STORIE DI ROCK II-INNOCENZO
ALFANO
di Gianmaria Consiglio
Il mondo del rock, si sa, è stato da sempre caratterizzato da
profonde contraddizioni, ambiguità, clamorose misinterpretazioni, sia da parte
dei protagonisti, sia da parte di chi ha cercato di comprenderlo, spiegarlo e
raccontarlo. E ciò appare ancora più evidente in un momento storico di caos
assoluto, come quello che stiamo attraversando.
La situazione attuale appare spaccata in due: da una parte ci sono
gli accademici, o presunti tali, e alcuni di loro, in realtà pochi, operano
chiusi all'interno delle pareti delle Università, spesso totalmente isolati da
tutto ciò che accade fuori. Pubblicano libri, tengono corsi, conducono
ricerche, raramente sul campo, e interloquiscono solo con i loro colleghi o una
ristrettissima cerchia di persone. Dall'altra c'è una massa di persone che si
approcciano in vario modo alla musica rock, ma quasi mai in maniera seria,
onesta e competente.
Alla luce di ciò viene da chiedersi: ci sarà un futuro per la
figura dello studioso, del ricercatore scrupoloso e competente su questa
appassionante materia, o rimarrà soltanto una schiera di appassionati e
aspiranti musicisti che poco hanno da aggiungere a quanto è stato già detto e
fatto?
Questa è la domanda che viene leggendo i libri di Innocenzo Alfano,
il quale nell'arco di una decade, a partire dal volume “Fra tradizione colta e popular music: il caso del rock progressivo”,
ha tracciato una mappa per comprendere gli aspetti più interessanti, da quelli
strettamente legati all'analisi e alle strutture a partire dalle partiture
(scoprendo anche alcune caratteristiche ricorrenti degne da manuale di teoria
musicale come quella che ha definito “cadenza rock”), a quelli storici e
aneddotici, della musica che è stata
prodotta dalla metà degli anni '60 alla fine degli '70, senza mai scadere nella
banalità o nel pettegolezzo. Al contrario, le sue argomentazioni mostrano una
logica e una disciplina davvero insolite, e una serietà all'approccio di un mondo
che spesso non ha saputo o forse non ha voluto farsi prendere sul serio, come è
avvenuto, forse fin troppo, nel caso del suo parente jazz e dello sconfinato
mondo di quella musica definita come “classica” o “colta”.
“Storie di Rock II”, pubblicato
a settembre 2015 dal PM edizioni, completa un percorso iniziato nel 2011 con la
prima raccolta di saggi intitolata allo stesso modo e pubblicata da Aracne Editrice. In questo caso il
titolo dice già tutto: nessuna complicazione, nulla di incomprensibile per chi
non sia musicista o non abbia alcuna nozione di teoria musicale, solo storie,
spesso poco conosciute, di musicisti ed eventi non sempre noti al grande
pubblico, che ci danno il quadro di un'epoca, che rimettono in discussione
molti luoghi comuni, che svelano qualche segreto, con il punto di vista solido
e a volte intransigente dell'autore.
Ed ecco allora crollare il mito del primo album omonimo degli
Stooges (1969), considerato da gran parte degli appassionati e dei critici come
un capolavoro, quello dei Velvet Underground e dei Rolling Stones che da troppi
sono considerati in maniera assolutamente acritica come delle divinità
intoccabili appartenenti al tempio del
rock. Un tempio, o una chiesa, che ha creato nel tempo dei dogmi e dei
postulati, e, ancora peggio, una spiccata tendenza alla cieca idolatria, che
pochi sono disposti a riconoscere e quasi nessuno a mettere in dubbio.
Il valore di Alfano come studioso e ricercatore sta proprio nel
rompere certi schemi e certi pregiudizi che in un mondo come quello del rock
non dovrebbero esistere, essendo questa una cultura che fin dal principio aveva
promesso invece proprio di abbattere schemi e pregiudizi e liberarsi di Dei,
santi e chiese. Le sue posizioni possono risultare troppo rigide, troppo legate
ad un'idea di competenza accademica che non si può applicare sempre a tutto e a
tutti, dato che molti artisti, proprio per andare oltre, o per provocazione, o
per semplice incazzatura, se ne sono fregati delle regole, e hanno espresso
questo rifiuto a modo loro, e se i mezzi usati sono risultati efficaci e
funzionali al messaggio desiderato, dal loro punto di vista hanno raggiunto
l'obiettivo.
Ma il punto è un altro, Alfano pone l'attenzione su una questione
fondamentale che riguarda qualsiasi campo, e non solo quello della musica rock:
non si può comprendere alcun fenomeno se prima non lo si è studiato a fondo.
Poi ognuno trarrà le sue conclusioni, ma con la consapevolezza di chi conosce
quel fenomeno dal maggior numero possibile di angolazioni.
Tornando a “Storie di Rock II”, sono numerosi i
brevi saggi che si potrebbero ricordare, alcuni deliziosi e divertenti, altri
pungenti, forse un po' polemici, altri inaspettati nel contesto del libro,
come: “Il fumo uccide, e il rock, ahimè,
gli dà una mano”, ”Una suite lunga
mezzo secolo, ma con qualche difetto”, “L'equivoco
prog su Lucio Battisti”, “Gli
arrangiamenti in prestito della PFM nel live del '79 con De Andrè” e “Il Festival di Woodstock... dieci anni
dopo”. Molti anche sono i gruppi e i fenomeni poco conosciuti, collaterali,
o conosciuti male dai più, come i Mungo Jerry, il pianista jazz Gaetano
Liguori, gli uruguayani Dìas de Blues o i gallesi Man.
Sono tante le sorprese, gli spunti di riflessione, gli stimoli che
si possono trovare sfogliando e leggendo questo delizioso secondo volume
dedicato ad alcune “Storie di Rock”,
e può essere una buona occasione di approfondimento e scoperta anche per chi
non mastica quotidianamente questi argomenti.
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