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domenica 10 settembre 2023

2 DAYS PROG + 1 – REVISLATE (No) 1-2-3 SETTEMBRE 2023-Il commento di Evandro Piantelli

 


2 DAYS PROG + 1 – REVISLATE (No) 1 – 2 -3 SETTEMBRE 2023

Di Evandro Piantelli

Fotografie di Enrico Rolandi e Ago Sauro

 

Il Festival Prog di Veruno, che dal 2021 ha trasferito la sua location a Revislate nel comune di Gattico-Veruno in provincia di Novara, a pochi chilometri dal Lago Maggiore, è giunto al quindicesimo anno. In realtà le edizioni sono state 14, perché nel 2020 causa COVID il festival non si è potuto tenere. Anche quest’anno la kermesse musicale, inserita nel Settembre Musicale Verunese che, oltre al prog, comprende anche appuntamenti di jazz e musica classica, prevedeva un programma molto ricco e articolato, con proposte che rappresentavano molte delle sfaccettature del genere, articolandosi in due location: il Forum 19 di Veruno per le proposte pomeridiane e il Campo sportivo di Revislate per il programma serale. Vediamo cosa è successo.

 

FORUM 19 DI VERUNO

 

Il piccolo ma ben attrezzato locale è utilizzato per quegli artisti (esordienti o navigati) che vogliono proporre la loro musica ad un pubblico ristretto ma attento. Il venerdì ha visto salire sul palco il gruppo emiliano CORMORANO, fondato nel 1975, e rimessosi insieme recentemente dopo che i suoi componenti avevano seguito altre strade. La musica della band si caratterizza per il particolare uso della voce da parte del cantante Raffaello Regoli (allievo del grande Demetrio Stratos) e propone una miscela di prog, jazz e sperimentazione, con un risultato sicuramente interessante. Il sabato ha visto gli VIII STRADA, una band lombarda attiva da molti anni, che esegue un prog venato di tinte metal (ma senza eccessi) e che ha proposto brani tratti dal repertorio più recente (dal CD “Babylon”), ma anche pezzi storici (“Leggenda”) e cover (“Luglio, agosto e settembre (nero)”), accolti molto bene dal pubblico presente. Domenica, invece, doppio appuntamento. Alle 16.00 i WILSON PROJECT di Acqui terme, vincitori del contest organizzato dalla trasmissione radiofonica Intervallo prog, che hanno presentato il loro ultimo lavoro “Il viaggio da farsi” del 2022, caratterizzato da sonorità genesisiane (hanno anche eseguito una cover di “Firth of Fifth”). Alle 16.45 c’è stata una esibizione unplugged di Frank Carducci e Mary Reynaud, che erano già stati ospiti al Forum nella passata edizione e che hanno intrattenuto piacevolmente i presenti con brani del repertorio dell’artista italo-francese e qualche cover, in un’atmosfera molto familiare e rilassata.

 

CAMPO SPORTIVO DI REVISLATE 

Sul palco principale ogni sera, a partire dalle ore 18.00, con una precisione svizzera (grazie anche alla direzione dell’esperta stage manager Daina Ventura), si sono esibite quattro band.

LA CRUNA DEL LAGO è stato il gruppo che venerdì ha aperto il Festival, proponendo principalmente pezzi tratti da quello che, finora, è l’unico lavoro pubblicato, cioè “Schiere di sudditi” del 2022, oltre ad un brano inedito. La musica di questa band si caratterizza per un suono robusto, classico e moderno allo stesso tempo, che si regge su due chitarre, basso, batteria e tastiere. I testi, cantati in italiano, sono di grande attualità e sono incentrati sulla condizione dell’uomo moderno, oppresso dal potere che lo ha ridotto, appunto, ad un mero suddito. A sorpresa La cruna del lago ha eseguito anche una struggente versione di una delle più belle canzoni di Franco Battiato, “Il re del mondo” ed ha concluso il concerto con l’epica “Mantide agnostica”. Nonostante l’ora l’esibizione è stata seguita con attenzione da un pubblico già numeroso che non ha lesinato applausi ad un gruppo che, a mio modestissimo parere, ci ha regalato una delle più belle esibizioni di questa edizione.

