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mercoledì 18 giugno 2025

RocKalendario del secolo scorso, di Riccardo Storti

 


RocKalendario del secolo scorso – Giugno 

Di Riccardo Storti


1955 – Il 18 giugno in Germania a Baden Baden, nella prestigiosa cornice del Festival della Società Internazionale della Musica Contemporanea, si tiene la prima esecuzione assoluta di Le Marteau sans maître di Pierre Boulez, una delle pagine più note dell’avanguardia musicale del Novecento. 

E qui c’entra Zappa perché questa composizione ha avuto un'influenza significativa sulla sua musica. Pensate che Zappa aveva acquistato da ragazzino una copia della registrazione di Le Marteau sans maître, accoppiata a Zeitmasse di Stockhausen sull'altro lato del vinile (due piccioni con una fava). In un articolo pubblicato su Hit Parader nel 1967, lo stesso Zappa dichiarò che l’opera lo aveva colpito in maniera totale. E se date una scorsa alle note di copertina di Freak Out, vi accorgerete che tra gli ispiratori del disco vi è anche Pierre Boulez.  

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1965 – Mattina del 14 giugno. Paul si alzò con quella musica in testa che non voleva andare via. Andò in cucina per preparare la colazione. Uova strapazzate con il bacon: ci sta. Canticchia il motivetto: “Scramble eggs…”. Ci sta anche questo. Bisogna sbrigarsi e vedere subito che accordi ci vogliono per questa melodia: il Fa maggiore suona bene. I piatti e le tazze sporche le avrebbe lavate in un altro momento. “Ciao, Jane… a più tardi.” In un attimo è al cospetto dell’amico George Martin per fagli ascoltare quell’idea. “Non sarebbe male un quartetto d’archi alla Schubert.” Intanto nel frattempo è arrivato anche un bel testo malinconico, quasi autunnale: “Yesterday, all my troubles seemed so far away…”.

Così nacque una delle canzoni più famose della storia della popular music (e anche la leggenda intorno alla sua genesi, che mi sono divertito a tratteggiare).

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1975 – “Era il 5 giugno del 1975. Ricordo che mi trovavo nei pressi degli Abbey Road Studios, così, senza pensarci troppo, entrai. Non era programmato. Mi attirava qualcosa lì dentro, un’energia familiare… o forse era solo la mia curiosità.

Quando sono entrato nella sala, c’erano i ragazzi — quelli con cui avevo iniziato a strimpellare — intenti a lavorare su un brano. Non so se mi riconobbero subito. Avevo la testa rasata, niente sopracciglia… e il corpo, beh, non era più quello di un tempo, avevo preso qualche chilo. Potevo sembrare chiunque. Credo che all’inizio mi abbiano scambiato per un tecnico o un tizio della casa discografica, forse un impiegato.

Stavano ascoltando un pezzo — qualcosa di lungo, ipnotico, malinconico. Mi sedetti lì in silenzio, senza dire molto. Non capii subito che quel brano parlava di me. Shine On You Crazy Diamond, lo chiamavano. Ironico, no? Essere presente, ma al contempo completamente altrove.

Più tardi quel giorno, mi feci vedere anche al ricevimento di nozze di David. Un po’ di musica, qualche volto sorridente… ma le parole mi sembravano lontane, come se arrivassero ovattate. Rimasi poco. Non serviva dire nulla. Quella fu, per molti di loro, l’ultima volta che mi videro. Ma per me, in un certo senso, ero già sparito da tempo.” (apocrifo barrettiano)

