CIRO PERRINO, IL PRINCIPE DEL
PROGRESSIVE ITALIANO
Di Andrea Pintelli
Articolo già pubblicato su MAT2020 di
giugno
Parlare
di Ciro Perrino è
un onore. Parlare con Ciro Perrino è un piacere. Persona lieve, pacata,
gentile. Genio creativo, oggettivamente. Ciò è rappresentato dalla sua lunga e corposa
carriera, densa di lavori mai uguali a sé stessi, ma proiettati ogni volta
verso lidi differenti e in grado di affrontare con notevole gusto diverse cifre
stilistiche. Mai fermo, mai domo, non si è mai seduto sugli allori (a
differenza di qualcun altro), ma ha sempre portato la sua arte ad affrontare
nuove sfide, nel tempo e attraverso il tempo. Musicista polistrumentista,
cantante, produttore, arrangiatore, e tanto altro, ha sempre riportato la sua
indole nelle sue opere, mostrando agli ascoltatori, che di volta in volta di
sono accostati a lui, un’innata carica d’umanità; basta leggerne i testi per
carpire le sue molteplici sfumature. Il Sistema, Celeste, la Compagnia
Digitale, i suoi tanti album solisti, St. Tropez, lo descrivono come un
poliedrico artista, capace di scavare a fondo nella sua anima per portarcene le
luci, i misteri, i suoni. Per tanti è il Principe del Prog italiano, siccome il
suo lavoro più famoso e osannato in ogni guida che si rispetti è “Principe di
un giorno”, dei suoi Celeste, creatura sublime e oltre il sensoriale. Disco del
1976, ha trovato il suo vero successore proprio quest’anno, a ben 47 anni dalla
formazione del complesso, titolo già sulla bocca di tanti e già preso ad
esempio come uno dei migliori lavori del 2019: “Il Risveglio del Principe”.
Magniloquenza d’altri tempi, non collocabile (come il predecessore, d’altronde)
in un’era ben definita, esercizio di stile che avevamo spesso avuto la speranza
di poter rivivere, inizia con questo messaggio: “La notte volgeva al termine.
Le prime luci del nuovo giorno filtravano attraverso le nuvole, ancora cariche
di pioggia. Il minuscolo lago mostrava delicate increspature sulla sua
superficie e piccoli gorghi formavano spirali proprio nel centro, dove l’acqua
è più profonda. Tutta la Natura si stava risvegliando e le creature viventi
stavano in silenzio come nell’attesa di un evento troppo aspettato. I profumi
nell’aria erano dolci e sull’albero di mandorlo, cresciuto vicino alle rive del
lago, il primo bianco fiore era ormai sbocciato”. Quindi onirico, leggiadro,
pregno di profumi e colori, anche dopo pochi ascolti si insinua nell’indole di
chi lo ascolta, per poter essere vissuto in prima persona. Quasi un ritorno a
“casa”. “Qual Fior di Loto” ci riporta in fondo al lago alpino dove avevamo
lasciato il Principe. La sensazione si fa fin da subito sublime, nel risentire
le melodie che tanto abbiamo amato, nell’intesa con la Natura che dopo essersi
scatenata, riporta tutto alla calma, alla Pace. Eleganza innata. “Bianca
Vestale” è il primo brano a cui Ciro ha messo mano pensando al ritorno di
Celeste. Il suo mellotron ci prende per mano, letteralmente, e ci introduce nel
mondo dell’amalgama sonora che i vari componenti del gruppo sono riusciti ad
interpretare, essendo maestri dello strumento suonato da ognuno di essi. Spazio
per tutti, sensibilità d’altri tempi. “Statue di Sale” è aperta da una lussuosa
chitarra acustica, in linea col messaggio d’emozione. Musica evocativa al suo massimo
splendore, il consentito non attraversa solo i nostri lidi, ma si tuffa nella
Spagna moresca. Questo continuo intersecarsi fra flauti, violini, violoncelli e
mellotron ha un sapore ancestrale, profondamente riuscito. “Principessa
Oscura”, ovvero colei che si affaccia dal balconcino nella copertina del disco,
è una non volutamente palese sensazione che attraversa il Principe; felicità o
pericolo? La traccia scorre tuttavia in una dimensione di sicura presa, che
riporta alle atmosfere care al primo lavoro di Celeste. “Fonte perenne”
prosegue nella maestosità del messaggio sonoro, in cui strumenti a corde e
dolcissima sezione ritmica trovano qui il loro suggello. Incedere da grande
arrangiamento, classe innata. Efficace sax nel finale. “Giardini di Pietra” è
una composizione che è tratta dalle sessions del primo lavoro. Rimasto intatto
come idea, è stato riportato a nuovo splendore, riarrangiato in chiave più
