Cramps Records 1972 -2022
Teatro Lirico Giorgio Gaber
Milano 6 aprile 2023
“Reportage” di Mario Eugenio Cominotti per MAT2020
Fredda serata di inizio primavera a
Milano, dopo un inverno più caldo del normale, ormai quasi senza pioggia
e senza nebbie, ora per lo più un ricordo ma qui un tempo più che abituali, se
non biglietto da visita per la mia vecchia e cara città in continua
trasformazione … dopo cinquant’anni mi ritrovo ancora qui, in Via Larga,
davanti al Teatro Lirico, e subito si innesca una catena di ricordi: le
gag di Mick Box al concerto degli Uriah Heep, la figura
spettrale di Vincent Crane all’Hammond con gli Atomic Rooster, la
chitarra elettrica suonata senza plettro dal biondo e barbuto chitarrista con Alexis
Corner insieme a Boz Burrell al basso, Mel Collins al sax e Ian
Wallace alla batteria (ero andato lì proprio per loro) dopo l’ennesima
diaspora dei King Crimson, il concerto perduto (per me, quella volta gli
spiccioli sudati al negozio di fotocopie da studente lavoratore, sempre lì in
Via Larga di fronte al Lirico, non mi erano proprio bastati) degli YES,
quelli di Yes Album, i miei preferiti … la Milano di Buscemi
dischi e del Rubino d’Essay, ma anche la Via Larga del sabato
pomeriggio spesso avvolta dal fumo dei lacrimogeni, mentre di corsa tiravamo
giù la saracinesca e correvo a mettere in salvo il mio “Benellino”, sempre
parcheggiato proprio davanti al negozio …
Cramps Records,
e la catena di ricordi mi esplode letteralmente nella testa, a partire dal nome
evocativo del mitologico sciamano e deus ex machina Gianni Sassi, senza
dimenticare anche il grandissimo Sergio Albergoni (Agenzia e Studio
grafico Al.Sa. Base di partenza di tutto con Gianni Sassi !), l’altro
elemento essenziale del Frankestein bifronte e rinato con il sodalizio
creativo della Cramps – tra storia e leggenda, proprio a loro si devono
oltre alle copertine alcuni dei testi più visionari degli Area (“l’estetica
del lavoro è lo spettacolo della merce umana” … ZYG !) e del primo Franco
Battiato (il mio preferito) di Pollution come “Il Silenzio del
Rumore” ... Cramps: tanti nomi, a partire proprio dagli Area
International Popular Group, Eugenio Finardi, Alberto Camerini,
Re Nudo e i Festival al Parco Lambro (come in un sogno
lontano quanto vissuto anch’io allora avevo suonato su quel mitico palco in ben
due edizioni della piccola grande Woodstock milanese con il “Rock Jazz urbano”
dei primi Mary Pompa grazie all’indipendente “l’Orchestra”).
Musa (come allora, nella Milano
degli anni ‘70, non “da bere” quanto forse da divorare ) e “brava
presentatrice” della serata è Giovanna Maria Coletti, in arte e ben più
conosciuta come Jo Squillo, cantautrice e quindi conduttrice televisiva,
storico Punk Rock tutto femminile con le Kandeggina Gang, nate a
Milano nel 1979 all'interno del centro sociale Santa Marta (… e anche
qui i miei ricordi volano lontano, fino a quel cortile nella casa occupata
in Santa Marta per il Concerto ancora con i nostri amati Mary Pompa nel 1978
per Radio Popolare … ), che avvolta in un corto e luccicante abito argentato saluta il pubblico
(… “pubblico di m…” per dirla alla Freak Antoni degli Skiantos,
in realtà una foltissima platea di attempati quanto un po' imbolsiti ma sempre nel
profondo ragazzi “alternativi” come allora, forse ormai un po' sazi e
sovrappeso ma ancora accesi dall’entusiasmo e dalla voglia di essere
controcorrente, costruire e accogliere il “nuovo”) e introduce con
simpatia e non senza nostalgia l’evento sul grande Palco del Teatro Lirico,
anch’esso rinato e intitolato all’indimenticabile “Signor G”, Giorgio
Gaber.
