ed il light-show psichedelico, perfettamente conforme allo stile
dell’epoca che il concerto sta per rievocare. Tutto lascia intendere che si
voglia recuperare l’immediatezza e l’energia degli esordi ed il bruciante
attacco della performance lo conferma in pieno: l’imperiosa scala discendente
che da inizio ad Interstellar Overdrive.
L’intro venne composta da Barrett per accompagnare il manager Peter Jenner che
tentava di canticchiare My Little Red Book
dei Love; i Floyd all’epoca non avevano idea di cosa si stesse suonando in
America, avevano udito delle eco leggendarie e, credendosi in sintonia coi
colleghi d’oltreoceano, avevano in realtà dato vita a qualcosa di molto più
radicale ed avanguardistico. Nel concerto dei Saucerful of Secrets, Interstellar Overdrive suona ancora come
una rumorosissima e dissonante
improvvisazione free-jazz suonata con la foga di una garage band. Il
micidiale uno-due iniziale è completato da Astronomy
Domine, il brano che apre il memorabile album di esordio dei Floyd,
caratterizzato dal riff cupo e minaccioso e dai vorticosi cambi di tempo. La
formazione a due chitarre e la verve dei musicisti regalano alle canzoni una
robusta ossatura rock, i pezzi che funzionano meglio sono forse quelli più
energici, un’inattesa Nile Song,
dalla colonna sonora del film More
(Lee Harris ha chiesto di suonarla, la ascoltò all’epoca sulla compilation Relics, acquistataperché veniva venduta
a metà prezzo), una più prevedibile ma sempre eccitante One of TheseDays. Il pubblico reagisce con un entusiasmo quasi
euforico, applausi scroscianti ed alcune standing ovation. Per ovvie ragioni
anagrafiche il settantaquattrenne Mason non è più l’ipercinetico batterista che
sopperiva con la forza ai limiti tecnici, che nel celebre concerto di Pompei
martoriava tamburi e piatti, faceva volare le bacchette e sparava rullate a
raffica (Gary Kemp ricorda di aver assistito da ragazzino ad un concerto dei
Pink Floyd e di aver guardato per tutto il tempo Mason, perché era l’unica cosa
che si muoveva sul palco), il suo drumming è oggi essenziale, pulito e preciso.
Fra un pezzo e l’altro si intrattiene in maniera compassata ed ironica, da
perfetto gentleman britannico, con un pubblico che gli risponde con affetto.
Scherza anche sul fatto di trovarsi a suonare in una cover band: “Non siamo i Roger Waters australiani e
neanche i Pink Floyd peruviani...”. A Waters riserva una bonaria
frecciatina: “Un buon amico, ma non mi ha
mai lasciato suonare il gong”, dice prima di colpire lo strumento per
aprire un’epica versione di Set the
Controls for the Heart of the Sun.
Per motivi che non esito a definire affettivi mi sono
emozionato in particolare nel sentire eseguiti dal vivo i pezzi di Barrett: Lucifer Sam, Arnold Layne, See Emily Play,
Bike, addirittura Vegetable Man, folle
traccia dall’agghiacciante testo autobiografico, rimasta inedita per mezzo
secolo. Al termine di questa Mason rende omaggio a Barrett (“non saremmo qui oggi senza di lui”),
mentre il volto di Syd viene proiettato sullo schermo dietro ai musicisti ea me
spunta quasi una lacrimuccia. Molto interessante è la versione di una parte
della suite Atom Heart Mother,
proposta in un lungo medley con If, nella
quale Kemp dimostra notevoli capacità anche alla chitarra acustica. Al termine
di A Saucerful of Secrets viene
doverosamente ricordato anche Rick Wright, il sublime crescendo finale del
lungo brano strumentale è probabilmente farina del suo sacco, se non è la
sequenza di accordi perfetta poco ci manca. Per il finale viene addirittura
ripescata Point Me at the Sky, un
lontano singolo, vagamente beatlesiano, del Dicembre 1968, forse Waters non sa
neanche più di averla composta.
Nel testo di Have a Cigar, da Wish You Were Here, 1975, viene posta l’ironica domanda: “Which one is Pink?”. Io sostengo che, per essere stato
l’unico ad aver suonato in tutti gli album della lunga discografia, per aver scritto
una biografia della band e per l’attaccamento al proprio passato che lo ha
portato ad imbarcarsi in questa bellissima avventura, Mister Pink Floyd sia
proprio lui: il modesto Nick Mason, al quale da ora in avanti guarderemo con
ancora maggiore affetto.
Scaletta del concerto
di Nick Mason’s Saucerful of Secrets a Milano, 20 Settembre 2018:
Interstellar Overdrive
Astronomy Domine
Lucifer Sam
Fearless
Obscured by Clouds
When You’re In
Arnold Layne
Vegetable Man
If / Atom Heart Mother
The Nile Song
Green Is the Colour
Let There Be More Light
Set the Controls for the Heart of the Sun
See Emily Play
Bike
One of These Days
A Saucerful of Secrets
Point Me at the Sky
Astronomy Domine
Lucifer Sam
Fearless
Obscured by Clouds
When You’re In
Arnold Layne
Vegetable Man
If / Atom Heart Mother
The Nile Song
Green Is the Colour
Let There Be More Light
Set the Controls for the Heart of the Sun
See Emily Play
Bike
One of These Days
A Saucerful of Secrets
Point Me at the Sky
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