attuale. Fa piacere che un gioiello simile possa essere arrivato fin qui, dopo
anni di custodia nel cuore di chi lo creò. Ammaliante. “Falsi Piani Lontani” si
apre con un pianoforte sincero che lascia spazio via via agli altri strumenti,
per un intercedere perfetto che trova nel violino e nel flauto i protagonisti
della canzone. Il tutto pervaso da questo sincero stupore che ha la forma e il
viso della serenità. “Porpora e Giacinto”, ultimo capitolo di questo fenomenale
disco, per resa, idee ed interpretazione, ha al proprio interno parti di
improvvisazione quasi jazzistiche che lo elevano a percorso del domani del
Principe, che ora vorremmo poterci rivelare il proprio futuro. Quale miglior
occasione se non quella di parlarne col suo creatore o, se ce lo permette,
colui che si nasconde dietro questo alter ego? A voi il nostro Principe, Ciro
Perrino.
La
chiacchierata…
Eccoci, finalmente. Mi sento di
chiederti, in primis, come ti senti in questo periodo. Converrai con me che è
importante, prima di tutto, partire dalla persona.
Grazie
della delicatezza Andrea. Di questi tempi, non so se lo avrai notato, si è
sempre meno inclini a chiedere a chi ci sta di fronte, sia fisicamente che
durante una qualsiasi chat, appunto con un semplice “come stai?” o “come ti
senti oggi?”, quale sia lo stato emotivo più che le condizioni di buona salute
del nostro interlocutore. Ed io ti rispondo che mi “sento” bene, in quanto la
soddisfazione che mi deriva dal vedere così apprezzata quest’ultima dolce
fatica di CELESTE mi riempie di gioia e di nuova energia per continuare su
questo percorso. Per contro mi auguro che anche tu ti senta bene in questo
momento della tua vita.
Tracciare un percorso non è mai scelta
facile, ma l’interesse è tanto. Per cui, il Ciro Perrino musicista da dove ha
iniziato a formarsi artisticamente?
Possiamo
partire da oltre mezzo secolo? Eh, sì perché oramai sono costretto a pensare in
termini di decadi “pesanti”. Quando iniziai eravamo nei meravigliosi anni ’60
dove il beat la faceva da padrone e tutti coltivavano il sogno di suonare in un
complesso – come si chiamavano allora – e magari di avere successo. Io ero senza
dubbio fra quelli. Un volenteroso ed appassionato batterista. Creai diverse
formazioni con il preciso intento di suonare nei night clubs, nei “dancing”,
nelle sale da ballo o locali secondo le terminologie in voga in quegli anni. Il
repertorio era costituito da covers. Artisti privilegiati i Bee Gees, i
Camaleonti, i Dik Dik, Tommy James and the Shondells, 1910 Fruitgum Company,
Ohio Express, Cream, Jimi Hendrix, Aphrodite’s Child con brani equamente
suddivisi fra lenti e shake, come si definivano allora i brani ballabili.
“Il Sistema” fu più un tentativo
oppure vero gruppo la cui personalità non fu espressa appieno?
Direi
la seconda opzione. La finalità per noi de IL SISTEMA era ben chiara sin
dall’inizio. Accanto alle ancora immancabili covers avevamo pianificato di
attuare un recupero della musica classica in chiave rock. Molto ambiziose le
mete ma avevamo tempo, buona volontà, un bellissimo posto prove in uno
splendido paese dell’entroterra ligure di ponente e tante, tante idee. Però
appunto avvenimenti non dipendenti dalla nostra volontà ci portarono dopo soli
due anni dalla costituzione della band ad abbandonare i nostri propositi. Non
giungemmo mai in sala di registrazione per un album ufficiale. Solo molti
concerti e serate e Festival Pop. Ricordo che fummo i vincitori, di fronte al
gotha delle band italiane di quel periodo, dell’ormai dimenticato ed unico
“Primo Festival Pop Ligure” che mai si tenne in Liguria ai Pozzi di Loano il 26
luglio del 1971. Le sole
testimonianze che ancora oggi sono in circolazione su CD e Vinile sono frutto
del meticoloso lavoro di registrazione ed archiviazione che effettuavo ogni
giorno in sala prove. Peccato perché avevamo in serbo tante nuove composizioni
da adattare in chiave rock. Oltre ad essere stati senza dubbio i primi nel 1970
a proporre “Una Notte sul Monte Calvo” di M. Musorgskji, stavamo preparando
anche “Nelle Steppe dell’Asia Centrale” di Borodin. Ma andò così per cui chi
può dirlo e chi lo saprà mai. Fortuna? Sfortuna? Senza dubbio nuove
opportunità.
