Rich Robinson
Rich Robinson +
Eric Martin + John Hogg @ Planet – 15 10 2015
Live
report a cura di Maria Grazia Umbro
Foto di Stefano Panaro
Articolo
già apparso sul portale Rock by
Wild:
Rich Robinson, cofondatore assieme al fratello Chris dei The Black Crowes,
approda a Roma per il tour che celebra i 25 anni di carriera della band.
Arrivo al Planet in anticipo e per la prima volta in questa stagione
2015/2016, che già dalle prime battute si preannuncia interessante per
questo locale romano, che fino ad ora non ci ha deluso per la sua
programmazione. Insieme al fotografo Stefano Panaro, prendiamo posto in
posizione privilegiata per foto e visione d’insieme e ci apprestiamo ad assistere a questa serata completamente
acustica con ben tre (lo scopriamo lì per lì) solisti: il concerto di Rich
Robinson infatti oltre all’apertura di Eric
Martin ci offre l’opportunità di ascoltare un altro musicista americano, John Hogg,
chiamato da Robinson come cantante per il suo progetto parallelo Hookah Brown.
John Hogg
Sono le 21:00 circa e il giovane Hogg timidamente si avvicina all’asta del microfono piazzata al centro del palco, dove solo un paio di casse
spia e un amplificatore compongono la scenografia essenziale di questo live. La
sua performance, caratterizzata da una voce niente male e una certa destrezza
con la chitarra, dura circa trenta minuti e si compone di otto canzoni pescate
dai due album all’attivo con due diversi collettivi di musicisti (Kassini e RedRacers), e da
un terzo progetto attualmente in corso chiamato The Pyramid Ship. Hogg è un
cantautore e polistrumentista molto bravo, e il sound che ci propone è un mix
di blues –
rock – soul abbastanza
piacevole.
Eric Martin
Tempo qualche minuto, e non certo per cambiare scenografia, e sul palco
arriva Eric Martin che già dal passo certo e dal sorriso stampato in faccia, (faccia un po’ plastica e dai lineamenti decisi), ci fa auspicare un po’ di movimento e un cambio di passo. Viene accolto da un forte applauso, il
che ci conferma che la sua militanza nei Mr. Big, e la sua lunga cavalcata nel
rock degli anni ’80-’90 (il “ragazzo” è della classe ’60), ha un suo perché da queste parti.
Parte subito alla grande e stabilisce un contatto col pubblico con un “how do you do?“.
Il suo repertorio è principalmente un omaggio alla sua band con un paio di
diversivi e cover. Purtroppo nessuna setlist era disponibile quindi non siamo
in grado di elencare nel dettaglio tutte le canzoni eseguite, basti però sapere
che all’arrivo di “To Be With You”, successone dei Mr. Big datato 1991, più o meno tutti l’abbiamo cantata, (e lui ha coordinato anche i cori dal palco, come un vero
maestro d’orchestra). Di sicuro ha mostrato una grande padronanza del palco e la
voglia di interagire col pubblico, raccontando qualche aneddoto, citando spesso
i Mr. Big, presentando quasi sempre le canzoni ed esprimendo una certa
soddisfazione per essere nuovamente in Italia.
Verso il finale della sua performance chiama sul palco un altro musicista,
Fabio Cerrone, chitarrista e arrangiatore romano, che vanta una lunga
collaborazione con Martin (ma non solo) soprattutto nei suoi live nel belpaese.
Questo non fa che aggiungere ancora più spirito rock & blues ad uno
showcase vivace e divertente.
Rich
Robinson
Immaginate di dover staccare due spinotti e sistemare un’asta del microfono, ecco questo breve interludio è l’ultima transizione prima dell’arrivo, un po’ in sordina, del nostro protagonista, Rich Robinson. Il suo 25th Anniversary
Tour è l’occasione per riascoltare i classici della sua band ed i brani del suo
ultimo album solista “The Ceaseless Sight“, pubblicato lo scorso
anno, che ha ricevuto ottimi riscontri.
Notiamo subito che le luci, finora abbastanza chiare e luminose, vengono
leggermente abbassate. Forse per creare atmosfera, forse per richiesta dell’artista, ma insieme si abbassa anche il tono della serata.