Inizia il set degli Area Open
Project, che si presentano sul palco in quintetto con un bel brano
originale dal loro recente lavoro dello scorso anno, che ci propone subito la
calda ed espressiva vocalità della Cantante Claudia Tellini nel non
facile compito di reinterpretare sul palco con grande personalità e tecnica le
parti vocali rimaste scolpite nella storia dalla voce unica di Demetrio
Stratos. Segue una bella rivisitazione di uno dei miei brani preferiti, “Cometa
Rossa”, dal secondo album “Caution Radiation Area”, che con il primo
è quello che più amo degli Area.
E’ ancora un grandissimo piacere
ascoltare il fluente e dirompente fraseggio di Patrizio Fariselli sempre
di gran classe e forza ritmica ed espressiva, sia al pianoforte che al piano
elettrico che ai sintetizzatori (suoni sempre rinnovati e calibrati con grande
gusto), così come riascoltare i paesaggi sonori e i temi incisivi, limpidi e
sempre attuali dei brani degli Area, soprattutto quelli dei primi
lavori, riproposti questa sera col nuovo quintetto e valorizzati dal pregio
degli interventi dei fiati di Stefano Fariselli (grande estro quanto precisione
chirurgica in ogni intervento oltre che dallo splendido timbro e fraseggio
soprattutto al sax Soprano, al clarinetto basso ed al flauto traverso), dai
vocalizzi jazzy di Claudia Tellini e dalla ritmica sostenuta da Marco
Micheli al basso e Walter Paoli alla batteria.
Si passa così al piatto forte della serata con la celebrazione del 50° Anniversario del magnifico primo album degli Area “Arbeit macht frei”, pubblicato nel 1973 con la Cramps, che verrà riproposto integralmente dal vivo con l’Area Open Project in quintetto in due set: il primo, subito, con “Consapevolezza” (sempre bellissima e attuale), “Arbeit macht frei” e “240 Km da Smirne”, il secondo, alla fine della serata, introdotto dall’omaggio a Franco Battiato con una intensa rivisitazione di “Povera patria”, con nell’ordine a seguire la dadaista “L’abbattimento dello Zeppelin”, la splendidamente straniante “Le labbra del Tempo” e la classica “Luglio, agosto, settembre (nero)”.
Jo Squillo introduce il set degli Skiantos, avanguardisti (tra punk, dada e futurismo) del rock demenziale e della “generazione della K”, ricordando il leader e frontman Freak Antoni, che ci ha lasciato nel 2014. Dalla sala qualcuno urla “Fai schifo!” prontamente ricambiato da Dandy Bestia che cita Freak Antoni con un “Avete Tutti delle bellissime facce tranne alcuni che poi indicherò…”. Tra un aneddoto e l’altro gli Skiantos infiammano e travolgono Teatro e pubblico (“di M…”) urlando e skitarrando a raffika “Eptadone”, “Diventa Demente (La Kultura Poi Ti Kura)”, “Io ti amo da matti (Sesso & Karnazza)” e “Largo all'avanguardia” dal primo album MONO tono (Cramps 1978), per concludere con il singolo dello stesso anno “Karabigniere Blues”.
Jo Squillo ricorda
come il Teatro Lirico nel lontano 1977 ospitò con la sua “Empty
Words” il grande John Cage, compositore, pianista e teorico
fondamentale per le avanguardie e la musica “colta” del ‘900, invitato qui tra
gli altri anche proprio da Gianni Sassi (anch’egli come John Cage
nel movimento “Fluxus”, ancora protagonista di una Mostra imperdibile al
Museo del ‘900 all’Arengario di Milano fino al prossimo 15
aprile) che con la Cramps aveva pubblicato all’epoca due suoi lavori.