Celeste: meravigliosa creazione,
geniale intuizione (voluta o non?) di ciò che mancava nel grande circo della
musica dei seventies italiani. Raccontaci la genesi di quest’idea che portò
alla realizzazione di “Principe di un Giorno”, considerato unanimemente uno dei
migliori dischi di Prog di sempre.
CELESTE
è stato ed è tuttora un progetto molto pensato. È nato da lunghe conversazioni
fra Leonardo Lagorio e me all’indomani dello scioglimento di CELESTE. Noi due
unici superstiti di quella formazione sentivamo forte l’esigenza di rinnovarci
e di percorrere nuove strade sempre all’interno di quel movimento che ancora
non veniva definito Prog Rock. L’idea primigenia era quella di fondere in
maniera uniforme e fluida le varie esperienze vissute nel recente passato di
entrambi. Si sarebbe trattato di proporre materiale completamente nuovo.
Occorreva scriverlo. Quindi non più covers ma composizioni originali. E poi il
dilemma della formazione dell’organico che nelle nostre intenzioni avrebbe
dovuto avere più la connotazione di un ensemble classico che non di una vera e
pura Rock band. Il Jazz avrebbe dovuto far sentire il suo profumo. Quindi la
miscela si allargava nei suoi sapori. Per quanto mi riguardava desideravo
affrancarmi dallo stereotipo del batterista “tout court”, cioè ritmo e basta –
anche se con IL SISTEMA ricoprivo già ed interpretavo un ruolo più vicino al
percussionista sinfonico che non a quello del Rock – per andare a scoprire
nuove frontiere con colori ed interventi atipici e magari sperimentali. Per cui
presi una decisione coraggiosa per quei tempi: via la cassa, via i toms e
spazio solo a rullante, un timpano a terra, molti piatti ed una miriade di
piccole percussioni che all’epoca ancora non si chiamavano etniche. Lagorio si
sarebbe occupato dei sassofoni, del flauto del pianoforte acustico ed
elettrico. Io, nei momenti ipotetici nei quali non sarei stato impegnato con le
percussioni avrei dovuto dare un sostegno alle parti con un secondo flauto.
Sono arrivato ad un passo dal diplomarmi, ma poi mi innamorai dell’oboe che
studiai per due anni. Ma quella è un’altra storia. Mancavano però ancora
diverse voci per costituire il nuovo organico. Nella nostra idea e nelle nostre
visioni vi era un chitarrista acustico e poi, quale unica concessione alla
vecchia maniera del Rock, un basso elettrico, ed ancora un violino ed un
violoncello. Mi misi subito alla ricerca di musicisti e non tardai molto a
trovare Mariano Schiavolini che oltre a suonare in maniera eccellente la
chitarra acustica era pure uno studente di violino presso la Scuola di Musica
di Sanremo e si dilettava nel suonare il clarinetto. Ma la cosa più importante
era che aveva già abbozzato un buon numero di composizioni che, magicamente
sembravano essere state scritte apposta per quell’organico che ancora non si
chiamava CELESTE. Via via come per magia si affiancarono al piccolo trio il
bassista Giorgio Battaglia che militava in una formazione di rock puro e di lì
a poco due colleghi di studio alla scuola di musica di Mariano Schiavolini. Un
violoncellista ed il di lui fratello violinista. Non ometto di ricordare la
fugace collaborazione di Marco Tudini, allora quattordicenne, che lasciò
un’impronta indelebile in alcuni camei che gli sopravvissero quando registrammo
“Principe di un Giorno”. Il suo ruolo avrebbe spaziato da un secondo sassofono,
al flauto traverso, alla cura di alcune piccole percussioni e ad alcuni
interventi vocali di grande suggestione. Che dire ancora. Beh, sì. Che mancava
ancora quella che avrebbe dovuto essere la voce al femminile della band. Nikki