Robinson fin da subito si vede molto poco incline a rapportarsi col
pubblico, rarissimi i sorrisi (e abbastanza di circostanza) e davvero poche
parole, tranne per una piccola nota critica a pochi brani dall’inizio, in cui sottolinea che dal palco si vedono le facce del pubblico
seduto in sala illuminate dagli smartphone, ironizzando sul fatto che è sicuramente
importante stare li a vedere cosa si dice su Facebook….
Il repertorio è abbastanza noto al pubblico, la voce è profonda e
controllata, e la sua bravura con la chitarra è davvero indescrivibile: alcuni
brani diventano delle interminabili suite con assoli e riff articolati. L’alternanza di chitarre, acustiche ed elettrica, fa si che il suono cambi in
continuazione e si passi dal morbido e classico, al duro e distorto.
Inizia con un omaggio a Dylan, (forse si tratta di “Going Back to Rome“, che potrebbe figurarsi come omaggio anche alla città che lo sta ospitando), per poi immergersi in una serie di
brani del suo repertorio da solista, in particolare tratti dall’ultimo album. Mi colpisce in particolare il pezzo “Lost and Found” che nell’attacco mi inganna facendomi pensare a “Can’t Find My Way Home” (Blind Faith, 1969). Naturalmente
non disdegna anche alcuni classici dal repertorio dei Corvi Neri (se si
considera poi che in Italia ci sono passati solo due volte in tutta la loro
carriera, è un’occasione più unica che rara di riascoltarli dal vivo).
A metà fra il classic rock e la più alta espressione di folk
singing americano, lo spettacolo scorre via, seppur con qualche calo di
tensione (e di attenzione), soprattutto quando alcuni riff vengono un po’ esasperati e spalmati nel tempo che, data la configurazione in solo e l’assenza di altri strumenti e/o componenti sul palco, rende alcuni momenti infiniti,
(ma non in senso poetico), in particolare su “Blackwaterside” dove veramente sembra volersi sfogare e usare tutti gli effetti disponibili
dalla pedaliera della chitarra elettrica, sfondando un po’ il muro del suono, (e anche i timpani), tanto che alla fine pare anche
soddisfatto da abbozzare un sorriso un po’ più convinto.
Fortuna che poi ci grazia tornando all’acustica con un pezzo
blues, e prosegue con altre chicche come “In comes the night” e “Roll
um Easy”.
A questo punto ringrazia il pubblico e ringrazia John Hogg, (sbaglierò ma
non mi pare abbia citato anche Martin nel saluto), e annuncia un altro paio di
canzoni che abbastanza seccamente chiuderanno la performance senza possibilità di replica, nonostante il pubblico abbia tentato di
richiamarlo sul palco (eloquente il gesto del suo assistente che fa il cenno
del taglio alla gola al fonico di sala per fargli capire “è finita”). Alla spicciolata ci muoviamo nella sala, un po’ sorpresi, un po’ forse sollevati. Lui non si vede
sotto il palco (Hogg e Martin sono già li con i loro CD e le foto con i fan), c’è invece il suo assistente che si
destreggia al tavolino del merchandising.
Insomma, Robinson ci ha sicuramente allietato con la sua voce, forte,
profonda, piena e senza graffi. Davvero un piacere per le orecchie. Ma non si è
prodigato molto in smancerie e dialogo, dimenticando quante poche occasioni di
ascoltarlo ci sono state in Italia finora. Colpevole la scena solista, è mancata
però quell’atmosfera da “unplugged”, calda e intima, che avrebbe reso tutto più bello. Lui è un bravo
musicista ed un ottimo interprete vocale, ma si è limitato a fare il suo, senza
troppi orpelli. Non è un voto negativo, la sufficienza c’è anche se, come
dicevano gli insegnanti all’uscita delle pagelle, “il ragazzo potrebbe impegnarsi di più”.
Setlist
Rich Robinson:
1-(cover Dylan)
2-I know you
3-The given key
4-It’s not easy
5-I have a feeling
6-Lost and found
7-I remember
8-Sway
9-Blackwaterside
10-By the light of the sunset moon
11-In comes the night
12-Roll um easy
13-Lay it all on me
14-Oh Josephine
14-Oh Josephine
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