Personalmente uno dei gruppi che attendevo di pù erano gli scozzesi ABEL GANZ. La band, formatasi all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso (insieme ada altri gruppi di neo-prog quali Pallas, Pendragon e IQ), ha subito nel tempo molti cambi di formazione. Devo dire che le sonorità originarie sono state mantenute ed il quintetto ha proposto oltre un’ora di buona musica, attingendo soprattutto dall’ultimo lavoro pubblicato, cioè “The life of the honey bee and other moments of clarity” del 2020, ma anche dal disco del 2014 che porta il nome del gruppo e, addirittura, da “Back from the zone” del 2006. Un rock progressivo per niente datato, dove le tastiere sono importanti, ma dove si mette bene in evidenza anche il lavoro del chitarrista Jack Webb.

Gli O.R.K. sono un “supergruppo” nato dalla collaborazione di due musicisti italiani, il chitarrista Carmelo Pipitone (Marta sui tubi) ed il cantante/chitarrista LEF (al secolo Lorenzo Esposito Fornasari), con l’ex bassista dei Porcupine Tree Colin Edwin ed il batterista Pat Mastelotto (King Crimson e Stick Men, solo per citare alcune sue partecipazioni). Tuttavia, il musicista americano, impegnato in tour con un’altra band, non é potuto essere presente, ma è stato degnamente sostituito dalla virtuosa batterista bulgara Michaela Naydenova (Nervosa). La band (che ha al suo attivo quattro pubblicazioni, la più recente delle quali “Screamnasium” è del 2022) propone un metal-prog piuttosto originale e molto tecnico, di grande impatto e dalle sonorità molto pesanti, caratterizzato dagli assoli di chitarra di Pipitone, con tanta energia sul palco. Durante il proprio set gli O.R.K. hanno eseguito tredici pezzi, di cui ben undici tratti dall’ultimo album.

Quando sono saliti sul palco gli svedesi PAIN OF SALVATION a concludere la prima serata, il campo sportivo era pieno come un uovo, segno che una larga fetta di pubblico (soprattutto i più giovani) era venuto per loro. La band si è presentata con una formazione un po’ insolita, composta da due chitarre, tastiere e batteria, quindi senza bassista. Il leader Daniel Gildenlow (voce e chitarre) è un vero animale da palcoscenico e non si è minimamente risparmiato, come del resto i suoi compagni di avventura. I pezzi proposti provenivano per la maggior parte dall’ultimo album pubblicato dal gruppo, cioè “Panther” del 2020, ma non sono mancati i brani più datati, come la toccante “In the passing light of day”, dall’omonimo album del 2017. Un grande show appauditissimo dai presenti, dove però si sentiva la mancaza del basso, sopperita da un uso a volte prepotente delle tastiere e delle basi musicali. Nel complesso uno show accattivante.

Il sabato è stato aperto dal gruppo norvegese dei DIM GRAY, band composta da giovanissimi musicisti che propongono un interessante post rock dalle tinte pastello. Il gruppo (che si è meritato anche un articolo su Prog italia) ha all’attivo due interessanti lavori, “Flown” (2020) e “Firmament” (2023), dai quali ha attinto per proporre ai presenti tre quarti d’ora di buona musica. La band è composta da Hakon Hoiberg (chitarra e voce), Tom Ian Klungland (batteria) e Oskar Holldorff (tastiere e voce), che suonerà anche nei Big Big Train, gli highliners della seconda serata. Insieme ai tre membri originali della band hanno suonato con i Dim Gray anche un secondo chitarrista ed un bassista. Direi che questo gruppo ha rappresentato una piacevole sorpresa.

Anche il gruppo di Chicago dei DISTRICT 97, pur attivo dal 2008 è composto da musicisti piuttosto giovani, a partire dall’ottima cantantante Leslie Hunt. La band americana (che vanta collaborazioni con John Wetton e Mike Portnoy) ha all’attivo quattro album ed un quinto è in lavorarazione. Tecnicamente molto preparati propongono un sound apparentemente lontano dal genere prog, ma ascoltandoli bene si possono apprezzare passaggi musicali non convenzionali, con la sezione ritmica composta da Tim Seisser al basso e Johnatan Schang alla batteria sempre in primo piano. Musica forse non immediata, ma ricca di sfaccettature e con ottime parti vocali che in alcuni tratti ricordano (udite udite) i Gentle Giant. Un gruppo da tenere d’occhio.