Berenice Barton che iniziò con noi e registrò i primi demo tapes, dei quali
resta testimonianza nel quadruplo box prodotto nel 2010 da AMS. La sua voce era
perfetta per le atmosfere delle composizioni di Mariano. In inglese poi il
fascino aumentava. Era riuscita ad adattare le mie liriche originali in italiano
lasciando intatto il significato dell’allora ancora embrionale storia del
Principe Triste. Ma poco tempo passò che l’organico subì dei drastici
ridimensionamenti. CELESTE rimase un quartetto. Prima Nikki rientrò in Gran
Bretagna per proseguire la sua carriera solista laggiù avviata, prima il
violinista e poi il violoncellista per motivi personali e professionali diedero
forfait ed anche il piccolo Marco andò a cercar fortuna altrove. Serrammo i
denti. Io mi ritrovai a dover cantare mio malgrado. Nel SISTEMA sì mi alternavo
a volte a concedere una pausa a Luciano Cavanna, che oltre che bassista era
anche il lead singer della band, ma cantavo tutt’altro genere. Ricordo che,
opportunamente abbassate di tono, mi cimentavo in alcune canzoni dei Deep
Purple. Qui dovevo anche adattarmi alle tonalità che erano state scritte
apposta per una voce femminile. Gli impianti delle composizioni erano stabiliti
e vi non vi era più né tempo né spazio per effettuare cambiamenti e le date
delle registrazioni erano ormai stabilite. Dovetti far buon viso a cattivo
gioco e usare la mia voce al meglio. Il resto è storia.
Quel lago di cui hai parlato nelle
liner notes, lungo il confine tra Italia e Francia, dov’è? Vi hai magicamente
trovato ciò che ti stava attendendo da tempo, ma nelle sue dolci onde c’era
(c’è) il te stesso più profondo?
Sono
certo che quella notte di 55 anni fa, sulle rive di quel minuscolo e
cristallino laghetto alpino, iniziò la storia del Principe. Quel punto delle
Alpi Marittime si trova giusto al di sopra di una profonda vallata che si
sviluppa alle spalle di Nizza e del dipartimento delle Alpes Maritimes. Sono
certo di avere vissuto quell’esperienza visionaria ma così carica di
significati. Io il Principe sono sicuro di averlo incontrato e di avergli
parlato… o meglio: lui ha parlato a me comunicandomi sensazioni e immagini di
un altro Mondo. Penso che quanto affermi sia molto vicino se non addirittura
conforme ad un mio atteggiamento nei confronti dell’esistenza. Da sempre. Il
Mondo materiale e lo Spirito si compenetrano continuamente e noi ne siamo
l’espressione più completa. Una parte di me è rimasta lassù sulle rive di
quello specchio d’acqua a preservare e proteggere e forse conservare quella
Magia.
Cosa portò all’interruzione del
progetto Celeste?
Come
al solito in tutte le formazioni in crescita giunge un momento nel quale
occorre fare delle scelte. Ed anche CELESTE non si sottraeva nel 1977 a questa
regola. Molto semplicemente ci fu offerta una grande opportunità. Si trattava
di fare un considerevole salto di qualità accettando il quale avremmo
guadagnato una visibilità enorme. Avremmo dovuto aprire i concerti di un
artista italiano molto importante e questo ci avrebbe fatto conoscere in
brevissimo tempo su tutto il territorio nazionale. Il tour era molto lungo e
questo avrebbe obbligato alcuni dei componenti a lasciare il proprio lavoro
fisso ed affrontare quella avventura. Chiaro i rischi c’erano. Ci sono sempre
quando si intraprende una nuova strada. Ma se non si rischia... Non se la
sentirono di lasciare il sicuro per l’insicuro e così io decisi che CELESTE era
giunto al capolinea. Che senso aveva restare in sala prove a scrivere e non
affrontare il pubblico? Fu doloroso ma inevitabile.