Jo introduce quindi l’entrata in
scena di Eugenio Finardi, che ricorda così Gianni Sassi: “Artista
situazionista che creava situazioni, a volte anche di scontro, incontri estremamente
stimolanti, la grande capacità di Sassi era quella di creare sogni nella
mente di coloro con cui interloquiva … ma in realtà, la Sua grande attualità,
la Cramps: noi siamo ancora parte della Sua Opera situazionista, di questa Illuminazione
per creare una Casa discografica con principi completamente diversi … e l’ha sognata
proprio come un masso, un asteroide che precipitava nello stagno della
musica leggera italiana, e noi questa sera siamo ancora qua a celebrare
quell’Opera d’Arte, a portarla avanti…”. Eugenio Finardi prosegue
agganciando il discorso a quel lontano 1977 al Teatro Lirico come
ricordato prima da Jo, “La situazione più incredibile che Gianni sassi
ha potuto creare … il 2 dicembre del 1977 lui ha inventato un Concerto
di John Cage in questo Teatro, promuovendolo tanto bene da riempirlo
fino all’inverosimile di pubblico venuto per vedere questo Artista
contemporaneo di rottura senza avere la benché minima idea di cosa avrebbe
fatto…”.
“Empty Words”, è la terza
parte di uno scritto di Henry David Thoreau spogliato e destrutturato da
John Cage fino a rarefarlo in una distesa di suoni e silenzi (“ciò
che chiediamo è silenzio … non ho niente da dire e lo sto dicendo ...
Nothing to say …”). Al testo declamato in italiano con splendida sobrietà
dallo stesso Eugenio Finardi in solitudine di fronte alla platea del
teatro Lirico tanto affollata quanto in assoluto silenzio, segue la ripresa,
questa volta in inglese … “nothing to say” … con lo scintillante contrappunto al pianoforte del
Maestro Carlo Boccadoro (compositore, direttore d’Orchestra e molto altro
… e ancora con lui bellissimi ricordi … anni fa al Teatro Dal Verme di Milano,
con Carlo Boccadoro a dirigere magistralmente un brano di Frank Zappa
per Orchestra “speculare” con doppia sezione di percussioni all’estremità
di ognuno dei due lati) fino alla fine della performance … o del rituale … o
della pura magia.
Nuovo cambio di palco con
l’ingresso del polistrumentista, arrangiatore e direttore d’orchestra, Solista
e tuttora con la PFM, Lucio “Violino” Fabbri, che con tre
freschissimi “tributi” rivitalizza il pubblico ormai completamente ipnotizzato
dall’incantesimo situazionista appena creatosi in sala. I Tributi di Lucio
“Violino” Fabbri & Friends sono dedicati a tre importanti
Artisti del circuito innescato da Gianni Sassi con la Cramps e con le
collaborazioni realizzate tra tanti artisti. Al “Pane Quotidiano” di Alberto
Camerini seguono “Maestro della voce”, scritta con la PFM e dedicata
al grande Demetrio Stratos (Ora ai piedi delle tre torri di cristallo di
Citylife che svettano nel cielo della nuova Skyline milanese, tra gli alberi
del parco urbano, c’è una strada intitolata a Lui … Via Demetrio Stratos, maestro
della voce) e la conclusiva classicissima “Musica Ribelle”, “Inno” a
un’epopea giovanile composto da Eugenio Finardi e a lui dedicata tra
l’entusiamo del Pubblico.
Ancora l’argentea Jo Squillo
sul palco per presentare Andrea Tich e il suo set solista, dedicato al
suo primo album pubblicato nel 1978 con la Cramps. A detta dello
stesso Tich “Disco controverso, bizzarro … un po' strampalato”, quanto da
lui amato tanto, ancora oggi. Tich Attacca subito con la sonorità avvolgente ed
affascinante della chitarra acustica a 12 corde (… un po' come l’Hammond
o il Rhodes … timbriche che mi stregano al primo tocco …) per un soave “medley”
di brani dal primo disco, tra echi di tanto ottimo e raffinato folk rock
inglese, 12 corde sulla quale si inserisce subito con leggerezza una voce godibilissima
degna di un antico bardo che con delicata ironia ci trasporta in un mondo
parallelo, tra psichedelia acustica e ilarità surreale, muovendosi con grazia paradossale
in uno stranissimo, disinibito, provocatorio e inquietante “Paese delle
meraviglie” ancora più alternativo ... Pubblico entusiasta e gran bella
sorpresa per me che lo conoscevo solo di nome, subito chiaro come Gianni Sassi
avesse all’epoca deciso di arruolarlo prontamente nella Cramps!