I britannici PURE REASON REVOLUTION hanno nel loro DNA Pink Floyd e Porcupine Tree, ma elaborano in modo molto originale lo stile dei loro ispiratori, proponendo una musica venata di elettronica e rock. La band si era sciolta nel 2011, ma i suoi componenti dopo qualche anno di separazione si sono rimessi insieme nel 2019, pubblicando due album: Eupnea” (2020) e “Above cirrus” (2022). E proprio dagli ultimi lavori della band che proviene la maggior parte dei brani eseguiti sul palco del festival. Anche in questo caso l’elemento femminile, la cantante/tastierista Chloe Alper, si è messa in particolare evidenza, anche se nessuno dei mebri della band ha sfigurato. Nel complesso un’esibizione matura e convincente.

BIG BIG TRAIN. Gli headliners della seconda serata erano particolarmente attesi, per una serie di motivi. In primo luogo, perché si esibivano in Italia per la prima volta (un loro concerto era programmato nel 2020, ma fu annullato per la pandemia). In secondo luogo, perché, dopo la tragica scomparsa del cantante David Longdon avvenuta nel novembre del 2021, la band britannica ha inserito nel proprio organico il cantante italiano Alberto Bravin (ex PFM), con il quale ha già effettuato diversi concerti. Altro motivo è l’inserimento in organico per il tour della chitarrista italiana Maria Barbieri al posto di Dave Foster, impegnato a sua volta in tour con la Steve Rothery Band. Devo dire che fin dal brano iniziale “Folklore” (dall’album omonimo del 2016) i “nuovi” BBT non hanno deluso le aspettative. Progressive rock per palati fini, con venature cameristiche e folk, caratterizzato dalla presenza di una brass section di quattro elementi. In tutto ben undici musicisti sul palco: Gregory Spatow (basso – fondatore del gruppo), l’ex Spock’s Beard Nick D’Virgilio (batteria, voce, chitarra), il virtuoso Rikard Sjoblom (chitarre), Clare Lindley (violino) e Oskar Holldorff (tastiere), oltre a quelli già citati. Scaletta molto interessante con brani storici (“Hedgerow”, “East Coast Racer”, “Keeper of abbeys”) e più recenti, senza soluzione di continuità. Molto interessante il pezzo che ha visto Nick esibirsi alla batteria con la brass section e poi, lo stesso batterista, imbracciare la chitarra acustica per eseguire, accompagnato da Sjoblom alle tastiere la dolce “Telling the bees”. Il cantante triestino Alberto Bravin è apparso sicuro e pienamente inserito nella band, anche se il suo stile canoro è leggermente diverso da quello del suo predecessore. “Victorian brickwork” (da “The underfall yard” del 2009) ha concluso questa performance tanto attesa, confermando che questa band è una delle più interessanti dell’attuale panorama del progressive rock.

Domenica, ultima serata del festival. Si comincia con i genovesi IL SEGNO DEL COMANDO, band attiva dal 1995, che il primo settembre, in concomitanza con l’apertura del festival, ha pubblicato il suo ultimo lavoro dal titolo “Il domenicano bianco”. Musica intrisa di prog, metal, dark e hard rock (con testi in italiano), in una miscela molto originale, che conferisce alla band un sound unico nel suo genere. Il bassista Diego Banchero, un vero virtuoso del suo strumento, domina la scena, ma non sono da meno i due chitarristi Roberto Lucanato e Davide Bruzzi, il batterista Fernando Cherchi e il tastierista Beppi Menozzi. Una menzione a parte la merita il cantante Riccardo Morelllo, dalla voce calda e versatile. Pezzi dal nuovo disco e brani del repertorio storico della band per un concerto che ha aperto la serata veramente col botto.

I KARMAMOI sono un progetto del musicista romano Daniele Giovannoni e propongono un genere che deve molto ai Pink Floyd ma che, dopo la pubblicazione di ben cinque album (il primo, omonimo, è del 2011 e l’ultimo “Room 101” è del 2001) ha acquisito un’identità molto personale e riconoscibile,  con atmosfere dark e testi incentrati sull’attualità. Insieme a Daniele Giovannoni (batteria), sono saliti sul palco Alex Massari (chitarre), Valerio Sgargi (voce e tastiere) e Alessandro Cefalì (basso). Brani provenienti dalla vecchia e nuova produzione della band, che ha concluso il concerto con “Zealous man” tratta dall’ultimo disco. Esisbizione interessante, senza cadute di tono che il pubblico mi sembra abbia davvero apprezzato.

