Compie
gli anni oggi, 26 ottobre, Lino
Vairetti, leader
degli Osanna, artista, a 360°.
Iperattivo
in questo periodo, con nuove date degli Osanna, un film in cantiere, e un tour
internazionale con Carl Palmer Legagy.
Per
adesso Tanti Auguri Maestro!
Wazza
Intervista a Lino tratta dal
quotidiano Repubblica-gennaio 2018
Lino Vairetti: "Dagli anni Settanta vivo la mia musica truccandomi il viso e girando il mondo"
Estate 1972,
Peter Gabriel, allora leader dei Genesis, sbirciava da dietro le quinte Lino
Vairetti con il volto dipinto mentre si esibiva sul palco con la sua band di
rock progressive Osanna. Vairetti e il gruppo partenopeo da sempre hanno voluto
stupire, erano vestiti con i sai e avevano i volti truccati. Pochi mesi dopo,
Peter Gabriel, che già si abbigliava in modo eccentrico, inizia a dipingersi il
volto. Lino Vairetti, allanagrafe Pasquale, classe 1949, eclettico
artista, voce impareggiabile, scultore e fotografo, e gli Osanna hanno segnato
la storia del rock progressive, insieme a Pfm, Area, Orme, Banco del mutuo
soccorso. In Italia, e non solo. E non è un caso che oggi gli Osanna, poco
celebrati a Napoli e in Italia, siano invece delle star in Giappone, ma anche
in Brasile e Messico. A Tokyo e dintorni ogni loro concerto è un evento. È in
uscita per il mercato asiatico Live in Japan - The Best of Italian Rock, triplo
cd degli Osanna. Mentre in Italia a breve uscirà un film sulla sua vita “L’uomo del Prog”, di Deborah Farina.
Napoli
all’inizio degli anni ‘70 era in fermento: all’Accademia di belle arti, dove lei studiava, si faceva musica in
giardino…
«I dischi inglesi e americani arrivano con un anno di ritardo, il primo che ho ascoltato con il chitarrista degli Osanna Danilo Rustici era del gruppo Nuova Consonanza in cui Ennio Morricone suonava la tromba, un album sperimentale. Ascoltammo i King Crimson solo nel ’71, ma già nel ’70 ci si vedeva nel giardino dell’Accademia, ci si scambiavano idee e passioni culturali, visioni artistiche, in città arrivavano gruppi come il Living Theatre. Avevamo l’esigenza di andare oltre la musica psichedelica, di spettacolarizzare la musica, ci stavamo avvicinando al prog senza saperlo, e di scrivere testi impegnati, in controtendenza: non volevamo più fare solo le cover delle band americane, allora c’era una ribellione dei giovani alla musica napoletana ascoltata dai genitori. E poi, io ho sempre avuto un bel rapporto con i miei, niente contestazioni in casa, non mi sono mai drogato, allora intorno a me tutti prendevano acidi, i miei mi hanno sempre sostenuto nella musica. Tra l’altro mia madre era una camiciaia di artisti, ricordo ancora a casa l’etichetta Collo Lucio Battisti».
Come ha scoperto i Genesis e come ci ha suonato insieme?
«Nella primavera del ’72 i Genesis vennero in concerto a Napoli al teatro Mediterraneo da sconosciuti, li andai ad ascoltare, erano straordinari e rimasi folgorato, in particolare da Peter Gabriel. A portarli in Italia era il nostro impresario di allora Maurizio Salvadori, che poi decise di fare un tour estivo con Osanna, Genesis e i Garybaldi, sette date al Nord. Facevamo le jam con loro, ci scambiavamo gli strumenti. Peter Gabriel ci fece i complimenti, ci spiava mentre ci truccavamo, lui non lo faceva ancora, l’anno dopo iniziò anche lui a dipingersi il volto. Ma era comunque un periodo in cui c’era attenzione per la visione e la presenza scenica. Io lo chiamo il virus che si era impossessato degli artisti in quel periodo. Per dire, mentre a Woodstock Jimi Hendrix faceva l’inno americano con la chitarra elettrica, qui il nostro Danilo Rustici dal vivo faceva Bandiera rossa».