Molti anni dopo uscirono “Celeste II”
nel 1991 e “I Suoni in una Sfera” (1992) per la gloriosa e fondamentale
etichetta Mellow Records, fondata da te e Mauro Moroni, che diede un’immensa
spinta al ritorno del Prog durante gli anni 90. Essendo registrazioni che si
discostano dallo stile Celeste, ad oggi le faresti uscire ancora per lo stesso
gruppo o useresti una denominazione diversa?
La
raccolta di provini (io li chiamo ancora così) che andarono a costituire il CD
che fu definito CELESTE II erano la testimonianza di un cambio per quella che
sino ad allora era stata la guida musicale della band. Infatti, mentre in
“Principe di un Giorno” era stato Mariano Schiavolini il Maestro Concertatore
con le sue atmosfere serene, aperte, medioevaleggianti e sognanti, adesso le
redini musicali erano passate nelle mani di Leonardo Lagorio che notoriamente
aveva più vocazione, formazione, inclinazione e tradizione jazzistica alle sue
spalle. Per cui, anche grazie al fatto che nella formazione stabilmente era
entrato a far parte un batterista a tutti gli effetti, Francesco “Bat” Dimasi,
le strutture dei nuovi brani erano molto meno evanescenti e sognanti e molto
più corpose e sanguigne. Più ritmo ma non a scapito della melodia che restava
sempre e comunque la caratteristica di CELESTE. Quindi canti e controcanti che
si intersecavano secondo il nostro stile classico. Io potevo finalmente
dedicarmi solo alle tastiere ed ai sintetizzatori. Rispondendo al cuore della
tua domanda direi che no, non farei uscire quelle composizioni a nome di un
altro gruppo. Sono state pur sempre una promanazione del nostro spirito
compositivo. Direi che fu una digressione. Infatti, tengo a precisare, e non
solo a detta mia, che “Il Risveglio del Principe” costituisce il secondo vero
album di CELESTE discendente in linea diretta da “Principe di un Giorno”. E la
strada che proseguirà con altri capitoli di CELESTE seguirà questo solco magari
concedendo alcune piccole novità che spero saranno apprezzate dai sostenitori
del Principe.
La tua carriera è densa di episodi,
lavori, fatiche, soddisfazioni ed eventuali delusioni, cammini sotto vari
pseudonimi. Hai fatto parte de “La Compagnia Digitale”, “St. Tropez”, “SNC” e
da solista hai rilasciato dischi stracolmi di idee (alcune avanti per i tempi
in cui uscirono). Sarebbe interessante se tu potessi spiegare e raccontare ai
lettori di MAT2020 questo te stesso oltre i “Celeste”.
Certo
oltre CELESTE, per quanto riguarda me, vi sono varie anime ma tutte
riconducibili ad una stessa matrice. Dopo lo scioglimento di CELESTE mi diedi
subito da fare. La mia grande passione per i sintetizzatori maturata già ai
tempi de IL SISTEMA adesso era più forte. Liberato dal ruolo che ricoprivo in
CELESTE potevo esprimermi molto più liberamente. Potevo creare nuovi schemi,
più aperti, più spazio allo strumentale che è sempre stato il mio dominio
preferito. SNC è stato un divertente esperimento durato lo “spazio di un
mattino” ma fu indispensabile per stigmatizzare e creare un linguaggio che poi
sarebbe sfociato nel lavoro di band tipo appunto ST. TROPEZ e successivamente
LA COMPAGNIA DIGITALE. ST. TROPEZ ad esempio aveva un nucleo base al quale via
via dovevano aggiungersi ogni volta musicisti nuovi. Infatti, la raccolta di
provini dell’album, non ufficiale “Icarus”, vede ogni formazione spesso
popolata di differenti artisti e tutto ciò, nonostante le differenti estrazioni
di ognuno di loro, conferisce alle composizioni un senso di unità di stile che
ancora oggi mi stupisce. Io avevo lì l’opportunità di sperimentare i miei
synths. L’ EMS/AKS, il MINI MOOG in particolare. Lì stavo già creando una parte
del mio linguaggio personale che poi sfocierà in SOLARE, mio primo album
solista nel 1980. Ma anche l’esperienza con ST. TROPEZ era destinata ad avere
vita breve. Un tour organizzato malamente che doveva portarci prevalentemente
in Francia fallì per incompetenze a noi estranee ma la delusione fu profonda al
punto tale che emersero incomprensioni all’interno della band che ci portò a
ridimensionare per l’ennesima volta la formazione che di lì a poco si tramutò
in LA COMPAGNIA DIGITALE. Con l’aggiunta di un nuovo bassista e un batterista e
l’arrivo nel mio parco sintetizzatori di un ARP 2600 con tre ARP Sequencers
ripartimmo alla grande con nuove composizioni e tanto entusiasmo. Ma dopo un
unico e favoloso concerto (di cui resta la testimonianza della registrazione in
un cd pubblicato da Mellow Records e che presto verrà ristampato con una nuova
masterizzazione) anche LA COMPAGNIA DIGITALE chiuse i battenti e, era l’agosto
del 1979, io mi preparavo ad entrare in studio per iniziare a registrare
SOLARE, che sarebbe stato pubblicato l’anno successivo.