Gli UNITOPIA (che significa convivenza in un luogo ideale) sono una band che potremmo definire “multinazionale”, in quanto è composta da musicisti australiani, (il cantante Mark “Truey” Trueack ed il tastierista Sean Timms), inglesi (il chitarrista “Doctor” John Greenwood) e americani (il polistrumentista Steve Unruh (The samuray of prog) il bassista Alphonso Jonson (Weather Report) ed il batterista Chester Thompson (Genesis, Frank Zappa). Tuttavia, a poche settimane dall’inizio del tour europeo Johnson si è reso indisponibile e la band ha cercato un valido sostituto, trovandolo nell’americano Don Schiff, virtuoso del Chapman Stick Bass, con alle spalle collaborazioni con Elvis Presley e Tina Turner. Da una band del genere era logico aspettarsi un grande concerto. E così è stato. Gli Unitopia hanno pubblicato nel 2023 un album dal titolo “Seven chambers” che ha come tema la malattia ed è ispirato ad esperienze vissute da alcuni elementi della band. E la scaletta del concerto è stata prevalentemente incentrata sui pezzi dell’ultimo album, anche se non è mancata “The garden” dal disco omonimo ed anche un pezzo da “Artificial”. Musica “prog” nel vero senso della parola, con venature jazz-rock e tonalità malinconiche che ha ammaliato i presenti. Dopo il concerto ho incontrato Mark Trueack che mi ha raccontato come la malattia che ha avuto, la lotta e la guarigione lo abbiano profondamente inciso e, conseguentemente, ispirato per la realizzazione del nuovo disco, di cui è particolarmente orgoglioso. E come non essere d’accordo con lui!

Per gli OZRIC TENTACLES il 2023 coincide con il quarantesimo anno di attività, anche se il loro primo disco è del 1990. Negli anni la band ha subito molti cambi di formazione fino ad arrivare ad oggi dove il gruppo è diventata quasi un’impresa familiare, col padre Ed Winne (chitarra e tastiere) ed i figli Silas Winne (tastiere) e Brandi Winne (basso) con i quali si esibiscono on stage il talentuoso batterista svedese Stim Wallander e la flautista Saskia Maxwell. L’esibizione degli Ozric non lascia un attimo di respiro perché i pezzi sono eseguiti quasi senza soluzione di continuità. Sezione ritmica in grande evidenza, atmosfere che viaggiano tra il prog e la psichedelia con grandi tappeti di tastiere ed assoli di chitarra. Musica per viaggiare con la mente lontano dal pianeta Terra. Tutto bello? Quasi. Personalmente ho gradito l’esibizione della band, ma non posso nascondere che ho riscontrato una certa ripetitività che, alla lunga mi è pesata un po’. Comunque, tecnicamente questi musicisti sono bravissimi ed auguro il meglio alla “famiglia” Winne, che con il suo show ha chiuso degnamente la kermesse.

Cercando di fare un bilancio finale di questa edizione del festival bisogna dire che gli organizzatori, con in testa il patron Alberto Temporelli e la (non solo) presentatrice Octavia Brown, sonno stati molto coraggiosi ed hanno allestito un programma veramente originale e rappresentativo del Today’s Prog, inserendo gruppi che hanno interpretato questo stile musicale in modo diverso, partendo dal prog-metal (forse pù metal-prog) dei Pain of salvation per arrivare al prog venato di jazz-rock degli Unitopia, passando attraverso un gruppo difficilmente classificabile come i District 97. Sono certo però che ciascuno degli spettatori ha trovato a Revislate, contemporaneamente, qualcosa che già conosceva ed apprezzava e anche qualcosa di completamente nuovo, che lo ha incuriosito e lo spinto ad approfondire la conoscenza.

Lunga vita al 2 Days+1 Prog Festival di Veruno e all’associazione Ver1 Musica che lo organizza, perché di eventi come questo c’è grande bisogno.

Appuntamento all’anno prossimo per la sedicesima edizione!

 

 

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