Cormorano
- "Obliquizioni
d'Autunno... prima che l'aquilone se ne voli via"
(Lizard,
2023)
di
Alberto Sgarlato
Cominciamo subito, come è giusto
fare in questi casi, con un po’ di inquadramento storico. Nel 1990, infatti,
l’autore di questa recensione era 17 enne ed era un famelico e compulsivo
divoratore delle fanzines italiane di rock progressivo dell’epoca: Arlequins,
Paperlate, Nobody’s Land, Canto di Prog, Wings of Sysyphus, Melodie &
Dissonanze.
E su una di queste (la memoria,
ovviamente, mi impedisce di ricordare con esattezza quale), ecco apparire il
nome dei Cormorano.
Nel 1990, infatti, la formazione
dava alle stampe un demo, intitolato “Verde Azzurro”. Le recensioni, però,
erano positive ma freddine: la band, infatti, in attività dal 1975, in quel
preciso contesto storico non esprimeva al massimo le proprie potenzialità,
fatte di un rock progressivo nervoso, imparentato con il jazz-rock, con
Canterbury e con Rock In Opposition, ma cedeva (questo almeno secondo quanto
scritto all’epoca) alle suggestioni del momento, fatte in parte di new-wave, in
parte di fusion e in parte di pop italiano.
Bisognerà arrivare all’alba del Nuovo Millennio, con un preciso e perfetto quarto di secolo di storia alle spalle, perché i Cormorano pubblichino un album capace di rappresentarli degnamente: nel 2000 infatti uscirà “Giro Tondo (Giro) Fuori Scena”.
Ormai, nel 2023, si può dire che
sia passato quasi altrettanto tempo (durante il quale il cantante dei
Cormorano, Raffaello Regoli, ha militato in un’altra band storica della
scena prog italiana, i Runaway Totem), ed ecco che un’altra opera giunge a
compimento.
Il parallelismo tra Cormorano e
Area è stato riproposto spesso, negli anni, in virtù delle similitudini tra la
voce del cantante Raffaello Regoli e quella di Demetrio Stratos. Peraltro,
Regoli di Stratos è stato allievo, amico e custode della memoria (con
l’organizzazione della Rassegna “Omaggio a Demetrio Stratos”).
Tuttavia, i giochi “oscuri” del
pianoforte e del piano elettrico in “Obliquizione”, traccia che
apre l’album, ci portano più sui territori dei Van Der Graaf Generator. Su
questi timbri cupi si snodano cinque tracce vocali che scandiscono le sillabe, che contribuiscono ad
alimentare il pathos.
La successiva “Cormorano”
ci riporta invece all’anima più “mediterranea” dell’Area-sound, quello nello
stile di “Luglio, Agosto, Settembre (nero)” per intenderci, ma con suggestioni
melodiche tipiche di altre band del prog italiano, come Pfm e Osanna, con
pregevoli apporti melodici della chitarra (a tratti anche piuttosto hard) e del
sintetizzatore.
Le spettacolari acrobazie vocali
di Raffaello Regoli aprono anche “Nuovi Colori”, brano dalle
suggestioni indiane (grazie alla chitarra usata quasi come un sitar) e new age
(per i morbidi tappeti generati dalle tastiere e dal basso fretless).
“25 aprile” è forse
il massimo manifesto di un certo stile di “rock mediterraneo” che pervade tutto
l’album: una vera “tarantella prog” tra Pfm e Banco, tra Osanna e Area, con più
di una spruzzata di jazz-rock, volontariamente senza nessuna concessione alla
modernità ma ben compenetrata nelle atmosfere di quell’epoca e di quel sound.
“Festa di settembre”,
con i suoi 8 minuti e mezzo, è la traccia più lunga di un album dove tutte le
composizioni medie si assestano tra i 4 e i 5 minuti. Eclettica, cangiante, a
dispetto del titolo (che potrebbe evocare due classici da “Storia di un minuto”
della Pfm), è un brano che di “festoso” non ha nulla. Al contrario, riaffiorano
le suggestioni vandergraffiane della traccia d’apertura; i momenti dark del
brano sono molteplici, complice anche un recitato che contribuisce a dare al
tutto ancora maggiore intensità emotiva, tra citazioni letterarie (“il ribollir
dei tini” di carducciana memoria), dissolvenze cinematografiche, omaggi a Spoon
River e al rock’n’roll, in un flusso di coscienza degno di Joyce che non potrà
non turbare l’ascoltatore più sensibile, mentre la base strumentale sotto si
snoda tra le armonie jazz del piano e del basso fretless e il ritmo di marcia,
ora militare, ora funebre, sul rullante. “Festa di settembre” rappresenta senza
dubbio l’apice, creativo, compositivo, emotivo, dell’intero album.
Un roccioso riff di basso in 5/4
ci introduce a “Il rock dei sogni”, brano dove la chitarra
oscilla tra riff hard rock di sana, vecchia scuola e “deliri” zappiani dalle
geometrie imprevedibili.
Il sax, invece, si prende la sua
sana e gloriosa rivincita con l’ottima introduzione di “Nei tuoi occhi”,
uno dei momenti più “frizzanti” dell’intero album: anche il cantato si scrolla
di dosso l’intensità drammatica dei brani precedenti per dar vita a una traccia
tra psichedelia e beat; il tutto, ovviamente, sempre impreziosito da ficcanti
divagazioni jazz-rock (ah, il sax soprano: che lavoro pregevole su tutto il
pezzo, dai ricami all’assolo!). Anche il testo è coerente con queste atmosfere
“flower power” e descrive il sogno del raggiungimento di un mondo utopico dove
non esistono la guerra, la fame, la povertà.
Il volto più sperimentale (sia dal
punto di vista vocale, sia strumentale) della band, invece, riaffiora in “Disarmoritmo”:
su un riff di tastiere che generano accenti di strumenti ad arco e su su un
tappeto di percussioni tribali, come si evince già dal titolo avviene una
totale destrutturazione della forma-canzone. Tutto sembra esplodere in mille
frammenti e dipanarsi, nel tempo e nello spazio, fino a creare una “polvere
cosmica” che (soprattutto nell’ascolto in cuffia) avvolge totalmente
l’ascoltatore.
Nel disco c’è posto anche per due
cover: la prima è una affascinante rilettura di “Asia”, un brano
di Francesco Guccini forse ingiustamente meno noto di tanti altri (da quel
capolavoro che è “L’Isola non trovata”).
L’altra, più che “solo” una
canzone, è ormai un vero classico di Stratos: “Pugni chiusi”, dei
Ribelli. Da Piero Pelù agli Skiantos, da Nevruz ai già menzionati Runaway
Totem, in tanti hanno portato sui palchi questa traccia, forse la prima nella
storia a svelare al mondo le straordinarie potenzialità vocali
dell’indimenticato artista.
Per concludere, è doveroso
ricordare la band; oltre al già citato Raffallo Regoli alla voce,
troviamo altri due componenti storici del Cormorano: Antonio Dondi alla
batteria e Gabriele Giovanardi ai sassofoni. Il bassista Francesco
Boni è il figlio di Carlo Alberto Boni (ex componente della band), mentre
la line-up è completata da Elia Filippini alle tastiere e da Raffaele
Marchetti alla chitarra. Raffaello Regoli ha curato anche gli arrangiamenti
e il mixaggio, il mastering finale è invece di Raffaele Marchetti. Gianluca
Galletti ha realizzato le foto interne, mentre il suggestivo acquerello
intitolato “Dream” in copertina è di Egidio Marullo.
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