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1985 – «Credevo totalmente negli Style Council. Nei primi anni ne ero ossessionato. Ci vivevo dentro, respiravo ogni cosa. Ogni parola la intendevo davvero, ogni gesto lo sentivo profondamente. Our Favourite Shop ne è stata la realizzazione.» Così parlò Paul Weller. E quell’album – uscito l’8 giugno - fu veramente un capolavoro firmato insieme all’altro sodale della band, Mick Talbot. Chi, come me, all’epoca sedicenne, guardava con diffidenza al soul, al funky e al R’n’B, ormai veicolati dal pop elettronico, dovette ricredersi, perché in quel loro negozio preferito, già dalla copertina si capiva tutto. Tra le carabattole si scorgeva un mondo mod lontano quasi due decenni e quei visi, quelle icone, quei simboli erano un richiamo verso tale tradizione, senza perdersi troppo in preconcetti ideologico-musicali. Poi, appena posai il disco sul piatto, per tutta la stanza sprizzò un caleidoscopio musicale di variegati elementi: easy listening (Homebreakers), Motown (Come to Milton Keynes, Luck e Walls Come Tumbling Down!), ritmi latini (All Gone Away e With Everything to Lose), pop (Boy Who Cried Wolf e A Man Of Great Promise), funk/punk (Internationalists), waltz jazz (Down In The Seine), acid jazz (la title track), soul disco (The Lodgers (Or She Was Only a Shopkeeper's Daughter)) e ballad dall’accompagnamento cameristico (A Stones Throw Away). 

Un bel frullato che, però, manteneva inalterato un sapore squisitamente british. I testi, inoltre, denunciavano ciò che non andava, avvallando la necessità di credere in qualcosa di nuovo e più profondo, nonostante un decennio troppo easy. Di lì in avanti non abbandonai mai più The Modfather e, in men che non si dica, scoprii pure gli Who. Che strana vita era quella di un adolescente post-beatlesiano a metà degli anni Ottanta!

Ah, per la cronaca, in quel giugno del 1985 uscirono anche: Misplaced Childhood dei Marillion, Fables of the Recostruction dei R.E.M., The Dream of the Blue Turtles di Sting e Steve McQueen dei Prefab Sprout.

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1995 – In un decennio dominato da chitarre grunge, britpop e contaminazioni elettroniche mainstream, Björk pubblica Post, un album che suona come un messaggio dal futuro. Se il suo debutto solista (Debut, 1993) aveva già mostrato la voglia di rompere con le convenzioni del pop, Post è il momento in cui l’islandese si libera completamente da ogni forma predefinita, costruendo un mondo musicale stratificato, sorprendente e personale. L’album è una miscela sorprendente di elettronica, trip-hop, industrial, jazz e orchestrazioni, resa possibile grazie alla collaborazione con produttori come Tricky, Howie B e Nellee Hooper. 

Ogni brano è un piccolo universo sonoro: è un’esperienza unica quella di partire da Hyperballad (sospesa tra beats elettronici e malinconia) per arrivare ad un personale omaggio al jazz orchestrale con It’s So Quiet. Ancora oggi, Post resta uno dei manifesti più audaci degli anni ’90: un album che non si limita a seguire le mode, ma le crea (magari nella nicchia).

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martedì 17 giugno 2025

Pink Floyd: accadeva il 17 giugno 1981



Si concludeva il 17 giugno 1981, al Earls Court di Londra, dopo 5 concerti consecutivi, il tour di “The Wall”, dei Pink Floyd, uno spettacolo enorme per l'epoca!
Fu anche l'ultimo concerto di Roger Waters con la band.

Di tutto un Pop…
Wazza

Pink Floyd, The Wall, Earls Court i London 1981

17 giugno 1981 a Earls Court, Londra, i Pink Floyd tengono l’ultimo dei trentuno concerti del tour di “The Wall” (iniziato il 7 febbraio del 1980), uno spettacolo musicale e teatrale unico nel suo genere, dove (tra tutte le altre soluzioni sceniche e scenografiche) viene costruito un muro gigante (e poi abbattuto) e nel quale la band suona l'album nella sua interezza. 

Quello del 17 giugno a Earls Court sarà l'ultimo concerto di Roger Waters con la band.














