SUMMANI – “PROLOGO”
Di Mauro Costa
Summani,
band napoletana, nasce alla fine del 2017 dal fortuito incontro di Mimmo
Angrisani e Peppe Magnolia - rispettivamente voce e batteria -, e in
pochi giorni si uniscono pieni di entusiasmo due chitarristi - Nicola De
Luca e Nicola Lampitiello -, mentre al basso troviamo Tullio
Ippodamia; dall’aggregazione alla sala prove il passo è brevissimo e
fortunatamente, cosa non sempre scontata, rimane anche l’entusiasmo ed anche la
buona novella di un immediato amalgama.
Dopo qualche mese passato a valutare idee e a testarne
la fattibilità, entra in gestazione il loro primo EP, “Prologo”,
che vede la luce quest’anno, un lavoro molto diretto e musicalmente potente,
con una valenza particolare di denuncia nei testi.
Ma andiamo con ordine.
Summani deriva da «Summanus» che, per gli Etruschi, è il dio dei fulmini, sempre in contesa
con Giove del “trono”, riuscendolo a tenere le intere notti per poi restituirlo
di giorno, ma anche da «Mons Summanus», luogo dicotomico e magico non lontanissimo da Firenze, dove i
malati si recavano per invocare la guarigione.
Del dio Etrusco il gruppo il gruppo incarna la
veemenza e la risolutezza, e del vertice del “monte sacro” l’invocazione e la
speranza di una diffusione a 360 gradi della loro espressione artistica,
soprattutto dal vivo, perché ascoltando «Prologo» si evince, piuttosto chiaramente, che sia
particolarmente adatto ad una riproposizione sul palco.
Loro, da buoni partenopei, hanno il teatro nel
sangue e la fusione di vari stili - rock, prog, hard, blues, funk -, e con
soventi richiami alla tradizione musicale napoletana rendono particolarmente
appetibile uno sviluppo “visivo” di quanto proposto; per certi versi posso
immaginare di accostarli alla teatralità degli «Osanna», anche se tutto ciò è ipotetico perché ancora non
ho avuto il piacere di poterli ascoltare dal vivo.
in ogni caso, i loro brani generano facilmente una
reazione nel pubblico, difficilmente si può stare fermi o seduti ad ascoltare.
La prima traccia dell’album, “Libera la serpe”,
è una cavalcata frenetica lunga quasi dieci minuti, con lancinanti solo di
chitarra, espressione sonora e lirica di un vaso di Pandora pronto a
scoperchiarsi perché le reazioni umane, se sollecitate da ingiustizie e
vessazioni, possono risultare pericolose per tutti.
Questa voglia di giustizia a tutti i costi,
di condanne, di poche assoluzioni
fanno un po’ da filo conduttore nei testi di questo lavoro.
Nel secondo brano, “Conte goffo”, si parla di
un personaggio, probabilmente vicino al gruppo stesso, (forse un produttore, un
discografico) evidentemente non in sintonia con le aspettative della band, ma
più genericamente ci si può riferire a qualunque persona, piuttosto parassita,
che campa sul lavoro altrui e si pavoneggia fino a cadere nel ridicolo, a
cominciare dall’abbigliamento.
Con il terzo pezzo, “La mia città”, saliamo
decisamente di tono: si parla di Napoli una città che si ama e da cui si
vorrebbe essere ricambiati, spesso messa a torto alla “berlina”, culla della
cultura ma devastata da grossi problemi, soprattutto una città cui bisogna
concedersi senza alcuna reticenza. Musicalmente il brano è sempre molto
viscerale e si viene trasportati da un’irrefrenabile voglia di scatenarsi, a
mio parere potrebbe essere un’ottima colonna sonora per una fiction su Napoli.
“Social network” è un’esposizione di
perniciosità, perfettamente condivisa, sulla estrema valenza che si dà alla
realtà virtuale con la quale ci troviamo sempre più disposti a sostituire
quella reale.
Infine, l’ultimo brano, quello che mi pare il
migliore è “Senza più frontiere”, che si dipana su un tappeto sonoro
“etnico” e tratta di immigrazione, di aspettative, di convivenza, di voglia di
pace, dove l’abbattimento delle frontiere sarebbe forse la soluzione migliore
verso quel traguardo di fratellanza e del vivere civile. A mio parere è anche
il brano più ricercato dal punto di vista squisitamente musicale, e alla fine
una tarantella aggregante, appena accennata al tamburello, mette tutti
d’accordo che, forse proprio da Napoli, città spesso ingiustamente confinata e
derisa, potrebbe partire questo nuovo vento di cambiamento.
In sintesi, questo primo lavoro dei Summani è un
buon esordio, esprime potenza, sia nelle musiche che nei testi che sono
talmente diretti da porre questo gruppo in posizione piuttosto “barricadera”;
se vogliamo trovare un piccolo difetto è che i brani si assomigliano un poco
nelle stesure musicali e che quindi mancano di quel pizzico di emozionalità che
un determinato particolare “passaggio” identificatore può suscitare in chi
ascolta.
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