"Ricorda, non sei straniero, sei solo povero. Se fossi ricco non saresti straniero in nessun luogo"
21 Ottobre
Ci sarai sempre... Buon viaggio Capitano!
Wazza
"Smeraldina", di Francesco di Giacomo
Ci eravamo incrociati spesso quando faceva parte della
band romana Le Esperienze. Era un cantastorie, una persona colta, studioso del
movimento operaio. In occasione della pubblicazione del volume Avanti
Pop ci chiesero di scrivere delle storie in occasione del centenario della
CGIL che si celebrava con una serie di concerti di Têtes de Bois nei paesi
che avessero una storia operaia e sindacale. Ad Isola del Liri vennero tra gli
altri Daniele Silvestri e Nada. Io scrissi L’Odore del
Feltro, Francesco Smeraldina, bellissimo racconto sulla condizione della donna
lavoratrice nellantica cartiera Fibreno Lefevbre. Il libro con annesso
DVD fu pubblicato dal quotidiano Il Manifesto e distribuito dalla Feltrinelli.
Smeraldina
Oggi, anno di grazia 1861, io, nella cartiera del Fibreno, la più importante dItalia,
ho dietro di me, 500 operai così divisi: 230 uommene, 220 fèmmene e 50
criàture. Sotto di me passano un milione e seicentomila chili di stracci e io
produco un milione e centotrentamila metri di carta. Io sono il principale
rullo compressore che pressa la carta qui al Fibreno. Ma la vita della fabbrica
è alle mie spalle e ho potuto solo sentire il racconto di Smeraldina, operaia
qui dentro, tanti anni fa.
Dènte all’acqua
tutte glie uorne, sette giorni sopra a sette, dellestate e
dell’inverno, e da Pasqua fino a glie muorte, sempre mièse. A st infièrne a mpastà
acqua e stracci, stracci e acqua, stracci e stracci, che ci esce poi la carta,
che ce scriune può glie signure, che ci leggono chi legge, io che a leggere non
so, e non scriuere manche pure. Ma la notte, la stanchezza, non mi fa manco
addermì, e io allora penze glie penzière, che mariteme, mio marito, mi dice Smeraldì io
mi chiamo Smeraldina che è il colore de glie ciume prima che duènta carta Smeraldina,
tu siè fèmmena e non può raggena, quello le facème glie uommene, siè capite
Smeraldì?. E ho capito, ho capito troppo bene, ma nen pòzze manche dille, sacce
sule che trauaglie, trauaglie come n ome, ma guadagno assai di meno, meno della
sua metà, ma la sera sème muorte de fatia a ffatià, tale e quale, tutte due
tale i quale. Comme so ditte, mpastème la carta nella fabbrica cresciuta da
messiù Berèngé, ne francese che dice che ha cresciute pure a nu, padri, madri e
figli, che diventeranno padri e madri e così avanti, ma avanti fino addo? Ma
fino a quande? Fino a quando non diventiamo carta pure noi, sembra quasi che lo
dicono quando parlano straniero tra di loro ste francise che non si capisce
niente, solamente travaglié, travaglié, che sarebbe fatià, fatià. All’alba di
ogni alba ce ne partiamo tutti assieme, uommene, fèmmene, uttere, utterièglie,
si bambini e neonati perché sennò anddo glie liesse Tutte loche allacqua,
che sème tutta nà cosa, che la puzza e glie fume ca pe nù saria l’aria, che
ce sbucia glie polmone e che glie uocchie si gonfiane de lacreme i malore, non
si sa quale di più. Glie uommene stanno a una lira per dodici ore, le fèmmene
stesse ore ma a 40 centesime, glie figlie pure a 30, ma sono piccoli, rendono
poco, poco meno. Ma pare che propria iere alla Francia sè
ruoluzionate glie munne, basta che gli re i glie prete, basta che tutte, sule
qua n basta mai, che sule a arrapi glie fiate, se presèntene glie soldate. Dice
ca n signore Germanese, di quelli tanto saputi cà sanno proprio tutto ha detto:
è un piacere osservare gli operai preparare la carta, o meglio fonderla,
scorre simile a un fiume grigio, poi diventa latteo, si addensa, si compatta e
infine esce dal rullo calda, la carta. Io n so capite capite propria tutte, ma
prima del piacere del prodotto finito, ci sta chi produce, sfinito, allinfinito.
Comunque io, Smeraldina, cento anni dopo sto ancora qui, allacqua,
sei giorni su sette, col tempo se migliora, glie uommene due lire al giorno, io
fèmmena sempre la metà, ma io so donna non posse raggenà! E uabbè e allora sai
che faccio? Ho deciso che pezzo a pezzo mi lascio andare, mi abbandono una
gamba, un braccio, na recchia, ne dite e m ammischie
allimpasto e uscire alla fine, dal rullo, calda e bianca, preziosa e
rispettata come la carta, e una mano perfetta scriverà su di me tutti i
penzieri che so penzate sempre e per sempre.
Luciano Duro
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