Compie gli anni Guy Evans, batterista dei VdGG


Compie gli anni oggi, 17 giugno, Guy Evans, batterista e "generatore di ritmo" dei mitici Van Der Graaf Generator, anche lui di Birmingham (vera fabbrica di batteristi), come John Bonham e Barriemore Barlow.

Oltre ad essere un bravissimo percussionista Guy, come David Jackson, si occupa della realizzazione di musica per bambini disabili.

Poco appariscente, ha suonato e collaborato con molti artisti (elencati a fine articolo)

Happy Birthday Guy!
Wazza


 VdGG drummer Guy Evans in 1964 playing with The Marines (his third band), a Merseabeat-ish r&b outfit. Photo taken at an Old Edwardians Rugby Club party (outfits courtesy of King Edward's School Birmingham Cadet Corp Navy Section)


 Van der Graaf Generator, June 1970. Upstairs at the Royal Festival Hall (London, England)

Evans, Jackson, Hammill. Van der Graaf Generator @ Victoria Palace (London). July 27, 1975


Collaborazioni

Con Peter Hammill:

·         Fool's Mate (1971 album)

·         Chameleon in the Shadow of the Night (1973 album)

·         The Silent Corner and the Empty Stage (1974 album)

·         In Camera (1974 album)

·         Nadir's Big Chance (1975 album)

·         Enter K (1982 album)

·         Paradox Drive / Now More Than Ever (1982 singolo)

·         Patience (1983 album)

·         Film Noir / Seven Wonders (1983 singolo)

·         The Margin (1985 album)

Con Charlie and The Wide Boys:

·         Gilly I Do (1974 EP)

·         Great Country Rockers (1976 album)

Con Footsbarn Present's:

·         The Circus Tosov (1980 album)

Con Didier Malherbe e Yan Emerich:

·         Melodic Destiny (cassette only album)

Con Mother Gong:

·         Robot Woman (1982 album)

·         Rober Woman 2 (1982 album)

·         Words Fail Me (1982 cassette only)

·         Live At Glastonbury 1981 (1982 cassette only)

Con gli Amon Düül II:

·         Meetings With Men Machines (1982 album)

·         Die Lösung (1989 album)

Con Nigel Mazlyn Jones:

·         Breaking Cover (1982 album)

·         Water From The Well (1987 cassette only album)

·         Angels Over Water (1993 album)

·         Behind the Stone (2002 album)

Con Peter Blegvad:

·         Knights Like This (1985 album)

·         U Ugly I (1985 single)

·         Special Delivery (1985 singolo)

Con Frank Tovey:

·         Snakes And Ladders (1986 album)

Con David Jackson e Hugh Banton:

·         Gentlemen Prefer Blues (1986 album)

·         Now And Then (1988 album)

Con Kazue Sawai:

·         Eye To Eye (1987 album)

Con Anthony Phillips e Harry Williamson:

·         Tarka (1988 album)




lunedì 16 giugno 2025

Gianni Nocenzi: accadde il 16 giugno del 2016


Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per sé stessi, per la propria dignità.
(Oriana Fallaci)

Appare doveroso ricordare questo splendido concerto tenuto da Gianni Nocenzi il 16 giugno 2016, nella Cattedrale di San Clemente a Velletri, per la raccolta fondi a favore dell'Associazione Italiana Persone con Sindrome di Down"dei Castelli Romani.


E' cosi buono Gianni, ma...

"La   bellezza  è l'insieme delle qualità percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli che attribuiamo a concetti, oggetti, animali o persone nell'universo osservato, che si sente istantaneamente durante l'esperienza, che si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi ad un contenuto emozionale positivo, in seguito ad un rapido paragone effettuato consciamente o inconsciamente, con un canone di riferimento interiore che può essere innato oppure acquisito per istruzione o per consuetudine sociale.
Nel suo senso più profondo, la bellezza genera un senso di riflessione benevola sul significato della propria esistenza dentro il mondo naturale."