Andrea Tich
prosegue divertendo il pubblico e rivelandosi anche un provetto affabulatore,
raccontando la storia di allora, con la nascita del a dir poco scandaloso titolo
del LP, peraltro praticamente imposto “d’ufficio” dallo stesso Gianni
Sassi, per il quale “chiamare un album con lo stesso nome dell’Artista
avrebbe portato sfiga”. Scelse così come titolo quello già attribuito alla
canzone finale: “Masturbati” … (!) titolo indubbiamente facile da ricordare ma
che, nonostante le buone recensioni da parte della critica, non facilitò certo
la promozione e la diffusione dell’album, oggetto di censure per anni a tutti i
livelli e che chiunque si vergognava a richiedere al commesso di qualsiasi
negozio specializzato. Si passa così al brano in questione, peraltro
musicalmente gradevolissimo, che chiude la performance di Tich, con il pubblico
che come richiesto “dà una mano” cantando il riff finale in coro insieme
ad Andrea Tich, che saluta tra gli applausi scroscianti del pubblico.
Torna sul palco Carlo Boccadoro,
per eseguire al pianoforte un sussurrato e meraviglioso brano di John Cage
del 1948, “Dream”, possibile antesignano della musica
d’ambiente che sarebbe seguita ben più tardi, quanto per me in buona, anzi
ottima parte, debitore o quantomeno erede della visionarietà di Erik Satie
con le sue ammalianti “Gymnopedie”, ancora con tutta la sala in
religioso silenzio dall’inizio alla fine per ascoltare il pianoforte “sfiorato”
dalle dita di Carlo Boccadoro.
Ancora John Cage,
protagonista – se non mattatore – di questa serata dedicata a Gianni Sassi
ed al 50° Anniversario della Cramps, con “0′ 00″ (4′ 33″ No. 2)”
del 1962 e prosieguo ideale della mitica (forse l’unico brano per il
quale John Cage è conosciuto dai più) 4:33 (per i pochi che non lo
sapessero il brano dove John Cage si sedeva al pianoforte senza toccare un
tasto per la durata di 4 minuti e 33 secondi) composta ben dieci anni prima. Prima
di iniziare l’esecuzione del brano (o meglio la performance) Patrizio
Fariselli legge al pubblico la “Partitura” di “0′ 00″ (4′ 33″ No. 2) “:
“In una situazione fornita di massima amplificazione (nessun feedback),
eseguire un'azione disciplinata (In a situation provided with maximum
amplification (no feedback), perform a disciplined action)”. Dopo di che Patrizio
viene raggiunto sul palco dal fratello Stefano Fariselli, si siedono entrambi
uno di fronte all’altro ad un piccolo tavolo; come tutto il Teatro in perfetto
silenzio – e con la massima amplificazione, come prescritto da John Cage in
partitura – estraggono un mazzo di carte e iniziano una partita a due,
Briscola? Scopa? … Tresette? … poco importa (difficile poi capirlo a quella
distanza) ma quello che conta oltre alla gestualità è il fruscio del mazzo di
carte mischiato, lo sbattere delle carte distribuite o delle prese, il tutto
nel totale silenzio e fino alla fine della performance, terminata la quale
tutti i componenti degli Area Open Project raggiungono i fratelli Fariselli
per la seconda e conclusiva parte del loro Concerto.
Tra gli applausi scroscianti gli Area
Open Project al completo vengono raggiunti sul palco da Jo Squillo
che ringrazia Stefano Piantini per la produzione e Roberto Manfredi per
la regia, oltre che per la collaborazione anche la rinata storica Rivista “Re
Nudo”, appena tornata nelle librerie con il nuovo primo numero. Mentre il
pubblico si alza in piedi anche Lucio “Violino” Fabbri raggiunge il
palco per concludere la grande serata – oltre tre ore di festa, musica, storia
e cultura - tra gli applausi, prima con un omaggio a Jimi Hendrix con la
sua “The Wind Cries Mary” che sfocia presto in un altro inneggiante classico
degli Area, “Gioia e Rivoluzione”.
La serata è andata oltre la mezzanotte e devo affrettarmi e correre in Duomo per “l’ultimo Metrò”, prima che la carrozza si trasformi in una zucca e debba farmela a piedi fino al capolinea. Serata davvero da ricordare, insieme alla Cramps, a Gianni Sassi ed a Tutti quanti … GDNGHT!
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