Dopo tanti anni, tornano i “Celeste”,
e lo fanno in maniera mirabile con uno stupendo disco dal titolo
(azzeccatissimo, tra l’altro) “Il Risveglio del Principe”, che ha rapidamente
riportato questo nome nel vivo panorama Prog. È il vero prosecutore di
“Principe di un Giorno”, sia nei suoni, sia nei testi. Raccontacene genesi e
realizzazione.
Erano
anni che da più parti mi giungevano inviti a rimettere mano alla ricostituzione
di CELESTE. A più riprese ho tentato di ricostituire l’organico originale ma ho
sempre ricevuto tiepidi consensi, indifferenza e scarsa o nulla volontà a
riprendere il discorso interrotto 40 anni fa. Per molto tempo, anche perché
molto occupato con i miei progetti solisti, anche io non sentivo così
impellente il desiderio di rituffarmi nell’esperienza CELESTE. Solo che tre
anni fa, dopo l’ennesima richiesta, decisi di dare un’occhiata nei miei archivi
di composizioni che non avevano trovato spazio nei miei progetti solisti,
perché giudicate da me inadatte allo spirito o non conformi allo stile che
perseguivo in quel momento. Erano però spunti, con mia grande sorpresa, adattissimi
per CELESTE. Si trattava di incipit o arpeggi pensati per chitarre acustiche,
melodie per flauti, maestose entrate di Mellotron. Ma si trattava solo di idee
per lo più esili ed inconcludenti. Ma mi armai di pazienza e sorretto dalla
buona volontà e dall’entusiasmo misi mano a composizioni completamente nuove e
come per magia in meno di anno avevo tutto il materiale pronto. Si trattava
solo di renderlo molto più “CELESTE” di quanto già non fosse. Ho lavorato di
fino ricreando l’organico originale con i virtual instruments, ripescando nella
scrittura anche quel violoncello e quel violino che avevamo perso per strada ai
tempi di “Principe di un Giorno”. Volevo restare fedele al massimo allo Spirito
di CELESTE, non tradirlo ma cercando di offrire, a me in primis, quelle
atmosfere e magie che avevano reso famoso “Principe di un Giorno”. Ma
soprattutto non volevo, una volta dato alle stampe e pubblicato un nuovo
episodio della saga del Principe, che provassero una delusione tutti coloro che
avevamo tanto amato ed apprezzato il primo CELESTE. Una volta ultimata la
scrittura restavano da trovare gli esecutori. A parte alcuni miei amici
musicisti con i quali nel tempo avevo già collaborato non mi fu difficile
raggiungerne altri dei quali conoscevo la fama e l’affidabilità umana e
tecnica. Feci davvero in fretta a coagulare un organico che seppur numeroso si
sarebbe dimostrato preparato, entusiasta e cosciente dell’importanza del
progetto. Stesso discorso per lo studio di registrazione che sapevo in mano ad
un professionista di talento. Per non parlare del Sound Designer, Marco Canepa,
con il quale lavoro ininterrottamente dal 1994. Uno staff veramente poderoso
costituito da professionisti e amici fidati. Seguirono quindi le prime sessioni
di prove per appurare che quanto scritto e arrangiato avesse un senso nel
momento in cui le parti sarebbero state suonate da musicisti in “carne ed
ossa”. Ma tutto filò liscio sin dal primo incontro. Poi giorno dopo giorno
nell’arco di una Primavera, un’Estate ed un Autunno le registrazioni ed i
missaggi posero fine a questo primo ritorno del Principe. Il resto è storia di
questi giorni. “Il Risveglio del Principe” quindi a ragione deve essere
considerato il vero secondo album di CELESTE perché riprende l’eredità e
sviluppa le trame lasciate aperte e non concluse da “Principe di un Giorno”. Da
adesso il Futuro è in pieno divenire.