Questo e quello che ho provato venerdì sera dentro la Cattedrale di San Clemente, a Velletri, durante il concerto di Gianni Nocenzi.
Degno finale di due giorni dedicati ai "Percorsi di autonomia e di eccellenza nella disabilità", un concerto per raccogliere fondi per A.I.P.D. (Associazione Italiana Persone con sindrome di Down dei Castelli Romani). Un piano a coda davanti all'altare nella suggestiva cattedrale, anche gli angeli affrescati ai muri sembra che non aspettino altro di sentirlo suonare.
Occasione per riascoltare alcuni brani di quel capolavoro che si chiama "Miniature".
Gianni suona con il cuore, con la passione, la consapevolezza che la musica serva a smuovere coscienze, e visto il luogo è proprio il caso di dire che la gente ascolta con "religioso silenzio".
Il volo delle "Farfalle" si percepisce attraverso le sue note. La solidarietà è fatta dalle persone, Gianni ce la porta attraverso il suo linguaggio, ci insegna che, se puoi dare o fare qualcosa non devi tirarti indietro.
Solo "contro" tutti, sul filo senza rete, lui e il pianoforte. L'arte a disposizione dei più deboli, il "bello di essere diversi". Gianni ancora una volta dimostra la sua grande sensibilità verso certi temi, la solidarietà si materializza in emozioni dentro ogni persona presente.
Finale dedicato alla sua gioventù, a quella scuola di vita e di pensiero chiamata "Banco del Mutuo Soccorso" ...750.000 anni fa l'amore e Traccia II ci avvolgono, ci fanno riflettere a quanto siamo fortunati rispetto ad altre persone e non ce ne rendiamo conto.
E' cosi buono Gianni, ma... dovremmo dedicare più tempo alla solidarietà, a queste associazioni e volontari che spendono le loro energie per permettere una "vita normale" a queste persone, dobbiamo "Invertire la rotta", come dal titolo del convegno.
Grazie ancora alla bellezza che Gianni Nocenzi ci ha dedicato, peccato per gli "amici", (abitanti nei paraggi) assenti la solidarietà non si fa con i "mi piace"!
Wazza


domenica 15 giugno 2025

Phil Selvini and the Mind Warp – “T.E.T.R.U.S.” -Commento di Alberto Sgarlato

 


PHIL SELVINI & THE MIND WARP

T.E.T.R.U.S. (cliccare per l'ascolto)

(Luminol Records, 2025)

5 tracce | 56.42 min.

di Alberto Sgarlato

 

Phil Selvini, chitarrista e cantante che non disdegna incursioni tra i tasti del Mellotron ed esperimenti tra svariate diavolerie elettroniche, presenta la sua nuova formazione, denominata Phil Selvini & the Mind Warp.

Ad affiancare questo artista, da tempo già ben noto nella scena progressiva e neopsichedelica italiana e internazionale, troviamo Leonardo Spampinato alla chitarra, Davide Sebartoli alle tastiere, Francesco Scordo al basso e Leonardo Puglisi alla batteria.

Il quintetto presenta un album d’esordio intitolato T.E.T.R.U.S., acronimo di Time, Eternal, Try, Redemption, Unique, Shine. Parole che potrebbero, a una prima lettura, apparire abbinate in modo casuale; ma per coglierne l’essenza è necessario conoscere il “concept” che le lega. L’album è infatti stato concepito in periodo di pandemia e sembra quasi voler descrivere o proiettare il malessere (psicologico, morale, fisico) che albergava in tutti noi in quel periodo in una sorta di entità mostruosa pronta a dominare e schiacciare il Mondo, uno Chtulu lovecraftiano rivisitato attraverso gli stati d’animo di quei giorni.

Quindi paura, angoscia, inquietudine, sì: ma anche voglia di rinascita e di riscatto, con la certezza che l’umanità sarebbe sopravvissuta anche a quella Apocalisse.

