Beautiful Loser –
“Stars 4 a Nite”
(5 settembre 2024)
di Alberto Sgarlato
Il cantante e chitarrista genovese Paolo Cintolesi è un rocker genuino e sincero, uno
di quelli che hanno saputo macinare una solida, autentica gavetta nei pub. Ama
le chitarre Gibson, le vecchie automobili Alfa Romeo (quando erano fatte bene,
con tutti i crismi) e le moto Harley Davidson.
Musicalmente parlando, le sue coordinate si
focalizzano sulla grande epopea hard’n’heavy degli anni ‘80, ma non è affatto
esagerato dire che la sua cultura musicale è vastissima, capace di spaziare da
Elvis ai Beatles, dal sofisticato prog dei Rush a tantissima musica italiana.
Assieme all’amico di una vita Paolo Pesce
alla batteria, compare di tante scorribande su e giù per l’Italia al grido di “Anche
oggi, qui, ci scappa del rock”, ha dato vita a questo recente progetto
chiamato Beautiful Loser.
Completano alla perfezione la line-up, con grande coesione di sound e di
intenti, Andrea Laurino alla chitarra e Fabio Tassara al basso.
A questo punto, viste le premesse, chi si
aspetta una partenza col botto, di quelle capaci di far tintinnare i vetri
delle finestre di casa, resterà spiazzato: i ben 6 minuti della opener “Scarred for life”, infatti, si aprono con un incipit di tastiere rarefatto, degno
della più nobile tradizione AOR. Ma il riff di chitarra arriva e il brano
cresce, cresce, fino a deflagrare in uno di quei ritornelli che canteresti a
squarciagola mille e mille volte. La voce del frontman, amministrata con
sapienza, è un godibile mix tra la grinta di un Bon Jovi, la morbidezza
vellutata di un Michael Bolton, la rabbia di un Sammy Hagar.
La seconda traccia, la title-track “Stars 4 a Nite”, cattura l’attenzione con stop-and-go di chitarra scanditi
dall’incedere del cowbell, capaci di evocare persino i Blue Oyster Cult, altra
band celebre per fondere grinta da stadio e melodie di classe.
In questo genere può forse mancare la ballad?
“Time to say goodbye” è di una dolcezza infinita, con le note lunghe
della chitarra e la “cremosità” di un caldo organo Hammond a fare da legante al
tutto; chi ha amato Journey e Foreigner non potrà fare a meno di provare un
sussulto.
“Wings of butterfly” è a metà strada
tra quanto sentito finora: melodica ma potente, delicata ed energica insieme,
condita da un bel lavoro di tastiere dal sapore sinfonico.
Il tema chitarristico che introduce “Borderline”
è davvero azzeccato. Qui siamo al cospetto di un hard rock più old-school,
persino con echi di certi David Bowie ed Alice Cooper degli esordi, quando
erano nella loro fase più glam, ma ancora una volta con uno di quei ritornelli
da cantare tutti insieme sotto il palco.
Una virata verso il grande metal con “Kiss me or kill me”, che evoca nella sua estetica i Guns N’ Roses, altro brano
caratterizzato dalla sua spiccata “cantabilità”, non solo nei ritornelli ma
anche nei temi delle chitarre.
“Down to the city” parte affidata al
binomio basso/batteria ed è subito cavalcata, qui e là persino con qualche eco
di Iron Maiden.
“Lady Child”, altra ballad, ma
stavolta completamente diversa. Il fine lavoro sull’hi-hat, le chitarre
taglienti, massicciamente riverberate, cariche di delay, i tappeti vellutati
delle tastiere, ci portano tra i Police, i Rush del periodo “Permanent waves” e
“Moving pictures”, mentre nell’interpretazione vocale fa ancora capolino lo
spettro di Bowie, ma stavolta quello più a cavallo tra ‘70 e ‘80, tra il
periodo detto “berlinese” e “Let’s dance”, per capirci.
“Razor sharp (Baby i’m back to you)” è
un’altra power ballad, raffinata ma veloce, di valido AOR.
Si chiude con il pezzo più energico
dell’intero catalogo, “Handful of lies”, un’altra prova debitrice del
miglior metal classico, seppur impreziosita da interessanti arpeggi di
sintetizzatore.
Concludendo: se siete alla ricerca di un
album capace di farvi cantare, urlare a squarciagola, saltare e ballare ma, al
tempo stesso, di spiazzarvi a più riprese con trovate raffinate, intelligenti,
originali e mai banali, date una chance a questi “Bellissimi perdenti”. Non ne
resterete affatto delusi!
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