Siccome non sopporto la sigla
“pastorale” che da più parti vi hanno appiccicato addosso per troppo tempo,
preferirei definirvi onirici, fiabeschi, lievi. Sei d’accordo?
Anche
io Andrea ho una sorta di avversione per le sigle, le definizioni che altro non
fanno che creare steccati. Peraltro, spesso sono utili per fornire indicazioni
ed aiutare a comprendere prima ancora di lasciarsi andare ad un ascolto di che
cosa si stia parlando. Quindi direi che, riferendosi a CELESTE sì, fiabeschi,
onirici, lievi e morbidi sono appellativi che possono andare veramente bene.
Non sono fuorvianti e prendono per mano con delicatezza chi si prepara a porre
un vinile sul piatto o a far scivolare un CD nell’oscuro antro del lettore.
Ci sarà un nuovo capitolo legato al
“Principe”? Quale futuro ci state preparando?
Ebbene
sì. Sull’onda dei consensi che CELESTE sta raccogliendo ho subito messo mano al
capitolo seguente di questo “Il Risveglio del Principe”. Ho già diverse idee,
soprattutto per quanto riguarda le atmosfere. Vi saranno delle piccole sorprese
che comunque non deluderanno gli affezionati estimatori. Resteremo fedeli alla
linea musicale del Principe con qualche concessione a soluzioni più rock.
Vorrei dare più spazio a chitarra elettrica, basso e batteria. Impercettibili
mutamenti di rotta senza scossoni. La navigazione sarà sempre all’insegna delle
delicatezze e della ricerca della Bellezza. L’organico sarà probabilmente
ridimensionato nel senso che sarà ridotto ad un sestetto però sempre con ospiti
di tutto rispetto invitati a partecipare. Tutto già mi “frulla” in petto.
Un mio, e credo di tanti altri,
desiderio sarebbe quello di rivedervi live: ci sono già un dove e un quando?
Su
questo versante stiamo lavorando già da quando iniziammo le prove per
consolidare la coesione del trio classico costituito da batteria, basso e
chitarra acustica ed elettrica. È una strada impervia. I musicisti che mi
accompagnano in questa avventura sono tutti di grande caratura ed esperienza.
Tutti hanno una notevole esperienza “live”, padroni dei loro strumenti e dotati
di una tecnica ineccepibile, il che li rende sicuri ed affidabili in situazioni
di esibizioni in concerto. A tempo debito sarò più preciso. Sono già giunte,
prevalentemente dall’estero, delle richieste che stiamo vagliando.
Infine, vorrei che tu ci parlassi
proprio della creatura Mellow Records e del vostro percorso, che indubbiamente
vi ha portato ad essere conosciuti ovunque nel mondo e riconosciuti come una
delle fondamentali e importanti etichette discografiche in campo Prog e non
solo.
Mellow
Records! È stata un’esperienza galeotta. A raccontarla tutta occorrerebbe non
dico un libro ma un pamphlet dove raccogliere notizie, argomenti, curiosità,
interviste e aneddoti sicuramente interessanti e particolari. So che da anni in
molti fanno pressioni su Mauro Moroni affinchè vi metta mano. Sarebbe la
persona adatta. Io in fondo manco da Mellow ormai da venti anni. Potrei dire
molto degli inizi che furono pionieristici e ricchi di pathos e di splendidi
incontri. Con MR credo di essermi arricchito e riavvicinato al Progressive
ripercorrendo quegli anni che indubbiamente furono formativi e mi permisero di
creare un linguaggio personale che è poi quello che è presente nei miei
progetti solisti. Mi sento figlio di CELESTE così come de IL SISTEMA. Anche nei
miei lavori di pianoforte solo si sentono gli echi di quegli anni e di quelle
esperienze.
Lasciamoci
così, sulle sue parole, per non lasciarci. Vorrei soltanto aggiungere che
persone così, come artisti così, sono una rarità assoluta. Imprescindibile.
Amabile. Elegante. Pace d’ognuno di noi.
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