L’album si apre con i 9 minuti di “To make ends meet”: un cantato acuto e arpeggi chitarristici puliti evocano i Radiohead, ma ben presto il tutto si indurisce fino a virare verso sonorità care ai King Crimson di “Red”. Accelerazioni, canto su voci armonizzate e crescendo che si rincorrono nel corso della traccia in un equilibrio tra rock progressivo classico, neo-psichedelia, alternative rock e post-rock, verso una lunga, impalpabile, rarefatta coda.

I 5 minuti di “Reverie” iniziano come una ballad affidata allo strumming della chitarra acustica. Ma è con l’entrata di un ricco parco-tastiere, tra i barocchismi dell’Hammond, i piccoli tocchi del piano elettrico e i sussulti melanconici del Mellotron che il brano assume la sua connotazione più progressiva, con un bel tema melodico strumentale di chitarra a far le veci del cantato. Una sezione centrale riporta tutto tra le spigolosità del math-rock, per poi fare riaprire il brano con il ritorno alle atmosfere iniziali.

Proseguiamo con “Riding the fog”: qui l’autore ci fa respirare tutte le atmosfere di una soft-ballad d’altri tempi, sempre in bilico tra prog, hard-rock e psichedelia e sempre in equilibrio tra momenti più intimisti e altri più sanguigni. Echi di Pink Floyd, certo, ma persino dei Led Zeppelin e degli Uriah Heep più romantici.

Con “The last 48 hours”, la band abbraccia ancora un’altra via: quella della ballad pianistica. Tutto giocato su chiaroscuri delicatissimi, al punto da evocare a tratti persino lo spettro del compianto Mark Hollis, mentre il gemito sofferto della slide guitar richiama nuovamente ai Pink Floyd.

Ma è con la monumentale suite finale che dà anche il nome alla band, “The Mind Warp”, appunto, che il collettivo svela il meglio di sé: circa mezz’ora di musica costantemente giocata tra arpeggi delicatissimi e riff poderosamente infuocati, melodie affidate a un cantato “acido”, intermezzi “matematici” fatti di precisione e velocità, momenti cupi e “liturgici” la cui sacralità farà tremare i polsi ai fans dei Van der Graaf, situazioni più lente, scolpite in una granitica cupezza, quasi al limite del doom o dello stoner.

Un album che farà felici tanto i progsters più conservatori quanto quelli più innovatori e rivoluzionari, grazie alla sua capacità di volteggiare tra generi e stili senza apparire mai tedioso o calligrafico, ma sempre forte di una cospicua dose di freschezza e originalità compositiva.

Phil Selvini & The Mind Warp:

https://www.facebook.com/filipposelvini 

Luminol Records:

http://www.luminolrecords.com



Usciva il 15 giugno 1979 l'album "Florian", de Le Orme


Usciva il 15 giugno 1979 l'album "Florian"decimo album in studio di Le Orme.

Pochi capirono questo cambiamento radicale nel sound del gruppo. L'idea venne a Toni Pagliuca, conscio che il punk ed altri stili musicali stavano affossando il progressive rock. Una "protesta", non usare strumenti elettrici e dedicarsi a strumenti acustici alternativi - violino, violoncello, vibrafono, clavicembalo -, una svolta sottolineata dall'amaro testo di "Fine di un viaggio".

Un disco da rivalutare e da ascoltare!
Wazza



RENZO ARBORE RECENSISCE LE ORME
dalla rivista «Il Monello» (1979)

È sempre con un pizzico di nostalgia che, ogni tanto, accolgo qualche nuovo disco di qualche «vecchio» gruppo pop. Certo, la parolina non è più di moda, il pop pare definitivamente morto e sepolto da noi, cosa quasi incredibile se si pensa alla autentica «febbre» dei primi anni Settanta, quando a partire da un memorabile «Festival dell'avanguardia e nuove tendenze» in quel di Viareggio, finalmente ci si contò.

