Gianni
Venturi – Mantra informatico
(2018)
Di
Alberto Sgarlato
Articolo già pubblicato su MAT2020 di febbraio 2019
Chi scrive questa recensione era
rimasto molto positivamente impressionato dalla prestazione live degli Altare
Thotemico durante il festival “Pro.G Liguria” svoltosi a La Spezia diversi anni
fa. In quella circostanza la band aveva offerto una proposta di rock
progressivo drasticamente virata verso il jazz-rock, con un frontman presente
dal punto di vista scenico e potente da quello vocale. Difficile, in quel
momento, non fare il paragone con il “Maestro della voce” Demetrio Stratos.
Quel frontman era Gianni
Venturi, che con questo “Mantra informatico” prosegue il cammino già intrapreso
nel portare avanti l’opera stratosiana, seppur in modo completamente diverso
nella forma e nei risultati, eppure al tempo stesso simile nel concetto basico
di spingere la voce oltre le umane possibilità.
Potremmo forse definire questo
“Mantra informatico” come un album di musica elettronica, se non fosse che
tutte le sonorità, i “pads”, cioè i tappeti che costituiscono l’armonia, i
“loop” ritmici, gli arpeggiatori, sono in realtà interamente prodotto… Della
voce! Esatto: qua e là Venturi si “aiuta” soltanto facendosi accompagnare da un
bassista, un sax e la drum-machine, ma la stragrande maggioranza dei suoni del disco
è frutto di voci: voci trattate elettronicamente, voci filtrate attraverso
effetti, voci tagliuzzate e incollate con l’ausilio dell’informatica, voci
manipolate in ogni modo possibile. Il risultato è spiazzante e imprevedibile:
si passa dal dark, al prog, alla new-wave, allo space rock, perfettamente
amalgamati in un miscuglio di suoni sempre diversi.
Gianni Venturi non sperimenta
soltanto con la voce, ma anche con le liriche: i testi descrivono una sorta di
“desolazione post-industriale” e vengono talvolta cantati, talvolta declamati,
nei modi più svariati, spezzettandone le metriche, scandendone le parole,
urlando o sussurrando in base alle dinamiche del brano.
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