PHIL SELVINI & THE MIND WARP
T.E.T.R.U.S. (cliccare per l'ascolto)
(Luminol Records,
2025)
5 tracce | 56.42 min.
di Alberto Sgarlato
Phil Selvini, chitarrista e
cantante che non disdegna incursioni tra i tasti del Mellotron ed esperimenti
tra svariate diavolerie elettroniche, presenta la sua nuova formazione,
denominata Phil Selvini & the Mind Warp.
Ad affiancare questo artista, da tempo già
ben noto nella scena progressiva e neopsichedelica italiana e internazionale,
troviamo Leonardo Spampinato alla chitarra, Davide Sebartoli alle
tastiere, Francesco Scordo al basso e Leonardo Puglisi alla
batteria.
Il quintetto presenta un album d’esordio
intitolato T.E.T.R.U.S.,
acronimo di Time, Eternal, Try, Redemption, Unique, Shine. Parole che
potrebbero, a una prima lettura, apparire abbinate in modo casuale; ma per
coglierne l’essenza è necessario conoscere il “concept” che le lega. L’album è
infatti stato concepito in periodo di pandemia e sembra quasi voler descrivere
o proiettare il malessere (psicologico, morale, fisico) che albergava in tutti
noi in quel periodo in una sorta di entità mostruosa pronta a dominare e
schiacciare il Mondo, uno Chtulu lovecraftiano rivisitato attraverso gli stati
d’animo di quei giorni.
Quindi paura, angoscia, inquietudine, sì: ma
anche voglia di rinascita e di riscatto, con la certezza che l’umanità sarebbe
sopravvissuta anche a quella Apocalisse.
L’album si apre con i 9 minuti di “To make
ends meet”: un cantato acuto e arpeggi chitarristici puliti evocano i
Radiohead, ma ben presto il tutto si indurisce fino a virare verso sonorità
care ai King Crimson di “Red”. Accelerazioni, canto su voci armonizzate e
crescendo che si rincorrono nel corso della traccia in un equilibrio tra rock
progressivo classico, neo-psichedelia, alternative rock e post-rock, verso una
lunga, impalpabile, rarefatta coda.
I 5 minuti di “Reverie” iniziano come
una ballad affidata allo strumming della chitarra acustica. Ma è con l’entrata
di un ricco parco-tastiere, tra i barocchismi dell’Hammond, i piccoli tocchi
del piano elettrico e i sussulti melanconici del Mellotron che il brano assume
la sua connotazione più progressiva, con un bel tema melodico strumentale di
chitarra a far le veci del cantato. Una sezione centrale riporta tutto tra le
spigolosità del math-rock, per poi fare riaprire il brano con il ritorno alle
atmosfere iniziali.
Proseguiamo con “Riding the fog”: qui
l’autore ci fa respirare tutte le atmosfere di una soft-ballad d’altri tempi,
sempre in bilico tra prog, hard-rock e psichedelia e sempre in equilibrio tra
momenti più intimisti e altri più sanguigni. Echi di Pink Floyd, certo, ma
persino dei Led Zeppelin e degli Uriah Heep più romantici.
Con “The last 48 hours”, la band
abbraccia ancora un’altra via: quella della ballad pianistica. Tutto giocato su
chiaroscuri delicatissimi, al punto da evocare a tratti persino lo spettro del
compianto Mark Hollis, mentre il gemito sofferto della slide guitar richiama
nuovamente ai Pink Floyd.
Ma è con la monumentale suite finale che dà
anche il nome alla band, “The Mind Warp”, appunto, che il collettivo
svela il meglio di sé: circa mezz’ora di musica costantemente giocata tra
arpeggi delicatissimi e riff poderosamente infuocati, melodie affidate a un
cantato “acido”, intermezzi “matematici” fatti di precisione e velocità, momenti
cupi e “liturgici” la cui sacralità farà tremare i polsi ai fans dei Van der
Graaf, situazioni più lente, scolpite in una granitica cupezza, quasi al limite
del doom o dello stoner.
Un album che farà felici tanto i progsters più conservatori quanto quelli più innovatori e rivoluzionari, grazie alla sua capacità di volteggiare tra generi e stili senza apparire mai tedioso o calligrafico, ma sempre forte di una cospicua dose di freschezza e originalità compositiva.
Phil Selvini & The Mind Warp:
https://www.facebook.com/filipposelvini
Luminol Records:
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