Ai giovanissimi ricordo solo che era etichettata come «pop» la musica rock, quella di ispirazione classicheggiante, quella di ispirazione jazzistica e folk che decine e decine di gruppi andavano facendo in quegli anni, tutti protesi a sperimentare, a «trovare un loro genere e un loro spazio musicale», tutti attivissimi e frenetici, casomai divisi e concorrenti ma uniti da un unico invisibile filo che era quella «voglia matta» di fare musica diversa, nuova.


Oggi, come ho già detto altre volte, pochissimi i superstiti. I New Trolls (nominati per primi per anzianità) le Orme, il Banco del Mutuo Soccorso, la Premiata Forneria Marconi e qualche altro. A tutti, più o meno, il sottoscritto si sente legato da esperienze comuni, dal fatto di aver percorso e vissuto lo stesso «pezzo di vita», dagli entusiasmi per questo o quel disco nuovo.
Tra i più anziani, i quattro ragazzi delle Orme, quei veneti che, dopo aver debuttato con delle canzoni da «disco per l'estate», facili facili (ma sempre con un certo gusto) buone per il mercato, avevano gettato tutto alle ortiche per una musica più impegnativa, più nuova e ricca di fermenti. Quella di quest'anno è una ricorrenza, per le Orme. Il loro compleanno importante, quello dei dieci anni di vita. Una lunghissima vita se si pensa a quanti gruppi sono nati e sono morti nello stesso periodo di tempo. Dieci anni che le Orme hanno vissuto a tempo pieno, anche quando sono stati assenti dalle scene.
Loro principale caratteristica e loro encomiabile qualità, infatti, è sempre stata quella di ritirarsi ogni tanto e meditare, a rinnovarsi, a studiare, rinunciando a sicuri successi, a danaro. Segno che, per loro, innanzitutto viene la «musica», la voglia di fare musica «importante» e poi il mestiere. Cosa non facile oggi che, appena entrato in un ingranaggio discografico, sei quasi costretto ad assecondarlo, preso dalla routine, dagli impegni e da tutto il resto.


Così, tanto per prepararsi a festeggiare il decennale, il gruppo de Le Orme, dopo aver «sperimentato» le lusinghe della musica più o meno elettronica, si è fermato a studiare la strumentazione propria e lo sviluppo futuro da dare alla loro musica. E così Aldo Tagliapietra ha approfondito lo studio del violoncello, Germano Serafin il violino, Michi Dei Rossi alcuni strumenti «percussivi» come la marimba, lo xilofono e il vibrafono e Tony Pagliuca il «vecchio» pianoforte. Tutti strumenti «acustici» come vedete, lontani da quei marchingegni che pure avevano avvicinato nelle loro precedenti esperienze. E i quattro spiegano di essere delusi dall'elettronica che «eccita sì la fantasia ma impedisce il cervello e le mani».

Quindi, il rientro in Italia, dopo aver registrato tutti i precedenti album nei migliori studi di Los Angeles, Parigi e Londra. Un ritorno a casa in piena regola, visto che il loro nuovo disco è stato interamente registrato a Mestre, e senza tanti accorgimenti tecnici che avrebbero «impigrito il cervello e le mani». E «un ritorno a casa» anche nella musica, visto che il disco viene intitolato «Florian», come il celeberrimo caffè di Piazza San Marco, ritrovo di intellettuali e di appassionati di musica, con quelle inconfondibili orchestrine che ripropongono classici della musica «seria», melodie «immortali» e valzer nostrani e europei. Quindi anche da parte delle Orme, un riscoprire le loro origini musicali (oggi si parla di «radici») e di tornare ad essere affascinati dal classico, dalla musica ispirata a quella dei grandi maestri.

Così, Florian è un disco «sentito», affascinante se ascoltato con attenzione, ricco di atmosfere e oggi assolutamente inconsueto, tra la «disco-music» da una parte e il rock dall'altra. Buon compleanno!!!



sabato 14 giugno 2025

PFM: accadeva il 14 giugno 1974


Nella copertina di "Ciao 2001" del 14 giugno 1974, è immortalata la PFM e la "trionfante" tournèe inglese dal 6 al 27 maggio 1974.