Vairetti, il Giappone vi ha riscoperto grazie a Quentin Tarantino e al suo amore per Milano Calibro 9, di cui nel ’72 avete firmato la colonna sonora con Luis Bacalov?
«Può essere ma non solo, in Giappone amano la musica progressive, per questo ci adorano. Nell’auditoruim di Kawasaki, ci siamo esibiti noi, ma anche la Pfm. Nel quarantennale del film, nel 2012, abbiamo registrato lì dal vivo con unorchestra darchi giapponese Rosso Rock, riproposizione della colonna sonora, con la mia etichetta Afrakà».
Nemo propheta in patria, è il caso di dire…
«A Napoli è difficile interloquire con le istituzioni, tranne in periodi come quelli della giunta Valenzi o in qualche momento di quella Bassolino, è vero che oggi non ci sono soldi, ma esistono dei privilegiati, delle lobby, e i produttori musicali hanno capito il trend che tira fuori da Napoli, e producono solo quello».
Ma già nel ’71 L’uomo, il vostro amato primo disco, non fu prodotto a Napoli?
«Registrammo l’album con le edizioni Bideri a Napoli, cerano anche due inediti rimasti nei loro archivi, ma poi forse Bideri non ebbe il coraggio di farci uscire, considerava la nostra musica difficile. Dopo aver suonato al Festival di Caracalla, e dopo alcuni suggerimenti di Renzo Arbore e di Pino Tuccimei, nostro primo impresario, L’uomo uscì con Fonit Cetra. Arbore nella prefazione ci definì i Pulcinella Rock, anche se io che ho studiato all’Accademia di belle arti scultura e che avevo fatto una tesi sullo scultore Giacometti, amico di Sartre, ci avevo messo l’esistenzialismo. Le nostre maschere erano ispirate a Picasso, Renzo ci vide un legame con la nostra tradizione napoletana, questa cosa ci fece riflettere. Quindi iniziammo a lavorare anche sulle nostre radici, così nacque l’album Palepoli, e l’opera rock diretta da Antonio Neiwiller».
Scrive testi, musica, fa scultura, ed è anche fotografo. Ha fotografato anche un giovane Pino Daniele…
«Ho fotografato anche i Genesis. Pino era il chitarrista dei Batracomiomachia, il gruppo con Enzo Avitabile, Rino Zurzolo, Rosario Jermano ed Enzo Ciervo che aveva la famosa grotta-studio alle Fontanelle. Conobbi Pino nel ‘75, io ero già piuttosto noto, lui era un esordiente, mi chiese di ascoltare i suoi brani nella mia casa-studio al Vomero: era bravissimo, rimasi molto colpito, forse un pò acerbo. Decisi di lavorare ai suoi primi provini, ne ho tutt’oggi vari inediti, tra questi c’è una Terra mia embrionale, Furtunatoe A vecchia ca venne e castagne. Gli ho fatto le foto con la mia chitarra a 12 corde, poi queste istantanee sono state rivalutate dopo la sua morte. Dopo di che ci perdemmo di vista, litigammo un pò, lui era un grandissimo musicista, ma aveva un carattere difficile, era molto ambizioso e aveva fretta di affermarsi, e se una tua idea non collimava con la sua, potevi scontrarti. Siamo stati trent’anni senza vederci, ci siamo rivisti al funerale della mamma. Poi ci siamo ritrovati, mi ha chiamato per il suo tour con tutti gli amici al Palapartenope Napul è tutta n’ata storia».
La passione per la musica ha contagiato anche suo figlio Irvin, oggi fa parte degli Osanna…
«Irvin è un bravo musicista, ha studiato anche musicoterapia, alla musica affianca l’impegno per i ragazzi: lavora con i Maestri di strada».
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