Sponsorizzati da Greg Lake, e con la collaborazione di Pete Sinfield, la PFM sbalordisce il pubblico inglese facendolo "ricredere" sul concetto radicato di etichettare la band italiane con lo "spaghetti rock".

Questi concerti  aprirono le porte per un lungo tour in Giappone e Stati Uniti...
Di tutto un Pop…
Wazza




14 giugno 1979-Concerto per Demetrio

Sono passati 46 anni da quel concerto tenuto all'Arena Civica di Milano, il 14 giugno del 1979.
Un raduno di tanti artisti per sostenere le spese ospedaliere per Demetrio Stratos, ricoverato in America per una forma acuta di leucemia.
Purtroppo Demetrio Stratos ci lasciò, proprio il giorno prima, e il concerto diventò un "epitaffio"!
Per non dimenticare…
Wazza



1979 - 14 giugno - Milano - Arena - Concerto per Demetrio Stratos  - Francesco Di Giacomo (Banco del Mutuo Soccorso)

1979 - 14 giugno - Milano - Arena - Concerto per Demetrio Stratos - L'esibizione della Venegoni Co.


venerdì 13 giugno 2025

Demetrio Stratos: era il 13 giugno del 1979

La voce di Stratos non era una voce, era uno strumento in grado di passare con disinvoltura dall’r&b al rock fino a sperimentazioni inaudite nelle quali il canto si faceva lamento, si trasformava in flauto o sirena, tornava bambino. A volte spaziava in territori così distanti dall’ordinario che si fa fatica a riconoscere come voce quel suono incredibile che scaturisce dal corpo del suo creatore, tra diplofonie e trifonie (ovvero la produzione di due o tre suoni simultaneamente) e i picchi inauditi di 7000 Hz.”

Il 13 giugno (come il 21 febbraio) dovrebbe essere giorni di lutto nazionale per la cultura italiana: una leucemia fulminante ci privava “fisicamente” di Demetrio Stratos, indimenticabile voce e persona eccezionale.

Gli “amici” artisti il giorno dopo gli dedicarono il concerto organizzato in precedenza per una raccolta fondi, utile ad affrontare le cure in USA, ma non ce ne fu il tempo…

Per non dimenticare…

Wazza


Dalla rete Francesco Cirillo- foto Renzo Chiesa...

Il 13 giugno del 1979 morì quasi all’improvviso all’età di 34 anni Demetrio Stratos, uno degli artisti più talentuosi e avanguardistici che si ebbero mai nel nostro paese. Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1945 da genitori greci, Efstràtios Dimitrìu, si trasferì diciasettenne a Milano per studiare architettura. Dopo l’esperienza con il gruppo beat de I Ribelli, nel 1972, fondò gli Area, uno dei gruppi cardine del progressive italiano e politicamente schieratissimo a sinistra. Nel giro di soli sei anni e cinque album in studio la band marchierà a fuoco la musica italiana, ma nel 1978 Stratos decise di perseguire ricerche artistiche personali basate su sperimentazioni vocali che lo porteranno a girare il mondo e collaborare anche con John Cage.

Colpito poco dopo da una grave forma di anemia aplastica, malattia causata dalla mancata riproduzione delle cellule da parte del sangue, venne ricoverato al Memorial Hospital di New York in attesa di un trapianto di midollo osseo. Per raccogliere fondi per far fronte alle astronimiche spese di degenza (che ad oggi sarebbero pari a circa 10.000 € alla settimana), Gianni Sassi della storica etichetta Cramps che lanciò gli Area nel 1973, organizzò in un paio di settimane un faraonico concerto all’Arena Civica di Milano; purtroppo le condizioni di salute del cantante precipitarono e Demetrio Stratos morì beffardamente proprio il giorno prima dell’evento a soli 34 anni.

Francesco Di Giacomo

Il concerto che doveva essere in sostegno al grande artista italo-greco prese così una dimensione inaspettatamente tragica, diventando una celebrazione alla sua memoria. Nella lista dei musicisti raccolti da Gianni Sassi (tutti esibitisi gratuitamente) c’è un po’ di tutto «Gente che c’entra e gente che non c’entra un cazzo» come commenterà Patrizio Fariselli (tastierista degli Area). Si radunarono sin dal giorno precedente oltre 60.000 spettatori in attesa dell’evento, la maggior parte dei quali non aveva mai sentito parlare né di Demetrio Statos né degli Area, non avevano mai sentito diplofonie e non avevano la benché minima conoscenza della musica d’avanguardia.

PFM

Tutti questi vennero attratti solo dai nomi dei cantautori più popolari in scaletta aspettandosi un classico concerto pop-rock. Come se non bastasse l’evento fu il pretesto di molti artisti per mettersi in mostra, adombrando la figura stessa di Demetrio Stratos (persino gli Area vennero reclusi a brevi partecipazioni all’inizio e alla fine dell’evento), mostrando sin da subito su quel palco l’enorme vuoto che aveva appena lasciato nella musica italiana. Così ricorda l’evento il chitarrista Paolo Tofani che all’epoca aveva da poco lasciato gli Area: «Molte delle persone che parteciparono a quel concerto non avevano niente a che fare nè con gli Area nè con Demetrio. È stato un momento di grande tristezza per il vuoto che aveva lasciato Demetrio e poi c’era la consapevolezza di vedere che c’erano delle persone che usavano quel momento per potere in qualche modo fare il “loro verso”. Io ad esempio sono stato messo in un furgone, in uno studio mobile a registrare. Ero triste e arrabbiato e solo alla fine mi chiamarono sul palco a suonare con gli Area “L’internazionale”».

Di Cioccio Venditti

I nomi più noti sono sicuramente quelli di Eugenio Finardi, Francesco Guccini, Angelo Branduardi, Roberto Vecchioni (accompagnato da Ludovico Einaudi alle tastiere) e Antonello Venditti (accolto da un freddo applauso di circostanza del pubblico), mentre la quota “progressiva” viene coperta da P.F.M. (che se la ridono beatemente sul palco), Banco (emozionante l’eterea ed enigmatica versione di Lungo il margine e di E mi vien da pensare) e ovviamente gli Area che eseguono una versione sempre più dissonante de L’internazionale, perfetto commiato all’amico scomparso e alla fine del decennio. Oltre a questi troviamo anche nomi poco ricordati della musica di allora, come Venegoni & Co., il supergruppo Carnascialla con con Tony Esposito, il proto-punk dei Kaos Rock di Luigi Schiavone (appena arrivati sotto l’ala protettrice della Cramps e buttati nella mischia), i pianisti d’avanguardia Adiano Bassi e Italo Lo Vetere.

Ciotti – Treves - Einaudi

Nella baraonda generale troviamo anche l’ibrida Tarantella del vibrione di Gaetano Liguori e Tullio De Piscopo, la performance degli Skiantos che non suonarono una sola nota ma si misero a leggere poesie demenziali davanti ad un pubblico attonito e la tristemente famosa esibizione di Giancarlo Cardini, probabilmente l’ospite più interessante ed originale, ricordato tristemente per essere stato sommerso da una valanga di fischi da parte del pubblico durante l’esibizione della sua Solfeggio parlante che, ironia della sorte, sarebbe dovuta essere stata registrata da Demetrio Stratos se non fosse deceduto. 

Avrebbero dovuto partecipare anche Pino Daniele che chiese di esibirsi ma non gli fu permesso perché all’epoca era ancora uno sconosciuto cantautore napoletano e persino Adriano Celentano che contattò gli organizzatori, ma gli fu risposto un gentile diniego perché era troppo diversa la sua musica rispetto agli altri partecipanti.